Già aprire un albo intitolato
“Il trionfo di Mefisto” è roba forte per lo stomaco di un texiano, ma devo dire che trovarmi la cartolina pubblicitaria del film di Dampyr piazzata prima del frontespizio con i quattro pards è operazione di marketing che mi ha infastidito parecchio. Forse l’obiettivo era proprio quello: infastidire per fare in modo di essere ricordata ché magari se piazzavano la pubblicità dopo pag. 130 non se la filava nessuno.
E visto che mi trovo in uno stato di incazzatura totale, mi permetto di ricordare a Graziano Frediani (pag. 4) che Fiore di Luna non è stato
“il primo amore di Piccolo Falco”. Mi rendo conto che ormai il normàrio della SBE riguardante Kit non può che essere decisamente caotico, trascurato, raffazzonato - ferreo solo nell’identificare il personaggio come un pirla, di modo che tutti gli sceneggiatori si risparmino la fatica di comprendere un personaggio che probabilmente trovano inutile come la maggior parte dei nerd texiani - ma almeno le basi si dovrebbero conoscere.
Passiamo al riassunto di pag. 5, che mi ha strappato l’unico sorriso di tutto l’albo: Tex e i suoi pards sono
“aiutati dal sesto senso di Narbas”. Aiutati? Fa tutto Padma. È lui il protagonista di questa seconda parte della saga mefistoyamelica boselliana, è lui che Mefisto teme, è lui che comanda su tutti, è lui che, alla fine, trionfa.
È evidente che la SBE sia passata in modalità Netflix, dando spazio a tutti gli altri personaggi, meglio se cattivi/tormentati/pezzi di merda, e lasciando gli Eroi (che termine desueto) ai margini, tanto quelli là diventano interessanti per i lettori che oggi contano - ossia i nerd che di Tex non capiscono un accidente - solo quando possono essere rivoltati come dei calzini, destrutturati e ricostruiti, e li si può modificare dalle fondamenta, raccontando per filo per segno il loro passato.
Bert e il banchiere hanno già perfettamente inquadrato la storia e analizzato le pecche che la caratterizzano. Io aggiungo a margine alcune annotazioni, che come al solito riguarderanno principalmente quei poveri quattro fessi ritratti nel frontespizio di pag. 3, ospiti nella loro stessa testata.
Cominciamo da Tex, che qui non è affatto il cervello di tutto
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quello che propone e che alla fine decide, quello che intuisce e che ha le trovate; sembra più che altro una sorta di braccio armato di Padma, la vera e unica nemesi di Mefisto, il vero e unico cervello della storia. Tex spara qui più che negli altri albi, tira qualche cazzotto, gira per cunicoli, nuota e scala montagne: un vero uomo di fatica. Verso la fine della storia il Curatore si è ricordato che c’è il logo Tex sulla testata e ha pensato bene di fargli fare qualcosa di determinante, rendendo il ranger protagonista di una delle più grosse boiate dell’albo ossia la scena dell’“uomo giusto” (pag. 127-128).
Carson e Tiger, feriti nell’albo precedente, qui sono ancora convalescenti e svolgono un ruolo marginale. Carson ha anche problemi di sonno (pag. 66) ed è forse per questo che il grande guerriero Navajo e il grande cacciatore
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a pag. 111 si fanno sorprendere da YAMA che sopraggiunge alle loro spalle in carne ed ossa, riuscendo a ipnotizzarli. Finirebbero infilzati dalle frecce dei Comkaak (ma chi cavolo sono?) se non fosse per l’onnipresente Padma.
Perché gli sceneggiatori di Tex successivi a GLB ce l’hanno coi figli?
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Perché è necessario che Padma ribadisca (pag. 16) che “il figlio di Mefisto è solo una pallida ombra del suo terribile padre”? Non bastavano tutte le cattiverie dette da Mefisto a Yama nel n. 740?
Perché uno dei personaggi più affascinanti della dimensione fantastica di Tex, protagonista di una storia epocale come “Il figlio di Mefisto” deve concludere (per ora) la propria apparizione in questa indimenticabile “saga” cantando “Mary aveva un agnellino così bianco e piccolino…” di fronte a un Carson compiaciuto del fatto che “quel poco di sale che aveva in zucca gli è di nuovo evaporato”? (pag. 125)
Venendo all’altro figlio, è d’obbligo rilevare che il Curatore stavolta si è proprio accanito. Forte della sua affermazione secondo la quale, quando un personaggio ne sostituisce un altro (in questo caso, Kit al posto di Carson in coppia con Tex), deve rivestirne anche le relative funzioni, ha rappresentato Kit non solo come un pirla, ma come un pirla di circa 55 anni.
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Non sono cretino, è che mi sceneggiano così
Per l’occasione ho rispolverato un sottotitolo che avevo usato per la recensione di “Salt River” (Tex 627-628). Là Kit si comportava principalmente da sbruffone per poi farsi fregare a ogni piè sospinto; in questa storia invece parte da sbruffone (pag. 21) per diventare via via un coglione piagnucoloso, incapace di qualsiasi iniziativa, se non quella di chiamare “pa’” in continuazione.
- “Pa’” difatti compare venti volte; in compenso Tex chiama Kit “figliolo” solo sette volte;
- Pag. 21-23: Kit salva Narbas colpendo il cattivo che lo minacciava con un tiro preciso (di cui poi dà spiegazioni a Narbas) e per il quale – prima di farlo – chiede a papino: “Ti fidi di me, pa’?”, domanda con la quale va a farsi benedire un’intesa decennale tra padre e figlio, cementata in anni di vita avventurosa, quell’intesa che non ha bisogno di parole.
- Pag. 47, Tex dice a Kit, nel cunicolo: “Non farti prendere dal panico, Kit!”
- Pag. 52, Tex dice a Kit, nel deserto: “Stringi i denti, figliolo!”
- Pag. 67, Tex chiede a Kit se se la “sente” di tentare la sorte sul lato della scogliera assieme a lui.
- Pag. 69, Kit si infila in acqua e si lamenta che è “dannatamente gelida”.
- Pag. 72-73: Tex ce la fa da solo ad arrampicarsi sugli scogli, mentre Kit ha bisogno che papino gli lanci la corda e lo tiri a sé. È poi sempre Tex che comincia la scalata, mica quel mollaccione del figlio. Difatti, a pag. 74, un Kit strisciante balbetta qualche scusa per il fatto che ha fatto fatica a salire il costone; Tex lo guarda dall’alto in basso e va in esplorazione. Due vignette dopo, il pensiero di Kit, di ammirazione nei confronti del padre, sarebbe anche carino se lui non si fosse comportato indegnamente nei confronti di quel padre che giustamente venera.
- A pag. 90 piove e cadono fulmini. Tex dice a Kit “Non abbandonarti al pessimismo, figliolo.”
- Pag. 91: Kit ha pure le “mani intirizzite dal freddo” e non riesce a legarsi la corda attorno alla vita.
- Pag. 106: Kit, caduto nel dirupo, è finito nelle mani di Mefisto e adesso è appeso ad una corda e ai suoi piedi c’è una buca con lava incandescente. L’espressione tonta di Kit, quando si sveglia e si ritrova appeso come un salame (pag. 109), è rappresentativa del personaggio in questa storia (… magari fosse solo questa).
- Pag. 116-118: Kit viene calato man mano verso la pozza e si avvicina alla lava incandescente, ma non gli viene mica in mente almeno di piegare le gambe. Ci vuole il suggerimento di papino, suggerimento che resterà nella storia - la storia maledetta di quest’epoca boselliana - come la “scena del pendolo.”
- A pag. 129 Kit non fa tempo a notare che Ruth è una “bella ragazza” che arriva l’ammonimento paterno: “Non farti incantare, figliolo”.
Due parole sui personaggi femminili, decisamente incolori. L’elemento femminile principale pare essere la gelosia
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che qui porta Lily a sparare all’infermiera Ruth, così come Ruth nella prima parte della “saga” aveva sparato a Lorna. Lily è protagonista della scena forse più sensata di tutto l’albo ossia quella in cui sta per far fuori Padma, il nemico numero 1 della famiglia Dickart (pag. 61), idea vanificata dal modus operandi di Mefisto e poi da quello di Yama (pag. 82-83). Lily sopravvive, pronta per una nuova comparsata che immagino delizierà i lettori al pari di quella rottura di scatole che è stata Dallas Rainey.
Faccio mie le riflessioni di Bert nel suo ultimo post e in particolare la chiusura, che sottoscrivo in pieno
"Boselli dichiara spesso d'aver amato Tex è di esser vicino al suo creatore. Con questo lavoro per me ha dimostrato l'esatto contrario."
"Non fare quella faccia contrita! Con me non attacca!"