Ottava classificata Culla, stanotte, la mia malinconia di Ester.EFP con 37/45
Grammatica: 9/10
Ottima, solo un paio di sviste:
“Duddley”: -0.50; la grafia corretta è “Dudley”.
“intorno a se”: -050; quando non è seguito da “stessa/o”, è indispensabile l’accento, dunque “sé” anziché “se”.
Stile e lessico: 9/10
Dal punto di vista
stilistico, la tua storia mi parsa una sorta di zibaldone dove ogni stralcio, isolato dagli asterischi, è a sé. A collaborare a questa sensazioni sono stati la prima persona narrante e l’autonomia di ogni stralcio, che ha un significato compiuto anche se isolato dal contesto. In tal senso, nel tuo caso non potrei parlare di coesione interna né di cornice narrativa, ma di una serie di episodi rievocati dalla memoria del personaggio-narratore che se messi insieme ricostruiscono una certa visione del personaggio stesso – a riguardo, emerge chiaramente l’animo con cui hai scritto questa storia e anticipato nelle note d’autrice, perché è evidente che lo scopo ultimo di questo
collage di ricordi autobiografici sia restituire una certa immagine di Petunia.
È una struttura stilistica che ho trovato molto interessante, oltre che poco utilizzata e per questo degna di nota: l’ho chiamato zibaldone perché non è neanche un “diario” auto-riferito, bensì una serie di riflessioni, ricordi, idee che Petunia sembra aver voglia di mostrare a qualcuno, ma timorosa di farlo si rivolge a un bambino di poco più di un anno, incapace di capire la complessità di quei pensieri.
Ancora, è interessante il modo in cui alterni questi stralci: un ricordo affossato nel passato e una riflessione radicata nel presente. Petunia un istante è bambina e adulta un istante dopo, relazionandosi con quel bambino che con la sua sola presenza la scaraventa nei ricordi più antichi e la costringe a rivivere tempi di cui ormai non resta alcuna traccia.
Questi frammenti che cuci insieme hanno comunque, come anticipato, una coerenza interna, perché procedono tutti nella stessa direzione. L’unico “non-frammento” a distaccarsi dagli altri è quello conclusivo, dove riflessioni, ricordi, idee cedono il passo all’emozione, a una
debolezza che fa da chiave di lettura per tutto ciò che l’ha preceduta: è la mancanza a disturbare il sonno di Petunia, è la mancanza ad aggrovigliarle i pensieri. Efficace, a riguardo, che questo “non-frammento” sia messo in evidenza dall’allineamento al centro e da una sintassi frammentata in capoversi: quasi come una piccola poesia conclusiva, che parla di emozioni e di un
io messo a nudo.
I tempi verbali, in coerenza allo “zibaldone”, variano a seconda dei momenti narrati: è come se il personaggio parlasse, ed è dunque coerente e giusto che oscilli anche il tempo della narrazione.
Gli unici momenti che a livello stilistico ho trovato meno efficaci sono i seguenti:
• “Cosa mi costringe qui in piedi alla finestra a stringere un figlio che figlio mio non è?”: in questo caso, la sequenza un figlio che figlio mio non è? a livello di ritmo mi è parsa inefficace. L’accentazione della “è”, il tono dell’interrogativo e l’inversione in “che mio non è” (anziché “che non è mio”) restituiscono un ritmo che, letto a voce alta, sembra quello di una filastrocca. Credo di interpretare bene il tuo intento dicendo che volessi replicare la sintassi del parlato, ma in questo specifico caso messa su carta funziona poco, e anziché cogliersi il senso dell’espressione, si coglie questo ritmo da filastrocca che stranisce.
• “Fu talmente bello che quando la mattina dopo a scuola mi addormentai sul banco, non ebbi alcun rimpianto”: sono stata indecisa se segnalarti la situazione in questo parametro o in “Grammatica”, ho optato per questo perché credo sia stata una scelta dettata dal ritmo che hai inteso dare alla frase. Dopo “che” dovrebbe esserci una virgola, perché “che” regge “non ebbi”, verbo allo stato attuale isolato rispetto alla congiunzione che lo regge dall’unica virgola presente (che spezza il periodo in due). Se ai fini del ritmo trovi controproducente inserire la pausa, è preferibile omettere anche quella che segue “banco”, così da ovviare al problema.
Arrivando al
lessico, ogni singolo vocabolo, e la costruzione sintattica stessa, sembra riprodurre il linguaggio dell’oralità: è una voce narrante che
parla e come tale si esprime, ricorrendo a vocaboli di uso quotidiano e a modi di esprimersi che nella loro semplicità riescono a essere straordinariamente diretti, malgrado ci troviamo nella “mente” del personaggio.
A riguardo, ho solo due piccoli appunti da fare: in “
sottoporla ad un’operazione” ricorri alla d eufonica, sconsigliabile in un testo in cui è riprodotta l’oralità (poco dopo non la utilizzi, e a ragione!); e in “
anch'io li ebbi” dove il passato remoto, che apre lo stralcio, risulta poco coerente a un registro orale: è più istintivo dire “li ho avuti” – che tra l’altro sposa bene con la frase che precede: “
Nell'età in cui bambini sono soliti avere incubi”.
Concludendo, in questo parametro hai fatto un ottimo lavoro, motivo per cui malgrado i momenti a mio parere meno efficaci messi in evidenza il punteggio resta alto: 9/10.
Titolo: 5/5
Culla, stanotte, la mia malinconia, ispirato a un componimento di Ungaretti, è un titolo molto evocativo, musicale, in grado di calamitare l’attenzione e molto “personale”, nel senso che non è uno di quei titoli associabili a più storie, ha ragione di essere se associato a quella per cui è stato ideato.
Anche il rapporto titolo-contenuto è pienamente rispettato: la metafora trova spazio nel testo, dove il personaggio – malinconico – culla lei stessa la propria malinconia, e lo fa cullando materialmente, sia pure controvoglia, il bambino che ha scatenato i ricordi responsabili dello stato d’animo.
Non ho davvero nessun appunto da fare in questo parametro, 5/5.
Utilizzo del prompt: 6/10
Hai scelto il prompt
C’erano giorni in cui a malapena s’alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente, sviluppandone soprattutto una parte e trascurando un po’ l’altra. La mancanza è chiaramente il motore che aziona i pensieri della protagonista, e di conseguenza è il concetto su cui poggia l’intera narrazione: una mancanza palesata solo alla fine, in conclusione, ma che pressa lungo tutto l’arco narrativo, inducendo Petunia a indugiare su ricordi e pensieri che non fanno altro che acuire questo sentimento.
Il motivo per cui il punteggio non è superiore a 6/10 è legato all’assenza dell’altra sfumatura della citazione, che nel dire “
c’erano giorni in cui a malapena s’alzava” presuppone una mancanza che fiacca, che aliena, che induce in uno sconforto tale da indebolire anche fisicamente il personaggio coinvolto – una mancanza che
divora. Nel tuo testo, però, queste sensazioni sono del tutto assenti, la tua protagonista è lucida, vigile, presente a se stessa – sia pure impigliata in queste riflessioni che la disturbano – e questo fa sì che lo sviluppo della citazione scelta appaia parziale.
Il prompt, quindi, è sicuramente presente, ma non nella sua totalità, motivo per cui ho reputato corretto assegnare 6/10 in questo parametro.
Caratterizzazione e IC dei personaggi: 8/10
Il solo personaggio del tuo racconto è
Petunia, che essendo anche voce narrante ci consente di entrare in stretto contatto con i suoi pensieri e le sue emozioni. Trovo che tu abbia sviluppato un’introspezione inedita e credibile di questo personaggio, motivo per cui preferisco soffermarmi prima sul motivo per cui il punteggio non è superiore a 8/10.
Ciò che leggendo mi è mancato, e che ha generato una sensazione di perplessità, è la
voce di Petunia: nonostante abbia compreso e apprezzato l’idea alla base della caratterizzazione della protagonista, nel suo modo di esprimersi non sono riuscita a cogliere – se non tra le righe e in qualche caso – lo sprezzo, l’invidia e in generale le zone d’ombra di Petunia. Anche in un momento di debolezza in cui si parla a se stessi, trovo poco convincente che il
tono e la
voce del personaggio in questione non tradiscano modi d’essere che fanno parte di lui in maniera quasi viscerale. Anche i momenti in cui parla a Harry tradiscono più una dolcezza repressa che un istinto di rifiuto. È come se nell’intento di mostrare “l’altra faccia” del personaggio, abbia perso un po’ di vista gli elementi che lo caratterizzano in quanto tale.
Ad ogni modo, malgrado la perplessità espressa, il punteggio resta alto perché, come anticipato, ho compreso e apprezzato la tua prospettiva, che tenta di andare oltre e di mostrare i sentimenti di Petunia, il legame con una sorella perduta da anni, le sensazioni suscitate in lei dal dover crescere proprio suo figlio. Ho apprezzato molto il paragone che fa tra Harry e Dudley, è uno dei momenti – riprendendo il discorso precedente – in cui accenni alla sua ostilità, sia pure con parole che non sono di netto di rifiuto, ma di malinconica accettazione.
La conclusione, dove riesce finalmente ad ammettere la mancanza, sia pure trasportandola su Harry, è il vero climax del racconto e di conseguenza dell’introspezione, dove le parole cadono nel vuoto, i pensieri si ammutoliscono e non resta altro che una consapevolezza scomoda.
Nel complesso, dunque, trovo che sia stata brava e anche originale!
Totale: 37/45
Settima classificata Brandelli di futuro di inzaghina.EFP con 37.8/45
Grammatica: 8.8/10
Molto buona, solo qualche svista:
«“E-esatto” balbetta»: -0.20; manca la virgola dopo «“esatto”» (in coerenza all’uso che fai della punteggiatura nei dialoghi).
“il caleidoscopio d’emozioni con cui ha imparato a convivere, le fa sbirciare”: -0.50; la virgola separa il soggetto “il caleidoscopio d’emozioni” dal verbo “fa sbirciare”, quindi va omessa oppure ne va aggiunta una prima di “con cui” per creare l’inciso.
“sugellato”: -0.50; “suggellato” anziché “sugellato.”
Stile e lessico: 8/10
Ho trovato lo
stile di questa storia molto strutturato: è evidente che tu abbia ragionato su come srotolare la trama e affrontare il problema oggettivo delle poche parole a disposizione per coprire un arco narrativo ampio. Trovo che abbia gestito tutto molto bene: il testo risulta coerente e coeso, articolato com’è in frazioni temporali via via sempre più brevi, quasi a simboleggiare che la fine è vicina e non c’è più molto da dire – un equilibrio che ho apprezzato molto e che trovo adatto a scandire i momenti del tuo racconto.
Ho trovato molto particolare, ma efficace come escamotage, il passaggio dal tempo presente al tempo passato in conclusione di racconto. La storia è tutta narrata al presente e in terza persona, una scelta che “attualizza” ogni passaggio e ben si sposa con il concetto di
adesso che i personaggi vivono minuto dopo minuto – impegnati come sono ad allontanare il
domani da loro –, eppure la conclusione accantona il presente e dà voce al passato, riuscendo letteralmente a “distaccarsi” da tutto ciò che l’ha preceduta, a collocarsi in un altro tempo, che pur essendo futuro è già passato, perché per
adesso non c’è più spazio con la morte di Fred. Non so se tu avessi in mente proprio questo tipo di distacco quando hai scelto di osare cambiando tempo verbale, ma l’effetto è vincente e scaraventa il lettore lontano dagli echi speranzosi di tutto ciò che ha preceduto la conclusione.
Dal punto di vista sintattico, ho apprezzato le simmetrie tra periodi, organizzati con punteggiatura speculare (ad esempio, il ricorso al punto e virgola quasi in funzione di lineetta).
Un elemento che invece mi è parso un po’ eccedere è l’uso del corsivo associato al concetto di
destino: come concetto è già molto presente, la storia insiste tanto su questo punto, al punto che i dialoghi dei personaggi ruotano esclusivamente attorno a esso, rimarcarlo così tanto anche con il corsivo rischia di essere un po’ troppo. Il corsivo serve a dare enfasi, quindi è preferibile non utilizzarlo su un concetto già enfatizzato dalla struttura stessa della storia.
Ti riporto poi una situazione isolata:
• “Beatamente ignara”: questa frase nominale è enfatizzata dal corsivo e dall’allineamento al centro e segna il punto di non ritorno: ritroveremo i personaggi in quel futuro-passato senza più speranza. A mio parere, nel contesto della tuo tessuto stilistico, quest’espressione più che aggiungere enfasi, spezza il ritmo scandito dalla frammentarietà dei momenti. Il momento che introduce ha già la sua frase enfatica (“Affronteremo insieme il nostro destino.”) e il suo punto di rottura sottolineato dal tempo passato, quindi non ha davvero bisogno di essere “annunciato”. Inoltre, l’unica altra frase centrata è quella conclusiva – tra l’altro molto bella! – che rispetto a questa ha una grande forza emotiva, e stranisce che le due siano “collocate” nello stesso spazio.
Arrivando al
lessico, come sempre fai uso di un registro medio-alto, che si serve di immagini tese a suscitare atmosfere ed emozioni. È tutto ben gestito, il testo risulta coeso anche dal punto di vista lessicale e ogni termine è utilizzato nel modo giusto. Ho solo due piccoli aspetti da farti notare.
Uno è relativo a “
le dita callose sono calde sulla pelle di Hermione, infiammandola”, dove trovo la parola in grassetto una ripetizione a livello contenutistico poco utile, le dita di Fred sono già “calde” sulla pelle di Hermione.
L’altro è legato a un dialogo in particolare, dove Fred dice “
il destino a cui devo adempiere”, che calato nella cornice narrativa è sin troppo “aulico” e solenne come espressione – il registro linguistico dei dialoghi deve essere sempre coerente al personaggio che parla.
Concludendo, al di là di quei punti a mio parere meno efficaci messi in evidenza, lessico e stile sono molto buoni, trovo sia stata brava in questo parametro, quindi sintetizzando il discorso fatto in punteggio ho assegnato 8/10.
Titolo: 4/5
Brandelli di futuro è un titolo a mio parere evocativo, dal sapore un po’ disarmonico nel suo associare in maniera inedita “brandelli” e “futuro”. Trovo che possa essere in grado di calamitare l’attenzione dei lettori, spingere a chiedersi come sia possibile possedere brandelli di futuro e non di passato. Anche a livello di legame col contenuto del racconto è un titolo abbastanza riuscito, perché ne riprende uno dei temi portanti, che è quello di questo futuro agognato, di cui alla fine non restano che brandelli sparsi.
Il motivo per cui non ho assegnato il punteggio superiore a 4/5 è che al titolo, pur nei suoi pregi, manca il legame con il tema principale del racconto: il destino. La tua storia è interamente focalizzata sul concetto di destino – i “brandelli di futuro” ne sono una conseguenza –, un tema che riprendi dall’inizio alla fine e che spazia sia nelle parole che nei pensieri che nelle azioni dei personaggi, di conseguenza non posso non notare che un titolo cucito su misura per questa storia avrebbe dovuto sintetizzare anche questo aspetto, il più pressante, del racconto. Trattandosi comunque di un dettaglio, ho reputato giusto che non pesasse granché sul punteggio, che resta alto!
Utilizzo del prompt: 10/10
Hai scelto il prompt
Illusa, aveva creduto di poter ingannare il destino e lo hai sviluppato dalla prima all’ultima parola del testo, abbracciando un arco temporale anche abbastanza ampio considerando il limite di cinquecento parole.
La citazione scelta è indubbiamente il filo conduttore del racconto, il suo motore ispiratore, la ragione su cui sembra fondarsi il rapporto stesso tra i due protagonisti. È un continuo sfidare il destino, questa storia, un tentare di ingannarlo
vivendo, vivendo a oltranza, anche se il destino in questione ha stabilito la morte. E i tuoi personaggi sono indubbiamente degli
illusi, che pur nel tremare dentro si impongono di andare avanti, ignorare qualsiasi presagio, sfruttare tutto il tempo a disposizione e raccontarsi che la fine non è detto debba arrivare.
Ma poi la fine arriva, e con essa il prompt prende letteralmente vita e si sgretola tra le mani di Hermione, la sopravvissuta, costretta a fare i conti con la propria illusoria pretesa di poter ingannare il destino. Bravissima, 10/10.
Caratterizzazione e IC dei personaggi: 7/10
Premetto che non è semplice valutare con oggettività questa coppia, ragione per cui la tua storia è tra quelle che ho riletto di più al fine di mettere da parte quanta più soggettività possibile, e credo alla fine di esserci riuscita.
Iniziando da
Hermione, è caratterizzata molto bene, con il suo animo cerebrale, la sua razionalità e la sua forte personalità. La tua Hermione ha tutti i tratti della sua controparte cartacea: negli scontri verbali con Fred è una degna rivale, non china mai il capo, e sino alla fine – nonostante sia innamorata – sceglie di non lasciarsi vincere da presagi o istinto, ma di affidarsi alla ragione, la sua arma più potente. In ragione di tutto questo, è coerente il crollo che la vede protagonista nella conclusione, dove le sue certezze vanno
in brandelli assieme alla vita di Fred e al futuro che non avranno mai. Ciò che le manca per essere caratterizzata a tutto tondo è il motivo che l’ha condotta tra le braccia di Fred: la storia non si preoccupa di rispondere a questa domanda, parte dal presupposto che tra i due ci sia attrazione – e se nel caso di Fred è più plausibile (perché è un istintivo, perché la saga non ci dà notizia di sue relazioni importanti), nel caso di Hermione può essere un nodo problematico, sia perché è una creatura razionale, sia per il fattore Ron.
Arrivando a
Fred, devo dire che è il personaggio che mi ha convinta meno. Della sua controparte cartacea ha sicuramente l’innata ironia e la vitalità che lo induce a sfidare tutto e tutti pur di
vivere, di esserci, di non lasciarsi condizionare da niente. Ed è spregiudicato in quella maniera tutta sua quando reclama le attenzioni di Hermione e le invade letteralmente la vita.
Il problema è che non sono questi i tratti più caratterizzanti del tuo Fred, a esserlo è la questione del destino: il Fred della tua storia sembra essere “perseguitato” dalla profezia della Cooman, cui ha dato così tanto credito da vivere in sua funzione. Fred è un personaggio fatto di istinto, scanzonato, che non si prende mai sul serio, uno di quelli che agisce mentre gli altri pensano, uno che dà peso a pochissime cose (per vederlo esternare una debolezza abbiamo dovuto aspettare di avere George quasi in fin di vita), e che tra queste pochissime cose possa esserci un presagio della Cooman – che, citando la McGranitt, prevede la morte di uno studente all’anno – non convince molto. Inoltre, le frasi con cui parla a Hermione di questo presagio sono un po’ troppo “solenni” per immaginarle dette da lui: “
Il destino a cui devo adempiere mi toglie il sonno…” e “
La Cooman mi lesse il palmo, stupendosi di quanto fosse breve la mia linea della vita, potrei non avere molto tempo…”. Nel primo caso, l’uso del verbo “adempiere” è un po’ troppo, ricorda un po’ i toni epici nell’insieme, e stona se detto seriamente da Fred; nel secondo caso abbiamo l’uso del passato remoto che fa risalire la predizione al passato – sembra che Fred conviva con questo fardello da anni. Sono espressioni che Fred avrebbe potuto dire solo con ironia e senza crederci sul serio.
L’idea di Fred “segnato” dalla morte è interessante, ma il Fred della Rowling con molte probabilità avrebbe riso in faccia al presagio e alla morte, mentre quello del tuo racconto ha bisogno che sia Hermione a spronarlo e a supportarlo – e malgrado lui dica di voler sfidare il destino, ogni sua parola grida il contrario, cioè che ci crede fin troppo per godersi la vita (se così non fosse, le sue battute più ricorrenti non ruoterebbero attorno al destino).
Fatto tutto questo discorso, ho comunque apprezzato il fatto che tu abbia sviluppato una coppia fanon complicata – perché coinvolge la protagonista femminile della saga, quella che conosciamo di più – in sole cinquecento parole, abbracciando un arco temporale ampio, veicolando un’idea precisa (la sfida al destino) e sviluppando caratterizzazioni in linea, salvo le sfumature dette, con le controparti cartacee. Motivo per cui ho optato per 7/10 in questo parametro.
Totale: 37.8/45
Sesta classificata La candeggina non basta di Greynax con 40.1/45
Grammatica: 9.1/10
Buona, solo qualche svista:
“usasse - ed ecco”: -0.20; hai utilizzato il trattino breve in luogo della lineetta (–), che è il segno di punteggiatura corretto per segnalare incisi.
“controllo - tranne”: -0.20; idem come sopra.
“mostricciatolo”: -0.50; la grafia corretta è “mostriciattolo”.
Stile e lessico: 6/10
In questo caso preferisco iniziare dal
lessico, elemento su cui non ho nessun appunto da farti. Il registro è coerente al contenuto del racconto, nel suo essere quotidiano e fare uso di vocaboli che non aspirino alla ricercatezza; ho poi apprezzato la correttezza dei termini riferiti alle fasi della lavatrice – potrà sembrare un dettaglio irrisorio, ma collabora a calare il lettore nell’atmosfera descritta. Oserei dire che, forse, l’unico termine un po’ fuori luogo è proprio quello suggerito dal prompt, “marcio”: ho avuto la sensazione che se avessi dovuto scegliere tu il termine, in coerenza al tuo tessuto lessicale, avresti optato per “sporco” – ovviamente, in quanto semplice sensazione non ha inciso sul punteggio!
Arrivando allo
stile, mi spiace dire che trovo sia l’elemento meno efficace del racconto. Cercherò di spiegarti al meglio il motivo di questa mia considerazione.
Hai scelto una narrazione al presente e in terza persona, che alterna momenti di discorso indiretto a momenti di discorso indiretto libero – sono quelli, questi ultimi, in cui siamo nella mente della protagonista. A mio parere i nodi problematici sono sostanzialmente due: la gestione dei tempi verbali e la gestione dei momenti.
Iniziando dai tempi verbali, premetto che ho riletto più volte la tua storia per decidere se riportare l’appunto in “Grammatica” o in questo parametro, alla fine ho optato per questo perché più che un errore grammaticale, la tua mi è parsa una svista stilistica causata dal continuo viavai tra discorso indiretto e indiretto libero. Ti riporto i singoli punti per semplificarci:
• “Fare le pulizie è nella sua natura, qualcosa d'irrinunciabile. Porta solo a un piccolo problema: usare le mani lascia la mente libera di pensare. Petunia odia pensare, la disgustano i posti in cui una mente libera e distratta può portarla... e, se c'è una salvezza, sta nella lavatrice. Schiuma e panni in un circolo tranquillo, monotono, sano. Entravano sporchi, uscivano puliti e il loro odore era buono. Riusciva a non pensare quasi a niente, quando indugiava con lo sguardo sull'oblò. Ma era ancora troppo presto”: nel periodo in grassetto i tempi verbali d’improvviso passano dal presente al passato, nonostante in questo tratto del testo sia il narratore esterno a parlare, la parola non è ceduta ai pensieri del personaggio – come accade ad esempio in Pulire i fornelli. Detergente in crema, acqua, un'altra passata ancora, dove è chiaro che siamo nei metodici e affannati pensieri di Petunia. In ragione di questo, non c’è alcun motivo stilistico che giustifichi uno slittamento temporale della narrazione: “i panni entrano sporchi […] ma è ancora troppo presto”.
È una situazione davvero al limite con la svista grammaticale.
• “Petunia non era mai stata molto golosa, e da quando era successa quella cosa... non aveva più molta fame. Ma questo era un pensiero cattivo, qualcosa che poteva essere scacciato solo dall'odore delle tende e dall'implacabile pulizia della lavatrice, doveva assolutamente arrivare alla lavatrice, prima di pensare troppo”: la situazione qui si ripresenta, identica alla precedente. Anche in questo caso, sfugge perché la narrazione slitti improvvisamente al passato – quando si narra al presente, il tempo presente vince anche (salvo sporadici casi) nel caso in cui si debba riferire a fatti già accaduti, per i quali si ricorre al passato prossimo.
Nei casi sporadici citati, cito dal tuo stesso testo “
Ama la distanza che i guanti mettono tra sé e ciò che stava facendo” e “
Almeno qualcuno, qui, aveva ancora un po' di appetito”, dove ho inteso i verbi al passato come la necessità di scandire quei singoli momenti e mettere una linea di demarcazione tra “ora” e “prima”. Tuttavia, trovo che nel caso della seconda frase il presente indicativo avrebbe comunque reso il senso dell’espressione.
Arrivando alla gestione dell’alternanza tra discorso indiretto e indiretto libero, a mio parere per essere ancora più efficace la suddivisione in momenti avrebbe potuto giovare una separazione anche grafica: escamotage come diverso allineamento del testo, corsivo, capoversi intervallati da interlinee (che pure utilizzi, ma per scandire le “fasi della pulizia”) avrebbero potuto marcare ancora di più i due piani su cui hai articolato la narrazione. Ad esempio:
• “Spazzare, pulire i pavimenti. Una passata ulteriore, con un altro straccio pulito e impregnato d'alcool: disinfetta e asciuga, tutto è di nuovo sotto controllo - tranne la lavatrice.
Fare le pulizie è nella sua natura, qualcosa d'irrinunciabile. Porta solo a un piccolo problema: usare le mani lascia la mente libera di pensare”: in questo caso, passiamo da un capoverso all’altro dal discorso indiretto libero al discorso indiretto, prima “affanniamo” assieme a Petunia, l’attimo dopo “respiriamo” assieme al narratore che ci spiega il personaggio. L’escamotage stilistico di per sé è vincente, ma è penalizzato dalla mancata messa in evidenza dei vari momenti, che appaiono tutti incastrati e rischiano di perdere le loro sfumature confondendosi gli uni con gli altri.
Sintetizzando, quindi, nel complesso la tua struttura stilistica non mi è dispiaciuta, mi è parsa solo meno efficace di quanto avrebbe potuto essere in assenza delle situazioni descritte. A incidere maggiormente sul punteggio è stata la gestione dei tempi verbali, mi dispiace molto perché per il resto – come vedrai leggendo i prossimi parametri – la storia non ha lacune di sorta, ma valutando i pro e i contro ho reputato che 6/10 fosse la valutazione più corretta.
Titolo: 5/5
La candeggina non basta è un titolo particolarissimo nel contesto di Harry Potter: intitolare una storia con un elemento così
babbano come la candeggina credo sia un elemento di grande originalità e, di conseguenza, in grado di stabilire una precisa traiettoria per il testo cui si riferisce. Trovo sia un titolo capace di “parlare” al lettore, dirgli che non troverà magia né atmosfere fantastiche tra le tue righe, che non siamo a Hogwarts, che a essere protagonista è l’altra faccia della medaglia, quel mondo babbano così assente nei volumi dedicati alla saga. In più, è possibile intuire sin dal titolo chi sia il protagonista del racconto: Petunia è, in fondo, nota per avere a cuore la pulizia in maniera quasi maniacale. A tutto questo aggiungo che è perfettamente in linea con il contenuto del racconto, ne è quasi la sintesi ultima: la candeggina non basta (a ripulire un animo marcio). Molto brava, 5/5!
Utilizzo del prompt: 10/10
Hai scelto il prompt
Odiava guardarsi dentro, c’era marcio ovunque, inserendolo quasi testualmente in conclusione di racconto. Quando ho ideato questa frase l’ho immaginata in contesti più introspettivi e cupi, la tua resa mi ha piacevolmente stupita: la tua è sì un’introspezione dai contorni cupi, ma è immersa in un’atmosfera di freddo distacco – la sensazione è che il personaggio faccia di tutto per alienarsi da se stessa. E questa sensazione di alienazione, che si traduce in una maniacale ricerca del pulito “esteriore” (quello che si vede, insomma), trovo sia uno dei risvolti insiti nel prompt, protagonista “sussurrato tra le righe”.
Hai letteralmente messo in scena questo personaggio che odia guardarsi dentro,
che non può proprio farlo, perché c’è marcio ovunque, e allora si rifugia in gesti e azioni, annaspando tra profumo di pulito e lezzo di peccati.
Inoltre, la posizione privilegiata attribuita a alla quasi-citazione del prompt, vale a dire in conclusione, attribuisce ancora più significato al filo conduttore, che si rivela essere anche chiave di lettura per comprendere il reale significato della sequenza di pensieri e azioni che è la storia.
Non ho proprio nessun appunto da farti, 10/10!
Caratterizzazione e IC dei personaggi: 10/10
Il solo personaggio del tuo racconto è
Petunia, ritratta in un singolo episodio della sua vita. Ciò che ho trovato davvero lodevole della tua caratterizzazione è il fatto che sia riuscita a dire molto,
tanto, di questo personaggio mostrandolo alle prese con le faccende domestiche. Non hai scelto un momento particolare né una trama articolata nel tempo, ti sei concentrata su un giorno qualsiasi descrivendo delle azioni qualsiasi – quotidiane, che in apparenza non hanno nulla da dire. La tua chiave di lettura, però, il tuo aver centrato uno dei tratti peculiari di Petunia, ha fatto sì che questa quotidianità divenisse eccezionalità nel tuo spazio narrativo, perché leggendo si scopre che in realtà le faccende domestiche sono un pretesto per dire altro,
di più, andare oltre la superficie linda che la protagonista si ostina a pulire e sfoggiare.
Molto bello il dettaglio della lavatrice, che con la sua chiassosa centrifuga copre i rumori e con essi, si illude Petunia, anche i pensieri – e
smacchia, smacchia tutto, smacchia anche se non basta mai.
Un insieme, questo, che riesce a cogliere gli aspetti spigolosi della caratterizzazione della tua protagonista: la scopriamo alle prese con un marcio che nasconde a tutti, con un passato che accantona tra una stoviglia pulita e una ancora sporca, con delle responsabilità che detesta (il
mostriciattolo è indicativo in tal senso), con un senso di colpa dagli occhi verdi che non è abbastanza per
amare e ripulirsi la coscienza.
La tua Petunia è in apparenza quella dei libri, tutta dedita alla casa, perseguitata dalle apparenze, impegnata a vezzeggiare il figlio (acuto riferirsi a lui con un vezzeggiativo!), a prendersi cura del marito e a fingere che Harry non esista. Allo stesso tempo, però, è anche la Petunia oltre il velo: intravediamo la donna che non riesce a salutare Harry neanche quando deve affrontare una guerra, quella che nasconde al marito la corrispondenza con Silente, la stessa che – ne sono certa – non può essere stata del tutto indifferente alla morte della sorella.
Che dire, se non che c’è marcio ovunque? Complimenti, un’introspezione riuscita e molto originale, 10/10.
Totale: 40.1/45[Modificato da Rosmary 14/04/2020 18:27]