Ieri, mentre mi recavo sul posto di lavoro, sono passato davanti alla casa di riposo: di botto mi sono visto vecchio e solo in un letto di un ospizio, piagato nel corpo e nello spirito. E’ stata una visione folgorante. Dovrei godermi la vita, come mi consigliano gli altri, finché sono giovane. Eppure non ci riesco: dilaniato tra il terrore del futuro ed il rimpianto per quei pochi giorni felici dell’infanzia, non so strappare al presente alcuna gioia. Carpe diem? Abbiamo poco da cogliere, se non i frutti amari della frustrazione e della routine. Posso essere felice, visto che mi spezzo la schiena come cameriere per otto-dieci ore al giorno? Tornato a casa, crollo sul letto per un sonno insonne. Al mattino si ricomincia e così via. E’ questa la felicità? Può darsi. La felicità è l’infelicità di ieri.
Dal romanzo "I confini dell'infinito", vol. III
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