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La questione dell'omosessualità

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2021 19:07
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10/08/2018 22:02
 
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Strage nel club gay di Orlando,
un superstite: «lascio l’omosessualità»

Nel giugno 2016, almeno 50 persone persero la vita all’interno del club gay Pulse di Orlando. Nonostante vennero immediatamente indicati come mandanti morali gli “omofobi” difensori della famiglia -tra cui Papa Francesco- nelle ore successive emerse che l’attentatore, Omar Mateen, era un noto gay e frequentatore del Pulse, arrabbiato per come «si sentiva usato» in quel locale.

In seguito alla tragedia, una delle persone omosessuali superstite, Angel Colón, annunciòun radicale cambio di vita, ritornando a frequentare la parrocchia dove era solito cantare nel coro.

Poco tempo fa, un altro superstite della strage di Orlando ha fatto un annuncio, ben più scioccante. Ha maturato la convinzione che Dio abbia tratto dal male di quella notte un bene maggiore, un moto di pentimento che ha inondato la sua vita per come l’aveva vissuta fino ad allora. In una intervista, Luis Javier Ruiz ha infatti raccontato il suo abbandono dell’omosessualità, dopo trent’anni di vita Lgbt.

Aveva fatto coming out durante le scuole superiori, il giorno del compleanno della madre. Stavano ascoltando un programma radiofonico in cui un predicatore si scagliava contro i gay, dicendo che sono “un abominio” e “destinate all’inferno”. Fu un’esperienza talmente brutta per Luis Javier che, per reazione opposta, trovò il coraggio di guardare sua mamma e dire: “Sai una cosa? Tuo figlio è gay”.

Ha rotto i rapporti con i suoi genitori e si è trasferito in Florida, immergendosi nello stile di vita gay: droga, sessualità compulsiva, eccessi e festini. Già emerso tutto anche in Italia in occasione dell’omicidio di Luca Varani. Fino all’11 giugno 2016 quando, in occasione del compleanno di un amico, si recarono al Pulse. Proprio la notte dell’attentato che spezzò decine di vite. E’ rimasto ferito mentre tanti suoi amici morirono.

Come gli altri superstiti, venne sottoposto al test dell’AIDS e risultò positivo. Fu la goccia che lo portò quasi al suicidio, fermandosi in tempo per riflettere su come stava conducendo la vita. «Mi scoprì malato, depresso e ferito», ha riferito. La preghiera a Dio sgorgò naturale, una richiesta di liberazione. Offrì tutto per questo, compresa la sua sessualità: «Sono gay, Dio», disse pregando. «Ecco come mi stai prendendo, prendimi per come sono, portami dove vuoi». Oggi ricorda: «Gli diedi la mia omosessualità, la mia dipendenza dalla pornografia, tutto». Con questa rinnovata coscienza di figliolanza, la vita è lentamente rinata.

Oggi, distanza di due anni, Ruiz è membro della comunità Freedom Marches, fatta da persone come lui, che hanno abbandonato lesbismo, omosessualità e transgenderismo, impegnate a testimoniare il cambiamento possibile girando tutta l’America. Yes we can, ripete, citando il motto di Barack Obama. «Sì, possiamo uscire dall’omosessualità, dalle dipendenze, da qualsiasi cosa», annunciando una strada di uscita, più felice. Libera dal peccato: «Dio ci chiama alla purezza», afferma. Ruiz

«Potevo essere la cinquantunesima persona uccisa», ha concluso. «Ma Dio aveva qualcos’altro in riserbo per me quella notte. Sono grato perché ora posso condividere la mia storia di speranza, la mia storia per il mondo, far sapere alle persone che c’è un Dio che cambia e che può trasformare le loro vite».

fonte: https://www.uccronline.it/2018/08/10/strage-nel-club-gay-di-orlando-un-superstite-ho-abbandonato-lomosessualitaastrage-nel-club-gay-di-orlando-un-superstite-lascio-lomosessualita/


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01/09/2018 09:33
 
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Il caso Jordan Peterson:
un gigante contro i falsi miti del progresso

Genitore 1 e 2, identità fluida, pronomi neutrali e non offensivi, teoria gender, stepchild adoption ecc. Ecco i falsi miti del progresso, ma siamo in pochi a smascherarli come tali: i più non percepiscono la loro pericolosità oppure sono impauriti. E gli intellettuali? Si accodano, evitandosi problemi con i media, ma alcuni resistono. Tra essi Jordan Peterson, uno dei più influenti opinionisti canadesi.

Affermato psicologo clinico, insegna Psicologia all’Università di Toronto e dal 2013 condivide interessanti podcast (serie di video) sul suo canale Youtube, a cui sono iscritte oltre 1 milione di persone. In Canada, la sua opinione sull’attualità è un punto di riferimento fondamentale per migliaia di persone.

E’ raro che un personaggio di questo calibro non si accomodi, ma scelga di inimicarsi il mainstream mediatico ed accademico progressista, eppure è quel che è avvenuto. La sua forte critica al political correctness si è strutturata nell’avversione al postmodernismo, al white privilege (gli inconsapevoli privilegi che la società occidentale offre alle persone di pelle chiara), al femminismo, alla gender identity e alle argomentazioni Lgbt in generale. «Le famiglie, unite, eterosessuali formate da due genitori costituiscono il fondamento necessario per una politica stabile», ha affermato in una recente occasione il celebre psicologo canadese. « La famiglia tradizionale ha funzionato abbastanza bene per tutta la storia dell’umanità, se cambiamo ciò lo faremo a nostro rischio e pericolo. I giovani hanno bisogno di modelli di ruolo per ciascun sesso. So che è una cosa terribile da dire, ma è così. Quando si sostiene che l’unità familiare tradizionale è solo un altro costrutto e non qualcosa di fondamentale per la nostra comunità, non si ha alcuna prova per tale affermazione e, anzi, esistono molte contro-prove».

Nel 2016, ne abbiamo parlato anche noi, ha fatto notizia la sua decisa opposizione ad utilizzare pronomi neutrali (né maschili, né femminili) per indicare gli studenti universitari, così come proposto dal disegno di legge Bill C-16 nel tentativo di evitare presunte discriminazioni di genere alle persone transessuali. I suoi video ed articoli hanno creato grande scalpore, generando manifestazioni e proteste da parte del mondo arcobaleno nell’università di Toronto, la quale gli ha inviato due lettere di ammonimento, chiedendo il suo silenzio.

Sono interessanti le ragioni con cui ha argomentato la sua opposizione. «Un mese fa, ho pubblicato tre video sul mio canale YouTube, per parlare contro la follia politicamente corretta della nostra cultura», ha scritto. «Mi sono opposto in modo specifico al Bill C-16». La cosa più scandalosa che ha dichiarato, ha proseguito Peterson, «è che non avrei usato quelli che sono diventati noti come “pronomi preferiti” per riferirsi a persone che credono che il loro genere non si adatti perfettamente alle categorie tradizionali di maschio e femmina. Non userò mai parole che odio, come le parole di moda e artificialmente costruite “zhe” e “zher”. Esse sono all’avanguardia di un’ideologia postmoderna della sinistra radicale che detesto, e che è, nella mia opinione professionale, spaventosamente simile alle dottrine marxiste che hanno ucciso almeno 100 milioni di persone nel 20° secolo».

Non lo dice da profano: «Ho studiato l’autoritarismo di destra e di sinistra per 35 anni, ho scritto un libro, “Maps of Meaning: The Architecture of Belief”, sull’argomento, che esplora come le ideologie dirottano il linguaggio e le credenze. Dai miei studi sono arrivato a credere che il marxismo sia un’ideologia omicida. Credo che i suoi epigoni, nelle università moderne, dovrebbero vergognarsi di se stessi per continuare a promuovere idee così viziose, insostenibili e antiumane e per indottrinare i loro studenti con queste credenze. Perciò, non ho intenzione di mettere nella mia bocca parole marxiste. Questo mi renderebbe un burattino della sinistra radicale, e non succederà».

Entrando nell’argomento del gender e parlando da professionista della mente umana, Peterson ha spiegato che «il Bill C-16 è basato su assurdità assolute: il sesso è un fatto biologico determinato dall’anatomia e dai cromosomi. Indipendente dal sesso biologico, esisterebbe un’identità di genere (che, secondo la Commissione per i diritti umani dell’Ontario, è il senso personale di essere “una donna, un uomo, entrambi, nessuno dei due o dello stesso genere”). Indipendentemente da ciò, esisterebbe un’espressione di genere (come una persona “esprime pubblicamente il proprio genere”, incluse le scelte di moda, vestiti, capelli e trucco). Questi sarebbero puramente scelte soggettive. Esaminiamo queste affermazioni. Primo, oltre il 99% della popolazione ha un’identità di genere identica al suo sesso biologico. In secondo luogo, esistono prove schiaccianti che indicano che uomini e donne differiscono notevolmente, per ragioni biologiche, nella loro identità di genere, definita in modo più preciso come la loro personalità e i loro interessi. Il sesso biologico e l’identità di genere sono quindi fortemente e causalmente collegati e nessuna legislazione cambierà ciò. In effetti, le differenze tra uomini e donne sono così grandi che non c’è quasi nessuna sovrapposizione. Uomini e donne si differenziano nella loro psicologia per ragioni sociali e biologiche e, se si rimuove l’influenza sociale, l’influenza biologica diventa più forte. Quindi, non solo i tentativi fatti in Scandinavia per sradicare le differenze tra uomini e donne sono falliti, ma si sono ritorti contro. E questi non sono studi di poche centinaia di persone: decine di migliaia di partecipanti hanno fornito informazioni sulla personalità e descrizioni dei loro interessi personali. Ma a chi importa cosa dice la scienza, quando c’è in gioco l’ideologia?».

La minaccia che Peterson percepisce è relativa sopratutto alla libertà cognitiva: le parole sono parte integrante della nostra capacità di pensare e quindi della nostra libertà di dare un senso al mondo: imporle, modificarle o vietarle significa minare tale libertà. La città di New York, ha spiegato ancora lo psicologo, «è pronta a multare fino a 250 milioni di dollari se i cittadini si rifiutano di parlarsi in modo corretto», ovvero non utilizzando una lista con 31 tipi di generi differenti. Recentemente è stato protagonista di un video virale su Youtube (oltre 8 milioni di views): una giornalista contraria alle sue opinioni, Cathy Newman, gli ha chiesto: «Perché la tua libertà di parola dovrebbe prevalere sul diritto di una persona transessuale a non essere offesa?». Risposta di Peterson: «Perché per essere in grado di pensare, devi poter rischiare di essere offensivo. Sicuramente tu sei disposta a rischiare di offendermi nella ricerca della verità. Perché dovresti avere il diritto di farlo? Stai facendo quello che dovresti fare e stai esercitando la tua libertà di parola, sicuramente rischiando di offendermi, e va bene. Più potere a te, per quanto mi riguarda».

Peterson si è descritto come un classico liberale britannico, da qualche tempo ha inaugurato una serie di conferenze sul racconto biblico della Genesi. Alla domanda se crede nella resurrezione di Cristo, ha risposto: «Finirò la mia serie di conferenze sulla Bibbia, e spero di poter approfondire ciò con la profondità che richiede». Ma si definisce cristiano? «Io non lo faccio, gli altri dicono che lo sono. Non mi oppongo, ma è complicato. Non è sbagliato, ma non sono sicuro che ciò che intendo sia generalmente ciò che si intende per essere cristiano. Se sei un cristiano hai una responsabilità etica: imitare Cristo, hai bisogno di assumerti la responsabilità del male nel mondo come se ne fossi responsabile, prendere i peccati del mondo su te stesso. E devi capire che tu determini la direzione del mondo, che sia verso il paradiso o l’inferno, con le tue azioni verbali, e devi assumerti la responsabilità di questo. Direi che se fai queste cose sei un cristiano, ma non penso che sia così che la gente concettualizza in generale il cristianesimo».

Pochi giorni dopo la Pasqua, lo psicologo canadese ha condiviso su Twitter un articolo dello studioso del cristianesimo antico, Gary Habermas, in cui si avanzano argomenti a favore della storicità della morte e della resurrezione di Cristo. Jordan Peterson è un intellettuale di spessore e finora si è dimostrato un grande alleato nello smascheramento dell’ideologia marxista sulla sessualità.


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10/12/2019 21:40
 
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Orientamento sessuale e identità di genere,


uno studio chiarisce le idee




generi-sessualiRecentemente è stato pubblicato un rapporto che ha mostrato i risultati di un approfondito esame di tutta la ricerca peer-reviewed sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.


L’indagine è apparsa sulla rivista The New Atlantis, si compone di 143 pagine e si basa su circa 200 studi scientifici nel campo biologico, psicologico e sociale. Il dato principale è riferito direttamente dal direttore della rivista americana: «alcune delle affermazioni più frequentemente espresse sulla sessualità e il genere non sono supportate da prove scientifiche».



Il primo autore dello studio è il dott. Lawrence Mayer, docente del Dipartimento di Psichiatria della prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine e professore di Statistica e Biostatistica presso l’Arizona State University, l’altro co-autore è Paul McHugh, certamente uno dei più importanti psichiatri americani, professore di Psichiatria e scienze comportamentali presso la Johns Hopkins University School of Medicine e per venticinque anni direttore del reparto di Psichiatria del Johns Hopkins Hospital. Importanti contributi alla relazione sono inoltre pervenuti dalla psichiatra Laura E. Harrington e dal genetista Bentley J. Hanish.


 


Ecco le conclusioni a cui sono giunti gli autori esaminando la letteratura scientifica:
1) La convinzione che l’orientamento sessuale è una proprietà umana innata e biologicamente fissa non è supportata da prove scientifiche, attualmente non esistono infatti spiegazioni biologiche (genetiche e ormonali) causali convincenti. Mentre sono state trovate da alcuni studi piccole differenze nelle strutture cerebrali e nelle attività cerebrali tra omosessuali ed eterosessuali, tali risultati neurobiologici non dimostrano in modo chiaro l’origine dell’omosessualità, seppur vi siano diversi studi che concordano nel ritenere preponderante il ruolo dell’effetto ambientale rispetto a quello genetico e altri che minimizzano completamente l’apporto genetico, per lo meno nella maggioranza dei profili genetici. Nemmeno si dimostra, ovviamente, che l’orientamento sessuale sia dovuto ad una scelta. L’esame degli studi sul tema suggerisce in ogni caso l’errore clamoroso del giudice della Corte Suprema, Anthony Kennedy, il quale ha concesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso negli Usa tramite la sentenza Obergefell dello scorso anno. Kennedy scrisse infatti che «la loro natura immutabile impone che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è il loro unico e vero percorso».

2) La convinzione che l’identità di genere è un’innata e fissa proprietà umana, indipendente dal sesso biologico tanto che una persona potrebbe essere un “uomo intrappolato nel corpo di una donna” o “una donna intrappolata nel corpo di un uomo”, non è supportata da prove scientifiche. Non esiste alcuna prova di una base neurobiologica per l’identificazione cross-genere.

3) Solo una minoranza di bambini che esprime pensieri o comportamenti di genere atipici continuerà a farlo in adolescenza o in età adulta. Non vi è alcuna prova, dunque, che tali bambini debbano essere incoraggiati alla transizione verso il loro genere preferito, subendo trattamenti ormonali o interventi chirurgici. Anzi, lo psicologo e sessuologo canadese Kenneth Zucker, un’autorità internazionale sul disturbo dell’identità di genere nei bambini, da anni si impegna per aiutare gli adolescenti ad accettare il genere corrispondente al sesso biologico accusando l’ambiente di crescita (genitori, relazioni tra pari ecc.) di «essere alla base della fantasia del bambino di diventare un membro del sesso opposto» (K.J. Zucker, “Children with gender identity disorder: Is there a best practice?”, Neuropsychiatrie de l’Enfance et de l’Adolescence 56, n°6 2008). Uno studio realizzato da lui e alcuni suoi colleghi, ha dimostrato che dei bambini trattati in questo modo nel corso di trenta anni presso il Center for Mental Health and Addiction di Toronto, il disturbo dell’identità di genere permaneva soltanto su 3 delle 25 ragazze trattate.

4) Le persone non eterosessuali e transessuali hanno più alti tassi di problemi di salute mentale (ansia, depressione, suicidio) e di problemi comportamentali e sociali (abuso di sostanze stupefacenti, violenza domestica), rispetto alla popolazione generale. L’analisi ha suggerito che la spiegazione tramite l’ausilio del “modello di stress sociale”, secondo cui la causa di tutto ciò sarebbe lo stigma e la discriminazione, non è una spiegazione sufficiente di fronte a tutta questa disparità.

 

Gli spunti riflessivi sono tuttavia molto più numerosi. I due scienziati, ad esempio, hanno anche sottolineato che la «letteratura scientifica ci suggerisce di avere una visione scettica verso l’affermazione che le procedure di cambiamento di sesso forniscano effettivamente benefici o la risoluzione di problemi di fondo, anzi si è osservato che in realtà contribuiscono ad esporre ad elevati rischi la salute mentale tra la popolazione transgender». In particolare «uno studio ha rilevato, ad esempio, che gli individui sottoposti alla riassegnazione chirurgica del sesso avevano circa cinque volte più probabilità di tentare il suicidio e circa 19 volte più probabilità di morire per suicidio rispetto a prima». Nel 2011 tutto questo è stato evidenziato in modo chiaro da una ricerca svedese.

Dopo la lettura integrale dell’importante revisione della letteratura scientifica sul tema se ne esce sicuramente con le idee più chiare, i miti e le certezze più volte propugnate da diverse fonti sono state smentite e fortemente ridimensionate. L’omosessualità non è una gabbia dalla quale, chi lo desidera, non può permettersi di “uscire”, non esistono prove di persone nate in un corpo sbagliato e concepirsi di un genere differente da quello biologicamente corrispondente è, per la comunità scientifica, un disagio psicologico. La confusione d’identità di alcuni bambini è temporanea se adeguatamente trattata ed è dovuta più alle dinamiche familiari che a fattori genetici, ed infine non è affatto dimostrato che lo stigma sociale sia la causa degli elevati tassi di disagi mentali, sociali e comportamentali riscontrati purtroppo nella popolazione omo e transessuale.


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26/12/2019 22:24
 
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Pubblicato il 16 dicembre 2019 e ricevuto con prime reazioni positive (per quanto sovente parziali e ideologizzate), “Che cosa è l’uomo?” è “un itinerario di antropologia biblica” utilissimo per chiunque si occupi di antropologia teologica, in particolare per le implicazioni tipiche del nostro tempo. Poiché si è parlato perlopiù (tanto abbondantemente quanto sommariamente) delle pagine dedicate al giudizio etico sull’omosessualità, di quelle stesse pagine esponiamo qui ordinatamente il vero contenuto.



Ieri mattina la libreria LEV di Piazza San Pietro si è rivelata impreparata a gestire l’afflusso di persone desiderose di acquistare e leggere “Che cosa è l’uomo?”, l’“itinerario di antropologia biblica” compilato dalla Pontificia Commissione Biblica su richiesta del Santo Padre e presentato il 16 dicembre in Sala Stampa.


Dalla Bibbia al Concilio al quotidiano: una domanda pressante


Non è che all’improvviso tutto il mondo si sia acceso d’amore per l’antropologia teologica e che non chieda se non un compendio di fondamenti biblici (magari!): è piuttosto che i giornali cui è stato permesso di anticipare la notizia hanno enfatizzato il tema dell’omoerotismo come se lo scopo del libro fosse dichiarare che «la relazione erotica omo non va condannata» (virgolettato riportato sull’anonimo redazionale di Rep e ovviamente privo di corrispondenza testuale nel libro).


Peccato banalizzare un libro di ben più ampio respiro, come si evince già solo sfogliandolo: trattasi infatti di «una novità, sia per il contenuto sia per la modalità espositiva» – spiega il card. Luis Ladária (presidente della Pontificia Commissione Biblica nonché prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede) nella Presentazione del libro. E aggiunge:



Non era infatti ancora stata approntata una trattazione che in modo organico esponesse tutti i principali elementi che concorrono a definire cosa sia l’uomo, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Tematiche per lo più sviluppate isolatamente vengono qui armonizzate in un insieme coerente.


Pontificia Commissione Biblica, Che cosa è l’uomo?, Roma 2019, 4



A dispetto di quanto la titolazione di Rep lasciava intendere, dunque, le “300 pagine” non sono dedicate a stabilire se si possa o non si possa procedere all’agognata “apertura” che l’agenda radicale da decenni ossessivamente chiede alla Chiesa Cattolica, e le 9 pagine dedicate al tema dell’omoerotismo (rubricate in indice al paragrafo “modalità trasgressive” della sessualità umana, insieme con incesto, adulterio e prostituzione) risultano essere meno del 3% del libro.


 Leggi anche: Papa Francesco: “Parlare di matrimonio omosessuale è un’incongruenza”


Per amor di verità si deve pure riconoscere che lo stesso sottoparagrafo “omosessualità”, con le suddette 9 pagine, supera di misura tutti gli altri sottoparagrafi del libro, mediamente confinati tra due o tre pagine, e talvolta compendiati anche in meno di una pagina. Se dunque è disonesto affermare che l’omoerotismo sia il tema del libro, parimenti lo sarebbe minimizzarne il peso specifico: senza dubbio si tratta di un tema tra i maggiori, nonché di uno dei moventi dell’intera operazione documentaria/editoriale. Lo si capisce già dalla prima pagina della già citata Presentazione del Presidente:


 


Da un lato, infatti, sono insorti squilibri e distonie tra l’agire e il pensare normativo, tra efficienza pratica e coscienza morale, tra crescente specializzazione e visione universale della realtà; e oltre a inaspettati conflitti tra generazioni, si è pure delineato un diverso rapporto tra uomo e donna, con una visione della sessualità contrastante con tradizioni ritenute doverose e consolidate.


Ivi, 3



“Il paradiso di Malmö”, icona di confusione babelica (salve le buone intenzioni)


In effetti, è difficile negare che i mutamenti culturali siano tali da porre i consueti interrogativi sulla fede con forza inusitata (o addirittura da porne di nuovi), giungendo talvolta a punti di ricaduta paradossali: penso ad esempio a quanto accaduto nelle scorse settimane nella chiesa luterana svedese dedicata a San Paolo, a Malmö, dove era stato esposto un quadro intitolato “Paradise”, opera dell’artista locale Elisabeth Ohlson Wallin. La stessa ha dichiarato a cath.ch: «La mia vocazione è stata quelle di creare opere cristiane nelle quali le persone LGBTQ possano identificarsi». Intenzioni lodevoli, in linea di principio – nessuno deve sentirsi escluso da un’opera cristiana, anzi è quel sentimento di esclusione, se c’è, a risultare problematico in sé –, ma fraintese dalla stessa committenza, a quanto pare: la curia luterana locale ha infatti emanato un comunicato, lo scorso 11 dicembre, con cui si ordinava la rimozione del quadro, e non perché “troppo gayfriendly”, bensì perché troppo poco attento alle possibili letture. Il serpente era infatti stato rappresentato come un trans (“una donna-trans”, secondo la neolingua mediatica):



Questo rende possibile l’interpretazione secondo la cui una persona trans sia cattiva. La Chiesa svedese non può assolutamente accettarlo.



Decisione ingrata per l’autrice e per la pastora della chiesa, Sofia Tunebro, che ha commentato:



Sono dieci anni che qui sposiamo coppie omosessuali, e con questo quadro era un po’ come se avessimo messo una foto matrimoniale in chiesa: l’autrice ha fatto moltissimo per l’integrazione e la rappresentazione [delle persone con attrazioni sessuali atipiche, N.d.R.] nel mondo cristiano.



Riportando queste dichiarazioni Raphaël Zbinden annotava che la comunità ecclesiale luterana di Svezia “ordina” donne dal 1958: un’osservazione assolutamente non pertinente, sul piano ecclesiale e sacramentale, ma riportata come sintomo di “apertura” dell’ente ecclesiastico in senso lato, e dunque come “bollino di garanzia” delle buone intenzioni di tutti.


Sembrerebbe di poter chiosare tutta la vicenda con il noto proverbio su cosa piastrellino le buone intenzioni, ma rischieremmo di esporci a grossolani fraintendimenti, mentre l’episodio di Malmö è quanto mai utile per illustrare quanta confusione regni in questa incandescente materia – e anzi comprova benissimo l’utilità e l’urgenza di un testo come quello compilato dalla Pontificia Commissione Biblica, nonché lo spazio considerevole in esso riservato al tema dell’omoerotismo.


 Leggi anche: Gender, pubblicato “Maschio e femmina li creò”, documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica


Cosa il Documento dice (davvero) sull’omosessualità


Sembra dunque che il testo debba essere letto nel suo complesso – tratta di fragilità e peccato individuali, della dignità del lavoro e delle questioni alimentari (purità, dieta onnivora e specismo), dell’economia salvifica e della storia umana (imperialismi, schiavitù, portata universale del ruolo di Israele e del Messia) – da quell’autorevole e sostanzioso compendio che è. Benché dunque l’organo che l’ha prodotto ed emanato sia intestino alla Curia Romana, esso non fornisce (nella fattispecie come in genere – salvo eccezioni) documenti magisteriali, bensì strumenti di consulenza. Anche Che cosa è l’uomo?, dunque, si propone come una sintesi delle recenti acquisizioni delle scienze bibliche sui grandi e costanti temi di antropologia, con un’attenzione particolare per gli argomenti di recente emersione. Ciò premesso, possiamo arrischiarci a un’esposizione schematica dei contenuti delle suddette nove pagine.


Il par. 185 espone le critiche avanzate sull’insegnamento tradizionale riguardo all’orientamento omoerotico, che sarebbe «il semplice riflesso di una mentalità arcaica, storicamente condizionata»:



Sappiamo che diverse affermazioni bibliche, in ambito cosmologico, biologico e sociologico, sono state via via ritenute sorpassate con il progressivo affermarsi delle scienze naturali e umane; analogamente – si deduce da parte di alcuni – una nuova e più adeguata comprensione della persona umana impone una radicale riserva sull’esclusiva valorizzazione dell’unione eterosessuale, a favore di un’analoga accoglienza della omosessualità e delle unioni omosessuali quale legittima e degna espressione dell’essere umano. Di più – si argomenta talvolta – la Bibbia poco o nulla dice su questo tipo di relazione erotica, che non va perciò condannata, anche perché spesso indebitamente confusa con altri aberranti comportamenti sessuali.


Ivi, 161



Come si vede, non è solo di contenuti che si parla, ma anche (e forse perlopiù) di metodo: è accettabile che le c.d. “scienze umane” (cf. la recente confessione di Christopher Dummit) traccino la strada per la teologia? Quali precauzioni adottare, tuttavia, per non perdere quanto di buono esse possano offrire? Neanche venti giorni fa sono stati pubblicati i risultati di una consultazione di “esperti” da parte di una grande conferenza episcopale cattolica europea, e come si può vedere alcune espressioni sembrano ricorrere alla lettera (un amico mi chiedeva se non ritenessi possibile che questo libro sia una risposta: in linea di principio no, questo libro non è stato scritto in due settimane, e la Presentazione è firmata 31 ottobre, ma tecnicamente un ritocco alle ultime bozze può essere stato apportato fino alla settimana scorsa): come si vede, non si tratta di un problema legato al dialogo ecumenico con i luterani svedesi, ma di questioni incalzanti che pulsano con frequenza crescente nel cuore della catholica.


Ciò premesso, segue la disamina dei passi biblici che trattano il tema (che non sono affatto inesistenti, né pochi, né marginali), con la giusta precisazione che «la Bibbia non parla dell’inclinazione erotica verso una persona dello stesso sesso, ma solo degli atti omosessuali» (p. 161). I passi analizzati sono dunque I racconti di Sodoma (Gen 19) e di Gabaa (Gdc 19), le norme di Lv 18.20 e Deut 22 e i riferimenti paolini (Rom 1, 1Cor 6 e 1Tim 1).


Sulle legislazioni positive del Pentateuco, come pure per i duri richiami del corpus paulinum, la PCB propone una sintesi che lascia poco spazio alle interpretazioni:



Il legislatore non fornisce le motivazioni, né per il divieto, né per la severa pena comminata. Possiamo comunque ritenere che la normativa del Levitico intendesse tutelare e promuovere un esercizio della sessualità aperto alla procreazione, in conformità con il comando del Creatore agli esseri umani (Gen 1,28), avendo cura naturalmente che tale atto sia iscritto nel quadro di un matrimonio legittimo.


Ivi, 165


Da queste liste possiamo concludere che per i cristiani la pratica omosessuale è ritenuta una colpa grave. Paolo qui non dà giustificazioni in merito, come se fosse una cosa del tutto nota e condivisa, anche se potevano esserci prese di posizioni dottrinali (al di fuori della comunità cristiana) che sostenevano opinioni differenti. Pare di notare un riferimento alle leggi del Levitico e in generale alla tradizione dell’Antico Testamento, se non altro per il ricorso a modalità espressive (decologiche) che ricalcano quelle conosciute per tradizione nelle comunità cristiane.


Ivi, 167



I commenti più succosi (e gravidi di implicazioni) mi sembrano essere invece quelli sui racconti di Gen e Gdc (il secondo dei quali è un po’ “il doppio” del primo), nonché quello sulla lettera ai Romani.



Il racconto [di Sodoma e Gomorra] tuttavia non intende presentare l’immagine di un’intera città dominata da brame incontenibili di natura omosessuale; viene piuttosto denunciata la condotta di una entità sociale e politica che non vuole accogliere con rispetto lo straniero, e pretende perciò di umiliarlo, costringendolo con la forza a subire un infamante trattamento di sottomissione. Questa pratica degradante viene minacciata anche per Lot (v. 9), che si è reso responsabile dello straniero «entrato all’ombra del suo tetto» (v. 8); e ciò rivela il male morale della città di Sodoma, che non solo rifiuta l’ospitalità, ma non sopporta che, al suo interno, vi sia chi, invece, apre la sua casa al forestiero.


Ivi, 163



 Leggi anche: Come è nata l’ideologia gender? Quali le sue origini?


Un esperto super partes: l’esegesi del Belli


Attenzione, dunque il peccato di sodomia non sarebbe di omoerotismo bensì di xenofobia? Ma su un fianco così esposto le frotte di malpancisti che costellano la blogosfera cattolica scaglieranno facilmente nugoli di frecce, ricordando come già 2Pt 2 e Gd 7 abbiano codificato l’esegesi di Sodoma come città dell’omoerotismo. Sì, certo, questi passi sono noti ai membri della Pontificia Commissione Biblica, e il loro testo non manca di menzionarli, eppure il riferimento al crimine contro il forestiero è ancora più pertinente. Mi è tornato in mente, leggendo questa pagina, l’irriverente sonetto romanesco che il giovane Giuseppe Gioacchino Belli scrisse nel 1832 (si chiama “Lotte a casa”: lo troverete facilmente e anche per questo mi risparmio di riportarne qui le grevi scurrilità): i due ospiti di Lot vengono qualificati una volta sola di “angeli” (v. 9) e due di “pellegrini” (vv. 2. 13), e se le due terzine finali sono dedicate a descrivere l’attrazione dei “Ghimorrini” per la loro avvenenza le due quartine iniziali sono evidentemente consacrate alla loro condizione di forestieri.


 Leggi anche: Amoris Laetitia: la nota “a luci rosse” di san Tommaso d’Aquino che non avete letto


Due spunti da sviluppare ulteriormente


Nessun “revisionismo mondialista”, quindi, ma anzi degli spunti per i debiti approfondimenti della dottrina (ciò che è poi il fine dichiarato del libro). Non possiamo dilungarci oltre, nella presente sede, ma a mo’ di elenco annoto un paio di idee:



  1. Il passo rende ragione non solo della tradizionale condanna dei cristiani per la pratica omoerotica, ma della stessa prassi detta (per via di eponimia) “sodomizzazione” (anche tra persone di sesso diverso), e non (solo) in quanto non ordinata alla procreazione, bensì perché degradante e infamante trattamento di sottomissione.

  2. La concrezione di questi elementi invita a riconsiderare le appropriazioni ideologiche correnti tra “quelli che stanno con i migranti e con i gay” e “quelli che sono contro i migranti e i gay”: proprio il dettato biblico suggerisce che la vera cura dell’uomo (sia la persona migrante sia la persona con ass) debba consistere in una terza via, che sappia coniugare ineffabilmente verità e carità.


L’iscrizione dell’attrazione omoerotica in un contesto di travisamento dell’ordine metafisico del mondo è invece il contributo più genuinamente paolino che emerge dalle pagine del sussidio:



Il fatto che abbiano “scambiato” Dio con una immagine (Rm 1,23), avendo cioè «scambiato la verità di Dio con la menzogna» (Rm 1,25), viene presentato come ciò che produce il «cambiamento» nei rapporti sessuali, per cui il rapporto viene detto «contro natura» (Rm 1,26). Questa espressione va interpretata come qualcosa che contrasta la realtà concreta, quella dei corpi sessuati, che hanno in loro stessi una differenza e una finalità che non sono riconosciute e non sono obbedite nel rapporto fra persone dello stesso sesso.


Ivi, 169



Come si vede, l’esegesi proposta dalla Commissione è ben lungi dal minimizzare il portato paolino – anzi, contro ogni aspettativa il testo di Rom viene lasciato per ultimo –, e formalizza invece il contributo specifico dei singoli agiografi, riguardo a «elementi che vanno considerati per una valutazione dell’omosessualità, nei suoi risvolti etici» (ibid.).


Teologia e “scienze umane”, un problema di metodo


Forse consapevoli del fatto che in molti leggeranno solo queste pagine, i membri della Pontificia Commissione Biblica concludono il sottoparagrafo invocando il concorso di un dibattito franco e onesto tra teologi (anche nel confronto con le discipline ausiliarie), essendo la problematica «solo abbozzata in questo Documento» (p. 170). Per questo accennavo che il problema sollevato mi sembra metodologico ancora più che esegetico: non mi pare insomma che si tratti di capire se si possano “aggiornare” Genesi, Levitico o Romani, bensì di ricordare che la comprensione cristiana del mondo deve continuare a rendere ragione della realtà e non può rassegnarsi ad adottarne «come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (J. Ratzinger, omelia della Missa pro eligendo pontifice, 18 aprile 2005).


Continuò perciò a sentire in modo bruciante, concludendo questo articolo, che se la discussione vertesse su codesto solo argomento si tradirebbe non solo il fine del libro (il che sarebbe in confronto poca cosa), bensì anche la vocazione della Chiesa, la quale non è chiamata a declinare in mille splendide biblioteche la propria Weltanschauung, bensì ad erigere tutti gli uomini in altrettanti templi del Dio vivente (cf. 1Cor 3,9).



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28/10/2020 21:07
 
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COSA PENSAVANO GLI ANTICHI DELLA QUESTIONE DELL'OMOSESSUALITA'

Qualcuno ritiene che per gli antichi romani e greci l'omosessualità era normale. Premettendo che per noi cristiani è importante quello che insegna la Bibbia cioè Gesù, ripassiamo un pò di storia per vedere cosa realmente dicevano gli antichi GRECI E ROMANI SULL'OMOSESSUALITA' visto che: «Seneca, che tesse le lodi dell’amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni» che il filosofo romano riteneva «contro natura» (Cfr. Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15)?
di Platone, che relega "l’omosessualità maschile e femminile" fra le "perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società" (Leggi, 836, B)?».
«Nelle Leggi (636, c) di Platone, prosegue Colafemmina (famoso storico), «ad esempio, si legge testualmente: "II piacere di uomini con uomini e donne con donne è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Più chiaro di così! La verità è che nella Grecia classica l’omosessualità non era affatto così diffusa come si crede, e soprattutto, cosa che conta ancora di più, non era istituzionalizzata». Infatti gli antichi Greci mai si sognarono di rivendicare il matrimonio omosessuale!
Mentre in due passi, nel Fedro e nelle Leggi, Platone si spinge ad affermare che la sessualità omofila è contro natura:
«Chi non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente di qui a lassù, versola Bellezzain sé, quando contempla ciò che quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora, ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e generare figli, e, abbandonandosi a eccessi, non prova timore e non si vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura» (Fedro, 250e-251a).
«Da un lato avremo, dunque, chi è amante del corpo ed è affamato dalla sua fiorente giovinezza come di un frutto di stagione; costui si farà forza per saziarsene senza dare alcun valore allo stato d’animo dell’amato. Dall’altro lato avremo, invece, chi non dà soverchio valore alla brama del corpo e per questo, pur ammirandolo, piuttosto che amandolo, con la sua anima desidera sinceramente un’altra anima, così da ritenere un mero atto di violenza il godimento che segue al rapporto fra due corpi, e, invece, così da onorare e insieme rispettare la temperanza, il coraggio, la magnanimità e l’assennatezza, tanto che il suo ideale sarebbe quello di vivere sempre in castità con un amico casto». (Leggi, VIII 837 c-d)
L’altro autore citato ad esempio è Eschine, famoso politico ed oratore ateniese del IV secolo avanti Cristo, il quale – continua il grecista – "nell’orazione Contro Timarco scrive che ad Atene era vietato aprire scuole e palestre col buio affinchè i ragazzi fossero sempre sorvegliati; e che, anche se col consenso del familiare, era vietato dare un giovane a un amante omosessuale per ottenerne in cambio denaro o altri benefici. Eschine scrive che era addirittura vietato agli adulti essere apertamente omosessuali praticanti. È interessante notare che gli omosessuali erano chiamati con un appellativo decisamente forte: cinedi (kinaidos al singolare), etimologicamente "colui che smuove la vergogna" o, per altri, e in un senso ancor più realistico, "le vergogne".
Veniamo ad Aristotele, il quale nell’Etica Nicomachea (1148b 24-30) dice che «fare all’amore tra maschi» è uno dei «comportamenti bestiali». Sono solo accenni, che richiederebbero molto precisazioni (tra l’altro non abbiamo ricostruito le argomentazioni, invero leggermente sbrigative, di Platone e Aristotele a supporto di queste loro tesi). Bastano però per mostrare come due fra i più grandi Greci (anzi fra i più grandi pensatori di tutti tempi) siano stati contrari all’omosessualità.
Se poi ci spostiamo tra i Romani, le condanne, anzitutto del matrimonio omosessuale, ma anche dell’omosessualità, abbondano. In effetti, come ha rilevato una grande e compianta storica come Marta Sordi, il matrimonio romano è sempre stato monogamico e solo tra un uomo e una donna. Perciò, le nozze omosessuali di Nerone vennero biasimate duramente da autori come Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Per continuare con gli esempi, Musonio Rufo (stoico del I secolo d.C.) specialmente nella Diatriba XII afferma chiaramente: «Gli unici tipi di unioni che dovrebbero essere considerate giuste, sono quelle che hanno luogo all'interno di un matrimonio e sono finalizzate alla procreazione di bambini, […] laddove quelle che perseguono il mero piacere sono ingiuste e illegittime, anche qualora dovessero avere luogo all'interno di un matrimonio».
Quanto a Seneca (forse il più grande tra i filosofi stoici), loda l'amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni che considera contro natura (Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15). E nel De matrimonio insiste proprio sulla liceità delle sole unioni sponsali finalizzate alla generazione.
Infine Epitteto, analogamente, biasima le unioni non matrimoniali ed approva solo quelle dirette alla procreazione (Diatribe, III 7, 21; II 18, 15-18; III 21, 13). Potremmo continuare a lungo, ma una cosa dovrebbe essere chiara: la condanna dell’omosessualità e del matrimonio omosessuale non l’ha affatto cominciata il cristianesimo.
Anche questo è un falso mito inventato dalle lobby gay, nel tentativo di dimostrare la normalità del pensiero e del comportamento omosessuale.

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02/07/2021 19:07
 
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«E se tuo figlio fosse gay?»

E' la domanda più ricorrente che ci viene rivolta quando ci si avvicina al tema omofobia e allegati. Allora approfittiamone per dire davvero chi è un figlio e che cos'è una famiglia. Non esiste il diritto ad avere figli, né può essere amore quello che usa l'altro per la propria felicità.

La classica domanda a chi si oppone al Ddl Zan

«E se tuo figlio fosse gay?»

La legge Zan ha incluso anche l’abilismo, come oggetto da proteggere nelle maglie del proprio progetto, ma questo non è contemplato nella giornata all’uopo. Perché? Perché, come scrive il professor Mantovano (Legge Omofobia perché non va, capitolo 8, pagg. 138-139), poi ci potrebbero essere docenti che magari, per sfilarsi dalla situazione perché non del tutto d’accordo con la legge, potrebbero parlare di accoglienza dei bambini disabili, dell’accettazione della fragilità come punto di forza, della bellezza nell’imparare a stare tutti insieme ognuno con la proprie caratteristiche e, magari, con una punta di coraggio, potrebbero pure osare di aiutare i bambini e i ragazzi a conoscere e a identificare come il soggetto più debole da proteggere, l’embrione.

E invece no: omofobiaecc e basta. Ovviamente neppure la misoginia è contemplata: vogliamo mica far acquisire la conoscenza ai giovani che i feti femmina sono i più abortiti, o che le mutilazioni genitali femminili sono terrificanti e diffusissime, o che la ‘violenza ostetrica’ è ancora in auge, o del fatto che le donne non sono aiutate dalla politica a fare le mamme e vengono costantemente discriminate, o del fatto che sfruttarle per ottenere ovociti e uso dell’utero è aberrante?

 

Parlare delle lesbiche, sì, ma non delle donne etero, soprattutto se madri, perché poi se in classe c’è il figlio di due papà, come può sentirsi, se non discriminato?

Un figlio, il suo valore: prima, durante e dopo qualsiasi dichiarazione

Torniamo quindi alla domandona: «E se tuo figlio fosse gay?»

Innanzi tutto io non identifico le persone con l’uso che fanno dei loro genitali. Quindi, per quanto mi riguarda, si sta parlando di una persona. Persona che è mio figlio prima, durante e dopo la dichiarazione.

In seconda istanza lo ringrazio per la confidenza: quando un figlio sceglie un genitore per aprire il suo cuore, è certamente merito del genitore che ha creato una relazione di dialogo durante l’arco della crescita del figlio, in seconda istanza è merito di entrambi perché significa che si è passati oltre lo status di ribellione adolescenziale e si può cominciare a parlare tra persone adulte, in terzo luogo è segno che il figlio ripone nel genitore della fiducia, e questo è importante per entrambi singolarmente e come coppia genitore-figlio.

Inoltre, se un soggetto è meritevole, lo è il figlio che passa sopra gli (innumerevoli, per ciò che mi riguarda) errori genitoriali, e vuole bene al genitore per quello che è, riconoscendone i meriti.

Ascolto e gratitudine

«Non buttarti via» sarebbe il concetto del messaggio che un genitore dovrebbe – a mio modesto avviso – dare al figlio anche solo abbracciandolo e dopo averlo ascoltato in silenzio.

Quando si ha bisogno d’amore (come scrivono Jason e Christalina Evert in Come trovare l’anima gemella senza perdere la propria anima), si è coinvolti in una condizione nella quale si cerca affetto, concedendosi a persone e situazioni che mettono in pericolo la salute fisica e dell’animo: parimenti a quello che bisognerebbe trasmettere a qualunque figlio, indipendentemente dal suo status legato alla sessualità, è necessario poter acquisire il concetto che, in quanto persona, è prezioso.

Tu, figlio mio (e figlio di Dio) vali davvero

Sono preziosi la sua salute fisica e quella spirituale, la sua enorme ricchezza intellettuale, la grandiosità della sua sola esistenza nel mondo e nella vita del genitore, l’immensa gioia che può trasmettere al prossimo, la bellezza dell’essere figlio di Dio. Ogni persona è progetto di Dio e mezzo per amare il prossimo, per fare del bene andando verso il Bene. Indipendentemente da cosa si fa (con il proprio corpo e con le proprie scelte legate ad esso), innanzitutto si è esseri umani perfetti sin da quando siamo stati donati ai nostri genitori, che ci hanno concepito con amore e per amare. 

Mi premerebbe assicurarmi che nessuno gli (o le, lo ricordo) nuocesse. Cosa significa “nuocere”? Per esempio lo avesse costretto a percorrere quella precisa strada sentimentale, l’avesse illuso o circuito. E questo potrebbe succedere per qualunque figlio o figlia: il fantasma di chi, approfittando di una forza psicologica superiore, può ingannare e fare pressione perché questi si pieghi a una scelta obbligata fatta propria in modo inconsapevole, è concreta.

Donne che entrano nella spirale della violenza domestica pensando che quello sia amore, uomini costretti ad accettare che la propria donna abortisca il loro figlio in virtù di un ipotetico rispetto della donna… Ogni situazione “d’amore”, quando la si allontana dalla sua vera essenza – il dono, il rispetto, l’accoglienza – è sbilanciata: quindi, come ogni genitore per ogni figlio, mi premerebbe che ogni scelta intrapresa in virtù del suo essere e delle sue scelte, sia dettata dalla consapevolezza e dall’autentica libertà, come quella che Nostro Signore ci dona perché ne facciamo buon uso. 

E il diritto alla felicità?

Di solito la domanda successiva che viene posta dall’interlocutore cocciuto che tenta di trovarmi in fallo, è la seguente: «E se fosse gay, non ti piacerebbe che si potesse fare una famiglia?», ovvero «Non dovrebbe avere il diritto – per Legge – di avere dei figli?»

Questa è una domanda interessante, perché parte da un principio estremamente adultocentrico, che mi urta particolarmente, nell’essenza del concetto di famiglia: costruirsi una famiglia è fondamentale, ma cos’è e di cos’è fatta, la famiglia? Innanzi tutto «la famiglia è dove c’è amore», di solito risponde chi, di famiglia, non sa nulla. Perché affermo questo? Perché non importa disturbare Gary Chapman, ad esempio, autore de I 5 linguaggi dell’amore, o Mariolina Ceriotti Migliarese in tante sue eccellenti pubblicazioni, oppure Tonino Cantelmi e altri eccellenti coautori di Essere padri e madri oggi, per comprendere che magari l’amore non basta, in famiglia.

Non puoi usare l’altro per la tua felicità, l’altro è fine mai mezzo

Come spiega Karol Wojtyła in Amore e responsabilità, l’amore è un buon sentimento che però non deve includere l’utilitarismo: quindi il bisogno di costruirsi una famiglia è sacro, la necessità di farlo attraverso l’altro, è sfruttamento. Quello che in tanti autori e conoscitori della natura umana e della psiche, anche a livello professionale, ci insegnano, è che l’amore, in famiglia, è il presupposto, ma non il fine.

In mezzo a questi due momenti, il prima e il dopo, vi è un durante – nella vita in famiglia – dove non è possibile parlare di necessità personali. Un figlio è un dono attraverso il quale Nostro Signore (o la vita, o il destino) ci incarica di far maturare un cittadino responsabile: non è concepibile usare un figlio per stare bene e confermare al mondo che si è una famiglia, che si è adulti.

La necessità di sacrificarsi

Questo perché il figlio è una persona alla quale noi siamo obbligati. Inoltre la famiglia va al di là dell’affetto perché spesso, oltre quello, ci sono immense avversità da affrontare: disgrazie che un componente della famiglia può dover superare e che deve poter attraversare con l’aiuto del coniuge, spesso problemi di grossa portata dovuti a vissuti passati, oppure tante piccole difficoltà quotidiane che ridurrebbero la famiglia in frantumi, se non ci fosse l’intenzione di andare avanti, a volte arrancando entrambi, altre volte procedendo singolarmente spediti ma aspettando il coniuge, ma soprattutto impegnandosi e sapendo che c’è bisogno di sacrificarsi in modo enorme, per il bene dell’ “entità-famiglia”.

Il figlio non è mai un diritto

Tutto questo non è semplice e, soprattutto, non migliora avendo dei figli, anzi: sapere di dover rendere conto a questi delle difficoltà della vita, è un impegno forte e costante perché i figli hanno diritto ad avere genitori che si donano a loro, che ascoltano il loro bisogni mettendo da parte le loro necessità e le loro urgenze. E per bilanciare i diritti dei figli, con gli obblighi genitoriali, ci vuole la consapevolezza di essere adulti che devono farsi da parte, lasciando perdere screzi ideologici o altro.

Maternità e paternità

Torniamo quindi alla questione: «E se tuo figlio fosse gay, non ti piacerebbe che si potesse fare una famiglia?». La mia risposta è che mio figlio ce l’ha una famiglia che lo sostiene e gli vuole bene, che gli ha insegnato che i bambini hanno esigenze di rispetto ed equilibrio, che la mamma è fondamentale e che papà è necessario, che maschile e femminile non sono in contrasto né intercambiabili.

Se da una parte accoglierei quel sentimento di “prendersi cura” e quella sensazione di bisogno di costruire una “casa sulla roccia” che nasce quando si sente di essere grandi e adulti abbastanza, potrei solo sostenerlo nel fatto di donarsi a chi ha bisogno di una famiglia, senza privare chi è più debole, di tutto quello che lui ha potuto avere.

Semplicemente la fisiologia ci mostra il fatto che un bambino si lega alla mamma in modo indissolubile e si apre alla vita “oltre il nido” grazie al papà.

I bisogni del bambino

Se si vuole bene a un bambino non lo si priva né di mamma, né di papà, ma lo si aiuta a crescere, a maturare, diventare uomo o donna in grado di essere responsabile. Questo essere responsabile significa, ad esempio, non sfruttarlo per un ideale, per un’ideologia, per una convinzione personale: soprattutto di fronte al mondo.

Chi usa i bambini per riconoscersi vivo negli occhi di chi mette “mi piace”, perde in partenza perché le uniche persone che possono accogliere i limiti dei genitori e acquisire il buono che è stato loro insegnato, sono i figli, non i followers. Il comandamento “Onora il padre e la madre” è una base della costruzione della famiglia, ma padre e madre debbono rendersi conto, come prima regola, che quelli che vanno onorati (Treccani: “circondare di stima e di ossequio”) sono i figli che, di fatto, non sono un diritto e che non hanno bisogno di amore, ma di coesione, maturità, forza, responsabilità, coerenza e coraggio. 

Che cos’è davvero una famiglia

Per rispondere alla domanda: mi piacerebbe che sapesse bene cos’è una famiglia e che accogliesse figli spirituali bisognosi di essere accompagnati come educatore, insegnante, formatore, volontario, ma sapendo che i diritti dei bambini, sono fondamentali e, tra questi, l’avere una mamma che ti abbraccia e un papà che ti guida, è principio fondante della Famiglia. Un genitore accoglie un figlio anche e soprattutto limitandolo, aiutandolo a superare le frustrazioni che la vita gli pone di fronte, non spianandogli le avversità, perché questo sì che gli nuocerebbe per sempre. Un genitore che ama, sostiene, non facilita. Ama, quindi, ma non si sostituisce a te. Un genitore difende, ma ti sgrida se sbagli. 

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