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Citazioni in cerca d’autore (Oscar edition)! – II edizione

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2020 19:09
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Giudice*****
01/03/2020 10:47
 
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Storie con personaggio singolo:

Personaggio: Petunia Evans
Prompt: C’erano giorni in cui a malapena s’alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.

Culla, stanotte, la mia malinconia


Io e Lily abbiamo sempre condiviso la stanza; i lettini erano vicini e allungando un braccio potevamo sfiorarci.
Quand'era una bambina, Lily aveva un problema alle tonsille, russava forte. Le mie notti sono state tormentate dai suoi rantoli per anni, fino a quando i nostri genitori non si convinsero a sottoporla ad un’operazione. Tuttavia, la prima notte dopo l’intervento pianse talmente forte che a un certo punto rimpiansi il suo frastornante russare; decisi d’intrufolarmi nel suo letto e la strinsi forte, asciugandole le lacrime.
Infine, smise di piangere e si addormentò.


***



Hai sentito, terribile bambino? Tua madre si addormentò, alla fine.
Quanto ancora vuoi essere cullato, quanto ancora tormenterai la quiete di Privet Drive? Guarda Duddley come dorme sereno, com'è dolce la sua espressione e beato il suo sonno!
Harry Potter, sei un estraneo per me. Il tuo viso, il tuo pianto sottile ma incessante, questi occhi grandi e chiari con cui mi guardi pieno di domande, di incubi e fantasmi, ogni cosa in te mi pare aliena.
Harry caro, che poi tanto caro non sei.
Cosa mi costringe qui in piedi alla finestra a stringere un figlio che figlio mio non è?


***



Nell'età in cui bambini sono soliti avere incubi, anch'io li ebbi. Spesse volte la notte mi svegliavo urlando, troppo impaurita per riprendere a dormire. Nostra madre non mancava di raggiungermi e rassicurarmi, fino a quando, una sera, la stanchezza non la vinse. Disperatamente sola, stavo per sprofondare in una paura ben peggiore di quella dei miei incubi – l’abbandono – quando Lily mi si avvicinò. Era davvero piccola, avrà avuto poco più di sei anni.
“Giochiamo” mi disse, salendo sul mio letto.
Quella notte non dormimmo, né russammo, né piangemmo. Fu talmente bello che quando la mattina dopo a scuola mi addormentai sul banco, non ebbi alcun rimpianto.


***



Non ho bisogno di tenerti tra le braccia per ricordarmi di lei; la conosco anche meglio di te, bambino benedetto. Non le somigli affatto, Harry Potter, lasciatelo dire.
Resterà per sempre giovane e bella, la cara Lily, sempre così speciale per te, che di lei non saprai altro se non quello che un’immagine muta potrà dirti. Non vedrai tutte quelle sfumature, tutto quell'odio e tutto quell'amore che sapeva generare intorno a se. Non sperimenterai sulla tua pelle i suoi sbalzi d’umore, quell'istante indefinito in cui la gioia dei suoi occhi mutava in pianto o in furia, senza preavviso. Non conoscerai la straziante, esasperante fedeltà che nutriva per coloro che amava.
Cosa ne sai, tu, dei ricordi che tormentano la notte, che invadono il tuo letto senza che nessuno venga a consolarti?
Il pensiero che tutto ciò che lei era non esiste più.
Smettila, ti prego, smettila con questo pianto sconsolato, ti prego!

 


Ti manca, lo so.
So che vorresti le sue braccia, il suo profumo, la sua voce a cullarti nella notte.

Lo vorrei anch'io e non sai quanto.


______________________


Personaggio: Barty Crouch Junior
Prompt: Le origini, se non sono la casa in cui tornare, sono il mostro da cui fuggire.

Orfano di padre vivo


Torna a casa, Barty.


Una casa che è un guscio vuoto, una casa arredata soltanto dalle assenze di mio padre.
Casa come gli abbracci della mamma, quando mi disegnava fra i capelli scriminature precise, i denti del pettine imbevuti nella colonia di papà.


Così gli somigli.


Nella mente degli altri, ho cominciato a somigliargli prima ancora di venire al mondo, e poco importava che i miei capelli pallidi avessero la stessa inconsistenza di quelli di mia madre. Non ho trovato spazio per crescere nemmeno nei confini del mio nome: specchio deforme, continuo riflesso di chi era solo un’ombra, per me. Un’ombra pesante, che mi sfiorava senza mai sapermi abbracciare.


Torna a casa, Barty, torna in questa casa fatta di silenzi e di rimproveri: io ti amo ancora.


Torno con i miei voti che non bastano mai, e nei miei bagagli piego con cura le mie amicizie sbagliate, quelle che dovrebbero suscitare rabbia e preoccupazione, ma in questa casa sempre più spenta nessuno sembra notarle.
Non ci sono più sorrisi a sollevare gli angoli della bocca di mia madre.


Torna a casa, Barty, ché la guerra è finita, ed è soltanto tempo di leggerezza: possiamo ricostruire ogni cosa.


Non lo vedono, loro, che la mia leggerezza è tutta soffocata nel sangue.
Non lo vedono che la mia vera famiglia è fatta di mantelli scuri e inchiostro sulla pelle.
Non vedono che qualcuno, fuori da queste mura di silenzio, ha saputo vedere oltre il nome sporco che mi hanno cucito addosso, oltre l’ipocrisia di chi vorrebbe salvare il mondo intero, ma non si accorge nemmeno il proprio figlio che annega.
Non vedono il mio smarrimento, quando la guerra finisce e i miei fratelli si tolgono la maschera e tornano a sedere accanto a chi avevano giurato di uccidere.


Torna a casa, Barty: la tua vita conta più della mia.


Quale casa, madre?
Quale vita?
Non è casa, non è vita, questa.
Non è casa quella in cui un padre mi ha dichiarato orfano.
Non è vita quella in cui ogni giorno devo dimenticare me stesso, soffocato dalle catene di chi ti ha amato così tanto da ucciderti.
Non è casa quella in cui la mia solitudine si è trasformata nella mia più grande forza: mio padre dice che io sono un mostro, un abominio.
Non lo sa, non lo vuole vedere quanto io gli somigli.
Non vuole ammettere che la mia devozione verso tutto ciò che lui ha giurato di distruggere è figlia soltanto della sua indifferenza, ma in fondo al cuore sa che i mostri sono figli dei propri simili.

Torno a casa, madre.
Torno a togliermi la maschera.
I mostri non si possono tenere al guinzaglio, mio padre lo imparerà presto.
E rimpiangerà di non avermi lasciato scivolare il più lontano possibile da lui.

______________________


Personaggio: Petunia Evans
Prompt: Illusa, aveva creduto di poter ingannare il destino.

Nessun trucco


Un corpo tagliato a metà, un coniglio bianco fuori dal cilindro, una carta nascosta e ritrovata: a dieci anni questo è tutto ciò che Petunia sa della magia. Solo un'illusione che camuffa una realtà troppo banale, colorandola di fantasticherie.
Almeno finché sua sorella minore non comincia a far accadere cose strane.
"Dov'è il trucco?" sbraita allora, strattonandola con forza.
Ma il trucco non c'è, e la soluzione a quegli enigmi si perde su un doppio fondo nero - quello degli occhi di un bambino inquietante e quello dell'inchiostro su una lettera tra gli artigli di un gufo.
Petunia scopre che la magia vera esiste, ma la rivelazione non le provoca stupore, solo una cieca invidia. Si arma di penna e chiede anche lei di poter essere speciale.
Illusa, crede di poter ingannare il destino.
Ma la risposta, infiocchettata con belle parole, è in sostanza una sola: il destino non si cambia.


*



Petunia cresce e l'invidia diventa rabbia e disperazione. Mentre studia algebra e letteratura nella sua scuola banale, si esercita in segreto a formulare incantesimi con un bastoncino di legno e, durante le vacanze natalizie, sbircia tra i libri di Lily senza capirci nulla.
È che per una volta vorrebbe essere lei la Evans speciale. Quella con il nome del fiore più bello, con i capelli rossi, e con un ragazzo che la ama - perché quel Piton è davvero brutto, ma guarda Lily come tutte le ragazze vorrebbero essere guardate, possibile che lei non se ne sia accorta?
Quando per la prima volta spunta il nome di James, va su tutte le furie, e il giorno dopo accetta di uscire con un certo Vernon solo per avere anche lei qualcosa da raccontare. È un ragazzo piuttosto scialbo ma pragmatico, un tipo che si fa poche illusioni.
Decide che questo le basta - per farselo piacere e per accettare di sposarlo.


*



Lily muore, e ogni piccolo spazio di lutto in Petunia viene subito coperto dalla responsabilità del figlio che sua sorella si è lasciata dietro.
Odia quel bambino, anche se sa che non dovrebbe.
Odia quel bambino, semplicemente perché deve salvaguardare il proprio.
Un giorno Harry crescerà e si rivelerà magico, Petunia lo legge in quei famigliari occhi verdi. Lo capisce subito e per questo decide di giocare in anticipo e viziare Dudley oltre
ogni limite. È l'unico modo che conosce per farlo sentire speciale nella sua normalità e per compensare ogni trauma futuro.
"Dov'è il trucco?" chiede Vernon, sconvolto e furioso, quando quel futuro finalmente arriva.
Petunia sospira. Non è arrabbiata, solo stanca.
"Non c'è nessun trucco" mormora piano.
Ora non è più un'illusa.
Sa che la magia è reale e, come tutte le cose reali, può solo farla soffrire.

______________________


Personaggio: Neville Paciock
Prompt: Amava sorridere, lo reputava l’atto più coraggioso al mondo.

Ora, come allora


Era impossibile estraniarsi dalla battaglia.
Gli incantesimi lanciati da ogni parte e le urla dei feriti e moribondi riempivano la testa di Neville, che lottava per lasciar spazio ai suoi istinti di sopravvivenza, al ricordo dei suoi amici. Ma, con lei davanti, era difficile pensarlo.
Alicia Spinnet era a terra, incapace di rialzarsi. Le sue compagne di Quidditch le stavano accanto, difendendola, ma senza poterle dare l'attenzione di cui necessitava.
I suoi occhi erano pieni di terrore. Stava lì, sul marmo, senza muovere un muscolo. Neville nemmeno la conosceva bene, ma il cuore gli si era stretto comunque.
Era un momento duro, quello. Tutti erano stanchi, e per questo si preoccupavano più della propria incolumità che degli altri. I loro apparentemente infiniti nemici lo avevano capito, e guadagnavano terreno. Era una situazione a cui non poteva rimediare. Poteva solo provarci con quanto gli era davanti.
Le strinse la mano. Era fredda e immobile, come i suoi occhi. A malapena si girò a guardarlo.
"Sono io."
Neville non percepiva più nulla, se non il suo respiro. Tutto il resto era silenzio, e non era più sicuro che esistesse qualcosa oltre a loro due.
"Sono Neville, mamma."

Le labbra di sua madre tremavano, ma i suoi occhi erano fermi.
"Neville?" Lo fissò per un attimo, la bocca aperta. Poi la chiuse e si girò verso suo padre. Lui non se ne accorse, come non aveva notato Neville: stava balbettando fra sé e sé.
Il bambino si girò verso la porta, pronto ad andarsene.
L'infermiera fece per aprirla, ma la nonna, seduta proprio di fronte a lui, gli fece cenno di andare avanti.
Neville si girò e cercò di tenere la voce alta.
"Io... ho scoperto di essere un mago."
Sua madre girò la testa, senza incrociare lo sguardo. Gli occhi di suo padre, contorto sul letto, erano invece fissi sul vuoto.
"Sono caduto dalla finestra, ma non mi sono fatto niente." Sorrise, mentre ricordava la faccia della zia. "In realtà, è stato anche divertente."
Un urlo disperato. L'infermiera si mosse subito, e Neville si girò spaventato, ma qualcuno gli afferrò la mano.
Era suo padre. Batteva i denti con tutte le sue forze, come se volesse dire qualcosa ma si fosse dimenticato come parlare.
Ora gli occhi della mamma incrociavano i suoi. "Divertente?" chiese, un po' confusa.
"Oh... sì! Beh, all'inizio avevo paura, ma poi..."
I suoi genitori lo guardavano sereni. Anche con le urla di sotto, il sorriso gli venne spontaneo.
"Poi ce l'ho fatta. Sono caduto in piedi, come si dice. Non ho avuto più paura."
Il suo pubblico pendeva dalle sue labbra: forse era per questo che la sua voce era così calma.
"Ed è questo che dobbiamo fare in questo momento. Io e te."


Alicia Spinnet strinse la sua mano e si rialzò.
Un incantesimo lasciò le sue labbra, a proteggere le sue amiche come loro avevano fatto prima.
Probabilmente avrebbero perso. Ma Alicia si era rialzata, e questo era abbastanza per continuare a sorridere.
Ora, come allora.

______________________


Personaggio: Helena Corvonero
Prompt: Illusa, aveva creduto di poter ingannare il destino.

Illusorie speranze


Tremi mentre affondi i piedi nudi nella neve, correndo attraverso i rovi che crescono sulla riva del lago; le spine ti squarciano la lunga veste nera, rendendola un lugubre drappo funebre, mentre il vento gelido ti sibila tra i capelli. Eppure avanzi, senza il minimo ripensamento, intenzionata a non voltarti mai.
Ti fermi, solo per un istante, stringendo quell’oggetto tra le mani come per infonderti coraggio, e senti un calore indefinito sprigionarsi dalla pietra centrale. Per l’ultima volta, sollevi istintivamente la testa verso le finestre di Hogwarts, dove una donna piange in silenzio con lo sguardo rivolto verso il nulla e l’anima svuotata.

Probabilmente piange per il Diadema... oh, povera Corinna, non potrà più essere la donna saggia e intelligente che tutti hanno sempre conosciuto! È soltanto un’illusa, lo è sempre stata: credeva di poter ingannare il corso della vita, il destino, credeva di poter essere per sempre più bella e vincente della sua stessa figlia… ma il tempo passa per tutti, e anche per lei è giunto il momento di affrontare la decadenza”.

Ti giri e riprendi a correre, sempre più veloce, sempre più lontana dalla tua vecchia vita. Credi che sarai una regina, la donna più potente al mondo: cadi, Helena, ma ti rialzi e avanzi ancora, ignara del tuo destino e sorretta solamente dalle tue illusorie speranze. Non sai che ti dirigi verso la solitudine, il rimorso; che senza ottenere nulla dalla vita troverai la morte per mano di una delle uniche due persone che ti abbiano mai amata. Ma, se solo avessi potuto tornare indietro, le avresti uccisi entrambe prima di partire.

E allora la vita non sarebbe stata meno illusoria, ma nemmeno la tua condanna eterna.

______________________


Personaggio: Merope Gaunt
Prompt: C’erano giorni in cui a malapena s’alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.

E' tutto grigio


La polvere vorticava pigra nella lama di luce che entrava, obliqua, dalla finestra.
Le feriva gli occhi, ma non aveva la forza di chiuderli.
Il suo sguardo seguiva senza vederle le linee regolari dell’assito di legno, duro e umido sotto di lei: si perdevano in lontananza, sembravano rincorrersi, confondersi.
Anche lei era confusa: a volte le sembrava di liquefarsi.
Il suo corpo perdeva ogni consistenza e diventava molle e vuoto, debole come i suoi pensieri.
Era in quei momenti che si lasciava scivolare a terra e aspettava, neppure lei sapeva esattamente cosa.
Forse di sentire i suoi passi avvicinarsi minacciosi, la mano calare pesante su di lei, le sue grida, il cui senso aveva smesso di cercare da tempo.
Pensava che rannicchiata sotto il tavolo, grigia sul grigio, nessuno avrebbe notato la sua presenza. Era al sicuro.
Lì sotto desiderava sciogliersi e filtrare fra le assi del pavimento, sparire per sempre nella terra, dove nessuno l’avrebbe mai più trovata.
Nemmeno lui.
Il medaglione si muoveva appena su e giù, unica testimonianza del suo respiro impercettibile.
Portava ancora i segni, di quello e tanti altri oggetti che si erano incontrati con il suo corpo. Lui non avrebbe mai sprecato la magia per educare lei, il suo errore, la sua vergogna.
C’erano momenti in cui le pareva di percepire la sua presenza improvvisa dietro di lei, il suo borbottare rabbioso e sbavante. Sentiva la schiena incurvarsi sotto il peso di percosse che non giungevano mai, la testa incassata nelle spalle e un lamento penoso che le sfuggiva dalle labbra.
Continuava a ripetersi che era sola, ma non lo era. Lui era ovunque, nelle ombre dense della notte, negli angoli sporchi della casa, nel riflesso deformato che le restituivano le padelle ammaccate alle pareti.
Lui era in lei.
A volte quel pensiero la confortava. Come poteva pensare di andare avanti da sola?
Chi si sarebbe occupato di lei, chi l’avrebbe protetta?
Quando era lì glielo ripeteva ogni giorno: era una buona a nulla, una fallita, un’incapace. Senza di lui non era niente.
E lui se n’era andato.
C’erano giorni in cui a malapena s’alzava dal letto, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.
Da sola non era capace.
Quando accadeva si imponeva di fissare per ore la piccola finestra, convincendosi che era il giorno giusto, che l’avrebbe visto tornare, la sagoma familiare che arrancava sul sentiero.
Quando calava il buio e la notte la sorprendeva sola, ad affondare gli occhi stanchi nella tenebra oltre il vetro, un’emozione nuova si faceva strada nella sua mente ottusa ed annebbiata: la pena per se stessa.
Allora si ritrovava abbandonata a terra senza sapere come ci fosse arrivata, desiderosa solo di allontanarsi da tutto quel grigiore.
Se lo ripeteva fra i denti, come una litania: non poteva rimpiangere ciò che non aveva mai avuto. Non doveva rimpiangere ciò che non meritava.
Nessuno sarebbe venuto a sollevarla.
Un giorno, sentendo rumore di zoccoli, avrebbe capito: non ne aveva bisogno, sapeva rialzarsi da sola.

______________________


Personaggio: Ariana Silente
Prompt: C’erano giorni in cui a malapena s’alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.

A colpi di spazzola


Vi era stato un tempo in cui era stata una bambina felice. Normale, per quanto lo potesse essere una giovane e futura strega.
In quel breve momento di lucidità, però, mentre si pettinava i lunghi capelli biondi, riflessa nell’enorme specchio circolare della sua toletta, si vide per come era davvero, per come tutti nel paese la vedevano davvero: una ragazzina fragile, instabile, incontrollabile, orfana. E malata.
Tutti quei babbani credevano che la fanciulla rinchiusa nella casa in fondo al viale fosse malata. E forse avevano ragione.
Fisicamente non aveva niente che non andasse: le sue braccia, le sue gambe, funzionavano come di consueto.
Eppure sentiva un dolore continuo al centro del petto. Lì dove nessun infuso, nessuna pozione poteva giungere.
Era un male interiore.
Nostalgia, solitudine, abbandono, senso di colpa.
Tutte queste emozioni erano concentrate nel suo cuore e la stavano indebolendo giorno dopo giorno, rendendola una creatura pallida, un’ombra chiara che non vedeva l’ora di assopirsi per non risvegliarsi mai più.
Vi erano giorni in cui a malapena si alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.
Quanti colpi di spazzola aveva dato ai suoi boccoli?
Ormai i suoi capelli erano quasi diventati lisci, tanto da sembrar più lunghi.
Poggiò la spazzola, dove le lettere del nome Kendra rilucevano a lume di candela, argentee.
Fissò quel nome in tralice: era stata una parte importante di sé per poi diventare solo un pallido e perlaceo ricordo lontano.
Una chiave scattò nella serratura dietro di lei.
Una porta scricchiolante e vecchia si aprì cigolando, facendola sussultare.
Aberforth incurvò le labbra in un sorriso e le pose una mano rassicurante:
<< Vieni Ariana, andiamo a fare due passi. >>

______________________


Personaggio: Petunia Evans
Prompt: Odiava guardarsi dentro, c’era marcio ovunque.

La candeggina non basta


Respira liberamente solo quando le tende sono lavate di fresco. Le tende cambiano tutto, l'odore di pulito è l'unica salvezza. Acquisita a duro prezzo, come ogni cosa, come le mani spaccate dallo sgrassatore. Ama la distanza che i guanti mettono tra sé e ciò che stava facendo, odia il talco che le rimane sulle dita. Sa di sporco, e a volte l'ansia è tale che il tempo di infilarsi i guanti giusti sembra un'era geologica di disperazione.
Cucinare è un oceano di dolore. Appena possibile, aggiungere candeggina ai piatti in ammollo. Pulire i fornelli. Detergente in crema, acqua, un'altra passata ancora. Ammoniaca per lucidare, un canovaccio pulito per asciugare. Uno straccio che era pulito, prima che lo usasse - ed ecco tornare l'urgenza della lavatrice, adesso, subito! Ma non può.
Spazzare, pulire i pavimenti. Una passata ulteriore, con un altro straccio pulito e impregnato d'alcool: disinfetta e asciuga, tutto è di nuovo sotto controllo - tranne la lavatrice.
Fare le pulizie è nella sua natura, qualcosa d'irrinunciabile. Porta solo a un piccolo problema: usare le mani lascia la mente libera di pensare. Petunia odia pensare, la disgustano i posti in cui una mente libera e distratta può portarla... e, se c'è una salvezza, sta nella lavatrice. Schiuma e panni in un circolo tranquillo, monotono, sano. Entravano sporchi, uscivano puliti e il loro odore era buono. Riusciva a non pensare quasi a niente, quando indugiava con lo sguardo sull'oblò. Ma era ancora troppo presto.

Pulire tutte le superfici, asciugare e lucidare il lavandino, che nessuno possa vedere che è stato usato. Bicarbonato per il cioccolato lasciato da Diddino, detersivo per piatti o sgrassatore (lasciare agire, poi mettere subito in lavatrice) per quello e per le macchie d'unto di Vernon. Almeno qualcuno, qui, aveva ancora un po' di appetito. Petunia non era mai stata molto golosa, e da quando era successa quella cosa... non aveva più molta fame. Ma questo era un pensiero cattivo, qualcosa che poteva essere scacciato solo dall'odore delle tende e dall'implacabile pulizia della lavatrice, doveva assolutamente arrivare alla lavatrice, prima di pensare troppo.

Acqua ossigenata per le lenzuola di quell'orribile bambino. Mantenere la distanza. Lasciar agire. Mettersi i guanti, dannandosi per ogni secondo perso. Ciclo lungo, sessanta gradi. Il mostricciatolo la segue, insolente, fino alla lavanderia. La guarda con occhi enormi.
Candeggina per gli occhi di Lily, si ritrova a pensare. Ma alla fine si limita a dare il via al lavaggio, e la mente si chiude.
Non le piace guardarsi dentro: c'è marcio ovunque.

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