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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2017 21:39
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05/04/2012 08:24
 
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mons. Antonio Riboldi
La Settimana Santa

Credo sia atto di amicizia offrire qualche considerazione sul Triduo pasquale del Giovedì santo, Venerdì e Sabato santo, così da accoglierlo con fede ravvivata e vivere più intensamente il Mistero pasquale, insieme!
GIOVEDI SANTO: IL GIORNO DEL SERVIZIO COME DONO DI SÉ
I TRE GRANDI EVENTI DI QUESTO GIORNO:
1. LA S. MESSA DEL CRISMA
In ogni cattedrale il vescovo invita tutti i sacerdoti a partecipare a questo solenne momento, per
confermare quel'amatevi uni urli altri come Io ho amato voi' e 'siate una cosa sola': è la celebrazione della preziosa comunione dei sacerdoti con il vescovo e la grande festa del sacerdozio.
Infatti nelle cattedrali si ha la gioia di incontrare e conoscere i nostri sacerdoti con il vescovo 'come una cosa sola' e, nello stesso momento, si esalta il ministero sacerdotale, con la consacrazione degli oli: quello dei catecumeni, quello dell'Unzione degli infermi e il Sacro Crisma, per l'unzione della Cresima, dei sacerdoti e dei vescovi. Meraviglioso!
2. LA S. MESSA IN CAENA DOMINI (in serata)
è la celebrazione del dono totale di Gesù nel sacrificio della Messa ed insegna a tutti noi che amare è 'servire', da qui la cerimonia del celebrante che si fa servo, mettendosi il grembiule e lavando i piedi ai
fedeli: 'Non sono venuto per essere servito, ma per servire': è l'esaltazione del grande atto di Amore - che è per sempre - della Istituzione della Messa o Sacrificio Eucaristico.
E, come a ricordare a tutti, che entriamo nel momento del sacrificio di Gesù, al canto del Gloria si suonano le campane per l'ultima volta, poi taceranno fino alla veglia di Resurrezione. Quindi il celebrante porta le Ostie consacrate in un tabernacolo appartato: cala il silenzio.
3. IL SILENZIO E L'AGONIA
Nel silenzio più profondo la Chiesa ricorda la notte di dolore di Gesù nel Getsemani e la sua agonia: anche noi siamo chiamati a vegliare, per farGli compagnia.
"Un amore che chiama amore - scrive Paolo VI - 'Amatevi come Io amo voi'.
Quel 'conte' dà le vertigini. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza. Ci avverte che la nostra professione di amore cristiano è ancora al principio. Ci avverte che il precetto della carità contiene svilupppi potenziali che nessuna filantropia sa uguagliare. La carità è ancora contratta e racchiusa entro confini di costumi, di interessi, di egoismi, che devono dilatarsi.
'Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete scambievolmente".


VENERDI SANTO: IL GIORNO DEL DOLORE-AMORE FINO ALLA FINE.
La Chiesa celebra questo giorno in modo suggestivo, raccontando tutto il dolore possibile, ma con amore. Cerchiamo di 'entrare' nell'anima di questi eventi.
1. IL SOLENNE MEMORIALE DELLA MORTE DI GESÙ
Nel primo pomeriggio - normalmente alle 15, ora della morte di Gesù - la Chiesa si raduna e legge solennemente il racconto della Passione, Crocifissione e Morte di Gesù.
2. LA PREGHIERA UNIVERSALE
La Chiesa prega per tutta l'umanità. Passa in rassegna tutti gli uomini, di ogni condizione, anche spirituale, fede, razza, considerandone tutte le necessità, offrendole, nel momento della morte-amore di Gesù, al Padre.
3. L'ADORAZIONE DELLA CROCE
Viene solennemente scoperta dal celebrante la Croce e la si deposita ai piedi del presbiterio per il bacio: è il bacio di Chi dalla croce attende il nostro amore.
4. LA DISTRIBUZIONE DELLA S. COMUNIONE
Il celebrante, senza la S. Messa, semplicemente, offre l'Eucarestia, come a voler posare Gesù 'morto' nel sepolcro del nostro cuore.
5. LA VIA CRUCIS
Ricordandola, quasi ovunque, spesso in modo suggestivo, fino a diventare una sacra rappresentazione della passione, si fa la Via Crucis.
Una breve riflessione i Paolo VI:
"Qui il dolore ci appare cosciente! La terribile passione era prevista. Lo strazio e il disonore della croce era saputo! E fu voluto nella sua crudele interezza, senza i consueti narcotici, che mitigano la nostra sofferenza: l'importanza del se, del quando e come verrà.
Gesù è colui che conosce l'infermità in tutta la sua estensione, in tutta la sua profondità, in tutta la sua intensità, in tutta la sua terribilità, tanto da spremere sangue dalle vene già nell'agonia del Getsemani. E tanto basta per renderlo fratello di ogni uomo che soffre e che piange: fratello maggiore e fratello nostro. Egli detiene un primato che accentra in lui la simpatia, la solidarietà, la comunione con ogni uomo paziente. Gesù è morto innocente, perché l'ha voluto; ha voluto assumere in Sé tutta l'espiazione dell'umanità".
Giustamente la Chiesa canta:
'Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo, perché con la tua croce hai redento il mondo.

SABATO SANTO: IL GIORNO DELLA GRANDE ATTESA
Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio. Il giorno dello smarrimento o, forse meglio, la Vigilia della nuova nostra creazione, dopo il peccato originale, che la Chiesa vive, tacendo ed aspettando. A noi non rimane che contemplare il silenzio di Maria, Madre di Gesù e nostra: un silenzio che non era certamente come la fine di un sogno, ma l'inizio di una realtà sicura e meravigliosa.
La Chiesa vive questa attesa, che si fa grande evento nella suggestiva Veglia Pasquale.
Con voi voglio riviverla:
1. la Veglia inizia a luci spente, come a dirci il buio in cui è immersa l'umanità senza l'Amore di Dio accolto e contraccambiato.
2. Il buio comincia ad essere vinto con la benedizione del fuoco, in fondo alla chiesa, e quindi l'accensione del cero pasquale, come 'LUCE DI CRISTO' che si fa strada tra di noi. Il Cero passa tra la folla, accende le candele e, lentamente, tutto è uno sfavillio di luci, come l'alba di un nuovo giorno.
3. Esplode la gioia con il canto di S. Agostino, l'Exultet, detto ANNUNZIO PASQUALE, che pare contenere la stessa gioia di Dio quando ci creò. È un canto meraviglioso.
4. Seguono le letture del Vecchio Testamento (7) che sono un ripercorrere la nostra storia con Dio, fino
al CANTO DELL'ALLELUJA E IL GLORIA, CHE ANNUNZIANO A TUTTI I.A. RESURREZIONE, sciogliendo dal
silenzio le campane, in segno di gioia piena e completa:
È PASQUA. 'IL GIORNO DEL SIGNORE'.
 
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06/04/2012 12:57
 
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Resurrezione del Signore (Anno B)

DOMENICA DI PASQUA: Il Cielo si apre di nuovo

Difficile affidare alle parole il Mistero da vivere in questa solennità di Pasqua, con la Resurrezione di Gesù. Dopo il peccato originale eravamo come esuli senza un domani. Solo Dio poteva come un autore senza limiti cancellare il male fatto e tornare a farci partecipi della Sua stessa Vita e del Paradiso. Mi affido al canto della Chiesa, nella liturgia della notte di Pasqua, che davvero comunica la grande gioia dell'Evento:

"Gesù Cristo nostro Signore ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo

e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica.

Questa è la vera Pasqua in cui è ucciso il vero Agnello

che con il suo sangue consacra le case dei fedeli.

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri,

dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo

dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo,

li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi.

O immensità del tuo amore per noi!. O inestimabile segno di bontà:

per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio.

O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora

in cui Cristo è risorto dai morti. Di questa notte è stato scritto:

la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di gioia per la mia delizia.

O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al Cielo e l'uomo al suo Creatore!"

Davvero i santi e tutti i cristiani sanno capire, vivere ed assaporare la grande gioia che è nella Pasqua, giorno di resurrezione di Gesù, che da quel momento, dopo avere pagato un duro prezzo con la sua crocifissione, ci accoglie come fratelli dello stesso Padre e cittadini del Cielo. Giustamente la Pasqua è la festa più grande dell'anno liturgico. Non resta a noi che viverla in pienezza. Per assaporare l'immensa gioia vorremmo metterci nei panni di Maria, la Mamma di Gesù che aveva visto il Figlio morire in croce e con grande delicatezza deporlo nel sepolcro.

Lo amava più di se stessa e Lo amavano sul serio i suoi discepoli, fino a ritenerlo 'il tutto della vita'. Per Maria SS. ma, Gesù era il Figlio affidatole dal Padre, che mai aveva abbandonato, fino a starGli vicino sotto la croce. Una forza, frutto dell'amore, che gli apostoli non avevano avuto, tanto da tentare di nascondersi, vivendo quel momento con la sola paura di essere riconosciuti e fare la stessa fine del loro Maestro e Signore.

E' vero che Gesù li aveva rassicurati, parlando del giorno della resurrezione, ma era difficile per loro anche solo capire il significato di quegli avvenimenti e soprattutto 1'Evento che ne sarebbe seguito: un Evento che avrebbe letteralmente cambiato le sorti dell'umanità.

Con la Resurrezione le porte del Cielo non si sono aperte solo per Gesù, che così è tornato a Casa non solo come Dio, ma con tutta la Sua Umanità, ma anche per noi, per ciascuno di noi, dopo che Lui ha ritessuto i nostri rapporti con il Padre. E' difficile per noi entrare in questo immenso mondo dell'amore di Dio. Impensabile, nel mondo in cui viviamo, abituato a fare pagare e duramente gli errori che si commettono. E' difficile comprendere quella pietà che fa rinascere chi ha sbagliato. Da noi chi sbaglia paga il duro prezzo delle carceri. Eppure sentiamo tante volte il desiderio di uscire da quell'inferno che spesso ci creiamo con le nostre stesse mani, increduli che ci sia qualcuno capace di capirci, di perdonarci, fino a pagare Lui per noi.

Davvero grande, immenso, per troppi incomprensibile, 1'Amore di Dio.

È abitudine a Pasqua accostarsi al sacramento della Riconciliazione, che è la riscoperta del Padre, del Suo Amore, e una rinnovata volontà di comunione verso tutti i fratelli, cioè esperienza di resurrezione! Purtroppo, per tanti, non è così. Vedono la confessione - quella pasquale - come una consuetudine a cui ci si deve assoggettare, così, come tutti i riti che sono vissuti come semplici tradizioni, ci lascia come eravamo. Non è resurrezione!

Davvero invece sperimentano la resurrezione tanti che nella confessione trovano la grazia di 'cancellare' un passato, lontani dal Padre e in conflitto con i fratelli, per ricostruire una vita nuova nella comunione. Quanti ricordi ho di questa vera Pasqua di resurrezione: fratelli che nel sacramento della Riconciliazione sono davvero risorti alla pienezza della Vita, iniziando un nuovo cammino. Ricordo un fratello che un giorno decise di cambiare e venne a trovarmi. Non riusciva neppure a parlare, ma parlavano le sue lacrime, che erano davvero una purificazione, nella ricerca di una via per risorgere. Piangendo raccontò la sua vita sbagliata: un tempo che sembrava il venerdì santo di Gesù. Ma, alla fine, quando gli diedi il perdono di Dio, fu festa e la sua vita, seppur 'in salita' e con fatica, da allora divenne 'altra cosa'! Ogni tanto viene a trovarmi e mi comunica la gioia dell'essere tornato a casa.

E sono tanti quelli che sperimentano questa grazia: crocifiggere il male che è dentro di loro ed entrare nella festa della resurrezione. Sono più di quelli che si pensa: testimoni dell'amore del Padre che accoglie il figlio prodigo sulla porta di casa e fa festa.

Ma lascio la parola al nostro caro Paolo VI: "Il Mistero della Pasqua è così alto e così grande, che spazia su tutta la vita cristiana: sulla dottrina, sul costume, sulla liturgia, sull'arte e offre cento aspetti in cui si infrange la sua luce, che è come il sole nell'oscurità dei nostri destini umani.

La Chiesa canta nella notte del Sabato Santo l'inno pasquale, invitando la terra a gioire di questo splendore. 'Tripudi la terra irradiata da tanto fulgore'.

E fa considerare, durante la veglia della celebrazione notturna, come il Mistero della resurrezione di Cristo abbia carattere non solo personale, ma universale: in Cristo risorto, risorge il genere umano. Egli ha raggiunto per primo lo stato perfetto e soprannaturale della vita umana, al quale noi siamo ora inizialmente associati. La Pasqua fa sorgere negli animi sentimenti di letizia e di poesia: 'Sono giunti i giorni in cui dobbiamo cantare 1'Alleluja, fratelli: canti la voce, canti la vita, cantino le azioni'. Perciò nasce in noi il desiderio, in questo momento di riflessione sul Mistero pasquale, di cercare quale sia il suo punto focale, e di vedere come questo fu allora individuato, quando l'avvenimento strepitoso si verificò, e come esso è tuttora avvertito, come prima sorgente di tutto il suo canto, dalla liturgia stessa, che da quella fonte deriva le sue rievocazioni di grazia, di preghiera e di poesia. Il punto centrale della Pasqua è il fatto; il fatto storico, preciso, eccezionale, della resurrezione personale di Gesù ..... Il fatto, dico, è fondamentale ... prima ancora di farne oggetto di commento ed argomento di smisurate conseguenze, gioverebbe ricordarlo, ricostruirlo, rivederlo, e lasciare che la sua evidenza ci impressionasse, ci scuotesse, ci svegliasse dai nostri consueti pensieri, e ci chiamasse alla sua scoperta ed alla sua meraviglia. Ciascuno di noi faccia mentalmente, spiritualmente ricorso alle fonti di quell' avvenimento".

Leggiamo, dunque, insieme e lasciamoci coinvolgere dallo stesso stupore di Pietro e Giovanni nel sentire 'la Notizia dell'Evento' portata dalla Maddalena dopo la visita al sepolcro ..

"Maria Maddalena corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: 'Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!”. Pietro uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. (Gv. 20,1-9)

Non resta che cantare con cuore gioioso parte della sequenza della S. Messa di Pasqua:

"Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della Vita era morto, ma ora, vivo, trionfa. 'Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?'.

'La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto: e ci precede in Galilea'.

Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi".

Antonio Riboldi – Vescovo –
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DOMENICA DI PASQUA: Il Cielo si apre di nuovo

 

 

Difficile affidare alle parole il Mistero da vivere in questa solennità di Pasqua, con la Resurrezione di Gesù. Dopo il peccato originale eravamo come esuli senza un domani. Solo Dio poteva come un autore senza limiti cancellare il male fatto e tornare a farci partecipi della Sua stessa Vita e del Paradiso. Mi affido al canto della Chiesa, nella liturgia della notte di Pasqua, che davvero comunica la grande gioia dell'Evento:

"Gesù Cristo nostro Signore ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo

e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica.

Questa è la vera Pasqua in cui è ucciso il vero Agnello

che con il suo sangue consacra le case dei fedeli.

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri,

dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo

dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo,

li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi.

O immensità del tuo amore per noi!. O inestimabile segno di bontà:

per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio.

O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora

in cui Cristo è risorto dai morti. Di questa notte è stato scritto:

la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di gioia per la mia delizia.

O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al Cielo e l'uomo al suo Creatore!"

Davvero i santi e tutti i cristiani sanno capire, vivere ed assaporare la grande gioia che è nella Pasqua, giorno di resurrezione di Gesù, che da quel momento, dopo avere pagato un duro prezzo con la sua crocifissione, ci accoglie come fratelli dello stesso Padre e cittadini del Cielo. Giustamente la Pasqua è la festa più grande dell'anno liturgico. Non resta a noi che viverla in pienezza. Per assaporare l'immensa gioia vorremmo metterci nei panni di Maria, la Mamma di Gesù che aveva visto il Figlio morire in croce e con grande delicatezza deporlo nel sepolcro.

Lo amava più di se stessa e Lo amavano sul serio i suoi discepoli, fino a ritenerlo 'il tutto della vita'. Per Maria SS. ma, Gesù era il Figlio affidatole dal Padre, che mai aveva abbandonato, fino a starGli vicino sotto la croce. Una forza, frutto dell'amore, che gli apostoli non avevano avuto, tanto da tentare di nascondersi, vivendo quel momento con la sola paura di essere riconosciuti e fare la stessa fine del loro Maestro e Signore.

E' vero che Gesù li aveva rassicurati, parlando del giorno della resurrezione, ma era difficile per loro anche solo capire il significato di quegli avvenimenti e soprattutto 1'Evento che ne sarebbe seguito: un Evento che avrebbe letteralmente cambiato le sorti dell'umanità.

Con la Resurrezione le porte del Cielo non si sono aperte solo per Gesù, che così è tornato a Casa non solo come Dio, ma con tutta la Sua Umanità, ma anche per noi, per ciascuno di noi, dopo che Lui ha ritessuto i nostri rapporti con il Padre. E' difficile per noi entrare in questo immenso mondo dell'amore di Dio. Impensabile, nel mondo in cui viviamo, abituato a fare pagare e duramente gli errori che si commettono. E' difficile comprendere quella pietà che fa rinascere chi ha sbagliato. Da noi chi sbaglia paga il duro prezzo delle carceri. Eppure sentiamo tante volte il desiderio di uscire da quell'inferno che spesso ci creiamo con le nostre stesse mani, increduli che ci sia qualcuno capace di capirci, di perdonarci, fino a pagare Lui per noi.

Davvero grande, immenso, per troppi incomprensibile, 1'Amore di Dio.

È abitudine a Pasqua accostarsi al sacramento della Riconciliazione, che è la riscoperta del Padre, del Suo Amore, e una rinnovata volontà di comunione verso tutti i fratelli, cioè esperienza di resurrezione! Purtroppo, per tanti, non è così. Vedono la confessione - quella pasquale - come una consuetudine a cui ci si deve assoggettare, così, come tutti i riti che sono vissuti come semplici tradizioni, ci lascia come eravamo. Non è resurrezione!

Davvero invece sperimentano la resurrezione tanti che nella confessione trovano la grazia di 'cancellare' un passato, lontani dal Padre e in conflitto con i fratelli, per ricostruire una vita nuova nella comunione. Quanti ricordi ho di questa vera Pasqua di resurrezione: fratelli che nel sacramento della Riconciliazione sono davvero risorti alla pienezza della Vita, iniziando un nuovo cammino. Ricordo un fratello che un giorno decise di cambiare e venne a trovarmi. Non riusciva neppure a parlare, ma parlavano le sue lacrime, che erano davvero una purificazione, nella ricerca di una via per risorgere. Piangendo raccontò la sua vita sbagliata: un tempo che sembrava il venerdì santo di Gesù. Ma, alla fine, quando gli diedi il perdono di Dio, fu festa e la sua vita, seppur 'in salita' e con fatica, da allora divenne 'altra cosa'! Ogni tanto viene a trovarmi e mi comunica la gioia dell'essere tornato a casa.

E sono tanti quelli che sperimentano questa grazia: crocifiggere il male che è dentro di loro ed entrare nella festa della resurrezione. Sono più di quelli che si pensa: testimoni dell'amore del Padre che accoglie il figlio prodigo sulla porta di casa e fa festa.

Ma lascio la parola al nostro caro Paolo VI: "Il Mistero della Pasqua è così alto e così grande, che spazia su tutta la vita cristiana: sulla dottrina, sul costume, sulla liturgia, sull'arte e offre cento aspetti in cui si infrange la sua luce, che è come il sole nell'oscurità dei nostri destini umani.

La Chiesa canta nella notte del Sabato Santo l'inno pasquale, invitando la terra a gioire di questo splendore. 'Tripudi la terra irradiata da tanto fulgore'.

E fa considerare, durante la veglia della celebrazione notturna, come il Mistero della resurrezione di Cristo abbia carattere non solo personale, ma universale: in Cristo risorto, risorge il genere umano. Egli ha raggiunto per primo lo stato perfetto e soprannaturale della vita umana, al quale noi siamo ora inizialmente associati. La Pasqua fa sorgere negli animi sentimenti di letizia e di poesia: 'Sono giunti i giorni in cui dobbiamo cantare 1'Alleluja, fratelli: canti la voce, canti la vita, cantino le azioni'. Perciò nasce in noi il desiderio, in questo momento di riflessione sul Mistero pasquale, di cercare quale sia il suo punto focale, e di vedere come questo fu allora individuato, quando l'avvenimento strepitoso si verificò, e come esso è tuttora avvertito, come prima sorgente di tutto il suo canto, dalla liturgia stessa, che da quella fonte deriva le sue rievocazioni di grazia, di preghiera e di poesia. Il punto centrale della Pasqua è il fatto; il fatto storico, preciso, eccezionale, della resurrezione personale di Gesù ..... Il fatto, dico, è fondamentale ... prima ancora di farne oggetto di commento ed argomento di smisurate conseguenze, gioverebbe ricordarlo, ricostruirlo, rivederlo, e lasciare che la sua evidenza ci impressionasse, ci scuotesse, ci svegliasse dai nostri consueti pensieri, e ci chiamasse alla sua scoperta ed alla sua meraviglia. Ciascuno di noi faccia mentalmente, spiritualmente ricorso alle fonti di quell' avvenimento".

Leggiamo, dunque, insieme e lasciamoci coinvolgere dallo stesso stupore di Pietro e Giovanni nel sentire 'la Notizia dell'Evento' portata dalla Maddalena dopo la visita al sepolcro ..

"Maria Maddalena corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: 'Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!”. Pietro uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti(Gv. 20,1-9)

Non resta che cantare con cuore gioioso parte della sequenza della S. Messa di Pasqua:

"Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della Vita era morto, ma ora, vivo, trionfa. 'Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?'.

'La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto: e ci precede in Galilea'.

Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi".

 

Antonio Riboldi – Vescovo –

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II Domenica di Pasqua (Anno B)

 

GESÙ RISORTO torna tra i Suoi discepoli, come oggi tra noi

 

 

Gesù, appena risorse, come era naturale, apparve ai Suoi discepoli: una notizia, la resurrezione, che sarebbe stata poi, fino alla fine dei tempi, l'unica grande Notizia, che dà senso alla nostra vita. Molte volte ci avvolge una profonda delusione o il dubbio. Vivendo una vita che è un saliscendi di incertezze e disorientamenti, siamo come gli apostoli dopo la sepoltura del Maestro.

Davanti a certi fatti, che sono la notte della mente, non riusciamo a intravedere l'alba del nuovo giorno: il giorno del Signore.

D'altra parte credere che la vita non è solo l'esperienza quaggiù, ma ha un suo domani nella eternità è il sogno, almeno per chi conserva un minimo di verità e urgenza di un vero senso della vita, che si vorrebbe fosse realtà e non solo sogno. Abbiamo bisogno di certezze, come gli Apostoli.

Ma non è facile, come non lo fu per l'apostolo Tommaso.

Eppure che senso avrebbe una esperienza di vita destinata a finire, e quindi priva di quella speranza che in fondo tutti sentiamo urgere nel profondo del nostro spirito. Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato e li pensiamo talmente vivi di altra vita da sentirli vicini, come se avessero solo cambiato 'residenza'.

Quante volte, visitando i nostri defunti, incontriamo persone che davanti alla tomba, pregano per loro, addirittura dialogano, 'come se non fossero morti, ma solo allontanati per breve tempo ... interiormente certi di poterli rincontrare nella gioia. Un'esperienza, se siamo sinceri, che non appartiene solo ai credenti. Ma è dei credenti la certezza che la resurrezione è la pietra miliare su cui poggia la speranza, radicata nella fede.

E è davvero bello sapere con certezza che, non solo Dio e tanti santi, ma anche i nostri cari davvero vivono 'altrove', in quella realtà definita Cielo, ma che non è 'luogo', secondo il nostro pensare umano, ma uno stato di vita, di esistenza, che non è più soggetto alle sofferenze e ai dubbi di quaggiù.

E' la certezza che si sperimenta tante volte visitando i malati, che hanno già il pensiero al Cielo e lo attendono ogni minuto, come il traguardo che corona una vita tutta in cammino verso l'eternità.

Quanti ricordi conservo di uomini, giovani, donne, che ho visitato da malati: avevano il sorriso di chi attende una vita diversa, senza più il peso delle sofferenze e delle angosce di qui.

Così come provo tanta compassione per fratelli e sorelle che vivono consumando la vita nei nulla dei piaceri o di altro, ma senza futuro. Non sono felici. Come nella parabola di Lazzaro, assomigliano ai cagnolini che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco epulone.

A differenza degli Apostoli, che dopo la morte del Maestro hanno vissuto il dubbio, la paura, il disagio di aver perso ogni punto di riferimento. L'esperienza di essere stati da Lui scelti e di averLo seguito aveva dato un senso a tutto il loro esistere, ora la Sua crocifissione li scaraventava nuovamente in una vita senza futuro. Ma Gesù, mai lascia i Suoi in balia delle loro paure.

Il Vangelo toglie davvero il dubbio sul domani: un domani che ora è l'eternità, se vissuto in attesa del Paradiso, che è Dio.

Racconta l'apostolo Giovanni, il prediletto di Gesù, quanto avvenne il giorno della Resurrezione:

"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi'. (Gv. 20,19-20) Così Gesù non solo apparve - e deve essere stata una grande inattesa sorpresa vederLo risorto - ma subito donò lo Spirito Santo, inviandoli a continuare la Sua missione: quella di invitare il mondo degli uomini ad accogliere il dono della Resurrezione, togliendo ciò che impedisce di essere rinnovati nello Spirito, ossia i nostri peccati.

Davvero, da quel momento gli apostoli iniziano la storia della Chiesa, giunta fino a noi. Una storia che ha il suo fondamento nell'azione di Dio, ma è anche fatta da poveri uomini, ecco perché subito il Vangelo racconta le difficoltà di un apostolo, che non crede possibile che un morto, fosse pure Gesù, il Maestro che tanti miracoli aveva compiuto, possa tornare alla pienezza della vita tra loro e, quindi, tanto meno che li possa rivestire della potenza di guarire il mondo dal peccato, opera che solo Dio può compiere e dunque impensabile che possa essere affidata alle mani di poveri uomini.

È vero. È davvero incredibile, che Dio abbia voluto mettere nelle nostre mani di sacerdoti e vescovi, un potere che è solo Suo. È davvero immensa la fiducia di Dio nell'uomo.

Umanamente sono pienamente comprensibili i dubbi e la esigenza di 'garanzie' di Tommaso.

Ogni volta sono chiamato a 'fare risorgere' un fratello che ha sbagliato, per me è come rivivere quella resurrezione dai 'morti' che Gesù ci ha consegnato. Forse abbiamo perso la coscienza di questa grazia per cui il sacramento della penitenza, che mostra il grande Cuore di Dio pronto a cancellare le tante offese che Gli facciamo, a volte senza neppure rendercene conto .. Ma quello che forse lascia disorientati tanti, è la stessa ragione della confusione di Tommaso: perché chiedere perdono delle nostre colpe ad un sacerdote? Davvero, per volontà di Dio, è 'Cristo che ci assolve', attraverso di lui?

Gesù, con la Sua Presenza e Parola, non lascia adito a dubbi o incertezze, per chi vive la fede. Non basta che ci pentiamo personalmente, Dio vuole perdonarci, Lui stesso, tramite il Sacramento della Penitenza, amministrato da un Suo ministro, che, lo confessa, non si sente giudice, ma dispensatore della misericordia del Padre, che vuole accogliere ogni figlio prodigo.

Noi stessi, dispensatori del Suo Perdono, siamo figli che hanno bisogno dell'abbraccio della Sua misericordia, del Suo perdono. Occorre fede e fiducia. Credo proprio che dovremmo recuperare il dono del Sacramento della Riconciliazione, come incontro rigenerante con il Padre, in un atteggiamento di umile ringraziamento. Stampiamo nella nostra mente le parole dette da Gesù agli apostoli e quindi ai vescovi e ai sacerdoti: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Più chiaro di così si muore ... di fatto!

Ecco perchè il Vangelo di oggi riporta il dubbio, se non la certezza troppo umana, che dopo la morte si possa risorgere e la risposta di Gesù alla nostra paura.

E' la storia di Tommaso. E chissà quanti 'Tommaso' ci sono tra i cristiani!

"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!'. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò'. Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Poi disse a Tommaso: 'Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"'. (Gv. 20,21-30)

Davvero nel racconto di Giovanni, rimaniamo senza parole davanti alla comprensione e bontà di Gesù: una bontà che è anche per noi e forse non sappiamo cogliere.

Noi possiamo essere, fin da oggi, quei 'beati " che senza aver visto ... credono!

Così scriveva Paolo VI, nostro grande aiuto: "Uno scrittore moderno osserva: Ho conosciuto famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro famigliari: 'E' duro essere cristiani' e la risposta era: 'Oh, sì, è duro!'. Invece noi cristiani dobbiamo sentirci felici perchè abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo che Gesù chiama soave e leggero, ma dobbiamo sentirci più felici perchè abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza che Cristo ci ha meritato e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo".

Ed è vero. Vivere con lo sguardo e la certezza che un giorno, dopo l'esperienza di questo passaggio sulla terra, vedremo la luce di Dio senza più notte, è la forza che sostiene chi crede ed affronta la vita con l'attesa dell'Incontro, come gli Apostoli.

Che Gesù ci aiuti a guardare alla vita con lo sguardo su quel domani senza più tempo e dolore, affrontando le difficoltà di qui con la serenità di coloro che credono che i giorni che viviamo altro non sono che l'attesa dell'arrivo dello Sposo, così che Gesù ci trovi pronti!

 Antonio Riboldi – Vescovo –

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20/04/2012 16:14
 
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III Domenica di Pasqua

 

Perché siete tristi?

 

 

Doveva davvero essere triste il cuore degli Apostoli, dopo la morte del Maestro. Avevano vissuto insieme, con quale animo è difficile immaginare. Avevano fatto un'esperienza unica con Gesù. Erano stati ammirati del suo parlare profetico, che prospettava una vita, il cui compimento era oltre questo pellegrinaggio terreno. Ma era per loro difficile, forse impossibile, anche solo pensare di poterlo rivedere Risorto. Non esisteva nessuna esperienza in proposito. Eppure, nello stesso tempo, era come se il loro cuore rifiutasse l'evidenza, 'sperando contro ogni speranza' che forse sarebbe accaduto davvero qualcosa che non era esperienza umana: la Resurrezione, appunto.

È lo stesso sentimento che proviamo noi, ogni volta pensiamo al nostro futuro.

Sappiamo che la nostra vita ha un termine qui, ma nello stesso tempo avvertiamo in noi 'un germe di eternità', la certezza, nella fede, che l'oggi è solo la vigilia di un domani senza fine.

Che senso del resto avrebbe la vita, se non avesse un domani?

È davvero vita quella che non ha prospettive nel futuro?

C'è in tutti noi - sperando che nessuno sia vittima del materialismo, tutto ingolfato nel qui, considerato come un effimero passaggio senza sbocco - la consapevolezza che la vita va al di là di questa nostra esperienza terrena, dove tutto è provvisorio, che si sbriciola giorno per giorno per fare strada alla vera Vita che non ha fine, come il seme che pare disintegrarsi, ma per lasciare spazio al germoglio che lui è.

Era il sentimento ambivalente che provavano gli Apostoli. Tristezza per il timore di essersi sbagliati e che tutto fosse finito, speranza che qualcosa di impensabile potesse accadere ... Gesù non aveva forse più volte parlato della Sua Resurrezione?

La Presenza di Gesù sulla terra era dovuta al grande amore del Padre, che voleva, tramite Suo Figlio, farci tornare al vero nostro essere, quello da Lui pensato, fin dall'origine del mondo: essere Suoi figli, tutti, ma proprio tutti, perché, anche se non ce ne accorgiamo, siamo a Lui cari come figli. Troppo spesso ci scordiamo della nostra origine divina. Prima che nascessimo nel seno di mamma, eravamo già esistenti nel Cuore di Dio, come veri figli, chiamati a stare con Lui e a partecipare del Suo Amore per l'eternità.

Ma ci voleva la 'chiave' per riaprire la porta del Cielo: il Verbo di Dio Incarnato.

Gesù come noi e per noi è il Dono che ha cancellato ogni traccia di peccato originale, quello che ci impediva di stare con Dio, di farci ritornare a essere completamente parte della Sua Famiglia in Cielo. Dovremmo sempre avere davanti agli occhi, nella mente e nel cuore, questa nostra fondamentale 'vocazione al Cielo' e su di essa impostare tutta la nostra esistenza quaggiù. I cristiani saggi vivono nell'attesa della visione di Dio e su questa certezza di fede impostano la vita, come si legge nella lettera a Diogneto, che risale ai primi tempi del Cristianesimo.

Ne offro uno scorcio, che è la fotografia stupenda di come i nostri fratelli, e sicuramente anche gli Apostoli, dopo le loro incertezze e dubbi, ormai confermati nella fede dal Cristo Risorto, hanno saputo interpretare la vita.

"I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi. Né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche o barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è loro patria e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma la loro cittadinanza è in Cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e vengono condannati. Sono uccisi e riprendono a vivere. Sono poveri e fanno ricchi molti. Mancano di tutto. Sono disprezzati e nel disprezzo hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Facendo del bene vengono puniti come malfattori. Sono condannati e gioiscono ed è come se ricevessero vita".

Questa è la profonda trasformazione che avviene negli uomini che credono e vivono la Resurrezione. Uno stile di vita difficile, anzi impossibile, se non si pone la speranza nel Risorto. Quella speranza che è mancata per un momento agli Apostoli, impauriti dalla morte di Gesù.

Hanno vissuto quell'incertezza che è davvero l’oscurità dell' anima, che anche noi possiamo provare, quando per qualche dura prova della vita perdiamo la serenità e viviamo il dubbio che tutto sia illusione: una sofferenza che tutti, credo, seppur in forme forse diverse, abbiamo sperimentato.

È la prova della nostra fede ed è in quei momenti che, a volte, si spalanca poi all'improvviso il Cielo di una gioia inattesa, come narra il Vangelo di oggi.

"In quel tempo di due discepoli che erano ritornati da Emmaus narravano agli Undici ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: 'Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che ho io'.

Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed

erano pieni di stupore, disse: 'Avete qui qualche cosa da mangiare?'. Gli offrirono una porzione

di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: 'Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi'. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: 'Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni'. (Lc. 24, 35-48)

Chi non si sente l'inferno addosso - se non si è spenta la voce della coscienza - ripensando ai nostri dubbi o, peggio, ai rifiuti dell'immenso amore con cui Dio ci circonda?

Non siamo ancora in Cielo: lo dobbiamo 'conquistare'. È vero che il vivere è a volte un viaggio duro, pericoloso, ma non lo è più, se siamo sorretti dalla fede di chi cammina con e verso Gesù Risorto. Per questo stupisce e disorienta il rendersi conto di quanti, troppi, vivano come se il Cielo non ci fosse e, quindi, neppure una vita nuova dopo la morte.

Eppure anche se vive in noi un solo briciolo di verità, non possiamo non sentire la nostalgia di un amore più grande, che non può avere casa quaggiù, dove, se siamo fortunati, possiamo al massimo godere di qualche sprazzo, che è come un raggio di sole, che si affaccia al mattino e scompare al tramonto.

Basterebbe stare vicino a fratelli e sorelle che vivono con la nostalgia del Cielo - una nostalgia che li fa vivi, ma come in attesa di una Gioia completa - per scoprire davvero che cosa sia l'ansia di vedere Dio e, quindi, il Paradiso.

Questa terra può solo, a volte, impaurirci, come è accaduto agli Apostoli dopo la Crocifissione del Maestro. Dobbiamo incontrare Gesù vivo, diventare testimoni della Resurrezione, sua e nostra. Dobbiamo lasciarci da Lui riempire il cuore di fede e di amore. Allora Gesù stesso ci mostrerà le Sue piaghe. Solo così, attraverso le Sue piaghe, potremo chinarci, senza paura, sui tanti crocifissi del nostro tempo: i poveri, i malati, i soli, gli emarginati, vedendo nelle piaghe dei nostri fratelli le piaghe stesse di Gesù, che è morto e risorto perché anche noi, tutti, risorgessimo.

Scriveva don Tonino Bello:

"Carissimi, coraggio! Irrompe la Pasqua.

È il giorno dei macigni che rotolano via dall'imboccatura dei sepolcri.

È il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più

e che oggi corre di bocca in bocca, ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. È la festa di quanti si credono delusi della vita,

ma nel cui cuore ora all'improvviso dilaga la speranza.

Che sia anche la festa, in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria". (Tonino Bello)

 

Antonio Riboldi – Vescovo –

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27/04/2012 23:15
 
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IV Domenica di Pasqua (Anno B)

 

Io sono il Buon Pastore

 

 

C'era un tempo - e dovrebbe essere sempre - in cui si accentuava la figura del pastore, ossia di quanti Gesù chiama a continuare la Sua presenza tra gli uomini, conferendo loro la Grazia di continuare la Sua opera della salvezza, come Lui.

Ricordo che, da parroco, in Sicilia, si viveva questa giornata come la festa del parroco, buon pastore, ossia Gesù tra di noi. Era il giorno che sollecitava noi sacerdoti e pastori di anime, a chiederci se eravamo in linea con il nostro 'essere', con la nostra 'chiamata'.

Ma chi sono i pastori? Uomini che Gesù sceglie, sradica quasi da questo mondo, li afferra tutti per Sé, affidando loro i Suoi poteri.

Proviamo a volte tanta confusione, conoscendo di quali poteri siamo investiti e di quanta stima e fiducia siamo circondati.

Nessuno può scegliere di essere sacerdote: è Dio stesso che sceglie e chiama.

Ricordo come una volta, incontrando una persona che dimostrava tutta la sua stima verso di noi sacerdoti, chiesi: 'Perché ha così tanta stima e fiducia?'. La risposta mi lasciò stupito: 'Ma voi sacerdoti siete Cristo tra di noi. Normalmente le altre persone, nei loro diversi ruoli, quando va bene, sfiorano la bellezza della santità. Voi ci mostrate Gesù, anzi, siete Gesù tra di noi!'.

Questa è fede profonda!

Sono tanti gli anni che sono prima sacerdote e parroco, poi vescovo, che è davvero la più grande responsabilità verso i fedeli che ci sono affidati.

Non si può essere Cristo tra la gente 'in qualche modo' o, peggio ancora, 'a mezzo servizio'. Per noi, ogni attimo della vita e ogni azione dovrebbe mostrare il Cuore di Dio.

Si prova tanta gioia, ma anche confusione, quando celebrando la S. Messa, affermiamo, diventando Gesù stesso: 'Questo è il mio corpo'. Se da una parte si avverte tutta la propria povertà di uomini, dall'altra non possiamo che rallegrarci, per il dono ricevuto.

Sono gli stessi sentimenti profondi che si provano quando, con la stessa autorità di Dio, nel Sacramento della Penitenza, assolviamo i fratelli: 'lo ti assolvo dai tuoi peccati!'.

Incredibile agli occhi umani, ma realtà divina che si realizza.

E come è grande la responsabilità della proclamazione della Parola di Dio.

Tutto in noi, sacerdoti e vescovi, è Presenza di Gesù che opera. Ma occorre anche meritare, con la testimonianza umile e seria, la fiducia dei fedeli e soprattutto sforzarsi di esprimere una illimitata bontà, che dovrebbe essere la caratteristica dominante di un 'buon pastore'.

Essere 'pastori' non è un mestiere, ma un'azione di Dio in noi e con noi.

Così, oggi, Gesù parla: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo,abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde: egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre e offro la vita per le pecore.

E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre". (Gv. 10, 11-18)

I fedeli, giustamente, esigono che il sacerdote, che li ha in cura, sia davvero l'incarnazione di Gesù, per lo stile di vita e la fede e serietà espresse dalla sua condotta. Chiedono a noi preti e vescovi di essere coerenti per comportamento e testimonianza. La gente ci vuole vedere diversi: siamo Gesù.

E del resto non possiamo prenderci gioco della fiducia che Dio ha avuto in noi, chiamandoci: una fiducia che la Chiesa ha confermato con l'ordinazione.

L'obbedienza mi ha chiesto di essere parroco in Sicilia. Una prova difficile, per tante ragioni.

Il sacerdote che aveva in cura quella parrocchia si era sposato. Eravamo due sacerdoti e dovevamo ricostruire la fiducia della gente. Ci vollero due anni di paziente attesa, poi, lentamente, la gente cominciò un nuovo cammino e divenne comunità, una stupenda famiglia.

Venne il momento della prova, con il terremoto del gennaio 1968.

Quella notte richiese tutto il nostro amore. La comunità era spaventata e dispersa.

La gente si affidò a noi e così, con la Grazia e la Forza di Dio, si potette vedere il volto meraviglioso del sacerdozio, che ha cura dei fedeli.

Ricordo quei giorni e quegli anni con tanta commozione. Ancora oggi conservo lo stesso amore.

Poi venne il tempo della grande prova, quando Paolo VI mi chiese di essere vescovo di Acerra: una diocesi che mancava di un pastore da 12 anni.

Dovevo rimettere in piedi una comunità che non esisteva più. Suscitando lentamente fiducia e collaborazione divenne una Diocesi ammirata, al punto che il S. Padre, Giovanni Paolo II, scelse due miei sacerdoti per essere vescovi. Un fatto incredibile.

Paolo VI, parlando ai sacerdoti, affermava: "Noi preti dobbiamo avere una maniera speciale, un'arte speciale di amare Cristo. E qual è? Vediamo se abbiamo cauterizzato il nostro cuore da ogni altro amore per mantenerlo esclusivamente, totalmente impegnato nell'amore di Cristo. Vediamo se siamo ancora in questa dolcezza, in questa totalità di amore a Cristo. Vediamo se lo amiamo veramente come persona viva, presente, se siamo veramente legati con tutto il cuore a nostro Signore Gesù Cristo. Tutta la nostra iniziazione sacerdotale si è svolta proprio su questo tema: 'Ti amerò con tutta l'anima. È il giorno dell'amore questo. Io sono tuo'. Abbiamo detto questo nel giorno in cui abbiamo ricevuto il sacerdozio. Lo diciamo ogni giorno.

Ma possiamo oggi affermarlo con la stessa dedizione di fedeltà? Forse sì, ma di intensità?

Deboli come siamo, forse no. Facilmente ci lasciamo andare e diventa un'abitudine. L'abitudine ci fa comodo! E le parole che prima commuovevano ed esaltavano il nostro spirito? Si fermano sulle labbra, senza entrare nel vivo della vita, abbiamo tante cose da fare, diciamo.

E così ci siamo concessi più alla vita esteriore che a quella interiore. Dobbiamo essere sempre consapevole e presenti alle cose sacre e divine che si realizzano a mezzo delle nostre mani, della nostra voce. Dovremmo ricordarci che i nostri fedeli vogliono che il loro prete sia santo, sia davvero Gesù tra di noi (Paolo VI, vescovo a Milano)

Possono sembrare parole esigenti, dure, ma se ci pensiamo è proprio quello che i fedeli - Dio stesso - chiedono a noi. La comunità che ci è affidata, è composta da persone che sono consce del bisogno di avere chi le guida nel sentiero della fede.

Siamo davvero buoni pastori, pronti a cercare le pecore che si smarriscono, a dare la vita per trovarle e poi fare festa?

Questa domenica ogni comunità giustamente guarda ai propri pastori, non per criticarli, ma per sostenerli nella preghiera e nella collaborazione. Siamo tutti, preti e vescovi, consapevoli delle nostre debolezze, ma sappiamo anche che i nostri fedeli ci chiedono di essere vere guide in questa vita, in cui tante volte sono circondati da mercenari che li usano per i loro interessi e non si curano del loro vero bene.

Con noi cammina e ci sostiene la potenza stessa di Cristo, che ci ha scelti e chiamati. Non può venir meno la nostra fede; Lui è la nostra Guida, il nostro Maestro, il nostro unico Signore.

E dico alle mamme e ai papà: siate felici se Dio dovesse chiamare qualche vostro figlio ad essere sacerdote. È un dono immenso che vi viene offerto.

Ricordo come mamma, il giorno in cui andai ad annunciarle che la Chiesa mi voleva vescovo, fosse tanto felice, al punto da esprimere la sua infinita gioia con uno schiaffetto, dicendomi: 'Ricordati di essere un buon vescovo!'. Alla mia perplessità sulla chiamata - 'Non so come farò' le dissi - serena mi riprese: 'Perché ti preoccupi? Se Dio ti ha chiamato, saprà come guidarti e sostenerti!'.

E così è stato.

A me non resta che dire un grande Grazie a quanti - e sono davvero moltissimi - Dio mi ha fatto dono di incontrare o di servire. Ho sempre ricevuto tanta stima e gioia ed è giusto che oggi chieda a voi di ringraziare con me Dio, continuando a pregare perché sia sempre per tutti il 'buon pastore' che ci si attende. Grazie di cuore.

 

Antonio Riboldi – Vescovo –

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04/05/2012 21:35
 
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V DOMENICA DI PASQUA

"RIMANETE IN ME E IO IN VOI"

La gentilezza di un uomo tante volte si misura dalla profondità con cui sa tessere i rapporti con chi gli è vicino o incontra casualmente sulla strada della vita.

Rapporti che, non solo diventano poi condivisione in tutto, ma costituiscono salde fondamenta su cui poggiare serenamente un'amicizia. La fiducia, che è essenziale in questo modo di stare insieme o vicino, oltre che un dono, è la forza del rapporto stesso.

Invece l'inconsistenza di un uomo è nella superficialità dei suoi sentimenti. Questi possono, apparentemente, avere manifestazioni chiassose, che sono la 'recitazione' di chissà quale amore, ma di fatto sono effimeri e non vanno al di là delle parole, espressioni di facili effusioni, ma per niente consistenti per porvi la nostra fiducia.

Ci definiamo tante volte 'amici', sperando di poter 'posare il nostro capo sul petto' dell' altro, come fece l'evangelista Giovanni nell'Ultima Cena, con Gesù, ma spesso incontriamo uno spaventoso vuoto, che rivela la misura dei rapporti, la profondità dell'amicizia, che sono solo un girare attorno alla grande e necessaria realtà del vero amore.

Qui, proprio qui, è uno dei grandi dolori che soffrono tanti: sentirsi soli, non abbastanza amati, mancando la profondità della fiducia e condivisione, necessaria come l'aria all'amicizia.

Giovanni, l'apostolo, lui, che era stato 'il discepolo che Gesù amava tanto', scriveva alle prime comunità cristiane: 'Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo nella verità e davanti a Lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da Lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato". (1 Gv. 3, 18-24)

Sono parole chiare, che non dovrebbero avere bisogno di commento. Il comandamento di Dio è che ci dobbiamo voler bene, senza alcuna distinzione o eccezione, verso quanti il Signore ci fa incontrare nella vita o sulla strada. L'amore cristiano non può fermarsi alle parole: queste sono troppo facili da pronunciare e possono illuderci di avere adempiuto il comandamento della vita.

Ma è anche vero che se le parole di amore che si dicono tutti i giorni - forse troppe, tenuto conto che il vero amore ama il silenzio e la gioia di donarsi senza troppo rumore - fossero vere, fossero anche solo una boccata di aria buona, avremmo un mondo senza troppe nuvole, di una serenità primaverile.

La realtà, purtroppo, è spesso diversa: sovrastati dal troppo rumore, le parole d'amore diventano vuote di verità e, soprattutto, prive di gesti concreti di amore ... ed è buio pesto!

'Dobbiamo amare con i fatti e nella verità', questo è il senso o la vera natura della vita - vero dono di Dio: amare tutti senza eccezioni e senza misura, nel silenzio della gratuità.

Sono i momenti in cui si sente la grande forza, davvero dono di Dio, di aprirsi senza riserve. Sono esperienze di vita in pienezza, che non si dimenticano, perché evidenziano qual è la verità della nostra realizzazione e divengono un pungolo per continuare il cammino ...

Una tappa di esso fu, nella mia vita, quando in Sicilia, nel 1968, il Belice fu colpito da un terribile terremoto, che fece piazza pulita di tanti paesi. Ricordo come quella notte, uscendo, dopo essermi salvato per caso (o Provvidenza!) con i miei confratelli, guardando la bella Chiesa Madre, divenuta un disordinato ammasso di rovine, non trovavo parole per esprimere la sofferenza e l'amarezza.

Guardavo il punto dove con tanta cura avevamo ristrutturato il presbiterio e l'altare: era tutto sconnesso, un mucchio di macerie. Quello che mi svegliò da quel momento di dubbio e dolore, fu constatare che là sotto c'era il tabernacolo con le sante ostie: Dio, anche Lui, come noi, era finito sotto le macerie.

Fu un lampo interiore: Dio davvero viveva con noi, partecipava della nostra vita. Con i miei confratelli riuscimmo a 'salvare' il SS.mo in una pisside. Ma come se Lui ci volesse ammonire, subito giunse un giovane, che collaborava con noi, chiedendo il nostro aiuto, perché la sua famiglia, poco lontana, era rimasta intrappolata sotto le macerie. Le nostre incertezze furono dimenticate e subito sostituite dall'amore. Rischiando tanto raggiungemmo la famiglia ferita e, da quel momento, le giornate non conobbero soste, nel cercare di dare un valore al dolore. E la sofferenza si tramutò in gioia: la gioia di Vivere per amare.

Un amore che non si inventa, ma a cui ci eravamo educati nella vita religiosa e nella condivisione con la nostra Comunità parrocchiale. Servire era il modo di amare: non si possedeva più nulla, ma vi era la grande possibilità di donare se stessi agli altri, nel nome di Gesù. Questo fu il senso vero e bello della nostra presenza. Un poco come tante mamme o papà, che nella famiglia trovano la ragione della loro felicità, donandosi ed impegnandosi per la crescita dei figli.

Se togliessimo la bellezza dell'amare, la vita perderebbe ogni ragione d'essere, ogni 'gusto'.

Gesù, nel Vangelo di oggi, ci insegna qual è il fondamento dell' amore vero, sincero, stabile e duraturo, che 'porta frutto': 'Rimanete in Me'.

"Gesù disse ai suoi discepoli: 'Io sono la vera vite e il Padre è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può fare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate frutto e diventiate miei discepoli". (Gv. 15, 1-18)

È davvero necessario il richiamo di Gesù 'a rimanere in Lui e Lui in noi '.

È 1'unica scuola dell'amore, che porta i suoi frutti.

E Dio solo sa quanto oggi sia urgente riportare la gioia dell'amore nelle famiglie, nelle Comunità, ovunque, perché questi diventi il sorriso della vita e del mondo!

Ma dobbiamo voler uscire da un nefasto individualismo, che nulla ha a che fare con la nostra vocazione profonda all'amore: amare ed essere amati.

C'è tanto campo, oggi, per seminare amore: nelle famiglie, nelle comunità, ma anche in tante povertà e solitudini che vivono vicino o lontano. Non abbiamo paura di fare dono del sorriso di Dio, aprendo cuore e mani alle necessità dell'altro, chiunque sia: è la sola nostra nobiltà, come ci è confermato dalle parole sempre attuali del nostro caro Paolo VI.

'La carità esiste. I suoi segni sono, per fortuna, dappertutto: nelle nostre istituzioni di assistenza, nelle nostre case di cura agli infermi, nelle nostre scuole, nella formazione cristiana dei fanciulli, dei giovani all'opera buona, nelle missioni; e se davvero uno spirito di carità suggerisce queste molteplici attività, Cristo vi appare, perché sono cristianesimo vissuto. E anche quando l'intenzione religiosa non fosse palese, ma palese è la bontà dell'azione, come avviene in aiuto alle popolazioni colpite dalle tremende alluvioni, non scorgiamo noi nel sentimento generoso e nel gesto fraterno di tale solidarietà uno stile, un'umanità, che ci dicono essere, almeno in queste nobilissime manifestazioni, tuttora cristiana la nostra civiltà. I «segni» lo dimostrano.

E per noi credenti hanno poi questo di bello simili atti di generosità e di carità, che tutti li possiamo compiere con quello spirito che li trasfigura; tutti abbiamo una certa capacità di fare della nostra Chiesa, a cui abbiamo la fortuna di appartenere un segno; un segno di Cristo; di rendere così presente Cristo nel nostro tempo e nel nostro ambiente. Lo dice il Concilio: «Lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (Gaudium et Spes, 88).

A voi, figli carissimi, l'invito a moltiplicare questi segni di sovrumano valore: ne godrà l'anima che li compie; ne godrà il fratello che li riceve, ne godrà il mondo che li ammira; ne godrà la Chiesa, che si ritrova felicemente di Cristo. (9 novembre 1966).

Antonio Riboldi – Vescovo –
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13/05/2012 08:16
 
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"AMATEVI COME IO VI HO AMATI"

      Diciamolo francamente. senza pudore, con la voglia di sincerità che segue il risveglio da una 'malattia', in cui ci siamo solo preoccupati di appropriarci di quello che ci piaceva, in tutto, facendo del nostro egoismo l'unica legge da seguire, per poi diventare anche giudici impietosi per gli sbagli che altri hanno potuto commettere - e la debolezza in questo senso è davvero grande!

Oggi non sappiamo neanche più provare ripugnanza per tutto il male che si commette e che pare, come fango, sommergere uomini e istituzioni: rischiamo l'assuefazione e non ci rendiamo conto che è questo il vero baratro, non la crisi economica, e, soprattutto, non riflettiamo che questo malessere che ormai viviamo è il frutto di esserci considerati regola dei nostri cattivi comportamenti, ognuno al suo posto e nel suo ruolo, senza eccezioni.

Quando si era più poveri - lo ricordo nella mia infanzia - tutti vivevamo un senso di appartenenza, rispetto all'ambiente in cui si viveva. Nella nostra vita, forte era il senso dell'amicizia e la solitudine non era mai di casa. Sentivamo che non si poteva e non si può vivere senza incontrare o dare amore. Sapevamo di non essere stati creati per l'isolamento, ma eravamo educati ad una realizzazione di sé possibile solo nell'apertura a chi ci era vicino o lontano, all'Altro, al prossimo.

È questa la verità profonda del nostro essere, ecco perché ci commuove e ci stimola a percorrere la stessa strada, scoprire come, ieri ed oggi, vi siano uomini e donne che, stanchi del loro 'solitario benessere', che diventa un carcere invisibile, ad un certo punto lasciano tutto e vanno dove sembra di poter dare qualcosa a chi non ha neanche un poco di affetto.

Ho in mente l'esempio di Follereau che scelse come amici carissimi i lebbrosi. La sua vita era un correre dove si trovavano ed ogni incontro diventava una festa.

Il lebbroso, che poteva stringere la sua mano amica, ritrovava la gioia dell'uomo che riscopre la propria dignità, creato per amare ed essere amato.

È un'esperienza di tutti scoprire, a volte, quanto sia contro natura e faccia soffrire avere anche solo la sensazione che nessuno si 'interessi' a noi.

Quando il Padre ci ha creati, ha fatto a tutti un grande dono, senza eccezioni: la capacità di amare come Lui ci ama e di essere amati. Siamo stati creati per l'Amore, ma lo dimentichiamo troppo spesso e la conseguenza è un vivere come se fossimo 'numeri', 'individui', ognuno preoccupato di raggiungere i propri obiettivi, la propria realizzazione.

Non abbiamo ancora capito che non conta essere importanti, ricchi o poveri, sani o malati, giovani o anziani: quello che ci fa davvero vivere, sentire vivi, è sapere che siamo amati, amando.

Amare è vita che dà vita, ed è quello che tante volte manca ai più.

Questa necessità e natura del vivere amando, è confermata dalla Parola di Gesù, oggi:

"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore.

Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

Voi siete miei amici, se farete quello che io comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché ciò che ho udito dal Padre mio,

l'ho fatto conoscere a voi. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri". (Gv. 15,9-17)

È una dichiarazione stupenda, che esce dal Cuore e dalla bocca di Dio, trasmessa a noi da Lui stesso. L'Amore fa parte ormai della nostra natura e vita.

Non c'è fèlicità più grande che di amare ed essere amati. E non c'è infelicità più tragica di quella di essere soli: è un non vivere, un togliere il respiro al cuore.

Come sarebbe bello, oso dire da discepoli di Gesù, se tra noi vi fosse un continuo ricercare la bellezza dell'Amore, costi quello che costi, per fare tanto spazio a chi ci sta vicino.

Questo non è utopia, non è sogno, non è illusione: è l'unica ragione della nostra esistenza. Afferma la saggezza: 'Non posso vivere senza amare e non posso amare senza vivere'.

È la prima ed unica vera 'regola' della nostra vita; fuori di essa vi è l'autodistruzione.

È la ragione per cui scrivo a voi e che genera la gioia di chiamarvi 'amici' di tutto cuore.

È la regola che S. Giovanni, l'apostolo prediletto di Gesù, oggi, sulle orme del Maestro ci offre:

"Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.

Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore .....

In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". (I Gv. 4, 7-10)

 

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23/05/2012 23:07
 
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Ascensione del Signore (Anno B)


Gesù ascende al cielo dove ci attende

Leggendo il Vangelo, si ha l'impressione che Gesù non voglia lasciare i suoi apostoli, che tanto amava e che presto avrebbe inviato, dopo la Pentecoste, a fare le sue veci tra di noi, con la sua stessa potenza. D'altra parte Gesù aveva condiviso tutta la sua vita con loro, accettandone anche la debolezza, i loro dubbi, le loro contraddizioni - evidenti nel momento più tragico della sua passione e crocifissione.

Li conosceva fino in fondo e li amava totalmente, pur sapendo che erano 'poveri uomini', come noi del resto, animati magari da tanta buona volontà, ma che poi, nel momento della prova, mostriamo tutta la nostra debolezza e davvero poco o nulla possiamo o sappiamo fare senza la Sua Grazia.

Per Gesù, Figlio dell'Uomo, Risorto, era giunto il momento di lasciarli, ma non da soli.

Avrebbe mandato il Suo Spirito, con la Pentecoste, perché potessero continuare la sua opera tra di noi, fino alla fine del mondo, trasformandoli in intrepidi Suoi Apostoli.

Un cambiamento incredibile, che ci lascia esterrefatti, pur sapendo che anche per ciascuno di noi, con la Cresima, tale trasformazione consapevole dovrebbe verificarsi, poiché Dio stesso pone a nostro 'servizio' la Sua Potenza di amore misericordioso.

L'Ascensione è così accennata negli Atti degli Apostoli: "Nel mio primo libro - così inizia S. Luca, riferendosi al suo Vangelo - ho già trattato, Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo avere dato istruzione agli apostoli, che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. (Atti Apostoli 1,1)

Sappiamo che gli Apostoli erano stati scelti per essere testimoni della Resurrezione del Maestro: un Evento talmente straordinario da superare qualsiasi attesa umana, un Evento unico, che contiene ogni certezza e speranza e si pone come pilastro per ogni serenità nostra, sempre incerti sulla ragione del dono della vita, che sentiamo non può finire qui, ma deve avere uno sbocco altro ed oltre.

Che uno di noi muoia, per quanto la sua morte sia eccezionale o sia tale l'uomo stesso che muore, non è certamente un fatto da sconvolgere l'umanità, a meno che si tratti di una persona che si è talmente distinta nella vita, da diventare un punto di riferimento ed un invito ad alzare la testa, come è la vita dei Santi.

Una vita come, per esempio, quella di Papa Giovanni Paolo II.

Ricordo che nei giorni della sua agonia e più ancora il giorno della sua morte, l'intera umanità fu come scossa. Tutti ci sentimmo più orfani, privati di una figura che tracciava, come sanno fare solo i Santi, la vera via della Vita: un padre che dava la certezza che vi è altro, al di là dei dubbi e difficoltà che affollano la vita qui.

Ma diversa la sorte di Gesù. Lui era il Figlio di Dio: un Figlio che ha voluto liberamente, fino in fondo, 'sporcarsi le mani' nella fragilità e nella debolezza di noi, povere creature.

Una fragilità che sembrò avesse letteralmente stritolato Gesù con la passione e la crocifissione. Davvero Gesù, sulla croce, era l'immagine di tante nostre impotenze e dunque quale stupore avrebbe potuto esserci?

Ma poi venne annunciata la ragione di quella fine ingloriosa: l'Evento che davvero cambiava la storia dell'intera umanità e dovrebbe cambiare la nostra stessa esistenza, la Sua e nostra Resurrezione.

Ecco allora che davvero possiamo lasciarci pervadere, dopo il dubbio e l'incredulità, dalla meraviglia, dallo stupore, dalla fiducia e dalla gioia.

Lo stesso cammino che, dopo la Resurrezione, per 40 giorni, gli Apostoli compiono con Gesù, che si concede loro, per accompagnarli alla comunione piena con Lui. Sono giorni in cui è evidente che Egli voglia mostrare loro, ed a noi, che la vita ha sì una fase di passaggio su questa terra, come fu per Lui, con momenti di gioia e profondi momenti di dolore, ma tutto per aprire la porta al divino, a cui siamo chiamati, per sempre.

Noi, purtroppo, siamo troppo abituati a fermarci al 'ritaglio di vita' quaggiù, e poche volte ci fermiamo a contemplare il nostro vero destino, alzando gli occhi al Cielo, che si stende all'infinito, come due braccia aperte, che attendono di accoglierci, e, non sapendo 'vedere i cieli aperti' ci lasciamo confondere dal buio senza futuro di questa nostra misera terra.

Questo bisogno di Cielo è il forte desiderio che sento ogni volta mi reco a Lourdes, al momento serale della processione con le candele. Si vive davvero l'impressione di una moltitudine che aspira ad ascendere al Cielo, che avverte nel profondo del proprio essere, come la vera Patria da abitare per sempre, in una gioia senza fine, senza più le fatiche di qui, sia proprio il Cielo.

È il mandato che Gesù lascia ai Suoi e quindi a tutti noi:

"In quel tempo Gesù apparve agli Undici e disse loro: 'Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e se berranno qualche veleno non recherà loro alcun danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno.

Il Signore, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme a loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano". (Mc, 16, 15-20)

È il mandato che la Chiesa dà a vescovi, sacerdoti, religiosi e ad ogni uomo o donna che è di Cristo, perché risvegliamo la sonnolenza di tanti che vivono qui, senza neppure sapere dove vanno e scegliendo a volte sentieri che portano da nessuna parte.

Ma mi chiedo:

si può vivere serenamente senza la nostalgia del Cielo e di una vita senza fine vicino a Dio?

Che senso può avere una vita che ponga la sua attenzione solo in questa esperienza quaggiù, senza un futuro oltre?

La solennità dell'Ascensione dovrebbe scuoterci tutti sul vero senso che Dio ha 'sognato' per la nostra vita, ossia un breve 'soggiorno' quaggiù, in attesa vigile ed amorosa dello Sposo - come le 'vergini prudenti' del Vangelo, con la lampada accesa della fede e non come 'le stolte' che si fanno trovare impreparate al Suo arrivo e sentono da Lui pronunciare le terribili parole: 'Non vi conosco '. Vivere attendendo il giorno del nostro ritorno al Padre è la vera saggezza, la conferma della nostra fede, la vera realizzazione della nostra esistenza.

Scriveva Paolo VI:

'Viviamo della speranza di Gesù che, salendo al Cielo, ci ha dischiuso nell'anima. Essa ci darà miglior senso di questa vita presente, essa ci libererà dall'incombente ossessione del materialismo organizzato, opprimente castigo a se stesso!

Ci inviterà a sopportare i dolori del nostro viaggio terreno e infonderà premura e amore per beneficare i nostri simili!

Ci conserverà nella libertà dello spirito che l'orizzonte puramente temporale tenta di restringere e soffocare.

Ci farà solerti a rinnovare anche in questo orizzonte della vita le tracce dell'eterna Luce e a fare risaltare la bellezza e la dignità nascosta.

Ci ammonirà, finalmente, a considerare questo nostro soggiorno terreno come una veglia laboriosa e amorosa, sostenuta dalla preghiera, che vince il sonno della materia e della morte, in attesa dell'incontro e del ritorno di Lui, Gesù, che è la nostra Pace e la nostra Vita". (maggio 1958)

Antonio Riboldi – Vescovo –
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24/05/2012 13:39
 
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Pentecoste (Anno B)

 

Lo Spirito Santo scende in noi

 

 

È necessario riaccendere il Fuoco dell'Amore. C'è un passo di estrema importanza per la nostra vita cristiana, nella lettera di S. Paolo, che scrive ai cristiani di Corinto: "Fratelli, nessuno può dire 'Gesù è il mio Signore' se non sotto l'azione dello Spirito Santo". (I Cor. 12, 3) e, nella stessa lettera, subito fa seguire l'elenco dei doni, i carismi, che altro non sono che la potenza dello Spirito nella vita di ciascuno: "Ad ognuno, afferma Paolo, è data una manifestazione particolare dello Spirito, per l'utilità comune e in realtà tutti noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo Corpo e ci siamo abbeverati ad un solo Spirito".

Se guardiamo, con sguardo contemplativo, alla vita di tanti nostri fratelli e sorelle, di ogni tempo, non possiamo non notare l'incredibile diversità di carismi: ognuno di essi ha saputo esplicitare un dono speciale dello Spirito e tutti insieme creano una sinfonia unica e completa, permettendo a Cristo di continuare la Sua 'incarnazione' nella storia: una varietà che distingue la fede e la vita cristiana di ciascuno, ma creando un unico meraviglioso arcobaleno. Davvero, come siamo irripetibili nel fisico, così lo siamo nei carismi o capacità. È incredibile come lo Spirito si adegua o 'si serve' di ciascuno di noi per manifestare i Suoi doni a tutta l'umanità.

Basterebbe per un attimo pensare ai tanti grandi santi, così simili nell'amore a Dio e ai fratelli eppure così diversi nel loro sentire e operare: l'azione ferma e dolce di S. Francesco di Sales o il lavoro intriso di preghiera di S. Benedetto, la profondità di Paolo VI o la missionarietà di Giovanni

'-

Paolo II, S. Teresa d'Avila, la grande riformatrice, o S. Teresina del Bambino Gesù, la piccola anima, e l'elenco è infinito.

Come basterebbe pensare per un attimo alle tante congregazioni religiose o movimenti laicali: nessuno è uguale all'altro ed ognuno ha il suo proprio carisma, cioè una peculiare manifestazione dell'unico Spirito.

Ma, soprattutto, è stupore e meraviglia, diventare consapevoli di come ognuno, vivendo dove Dio lo pone, seguendo la chiamata alla santità, in ogni forma di vita, manifesta la sua appartenenza a Cristo nella 'diversità' di santità: davvero l'universo dei credenti non è una massa uniforme, ma un firmamento, con miriadi di stelle, ognuna rilucente di luce diversa, ma tutte che cantano la stessa Gloria di Dio: nella diversità, unico è il concerto di lode che la Chiesa, Corpo di Cristo, eleva al Padre nello Spirito.

E l'inizio di questo 'canto vitale' della Chiesa è proprio il giorno di Pentecoste. Così lo raccontano gli Atti degli Apostoli:

"Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso un rombo dal cielo come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio". (At. 2, 1-11)

Solo un miracolo poteva cambiare il cuore degli apostoli. Essi, pur avendo visto Gesù risorto e la sua gloriosa ascensione al cielo, continuavano ad avere paura e si sentivano incapaci di compiere quanto il Maestro aveva loro chiesto. Il miracolo avviene con l'effusione dello Spirito, confermando le promesse di Gesù, e il loro cuore è trasformato in profondità.

È l'inizio di quella Chiesa che, dopo oltre duemila anni, continua la Sua azione ai nostri giorni.

Lo possiamo quasi toccare con mano, se viviamo una fede attiva, che consente di vedere le opere di Dio. Quante volte, nel corso dei secoli, come oggi, si è manifestata l'azione dello Spirito nella vita di tanti fratelli e sorelle, dei quali si poteva dire: 'E' davvero ispirato, dice parole e compie opere che sfuggono alla nostra natura debole.'

Pensiamo al coraggio incredibile dei martiri - quanti anche oggi in tante parti del mondo offrono la vita per la difesa della propria fede cristiana! - che andavano incontro alla morte con il volto di chi non conosce paura, al punto da lasciare attoniti gli stessi carnefici.

Ma non occorre pensare solo ai martiri. È sufficiente la testimonianza quotidiana di tanti cristiani, fratelli che ci vivono accanto; forse noi stessi ci siamo stupiti a volte nel trovare parole 'ispirate', senza neppure saperci spiegare come avessimo potuto esprimerle. Tutti, credo, ne abbiamo fatto esperienza. Forse diamo davvero troppa poca importanza allo Spirito Santo, che è venuto tra noi e in ciascuno di noi, il giorno della S. Cresima, e nella fedeltà, che è divina, continua ad operare in noi ed attraverso di noi, nonostante le nostre incoerenze, distrazioni e povertà.

Purtroppo tante volte ci si accosta a questo grande sacramento, con una preparazione insufficiente, più preoccupati della festa esteriore che consapevoli del grande Dono che si riceve.

Ho tentato, come parroco e come vescovo, di cercare le strade per rendere più matura e viva tale consapevolezza, ma quando poi i cresimandi arrivano impreparati, diventa davvero difficile fare della S. Cresima il punto di partenza di una vita veramente cristiana.

Occorre educare alla vita come cammino spirituale sin dai primi passi, nella famiglia, poiché la vita di fede, per crescere, esige una continua educazione.

Solo così il giorno della nostra Cresima può davvero diventare una consapevolezza piena di essere noi stessi 'tempio dello Spirito", l'Ospite divino che attende solo il nostro sì per manifestare la Sua Presenza.

Facciamo dunque memoria dei momenti fondamentali in cui lo Spirito è sceso su di noi, poiché è già venuto, anche se forse a causa della nostra povertà lo abbiamo di fatto ignorato, come fosse il grande Assente, impedendoGli così di realizzare nella nostra vita 'le meraviglie di Dio'.

Il giorno del nostro battesimo il celebrante ci ha segnato la fronte con l'Olio santo, segno della prima venuta in noi dello Spirito Santo. Quando ormai eravamo in grado di dire un sì libero a Dio e quindi capaci di conformarci a Cristo nella Sua Chiesa, con la Cresima, il vescovo ha steso la sua mano sul nostro capo, invocando lo Spirito Santo, e ha unto la nostra fronte come segno di appartenenza e consacrazione a Dio.

Si è realizzata una 'nuova creazione " poiché lo Spirito Santo è l'Amore in persona!

È Lui che ci abilita ad amare. In forza dello Spirito Santo le caratteristiche tipiche del modo di amare di Gesù diventano anche nostre ed una nuova energia ci pervade.

Come dichiara S. Paolo: 'Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé ... perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito".(Gal. 5, 24-25)

Rafforziamo dunque la nostra fede, la nostra speranza, la carità.

Lo Spirito compie miracoli che non siamo neppure in grado di pensare: dobbiamo solo fidarci di Lui e lasciargli spazio nella nostra vita, affinché possa manifestarsi.

Questo solo desidera e, quindi, con il cuore, invochiamoLo:

"Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo, un raggio della tua luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni Luce dei cuori. Consolatore perfetto, Ospite dolce dell'anima, dolcissimo Sollievo. Nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto.

O Luce beatissima, invadi nell'intimo, il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua Forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te confidano, i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna."

 Antonio Riboldi – Vescovo

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01/06/2012 06:42
 
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Santissima Trinità (Anno B)

 

Solennità della SS.ma TRINITÀ

 

 

Mi ha sempre fatto impressione visitare gli orfanotrofi o incontrare bambini che non hanno conosciuto i genitori o hanno dovuto lasciare mamma o papà ... e sono tanti oggi, causa il male delle separazioni e del divorzio. Bambini che vanno e vengono, come pacchi postali, un tempo con mamma, un tempo con papà e, magari relativi compagni.

Ricordo di aver incontrato in aereo, alcuni anni fa, un bambino. Era seduto vicino a me e, quando gli chiesi come mai era in viaggio da solo, mi rispose: 'Papà e mamma si sono divisi e io vado un po' con l'uno e un po' con l'altro; ogni volta, sia l'uno che l'altro mi coccolano e mi danno soldi ... così posso sfruttarli'. Ma poi si mise a piangere: 'Dico sempre che non m'importa, ma è brutto, forse sarebbe meglio che non ci fossi!'

Parole dure, ma che esprimono tragicamente che cosa vuol dire essere figli senza fissa dimora. Ed improvvisamente mi chiese: 'Tu li hai avuti mamma e papà? Sempre?'.

Per grazia di Dio ho avuto dei genitori che sono stati la base della mia formazione umana e spirituale, colonne sicure di riferimento in tutte le mie scelte.

In generale non è così per coloro che sono stati privati di una presenza così significativa per la loro crescita. L'esperienza conferma che, facendoci loro vicini e offrendo loro un minimo di tenerezza o di attenzione, si affezionano subito, si 'attaccano' - ed è naturale - come a cercare di riappropriarsi di un aspetto importante della vita, perché non avere mamma e papà o vederli divisi, li fa sentire incompleti, diversi: una diversità o incompletezza che segna profondamente il loro modo di vivere ed agire.

Ricordo un'altra situazione, in cui fui preso alla sprovvista dalla domanda di un bambino: 'Come è un papà?'. Mi fissava negli occhi, come a cercare nel profondo dello sguardo una risposta, che intuiva, ma le labbra non sapevano esprimere.

Avendo avuto una famiglia unita, educatrice e maestra di vita, mi sentii a disagio e non risposi subito. Quel piccolo capì e mi chiese a bruciapelo, forse notando la mia espressione di tenerezza verso di lui: 'Tu saresti contento di essere il mio papà?'. 'Con tutto il cuore' fu la risposta, che fece brillare un sorriso grande, come una luce dopo il buio. Quel bambino mi venne a trovare tante volte e sempre, con il sorriso, mi chiamava 'papà'.

Oggi solennità della SS. Trinità, l'apostolo Paolo così scrive:

"Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.

E voi non avete ricevuto uno spirito di schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo 'Abbà! Padre!'

Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. e se siamo figli siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare alla sua gloria". (Romani 8, 14-17)

E, dalla prima lettura, così "Mosé parlò al popolo dicendo: “Interroga pur i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra e da un'estremità all'altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu, e che rimanesse vivo? ...

Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n'è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre”. (Dt 4,32-34)

Viene spontaneo chiederci: Qual è la ragione per cui Dio ha tanto interesse per le sue creature, per noi, per ciascuno di noi? Che abbiamo di tanto prezioso da meritarci tanto amore, che non ha confini e chiede solo di essere riamato?

La ragione è proprio nel nostre essere Sue creature, a cui Dio - a differenza di tutti gli altri esseri viventi - ha voluto fare dono della Sua stessa Vita, rendendoci, per natura, Suoi figli. E tra padre e figlio si condivide tutto: siamo eredi della Sua pienezza e felicità.

Basterebbe riflettere sulla parabola del figlio prodigo, per divenire consapevoli di tutta la cura che il Signore ha verso di noi e di quanto ci ha donato e continua a donarci ogni giorno della vita, nonostante tutto. E ci si sente commossi al pensiero di quanto ha deciso, per Amore e nell' Amore, per riaverci figli con Lui, per sempre: ha mandato Suo Figlio, il Verbo di Dio, Gesù, tra di noi, come uno di noi, a indicarci con la vita e con la parola Chi è il nostro Dio, un Padre misericordioso, e come vivere per raggiungerLo in Cielo. Non solo, ma per abbattere il muro che ci separava da Lui, il Figlio ha donato Se stesso fino alla morte in croce, per renderci partecipi della Sua resurrezione, nello Spirito.

Nel Battesimo noi rinasciamo come figli.

Solo un Dio che ci ama all'infinito, poiché è Egli stesso l'Amore. poteva donarci Tutto se stesso. Siamo figli del Padre celeste, fratelli adottivi di Gesù, guidati dallo Spirito, che abita in noi, per diventare coeredi dei beni eterni.

Se solo ci fermassimo un solo attimo, con fede, a contemplare l'Amore Trinitario che ci avvolge, la nostra vita non potrebbe restare la stessa: un senso di pienezza e di gioia, di commozione e forza ci invaderebbe.

Il Padre continua attraverso un numero infinito di 'segni' ad indicarci la via per arrivare a Lui.

È pronto a cancellare i nostri peccati nel sacramento della Penitenza, se trova in noi uno spirito di conversione e riconciliazione: ci purifica e'ricrea' ogni volta, per poter continuare nel cammino di santità verso di Lui. Quante volte ci perdona! 'Non sette volte, ma settanta volte sette!' ha detto Gesù.

Il Figlio, Gesù, addirittura sceglie di stare con noi nell'Eucarestia, Pane di vita, per nutrirci e sostenerci nelle fatiche: troppo spesso accostato con poca fede e troppo spesso solo nel tabernacolo, senza poter dialogare con noi, che purtroppo non troviamo tempo per Lui.

E perché noi possiamo non sentirci mai soli, con la Cresima ci ha donato il Suo stesso Spirito, che è forza e consolazione, Presenza sempre viva ed efficace, Guida sicura se solo Lo invochiamo: non solo ci suggerisce quello che dobbiamo fare, ma, ispirandoci, ci dona la forza per realizzarlo. Insomma, un Dio, Uno e Trino, che ci è vicino continuamente, mettendo a nostra disposizione tutto Se stesso, che è 1'Amore fedele ed eterno.

Per questo oggi abbiamo più di una ragione per fare festa, sapendo che non siamo mai soli, non siamo 'orfani': solo che lo vogliamo e desideriamo Dio ci fa sentire l'amore infinito che ha per noi, poiché siamo davvero, Suoi figli, ora e per sempre, e Lui ha cura di ciascuno di noi, fino al giorno in cui parteciperemo definitivamente della Sua Vita, che è Amore.

"A tanti cristiani - diceva Paolo VI - forse a noi stessi, è rivolto un interrogativo che sa di rimprovero, perché la nostra vita spirituale non è un soliloquio, una chiusura dell'anima in se stessa, ma un dialogo, una ineffabile conversazione, una Presenza di Dio da non ricercare più nel Cielo, né fuori, né solo nelle chiese, ma in se stessi.

Quanta gioia! Quanta energia! Quanta speranza si sprigiona dall'abbandonarsi a questo abbraccio interiore di Dio alle anime devote, veramente fedeli!".

Non resta che riscoprire la nostra vocazione e grandezza di figli di Dio e viverla, non solo, ma donarla a chi ci è vicino. Nel mondo di oggi se ne ha tanto bisogno, perché, forse per ignoranza, gli uomini si sentono orfani e non sanno a chi rivolgersi per dare alla vita quella gioia che solo in Dio può essere trovata e completa: un Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto proteso verso la Sua creatura, a cui desideri solo donare Se stesso, l'Amore.

Ascoltiamo, con la mente e il cuore, nella fede attiva, le parole di Gesù, oggi, confidando totalmente in Lui, che, se solo ci abbandoniamo, potrà operare in modo straordinario attraverso di noi, per il bene nostro e dei fratelli:

"Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.

ANDATE dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.

Ecco, Io SONO CON VOI TUTTI I GIORNI, FINO ALLA FINE DEL MONDO". (Mt. 18, 16-20)

 

Antonio Riboldi – Vescovo 

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07/06/2012 15:42
 
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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B)

 

Solennità del CORPUS DOMINI

 

 

Dobbiamo prendere atto che la Solennità del Corpus Domini, un tempo celebrata anche con uno splendido apparato esterno, oggi, per varie ragioni, è vissuta in tono minore, almeno in molte comunità. Si adducono motivi di ordine pubblico, come il traffico da limitare, o altri più o meno validi, ma di fatto si mette in secondo piano la bellezza di vedere ed onorare Gesù che 'passa' per le nostre strade, e viene annullata la possibilità di manifestare pienamente il nostro grande Grazie al nostro Dio, rimasto tra di noi.

Era commovente - per chi crede, naturalmente - e lo è ancora oggi nei pochi luoghi dove accade, vedere passare Gesù nelle vie delle nostre città o paesi, quasi a voler visitare di persona i luoghi dove scorre la nostra vita quotidiana. Era ed è un modo - che ci colma di pace - per mostrare all'Amico Gesù dove viviamo, soffriamo o gioiamo. Di fronte ad alcune resistenze, mi diceva un giorno un vigile, quasi a scusarsi e scusare: 'Che vuole? La gente sopporta malvolentieri quello che viene percepito come un disturbo. Abbiamo tutti sempre tanta fretta e vorremmo che le nostre strade fossero sempre libere!'

Salvo poi bloccare il traffico - risposi - per aprire lo spazio al passaggio di una qualche celebrità, che così può esibire la sua importanza, suscitando ammirazione o invidia, e niente altro. Ben diverso dal passaggio per le nostre strade di Gesù-Eucaristia, che davvero dà la percezione viva, per chi crede, di Dio che passa per le nostre strade e respira le nostre ansie.

E' una fotografia del nostro tempo che non meriterebbe alcuna attenzione se sotto non contenesse una tremenda verità: il popolo cristiano ha scordato o appannato il meraviglioso, sublime dono che Dio fa di Sé a ciascuno di noi, con il sacramento dell' Eucarestia, facendosi non solo Amico della nostra vita, ma accompagnandoci 'concretamente' in ogni nostro passo, se solo Lo accogliamo.

Dio poteva mai farci dono più grande del Dono di Sé, nell'Eucarestia?

Ogni volta che nella celebrazione della Santa Messa, noi sacerdoti, con l'autorità donataci, proclamiamo le parole della Consacrazione, realizziamo il più grande miracolo, che solo la mente di un Dio Amore poteva pensare: Dio che ci dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento. Difficile esprimere quello che si prova, almeno per noi sacerdoti, quando pronunciamo, come fossimo Lui stesso: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete questo è il calice del mio sangue. Ogni volta farete questo, fatelo in memoria di Me".

Stupore, meraviglia, confusione, a volte viene spontanea la preghiera: “Signore. aumenta la mia fede!” tanto è grande il Mistero.

Sentimenti ed emozioni che proviamo anche quando doniamo Gesù-Eucarestia ai fedeli.

Ho visto sacerdoti, consci dell'immensità del dono, che al momento della Consacrazione elevavano al Cielo l'Ostia o il Calice, quasi fermandosi stupiti davanti a tale miracoloso Mistero, e fedeli, davvero santi, che al momento della Consacrazione o nel ricevere l'Eucarestia, assumevano un aspetto estatico, di una tale gioia da non poterla descrivere: credenti che vivono l'Eucarestia come momento di Paradiso, consapevoli che è immenso il Dono che Dio ci fa.

E vengono in mente le parole di Gesù: "Io sono il pane della vita. chi mangia di Me vivrà di Me". Una verità non sempre compresa, come avvenne il giorno in cui per la prima volta Gesù parlò dell'Eucarestia. Narra il Vangelo che tanta gente, non riuscendo a capire, forse credendola una follia, perse la fiducia in Gesù e se ne andò. Non lo seguirono più. Gesù provò una grande amarezza, al punto che disse ai Suoi: "Ve ne volete andare anche voi?".

Fu una manifestazione di fede e fiducia quella di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”.

Come spiegare allora il comportamento di tanti fratelli e sorelle che vedono la Santa Messa come un 'obbligo' e la Santa Comunione come qualcosa 'di cui si può fare a meno"; non importante?

Basta constatare la frequenza molto bassa alla Messa festiva e che dire di quelli che considerano 'una esagerazione comunicarsi ogni giorno'?

Ho avuto la grazia di nascere in una famiglia in cui l'Eucarestia era il punto di forza; mamma, nonostante i tanti figli, la povertà, fin da giovane, ogni mattina, si recava a cibarsi dell'Eucarestia.

A volte con grande sacrificio, ma 'che senso avrebbe la mia vita, l'essere vostra mamma ­affermava spesso - se non avessi cura di nutrirmi di Gesù ogni giorno. Lui e solo Lui è la ragione della mia vita e il sostegno al mio amore per voi'. Morì a 99 anni, ma fino alla fine chiese di poter ricevere l'Eucarestia. Direi che è passata a Dio con Gesù nel cuore e in bocca.

Quanti fratelli ho conosciuto che non lasciavano passare un giorno senza Lui, il Pane della Vita, che li confermava nell'unico vero significato della vita, sostenendo li nel cammino, a volte davvero difficile, dell' esistenza.

Ricordiamo sempre il grande Dono che Gesù ci ha fatto nell'Ultima Cena, per rassicurare gli Apostoli - e noi - che Lui non ci abbandona mai, è 'con noi fìno alla fìne dei tempi' nell'Eucarestia. Racconta l'evangelista Marco:

"Gesù, mentre mangiavano, prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò, lo diede loro dicendo: 'Prendete questo è il mio corpo'. Poi prese il calice, rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti, e disse: 'Questo è il calice del mio sangue, della nuova alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vita fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio". (Mc. 14,22-26)

Tante volte mi chiedo la ragione della scarsa devozione all'Eucarestia. Nella notte del 1968, un terribile terremoto, a Santa Ninfa, nel Belice, distrusse tutto, compresa la Chiesa Madre. Guardavo all'altare rovinato e come sbriciolato sotto le macerie. Il mio pensiero era che fine avesse fatto il tabernacolo e la pisside, che conteneva Gesù, nelle Ostie consacrate. Con i miei confratelli, nonostante il pericolo, cercammo di individuare il luogo dove era sepolta la pisside. Facendoci coraggio, nel buio, con una torcia, passando sulle macerie, finalmente la trovammo. Era finita sotto una grande pietra. Con fatica ed attenzione riuscimmo ad estrarla. Era stata schiacciata dal peso ed estraendo le Ostie, notammo che anch'esse si erano come sbriciolate. Lo percepii come un messaggio di Gesù, che ci diceva che Lui non ci aveva lasciati soli, ma partecipava alla nostra sofferenza: incredibile Amore!

Quello stesso anno, il giorno della Solennità del Corpus Domini, nel 1968, Paolo VI affermava:

"Che cosa vuol dire il rito insolito e solenne che stiamo vivendo nella processione del Corpus Domini? Noi togliamo dal segreto silenzio dei nostri tabernacoli Dio, per dire anche ai fedeli credenti, che possono accedere al grande Sacramento dell'Eucarestia, di scuotere certa nostra abituale consuetudine davanti al fatto dell'Eucarestia. Misterioso fin che si vuole, ma reale, vicino, presente, urgente, per un nostro più cordiale incontro con quel Gesù che mediante questo sacramento si dona, diventa in noi vita nuova."

Per uno che veramente crede a questo immenso Amore, che vuole partecipare realmente alla nostra vita, l'Eucarestia è il grande fulcro della sua vita interiore.

Ma saremo ancora capaci, davanti a tanta indifferenza da cui siamo circondati, di abbattere il muro che ci tiene lontani dal Dono che Dio ci fa nell'Eucarestia?

Facciamo nostro il canto della Chiesa, oggi:

"Ecco il Pane degli Angeli, Pane dei pellegrini, vero Pane dei figli!

Non deve essere gettato. Buon Pastore, Pane vero, o Gesù, pietà di noi! Nutrici e difendici. Portaci ai beni eterni nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e puoi, che ci unisci sulla terra,

conduci i tuoi fratelli alla tavola del Cielo, nella gioia dei tuoi Santi".

 

Antonio Riboldi – Vescovo 

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23/06/2012 08:43
 
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Natività di San Giovanni Battista

 

Solennità della natività di San Giovanni Battista

 

 

La Chiesa oggi, giustamente, sottolinea la grandezza di Giovanni Battista: l'uomo, scelto da Dio, per annunciare la novità del tempo che si stava preparando. Dopo il peccato originale non c'era più posto per noi presso Dio. I nostri progenitori avevano ceduto alla tentazione del serpente, ossia di fare a meno di Dio e sentirsi i soli ed unici protagonisti della vita. La vita non era più una risposta di amore a Dio, occasione incredibile di conoscere la bellezza di essere amati.

A rompere il dialogo di amore tra l'uomo e il Padre era bastato prospettare la possibilità di fare a meno di Dio, convinti di poterci sostituire a Lui, realizzandoci da soli, in una libertà che tale non è. Tutti sappiamo come è andata a finire. Continua ad accadere questo dramma, quando la superbia dell'uomo prevale in lui, illudendolo di essere 'il centro del mondo', svincolato da ogni relazione con Dio. Ed ecco che allora, come oggi, si finisce per 'sentirsi nudi', tanto da essere spinti istintivamente a nascondersi, soli ed angosciati interiormente, privi ormai della stessa ragione per cui siamo stati creati, incapaci di amare e lasciarsi amare, che è l'unica sorgente della vera felicità e grande sogno del Padre, che non vuole sudditi, ma creature che rispondono al suo dono nella libertà dell'amore: questa è la prova, ieri ed oggi, che ogni essere umano deve affrontare.

Messi alla prova, i nostri progenitori, di fronte alle proposte del demonio, preferirono una impossibile gloria e felicità senza Dio. Ma, nonostante l'uomo - ogni uomo, noi compresi - sia spesso così insipiente ed insensato, Dio, l'Amore fedele, non può rinunciare a volere il bene delle creature nate dal Suo stesso Amore. Ci sono voluti tanti, ma tanti secoli, per ritessere il dialogo con l'uomo, e quindi preparare il terreno al ritorno del Padre tra noi e, soprattutto, di noi con Lui. Giovanni Battista è il grande profeta, l'ultimo, che annuncia l'incredibile evento di Dio, che torna tra noi: 'Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo' dirà a tutti.

Egli annuncia l'imminente venuta di Gesù, il Figlio di Dio, che ha donato la vita per la nostra rinascita a figli.

Così nella sua I lettera l'apostolo Pietro annuncia questa attesa:

"Carissimi, voi amate Gesù Cristo pur senza averlo visto, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede, la salvezza delle anime. Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata: essi cercavano di sapere quale momento o quale circostanza indicasse lo Spirito che era in loro, quando predicava le sofferenze destinate a Cristo e la gloria che le avrebbe seguite. A loro ha rivelato che, non per se stessi, ma per voi, erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal Cristo, cose alle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo". ( I Pt. 1, 8-12)

Anche oggi, nella storia della Chiesa, Dio continua a donare tanti profeti: non predicono il futuro, come fu per Giovanni Battista, ma annunciano la Presenza tra di noi di Dio, che gli uomini stentano a riconoscere.

Giovanni, si legge nel Vangelo, preparò la sua missione, vivendo nel deserto, dove si fa silenzio sulle vicende terrene della vita, per creare lo spazio alla viva voce e ai disegni che Dio ha - anche oggi - per l'umanità. Forse pensiamo troppo poco che ogni cristiano nel Battesimo riceve il dono della fede e della profezia. Ma occorre radicare tale dono nella ricerca continua, nella serietà e umiltà, che è la vera esigenza per viverlo in pienezza.

Quando diciamo che il mondo è materialista, altro non facciamo che affermare come l'uomo sia chiuso al suo ruolo di profeta. Annunciare la fede è spesso ridare a tutti noi la vera ragione della vita, quella che Dio ha pensato e voluto, creandoci.

Per grazia di Dio, anche oggi, in questo tempo di materialismo, accartocciato nel qui ed ora, chiuso ad ogni prospettiva di vero futuro, che, ripeto, è la sola ragione della vita, ci sono stati e continuano ad esserci tanti profeti, che non si lasciano catturare dalle mode passeggere o dal pensiero relativistico del mondo, ma sanno guardare ed indicare l'oltre.

Basterebbe ricordare la decisione profetica di Giovanni XXIII che, considerato dai più solo un Papa di transizione, quando nessuno se lo aspettava, ebbe l'ispirazione di annunciare la nascita di quel grande evento che fu il Concilio Vaticano II.

Una svolta incredibile, in cui lo Spirito seppe dare il vero volto all'umanità, per il futuro ... e noi siamo figli di quella profezia.

O ricordiamo il grande Paolo VI, vero 'traghettatore' del Concilio, che incontrò tanti contrasti quando prospettava dottrine come la difesa di chi nasce. Ma quella 'profezia', oggi di grande attualità, ha veramente impresso un nuovo volto alla procreazione.

O, se vogliamo, la mente e il cuore tornano al grande Giovanni Paolo II, che fece della vita una continua profezia, dando voce a tutte le virtù che ogni uomo dovrebbe coltivare per raggiungere la pienezza in Cristo, fino alla fine. Chi non ricorda, in Sicilia, il suo grido contro lo strapotere della mafia, un comando: 'Non uccidete!', e la sua difesa, in ogni parte del mondo, dei più deboli.

Tanti sono stati i veri grandi del nostro tempo, dalla fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, a don Giussani, e tanti altri.

Ci sono poi tanti cristiani semplici, ma di profonda fede, che quando parlano - forse senza neppure rendersene conto - danno alle parole il senso della profezia. Tra questi dovremmo esserci anche noi, semplicemente mettendo in disparte le chiacchiere senza contenuto, che hanno il sapore del chiasso, per fare spazio a parole o a volte anche solo con la condotta che rimandano ad altro.

Basta avere un occhio spirituale, per accorgersi che la profezia non è morta, ma vive tra noi.

Il Vangelo di oggi ci mostra l'origine davvero divina del Battista, come narra l'evangelista Luca:

"Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo, vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre Zaccaria. Ma sua madre intervenne: 'No, si chiamerà Giovanni'. Le dissero: 'Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome'. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: 'Giovanni è il suo nome'.

Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di queste cose. Tutti coloro che le udivano le custodivano in cuor loro dicendo: 'Che sarà mai di questo bambino?'. E davvero la mano di Dio era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione ad Israele". (Lc. 1,57-68)

È sempre sorprendente come Dio sappia scegliere i Suoi.

È lo stile di Dio, quello di donare uomini disponibili a compiere i progetti di bene per l'umanità. E Giovanni Battista fu uno di questi.

Ma se ci guardiamo attorno, nel passato e nel presente, certamente troveremo persone che hanno saputo manifestare l'amore che Dio ha per noi e indirizzarci nel compiere la Sua volontà.

È questa la grazia più grande: il dono vero della profezia. Questo dobbiamo diventare gli uni per gli altri, educando noi stessi a essere dono di verità e di amore.

Lo possono essere tanti genitori per i figli, ma lo dobbiamo diventare tutti noi, ciascuno di noi, là dove il Signore ci ha posto, cogliendo le buone occasioni per accostare fratelli e sorelle, e, senza bombardarli con il chiasso delle parole vuote, ma con la discrezione delle parole rare e pesate, che nascono dal silenzio del cuore, ricche dunque di amore e verità, o semplicemente con gesti sinceri e solidali, sostenerli, confortarli, rafforzarli nel cammino in Dio, verso il Regno.

Questa è la grazia della profezia, che a ciascuno è stata affidata come dono nel Battesimo. Diventiamone consapevoli e facciamo in modo che non resti infruttuosa.

 Antonio Riboldi – Vescovo

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30/06/2012 07:15
 
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XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Necessità e bellezza della carità

 

 

La Chiesa Madre di Gerusalemme, già dai suoi inizi, per le sue tante difficoltà, venne a trovarsi in grandi ristrettezze economiche. Aveva bisogno dell'aiuto delle Chiese sorelle, che in quegli anni erano sorte in tanti luoghi per la forza dello Spirito Santo che operava negli Apostoli.

Ed allora l'apostolo Paolo prende l'iniziativa di farsi voce delle sofferenze dei fratelli e sollecita una condivisione. La sua sollecitudine è descritta in una lettera ai Corinzi:

"Fratelli - scrive - come voi vi segnalate in ogni cosa, nella fede come nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero. Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca la loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca la vostra indigenza e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno." (II Cor. 8, 7)

Offre, questa raccomandazione, lo spunto per una riflessione sulla qualità della nostra carità. Sappiamo dagli Atti degli Apostoli come all'inizio vi fosse una comunione di beni al punto che chi possedeva donava e nessuno era in difficoltà. Un comportamento difficile forse da imitare, ma un esempio in cui specchiare il nostro atteggiamento verso i fratelli, almeno quelli che sono più vicini a noi. Se diamo uno sguardo all'umanità è evidente che c'è chi vive in un'abbondanza che, agli occhi del Padre, diventa richiamo alla carità, diversamente ciò che si ha può essere grave mancanza verso chi non possiede nulla. Si resta pensierosi, almeno noi qui in occidente, davanti al solo pensiero che milioni di persone, mentre noi abbiamo il necessario e molto di più (nonostante la crisi!) altri sono costretti ogni giorno a combattere contro la fame, di cui muoiono.

In tutta la storia delle nostre Chiese, credo, non siamo ancora riusciti a dire parole che esprimano con tanto coraggio lo spirito di comunione, come con delicatezza e forza ha fatto S. Paolo, scrivendo ai fratelli di Corinto.

Forse ogni tanto bisbigliamo calcolate raccomandazioni di essere generosi nella nostra partecipazione alle povertà dei fratelli, pur avendo sotto gli occhi un quadro spaventoso di tante Chiese sorelle in difficoltà nel mondo. Ed è una situazione che non si ferma ai casi drammatici e clamorosi delle Chiese che vivono ai margini della morte per fame, per le persecuzioni e distruzioni, ma si allarga anche alle nostre Comunità in Italia, in cui risalta una diversità, a volte scandalosa. Basta considerare i pochi secondi che i mezzi di comunicazione danno ogni giorno alle sacche di povertà che esistono tra di noi. La nostra è davvero una civiltà basata sulla giustizia, che ha come riferimento l'amore per tutti? Nessuno, utopisticamente, può pensare sia realizzabile una società in cui tutti siano uguali, per quanto riguarda la situazione economica - naturalmente è diverso il discorso riguardo la dignità e i diritti della persona, che uguali devono essere in una società civile - Purtroppo da un punto di vista economico ci saranno sempre famiglie che hanno più del necessario e possono permettersi tanto lusso, che mortifica la giustizia e, nello stesso tempo, aumenta lo stato di necessità di tanti. Non c'è bisogno di tante parole: basta guardarsi attorno per vedere e notare le grandi differenze sociali, soprattutto oggi, in tempo di crisi. Ecco dunque l'urgenza della verità: se la proprietà è un diritto, questa non deve cancellare la carità. Più si è nel benessere, più amore e solidarietà deve esserci verso chi non ha.

"Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa - scrive Paolo VI - come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano e con quali prove tragiche ed oscure! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso del possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio e del suo fine prossimo che è il fratello da amare, da servire dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, cioè dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere.

Noi ci fermeremo all'elogio della povertà in spirito che purifica la Chiesa dal superfluo, insegna a rifuggire dal mettere il cuore e la fiducia nei beni di questo mondo! Ritrae il cristiano da ogni ruberia e disonesta amministrazione e da ogni illegale affarismo ed abitua a fraternizzare con persone di livello sociale inferiore". ( 2 Ottobre 1968)

Credo sia davvero una necessità, oggi, tornare a vivere quella semplicità e sobrietà di vita che fa spazio nel cuore ai veri beni che contano davanti a Dio e agli uomini.

Ma ci sarà consapevolezza, in questa società, dell'urgenza dello spirito di povertà?

Nel Vangelo di oggi, l'evangelista Marco ci mostra Gesù nella pienezza della Sua missione tra di noi: una missione caratterizzata di povertà di spirito che diviene totale disponibilità e carità verso l'altro. "In quel tempo, Gesù, essendo passato di nuovo all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. "Si recò da Lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: 'La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva'. Gesù si recò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 'Se riuscirò a toccare il suo mantello, sarò guarita'. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era stata guarita. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da Lui, si voltò alla folla dicendo: 'Chi mi ha toccato il mantello?'. I discepoli gli dissero: 'Tu vedi la folla che si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?'. Egli intanto guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne e gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: 'Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male'.

Mentre avviene il miracolo della donna e Gesù sta parlando con lei "dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: 'Tua figlia è morta, perché disturbi il Maestro?'. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: 'Non temere, continua ad avere fede! E non permise a nessuno di seguirLo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato disse loro: 'Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, dorme'.

Ed essi lo deridevano. Ma egli cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: 'Fanciulla, ti dico: alzati!'. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare: aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare". (Mc. 5, 21-43)

Da un lato ci si stupisce della profonda fede di chi va da Gesù: una fede totale, del cuore, forse difficile per noi che a volte crediamo di essere ascoltati per le nostre tante parole, più che per la nostra reale fede. Dall'altra commuove la carità di Gesù, Dio, a cui basta la fiducia senza limiti, nel profondo del cuore, di chi sa affidarsi a Lui, come la donna guarita, per venirci incontro e guarirci.

Attorno a noi - se abbiamo la capacità di leggere le tante difficoltà e problemi nascosti - c'è tanta gente che ha come sola voce la sofferenza e cerca chi doni anche un lume di speranza o qualcuno pronto a condividere. Dovremmo tutti avere la fiducia e umiltà della donna del Vangelo, il coraggio e la convinzione di Giairo, per poter diventare portatori di speranza, ma molte volte siamo talmente presi dal nostro io, che non sappiamo vedere chi sta vicino a noi, per affidarlo al Maestro.

Ricordo una notte di Natale, dopo la S. Messa di mezzanotte, nella grande chiesa assiepata, mi accorsi, tornando in sacrestia, di una giovane nell'angolo di una cappella. Ci voleva poco a capire che era vittima di una grande sofferenza, che nessuno vedeva. Mi fermai, mi avvicinai e le dissi semplicemente: 'Coraggio! Gesù è nato anche per te. Io vedo il tuo dolore, ma so che Lui consola.

Il giorno dopo, quella giovane venne a trovarmi e mi disse: 'Questa notte lei mi ha ridato l'amore alla vita. Mi ha fatto sentire che non si è mai del tutto soli. Ho capito l'Amore di Dio che facendosi uomo si è fatto vicino a me e ho ritrovato la serenità' .

Quanto bene può fare la carità che entra nella vita di chi soffre! Che Dio ci faccia capaci di avere un cuore grande e libero, capace di 'vedere', accogliere ed essere solidale con tutti.

 

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05/07/2012 17:11
 
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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Oggi, necessità di profeti!

 

 

"Abbiamo bisogno, oggi, - mi diceva un uomo - di profeti che ci scuotano dalla nostra pigrizia nella fede. Abbiamo bisogno che ci sia chi, con la Parola di Dio, che a volte è scomoda, ci mostri la verità della vita, grande dono di Dio.

Ma perché questa necessità sia soddisfatta, abbiamo bisogno di una Chiesa che si faccia più vicina a tutti, risvegliandoci dal nostro pericoloso sonno, grazie alla Parola, che non lascia mai il tempo che trova, ma penetra nelle profondità, magari fino a farci arrabbiare, perché contrasta il nostro modo di pensare e di vivere”.

Ed ha mille ragioni questo mio interlocutore.

È davvero impensabile che si possa conoscere la Bellezza della Verità, e quindi di Dio, che si è rivelato in Gesù, senza farci illuminare dalla Parola, che Lui comunica, dalla Parola che Cristo è, Lui, 'Verbo eterno di Dio', che ci scuote nelle fondamenta del nostro stesso esistere.

Afferma il profeta Ezechiele:

"In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: 'Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: 'Dice il Signore Dio'. Ascoltino o non ascoltino perché sono una genia di ribelli -sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro" (Ez. 2, 2-5)

Non è possibile avere una fede solida senza la conoscenza della Parola di Dio.

E' incredibile che Dio si sia fatto Via, Verità e Vita, stando tra di noi, come a tracciare la strada della vita verso di Lui. È chiaro che il linguaggio di Dio non ha nulla a che fare con il nostro, che tante volte è vuoto di verità, di senso e diventa il segno e la causa del nostro stesso malessere.

Dio, invece, parlando fa luce dentro di noi, sempre se Lo si ascolta.

Questo lo ha capito molto bene la Chiesa, Suo Corpo Mistico, che oggi, non solo ci offre la Parola di Dio all'interno della celebrazione eucaristica, ma ha pensato a tanti modi di ascolto della Parola. Credo che tanti di noi avranno provato grande meraviglia, quando il cardinal Martini, vescovo a Milano, accoglieva tanti in Duomo, per la Scuola della Parola.

Credo di avere attraversato tutta l'Italia, invitato ad annunciare la Parola.

Spesso si manifestava una grande attesa e la voglia di uscire dalla nebbia della fede, per entrare nella Luce. Mi si chiedeva, quasi come un dono, di continuare a parlare di Gesù, e si creava un clima di serenità, di dialogo e condivisione.

Ma non era sempre così. Ho anche incontrato difficoltà, a volte semplicemente perché alcuni, ­magari pochissimi, ma agguerriti - non erano disposti ad accettare la verità di Dio.

A volte la Parola, soprattutto quando è annunciata in una comunità dominata dalla criminalità, diventa una sfida che può costare la vita.

Ma in ogni caso, quella di fare conoscere la Parola di Dio è una necessità che non è solo di noi ministri, ma di ciascun cristiano verso gli altri e, soprattutto, nelle stesse proprie famiglie, in cui il materialismo vuole spegnere la Parola, che invece dovrebbe essere la guida per il consolidamento e la formazione di relazioni sempre più umanamente vere e profondamente, coraggiosamente cristiane.

Genera tanta tristezza quando si vede come nella famiglia siano spalancate le porte a tutte le forme di evasione e ci sia ben poco che giovi alla formazione dello spirito.

Affermava Paolo VI in una sua omelia:

"La Chiesa è per sua natura apostolica, cioè missionaria: vogliamo dire sempre attiva ed impegnata nella fatica di diffondere il suo messaggio di salvezza. La sua concezione della vita e quella del mondo, il suo Vangelo. Che cosa fa dunque la Chiesa? È chiaro: parla, predica, insinua, diffonde e proclama la dottrina di Cristo. Predica tutto ciò che le è stato confidato all'orecchio. La Chiesa, dove è viva, dove è fedele al mandato di Cristo, ha una prima e indispensabile attività: quella dell'annuncio della Parola divina. La fede - dice S. Paolo - deriva dall'ascolto. La catechesi è il suo primo dovere. Del resto la liturgia della Parola precede quella eucaristica. La Chiesa è l'eco continua, autorevole degli insegnamenti del Signore. la Chiesa è un apostolato, è una 'propagazione della fede'. La Chiesa ha confermato l'imperativo degli Apostoli: 'Non possiamo tacere fino al sacrificio'. E che cosa sono i martiri, se non predicatori, testimoni del Vangelo con il sangue?".

(luglio 1966)

È quello che insegna il Vangelo di oggi:

"Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, cominciò ad insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltandolo, rimanevano stupiti e dicevano: 'Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?'. E si scandalizzavano di lui ....

Ma Gesù disse loro: 'Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua'. E non poté operare nessun prodigio, ma solo impose le sue mani a pochi ammalati e li guarì e si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava intorno per i villaggi insegnando".

(Mc. 6, 1-6)

E noi siamo tra coloro che 'si scandalizzano' di fronte a chi ha il coraggio di vivere il Vangelo o siamo capaci o abbiamo almeno il desiderio di essere anche noi missionari della Parola, dove viviamo e operiamo, con la semplicità e l'amore del Vangelo?

Ricordiamocelo sempre: se attorno a noi e forse in noi c'è tanta ignoranza sul valore della vita, dipende proprio dalla mancanza di conoscenza della Parola di Dio.

Dobbiamo ritornare a leggerla con la mente, meditarla con il cuore, accoglierla come 'seme' nella nostra vita, lasciando che vi operi e ci trasformi.

Ho conosciuto un grande uomo, molto noto. In aereo, vicino a me, leggeva il Vangelo e mi disse: 'E' il pane della mia vita. Diversamente avrei l'impressione di vivere nel vuoto, che è simile alla morte interiore' .

Da parte mia ringrazio davvero il Signore che mi ha donato la luce della Sua Parola, che è per me pace di vita, per poi poterla trasmettere a tanti.

Gioisco ogni domenica, nella celebrazione eucaristica, nel vedere il profondo ascolto della Parola e poi la gioia di chi partecipa.

Non abbiate paura di accostarvi alla Parola di Dio, che ci fa conoscere il Cuore del Padre.

Mi fu di grande esempio, da giovane chierico presso i Padri Rosminiani, il mio Padre Generale.

Nei momenti di riposo, passeggiava nello stupendo parco, sempre con un libricino tra le mani. Essendo lui un grande filosofo, guardavo a quel libricino, immaginando chissà che cosa.

Un giorno mi feci forza e gli chiesi la natura di quel misterioso libricino, da cui era evidente che lui attingesse tanto sapere e saggezza.

Sorrise e porgendomelo disse: 'E' il più bel libro per la vita dell'umanità: è il Vangelo'.

 

Antonio Riboldi – Vescovo

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13/07/2012 13:24
 
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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Va’, profetizza il mio popolo

 

 

C'è, nell'Antico Testamento, una figura destinata a turbare i sonni tranquilli degli uomini: quei sonni che non sono mai basati sulla verità, che non concede mai respiro nella sua ricerca, ma sono frutto di menzogne o ipocrisie, in cui ci si adagia come in un nido, senza pensare che questa condizione è la nostra vera rovina, non solo spirituale.

Noi, che lo vogliamo o no, abbiamo bisogno di verità, che è il dono che Dio ci fa ed è il vero senso, la bellezza e la natura della nostra esistenza. Dio, che ama l'uomo, vuole a tutti i costi ­dirci che è la ragione stessa della nostra creazione - la nostra salvezza, nella verità del nostro essere creature volute a Sua immagine e somiglianza.

È per questo che il Padre ha mandato il Figlio Gesù, il Verbo o Parola vivente.

Gesù, ieri come oggi, con la sua parola, con la sua stessa vita, che è Parola, contesta in continuità queste mortali cosiddette nostre sicurezze, che tali non sono senza di Lui, e crea parole, fatti, che sono la conferma della volontà del Padre. Non solo, ma sempre continua a scegliere e mandare uomini destinati a scuotere le coscienze, la stessa coscienza dell'umanità intera, senza mai preoccuparsi della inevitabile reazione: il continuo scontro tra ignoranza e ipocrisia, che generano malessere o peggio, e la limpida Verità e Conoscenza, i cui frutti sono pace e fiducia.

Del resto, per essere efficace e svegliare l'umanità dal suo torpore nella verità, che è la sola guida dell'uomo, molto meglio una terribile reazione, che perlomeno fa rendere conto del pericolo che si corre, che una quiete simile ad un torpore, da cui c'è il grave rischio di non sapersi risvegliare più. Basta guardare a tanti che vivono accanto a noi ed incontriamo ogni giorno, per capire cosa voglia dire incanalare la vita sulle onde del mondo, senza alcuna guida interiore verso la verità.

Ma mi chiedo: si può essere sereni, se siamo onesti, vivendo senza la guida della Verità della vita, che viene dalla Parola di Dio? Credo proprio di no.

Se si è onesti verso se stessi e ci si sa guardare dentro, in profondità, dobbiamo ammettere che tante volte sentiamo il vuoto, il non senso del vivere, quando non siamo guidati dalla Parola del Verbo.

Ma non è facile anche avere il coraggio di conoscere ed offrire ai nostri fratelli la bellezza e la luce della Parola e così rischiamo di assumere l'atteggiamento del profeta Amos:

In quei giorni, Amasia, sacerdote di Betel, disse ad Amos: 'Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda: là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempo del regno'. Amos rispose ad Amasia e disse: Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va "profetizza al mio popolo, Israele''. (Amos 7, 12-15)

Uno stupendo esempio di come Dio liberamente sceglie e manda e della grande responsabilità del chiamato nel manifestare chi il Signore è per noi e noi per Lui. Sappiamo tutti o dovremmo saperlo che per Dio la nostra vita, Suo dono, deve avere a cuore la sorte dei fratelli.

In ogni tempo, ma soprattutto oggi, la nostra gente ha urgente bisogno di una nuova nostra missionarietà, perché è vero che siamo battezzati e quindi divenuti a pieno titolo figli dell'Altissimo, ma non sempre Lo conosciamo davvero, desiderando fare la Sua volontà, vivendo una relazione personale con Lui, che si scopre solo nell'ascolto della Sua Parola.

Gesù, il Maestro, o meglio ancora la Voce del Padre, che ci ha donato la Sua Parola, il Vangelo, vivendo tra di noi, dietro a volte le scarne note di cronaca, ha smontato le false nostre sicurezze, comprese quelle di una fede che si credeva sicura, ed altre volte come una sferzata faceva e fa a brandelli la maschera che scribi e farisei - e lo siamo un po' tutti - avevano indossato.

È arrivato a suscitare persino un tale odio che lo porterà alla crocifissione.

Ma Gesù si preoccupa solo che la Voce del Padre, Luce che guida gli uomini alla verità della vita, - quanto importante per ognuno di noi! - arrivi al loro, nostro, cuore e divenga liberazione.

Ma ci viene da chiedere: conosciamo davvero la Parola di Dio o almeno, quando andiamo alla S. Messa, sappiamo ascoltarla, ricordarla e fame indicazione sicura per la nostra vita?

Se siamo attenti, ogni volta che leggiamo o sentiamo con fede la Parola di Dio, essa penetra nel nostro essere: diviene luce e forza che cambia il nostro stile di vita, troppe volte avvolto da una fitta nebbia, che ha bisogno di essere spazzata via.

Da qui la missione che Gesù affida ai Dodici:

"In quel tempo Gesù chiamò i Dodici ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio, né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa, ma calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: 'Entrati in una casa, rimanetevi finché ve ne andate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno, andandovene scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi a testimonianza per loro'. E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano".(Mc. 6, 7-13)

Fino a poco tempo fa, si aveva quasi la certezza che tutto fosse chiaro, almeno per i grandi valori della vita, valori che avevano la loro origine nell'ascolto del Vangelo.

Chi avrebbe osato discutere per esempio il valore della famiglia? O del dono della vita? o i valori dell'onestà e della legalità o addirittura la bellezza della fede che dà dignità e volo all'uomo?

Oggi invece si ha l'impressione che tutto sia relativizzato, messo in discussione, a volte per chiarire, a volte per cancellare, magari sostituendo per comodità i valori con i capricci del momento, che esaltano solo l'egoismo.

Ma non si oscura il valore dell'uomo, in cui si nasconde il grande e gratuito amore di Dio, senza poi pagare un duro prezzo: lo vediamo nella disgregazione delle famiglie, nelle relazioni, della società, dove si fa sempre più spazio a ciò che rende l'uomo una cosa di poco conto, al punto che tante volte si ha persino timore che ogni speranza si stia spegnendo, proprio quando ne abbiamo bisogno come l'aria che respiriamo.

Nonostante tutto, non venga mai meno la nostra fiducia: Dio sa trarre il bene anche dai nostri mali, sa approfittare anche dei nostri momenti di smarrimento per farsi vicino e dare le risposte che cerchiamo. C'è tanto spazio ancora nella vita per tornare a sperare e a dare speranza. Crediamolo e sentiamoci invitati, noi stessi, a portare la Parola di vera speranza, la Parola di Dio.

Ancora una volta facciamoci guidare da Paolo VI che dice:

"La Chiesa comincia con l' evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza, vissuta e partecipata, comunità d'amore ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio, immerso nel mondo, spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentire proclamare le grandi opere di Dio che l'hanno convertita al Signore, e di essere nuovamente convocata e riunita da Lui. Ciò vuol dire il bisogno di essere sempre evangelizzata, se vuole conservare freschezza, slancio e forza per annunziare a sua volta il Vangelo" (dicembre 1977)

E' difficile, se non impossibile, crescere nella vita cristiana senza la luce del Vangelo.

Come sarebbe bello ed efficace, vero dono dello Spirito, che le nostre famiglie assumessero l'aspetto di 'piccola chiesa domestica', che cresce con l'aiuto della Parola!

È il dono che prego per voi, per chi mi legge: lo Spirito Santo illumini e fortifichi le vostre famiglie attraverso la Parola di Dio letta, pregata e meditata.

 

Antonio Riboldi – Vescovo

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21/07/2012 09:31
 
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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Venite in disparte e riposatevi un poco

 

 

Sia la lettura del profeta Geremia che il Vangelo, oggi pongono al centro della riflessione noi pastori. È, la nostra presenza nella Chiesa e nel mondo, una presenza a volte accettata, a volte discussa, a volte rifiutata. Sappiamo che essere pastori non è una scelta della persona, ma è una scelta di Dio. E' incredibile quanto sia grande responsabilità 'essere Cristo' nella Sua potenza misericordiosa, nella proclamazione della Sua Parola, ancor più nell'amministrazione dei Sacramenti, che sono azione diretta del Suo Spirito. Grande impegno di vita guidare i fedeli che la volontà di Dio ci affida!

Non è facile essere interpreti di questa grande vocazione, non è facile mettersi nei panni di Gesù, indicando le vie della salvezza e donando la Sua Grazia nei Sacramenti, a cominciare dall'Eucarestia. Ogni pastore, parroco o vescovo, non fa lui la scelta del gregge che deve pascere: è nell'obbedienza al proprio vescovo o superiore che si accolgono nella fede coloro che ci vengono affidati. E non sempre si trova subito accoglienza o fedeli che con fede ti attendono.

Ma, superate a volte le prime incertezze, i fedeli comprendono se possono affidarsi ad un pastore che vuole avere cura di loro, nel Nome di Cristo, Buon Pastore, pronto a dare la vita, come Lui, o se hanno di fronte un semplice amministratore di sacramenti, senza quella passione che sente spiritualmente il vero pastore.

Il profeta Geremia, oggi, ha parole durissime per questi pastori, che male interpretano la loro vocazione. Così afferma: Guai ai pastori che fanno perire o disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore." (Ger. 23, 1-5)

Dio non solo affida a ciascun pastore i fedeli da guidare, ma esige quella passione di amore che sola è capace di entrare nel cuore delle persone e creare fiducia.

Sono ormai più di 50 anni che sono pastore della Chiesa con voi, che mi seguite, ma mi piace ricordare fatiche e gioie che ho incontrato, per poter lodare e ringraziare Colui che mi ha chiamato e guidato e per rinfrancare, con la mia testimonianza, coloro che ancora operano in prima linea: il Signore, chiamandoci, ci chiede solo quello che già ci ha donato e non ci lascia mai soli!

Ero convinto che nel mio Istituto sarei stato scelto per l'apostolato nell'insegnamento, ma la Provvidenza aveva altro in mente. Essendosi creata una situazione difficile in una parrocchia in Sicilia, S. Ninfa, a seguito dell'abbandono del parroco, il vescovo di Mazara chiese al mio Padre Generale di coprire quel vuoto nella Chiesa e nella Comunità, ormai quasi deserte, salvo qualche persona anziana, poche, che alla domenica seguivano la Messa. E lì fui inviato come parroco con altri due confratelli. Sapevamo e sentivamo che attorno a noi c'era diffidenza, tanta diffidenza. Accettammo in silenzio e rimanemmo in attesa, offrendo la nostra presenza e il nostro affetto. Lentamente la gente recuperò fiducia e sia pure con tanta difficoltà la Comunità ritrovò la sua bellezza, tanto che dopo nove anni venne il vescovo di Mazara e, vedendo la folla che assiepava la Chiesa, disse: 'Non avrei mai creduto che questa parrocchia, che per me era una dolorosa spina, sarebbe diventata bella come un giardino'. Non passò un mese da questo incontro e, nel gennaio 1968, venne il tristemente famoso terremoto del Belice, rase letteralmente al suolo, sbriciolandoli, decine di paesi con centinaia di vittime. E così la Chiesa, ossia i fedeli, divennero una comunità in strada a cui dover infondere nuova fiducia e tanto coraggio. Poi i mesi in tenda e gli anni in baracca ... Non fu facile essere voce della Comunità, nel cammino del dopo terremoto, verso la ricostruzione. Si doveva dare speranza e gridare per richiamare alla responsabilità tutte le Istituzioni. Credo che alcuni dei miei lettori ricorderanno 'La Marcia dei fanciulli delle elementari' che fecero visita a Roma alle massime cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica ai vari Presidenti del Parlamento, fino a Paolo VI, che accogliendoci con amore paterno ci disse: 'Sarò il vostro avvocato'.

Quando dopo 20 anni di Belice, la Comunità aveva ritrovato la sua bellezza, l'obbedienza mi chiese di tornare in alta Italia, ma la Provvidenza manifestò un diverso progetto attraverso la volontà dello stesso Paolo VI che mi chiese di essere vescovo, affidandomi la diocesi di Acerra.

Mancava di vescovo residenziale da ben 12 anni e quindi era una diocesi in cui ogni parroco si sentiva vescovo! Mancava l'anima e la guida della comunità nel suo insieme. Fui accolto con una passione che aveva dell'incredibile, ma ci volle tanta pazienza e amore, anzitutto nel creare con i sacerdoti una vera comunità ecclesiale. Poi ci rivolgemmo ai laici e con i Convegni annuali, che duravano tre giorni, veramente prese volto e gioia la Diocesi, come Comunità. Fin dall'inizio il vero problema era una presenza, sul territorio, che intimoriva, rendendo incapaci di credere nel futuro: la criminalità organizzata, che impediva ogni voglia di libertà nel crescere. E iniziò quella lotta che molti credo conoscono. Il libretto-guida, che fu nelle mani di tutti, era 'Per amore del mio popolo non tacerò'. Mi costò un aperto scontro, la tutela dello Stato, che mi seguiva ovunque, privandomi seppur per necessità e salvaguardia mia - della bellezza della libertà di movimento: un grande peso, che cercavo di non fare pesare sulla Comunità. Ma era tanta la stima che si era acquistata la Diocesi che in soli due anni la Santa Chiesa scelse due miei carissimi e bravi collaboratori, che vennero eletti all'episcopato. Quale grande dono!

Alla fine del mio mandato e in questo tempo di riposo pare sentire quanto Gesù dice ai SUOI Apostoli: "In quel tempo - racconta l'evangelista Marco - gli Apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Egli disse loro: 'Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco'. Infatti era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti li videro partire e capirono e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose".

(Mc 6, 30-34)

Viene in mente la grande figura del Curato d'Ars che dava tutto il tempo alle folle che lo cercavano. Passò la vita nel donare la Parola di Gesù, il Suo Perdono misericordioso, con una semplicità disarmante, confessando. Non c'era spazio per se stesso. Si lasciò letteralmente mangiare dalle folle che accorrevano a lui da ogni parte d'Europa.

Un poco come succedeva - seppur in forme diverse - al grande Giovanni Paolo II, che aveva scelto il mondo, come luogo di annuncio della Parola.

Siamo davvero fortunati anche solo constatando come Dio si fa presente nei suoi pastori, con figure che, dove passano, lasciano il segno della presenza di Gesù. L'umanità ha bisogno di pastori che trasmettano la Presenza e Potenza misericordiosa dell'Amore di Dio verso ciascuno di noi.

Ma proprio perché uomini, anche i pastori possono sbagliare - e quanto sono gravi, in questi casi le conseguenze! Non resta dunque che pregare perché Dio, che continua a chiamare e scegliere, trovi pastori dalla fede e dal cuore grande, veri Suoi testimoni, perché abbiamo bisogno di 'vedere' nei sacerdoti la presenza di Gesù che, per mezzo loro, continua a camminare con noi e tra noi.

Così prega il salmista:

"Su pascoli erbosi, il Signore mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca 1'anima mia.

Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo Nome.

Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

Mi danno sicurezza". (Salmo 22)

 

Antonio Riboldi – Vescovo

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28/07/2012 07:45
 
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Omelia del giorno 29 Luglio 2012

 XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Una realtà di cui si parla poco: la fame

 

 Sappiamo tutti come anche nei Paesi dove fino a poco tempo fa regnava il benessere, oggi per le varie crisi economiche, che hanno colpito anche le Nazioni occidentali, si è fatta strada la fame.

Può sembrare assurdo che anche fra di noi ci sia chi patisce la fame, ma è così.

In tante Diocesi e parrocchie la Caritas sta allestendo iniziative per andare incontro a chi in tanti modi sta vivendo situazione di vero disagio sociale.

Possono apparire piccole misure, ma è sempre meglio che nulla.

Che dire poi dei Paesi dove la fame da sempre è di casa e ha causato e causa la morte di tanti, ogni giorno? Basterebbe leggere quello che qualche volta si affaccia nei servizi TV o nelle cronache, ma soprattutto nelle varie riviste missionarie.

È incredibile che intere popolazioni possano morire di fame, quando sappiamo tutti che se ci fosse una giustizia distributiva delle ricchezze o anche solo se ciascuno di noi si facesse carico della carità che sa vedere ed aiutare chi ha fame, questo non succederebbe, poiché le risorse della terra, se ben gestite, possono sfamare tutti ...

Do la parola a Paolo VI che, nell'enciclica 'Populorum progressio' del 1967 già così scriveva:

"Se un fratello e una sorella sono nudi, dice S. Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace e scaldatevi, senza dar loro quel che è necessario al loro corpo, a che servirebbe?'. Oggi nessuno lo può ignorare, sopra interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentate dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in tenera età e la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri restano compromessi, e che regioni intere sono per questo condannate al più cupo avvilimento.

Appelli angosciati sono già risuonati. Quello di Giovanni XXIII è stato calorosamente accolto. Noi stessi lo abbiamo reiterato nel giorno del Santo Natale 1963 e poi in favore dell'India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata dall'Organizzazione Internazionale della FAO e incoraggiata dalla Santa Sede è stata generosamente accolta. La nostra Caritas internazionale è dappertutto all'opera e numerosi cattolici, sotto l'impulso dei nostri fratelli dell'Episcopato, si danno e si prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di quanti riconoscono come loro fratelli. Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli investimenti privati e pubblici, i doni e i prestiti concessi. Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. La lotta contro la miseria più urgente è necessaria, ma è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusione di razza, religione, nazionalità possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata. Un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa mettersi alla mensa del ricco. Ciò esige molta generosità, sacrifici e sforzo incessante.

È necessario che ciascuno esamini la sua coscienza che ha una voce nuova nella nostra epoca".

È vero che l'attuale economia in difficili condizioni impone a tutti una maggiore coscienza nel dare alla vita un aspetto di semplicità e sobrietà, che era la ricchezza d'animo di un tempo, ma è proprio questa nuova consapevolezza e urgenza di semplicità che deve fare spazio alla generosità e quindi alla carità.

Sappiamo tutti come il mondo, il consumismo, ogni giorno e con ogni mezzo, cerchi di catturarci, come un controvangelo. Questa battaglia del consumismo altro non ha fatto che rendere sempre più poveri i poveri e più ricchi i ricchi.

Ma sappiamo anche, se siamo onesti con noi stessi e ne abbiamo fatto qualche volta l'esperienza, che la semplicità può fare piazza pulita dell'ingombro del superfluo, donando la serenità di sentirsi liberi dalla schiavitù del 'tutto e subito' e del 'sempre di più'.

Il consumismo accumula cose, ma svuota della gioia il cuore. Quella gioia che nasce quando alla sobrietà si aggiunge una generosa carità verso chi proprio non ce la fa.

'C'è più gioia nel dare che nel ricevere', questa è la verità bella della vita e lo sa bene chi sa aprirsi alle necessità dei fratelli.

Tante volte mi rifugio nella mia infanzia, per attingere alla sorgente di valori duraturi che l'abitavano, nonostante la ricchezza della famiglia fosse una povertà davvero oggi sconosciuta.

I vestiti di papà, una volta usati, venivano da mamma adattati in modo magistrale per noi, tanto da sembrare nuovi. Non solo, ma in famiglia, sgombra dal consumismo, vi era tanto, ma tanto posto per l'amore, la preghiera, soprattutto per una crescita umana e spirituale, forgiata sui veri valori della vita. Si diventava adulti con la povertà e grazie alla povertà di cose ... a differenza di tanti ragazzi e giovani di oggi che crescono nell' abbondanza di cose, da cui a volte rischiano di essere sommersi, conoscendo poi una sterilità interiore che li fa soffrire.

Non sono le cose a renderci felici, ma i valori interiori.

Il Vangelo ci offre un meraviglioso esempio della compassione che Gesù aveva per chi lo seguiva, indifferente al cibo e disposto ad andare incontro alla fame per seguirLo e nutrirsi della Sua Parola. Racconta Giovanni, l'evangelista:

"Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: 'Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?'. Diceva questo per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: 'Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo'.

Gli disse allora Andrea, fratello di Simon Pietro: 'C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente?'.

Rispose Gesù: 'Fateli sedere'. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto, cominciò a dire: 'Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!'. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo". (Gv, 6, 1-15)

Un vero esempio di come la carità non è un modo di farsi strada: sarebbe tradirne la natura.

La carità deve sempre mettere in primo piano chi amiamo e mai un voler farsi strada per apparire. Affermava il grande ed indimenticabile Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso:

"Quando si è animati dalla carità di Cristo, ci si sente tutti uniti e si avvertono come propri bisogni, le sofferenze, le gioie altrui. Conseguentemente l'operare di ciascuno non può risultarne che disinteressato, più vigoroso, più umano, perché la carità è paziente, è benefica, non cerca il proprio interesse, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra del godimento della verità: tutto opera, tutto sopporta".

Meditando questo vangelo della carità ho sempre davanti agli occhi la grandezza di Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto il dono di conoscerla, tenendo con lei delle conferenze.

Tutto in lei appariva umiltà e profondo amore, rivelazione delle grandi opere di Dio. Standole vicini ci si sentiva davvero spiritualmente piccoli, ma era impossibile sfuggirne il fascino.

Dovremmo tutti avere almeno un poco dello stile della carità: umile e silenziosa, amorevole e generosa, capace di fare gustare a chi soffre la gioia dell' amore.

 Antonio Riboldi – Vescovo

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11/08/2012 08:13
 
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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Io sono il Pane della vita

 

 

Risulta difficile per chi ascoltava Gesù, che annunciava l'Eucarestia, il dono più grande che si può fare a chi si vuol bene. Un bene che non si ferma alla superficialità delle parole o all'esteriorità materiale, ma entra a far parte della nostra vita, proprio come un pezzo di pane per il corpo.

Davanti a questo dono che Dio fa di se stesso, si dovrebbe davvero provare grande gioia e gratitudine.

Gesù non è solo vicino a noi, come un amico carissimo, ma va oltre ogni nostra comprensione, divenendo carne della nostra carne. Un dono che ha dell'incredibile, per questo troppo pochi lo comprendono.

Eppure se riflettiamo un momento, anche nel linguaggio di chi vuole bene totalmente, come la mamma nei confronti del figlio, l'amore esprime ciò che l'Eucarestia realizza: 'Ti mangerei!', ossia ti farei parte della mia vita.

Un amore completo, questo, non superficiale, ma che si fa 'una cosa sola con l'amato'.

Confesso che ogni volta che celebro la S. Messa mi sorprendo sempre, gioiosamente, nel pronunciare le stesse parole di Gesù, quando offrì ai suoi l'Eucarestia: 'Questo è il mio corpo ... questo è il mio sangue ... Fate questo in memoria di me': memoria che non è solo ricordo, ma realizzazione nel presente.

Gesù non solo offre un dono divino, di essere una cosa sola con Lui, ricevendolo nella Santa Comunione, ma addirittura si fa cibo per la vita eterna.

Sono tanti gli anni che celebro: dall'ordinazione nel giugno del 1951 !

Anche dopo il terremoto nella valle del Belice, che aveva distrutto tutto, case e chiese, non ho mai mancato di celebrare la S. Messa, in un campo o sotto una fragile tenda, che lasciava scorrere l'acqua, al punto che ci voleva qualcuno che riparasse l'altare e me con l'ombrello. Ma l'Eucarestia era la mia, la nostra forza.

Aveva ragione mamma, che da ragazzo voleva che facessi la Comunione ogni giorno prima di andare a scuola. 'Caro Antonio, la Comunione è Dio che entra nella tua vita, un nutrimento che supera tutto. La Comunione è Gesù che si fa tua vita e di Lui abbiamo bisogno', ripeteva spesso.

Ma sono davvero tanti coloro che attribuiscono all'Eucarestia, e quindi alla Comunione con Gesù, il dono incomparabile che è?

Tante volte mi chiedo la ragione per cui alcuni, pur partecipando alla Santa Messa, non mangiano di quel Pane celeste. Credo che tanti non abbiano ancora compreso fino in fondo il Dono di Gesù, come accadde quando lo annunciò.

In parte ce lo conferma il Vangelo di oggi.

"In quel tempo i Giudei mormoravano di Lui perché aveva detto: 'Io sono il pane disceso dal Cielo'. E dicevano: 'Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Io sono disceso dal Cielo?'

Gesù rispose: 'Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti. 'E tutti saranno ammaestrati da Dio'. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me.

Io sono il pane della vita. I vostri Padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna". (Gv. 6, 41-52)

Sembra chiaro il discorso di Gesù, ma occorre capire fino in fondo che cosa significa per Lui 'farsi pane' per diventare partecipe del nostro cammino spirituale.

Tutti sappiamo come non sia facile camminare verso Dio, anche se è l'unico senso che ha la nostra vita. Siamo stati creati 'a Sua immagine', la nostra natura umana è intrisa di divinità, eppure ci accontentiamo spesso di credere 'cibo' della vita le piccole, evanescenti, fragili illusioni dell'esistenza terrena.

Occorre una profonda fede, una grande capacità di amore, per entrare nell'offerta di Gesù, nostro unico vero Pane di Vita.

Scriveva il nostro caro Paolo VI:

"Comunione con Cristo, è l'Eucarestia come sacramento e come sacrificio, ma anche comunione tra di noi fratelli, con la Comunità, con la Chiesa. È ancora la Rivelazione a dircelo, con le parole di Paolo: 'Dal momento che vi è un solo pane, noi che siamo molti formiamo un solo corpo, perché noi tutti partecipiamo di questo unico pane'.... Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce questa realtà, quando ha detto che i cristiani 'cibandosi del Corpo di Cristo nella Santa Comunione, mostrano concretamente l'unità del Corpo di Cristo'... E davvero l'Eucarestia intende fondere in unità i credenti, che siamo noi, a tutti i fratelli del mondo e la celebrazione dell'Eucarestia è sempre principio di unione, di carità, non solo nel sentimento, ma anche nella pratica. 'Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati' è il comandamento nuovo, quello che deve distinguere i figli della Chiesa". (giugno 1969)

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19/08/2012 08:13
 
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XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

L’Eucarestia, segno di amore

 

 

Non ci stancheremo mai di proclamare che se c'è un Dono, che Gesù ha fatto a noi, sorpassando ogni nostra immaginazione, è il Dono di Se stesso, come cibo della Vita, ossia il Suo Corpo e il Suo Sangue nel sacramento dell'Eucarestia.

Un Dono che i Giudei non riuscirono a capire, accogliere e ... 'mormoravano' - e noi? -

Narra il Vangelo di oggi: "Gesù disse alla folla: 'Io sono il pane vivo disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo'. Possiamo immaginare la sorpresa ed incredulità di chi stava ad ascoltarlo.

Come può uno dare come cibo dello spirito la propria carne?

È una realtà che sfugge alla nostra povertà nell'accostarci al divino.

Possiamo forse 'capire' la straordinarietà di un miracolo, che guarisce il corpo, o, se vogliamo, anche quella particolare grazia che, dopo averci mostrato la nostra debolezza umana, attraverso il sacramento della Penitenza, ci aiuta a cogliere la grandezza del Cuore di Dio, che dona senza misura la sua misericordia, creando in noi il desiderio della conversione, cancellando le nostre colpe e dandoci anche la 'sensazione' di una reale rinascita. Ma già, per molti, non sempre è facile 'comprendere' questo sacramento: sembra qualcosa di utopico.

Tra noi uomini non è di casa il dono del perdono, che va oltre l'offesa.

Quando noi sbagliamo l'opinione pubblica esige la riparazione (giusta per altro) ma poi ... non dimentica, anche se si è pagato con una vita come sospesa per mesi o anni: è la storia quotidiana del dramma delle carceri e del dopo carcere. Questo è il nostro agire.

Dio va oltre, sempre, meravigliosamente oltre ... e noi non capiamo e troviamo difficile accettare anche solo la frase: 'Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna'.

Proprio l'Eucarestia è il Dono meno capito da troppi cristiani.

Quanti sono quelli che, non tanto frequentano, ma partecipano con gioia alla S. Messa domenicale, desiderosi di nutrirsi del Cibo che dà la Vita? Come 'scelta' è forse davvero di troppo pochi.

Eppure quale forza vi attingono coloro che con fede vi si nutrono.

Celebrare e partecipare alla S. Messa, per un cristiano, non può essere un'abitudine, ma deve diventare il momento più bello ed intenso della giornata: è da quel Cibo che si riceve la forza per compiere la propria missione, per realizzare il progetto di Dio nella nostra vita.

L'Eucarestia è Dio che vive intimamente con me ... e la vita diventa tutta un'altra cosa!

Se dunque il mondo e tanti cristiani non conoscono la verità e la bellezza della vita, è proprio perché non conoscono e non accolgono il Pane della Vita!

Troppo spesso, anche oggi, sembra che tanti di noi rivivano quello che avvenne con Gesù: ''Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: 'Come può costui darci la sua carne da mangiare?'. Gesù disse: 'In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". (Gv. 6, 52-59)

Credo che, in un tempo per troppi di fede languida, sia giunto il momento di esaminarci fino in fondo sul posto che l'Eucarestia ha nella nostra vita.

Dobbiamo chiederci quale 'peso' e quali conseguenze abbia per noi il cibarci del Corpo di Cristo e quanto davvero siamo convinti, come ci dice Gesù, che il Suo Corpo è vero cibo.

La superficialità o l'abitudine, spesso solo esteriore, quasi fosse un atto come un altro l'andare a cibarsi dell'Ostia, credo dipendano molto da una mancata o carente o errata catechesi, ossia della non conoscenza di ciò che significhi una vera vita cristiana.

Nelle famiglie c'è poco spazio per il Pane del Cielo! Non nascondo la mia sofferenza nel constatare, nel giorno della prime Comunioni, tanto sfoggio di festa esteriore, di corsa ai regali, che fanno dimenticare l'essenziale: Gesù, che chiede di entrare nella nostra vita, di essere accolto e di poter davvero camminare con noi.

Meditiamo le parole di Paolo VI:

"L'Eucaristia è anzitutto Comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo, vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente, Agnello immolato per la nostra salvezza, manna ristoratrice per la vita eterna, amico, fratello, sposo, misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle apparenze, eppur glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica comunicandoci i frutti del Mistero pasquale.

Oh, non avremo mai meditato abbastanza sulla ricchezza, che ci apre questa intima comunione di fede, di amore, di volontà, di pensieri, di sentimenti, con Cristo Eucaristico.

La mente si perde, perché ha difficoltà a capire; i sensi dubitano perché si trovano dinanzi a realtà comuni e note, pane e vino, i due elementi più semplici del nostro cibo quotidiano.

Eppure, proprio il «segno» con cui questa divina presenza ci si offre, ci indica come dobbiamo pensarla; il pane e il vino, queste specie tanto comuni, hanno valore di simbolo, di segno.

Segno di che? Or quanto è grande la potenza di Cristo, che anche qui, secondo il suo stile, - che è lo stile di Betlem, di Nazareth, del Calvario - nasconde le più grandi realtà sotto le apparenze più umili, e, appunto per questo, a tutti accessibili; questo Sacramento è segno che Cristo vuol essere nostro cibo, nostro alimento, principio interiore di vita per ciascuno di noi, e a noi applica i frutti della sua incarnazione, con la quale - come bene ha detto il Concilio - «Il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22).

L'Incarnazione si estende nel tempo, affinché ogni cristiano divenga davvero, come il tralcio alimentato dal ceppo dall'unica vite (Gv. 15, 1), il prolungamento di Cristo, e possa dire con l'Apostolo Paolo; <<Non più io vivo, ma Cristo vive in me. La vita, che vivo nella carne, la vivo nella fede al Figlio di Dio, che ha amato me, e ha dato se stesso per me» (Gal. 2, 20).

Egli si moltiplica per essere a disposizione di tutti, per essere di tutti; ignorato, forse; trascurato, forse; offeso, forse; ma vicino; ma presente; ma operante per chi crede, per chi spera, per chi ama! Se l'Eucaristia è un grande mistero che la mente non comprende, possiamo almeno capire l'amore che vi risplende. Possiamo riflettere all'intimità che Gesù vuol avere con ognuno di noi; è la sua promessa, sono le sue parole: 'Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in me ed io in lui ... Chi mangia me, anch'egli vivrà per me '. (Gv. 6, 56-57)

Egli è il pane di vita eterna, per noi pellegrini in questo mondo, che per suo mezzo siamo già trasportati e immessi dal flusso rapido del tempo alla sponda dell'eternità. (5 giugno 1969) L'Eucarestia non è una devozione, ma Dio stesso che si fa nostro cibo e nostra bevanda.

A volte sulla nostra tavola c'è di tutto per il corpo, ma poi dobbiamo renderci conto che sulla 'tavola' della vita interiore, manca il pane necessario: Gesù, Figlio di Dio, che vuole donare pace e gioia, attraverso Se stesso, alla fatica della nostra vita.

Egli è l'unico Pane che può saziare la nostra fame di felicità, di infinito, di eternità, accompagnandoci nel nostro sofferto esistere verso la sola mèta duratura: la Casa del Padre.

 

Antonio Riboldi – Vescovo –

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25/08/2012 00:00
 
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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Signore, da chi andremo?

 

 

Il brano del Vangelo di oggi suscita, in chi crede, la stessa tristezza che era in Gesù. Aveva parlato a lungo dell'Eucarestia. Quante volte aveva ripetuto: 'Io sono il Pane della vita' e 'Chi mangia di questo pane vivrà'! Ma in chi lo ascoltava non vi era stata la sorpresa colma di gratitudine di chi, amando, può comprendere un tale dono, anzi vi era stato imbarazzo, costernazione.

Eppure le affermazioni di Gesù erano la realtà stessa del grande amore di Dio per noi. Non un amore, che è solo parola, ma un Amore che va oltre ogni possibile attesa, oltre ogni nostra povera immaginazione: un Amore che dà se stesso, diventa parte della nostra stessa vita.

'Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna' ripeteva Gesù, ma non fu capito allora e, forse, da troppi, non è capito oggi.

Basta vedere l'assenza di tanti alla S. Messa festiva, concepita come 'un di più' a cui si può partecipare qualche volta ... nelle 'feste comandate', secondo la regola stessa offerta dalla catechesi, per cui occorre 'almeno confessarsi una volta l'anno e comunicarsi a Pasqua'.

Mi ha sempre fatto impressione questa 'norma', come dire per il corpo: 'basta mangiare una volta l'anno'. Ma è più importante la vita del corpo o la vita interiore, spirituale? Come può l'uomo spirituale affrontare il cammino dell'esistenza verso la mèta eterna, senza il cibo, che è Gesù stesso, Dio eterno e vivente?

Forse non ci rendiamo conto di vivere la stessa incomprensione e chiusura di cuore e di mente degli interlocutori di Gesù.

Nei nostri rapporti, in famiglia, tra amici, nella società e nella politica, un atteggiamento che urta è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a prese di posizione, a scelte di vita. Spesso, nel proporci qualcosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di confusione, o peggio ancora di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità a chi ci parla.

Non è così in Gesù. Nel suo rapporto di amicizia con chi lo seguiva, parlava - e continua a parlarci - con la necessaria lucidità della verità, senza alcun velo, in modo da porre chi lo ascoltava, e continua ad ascoltarlo, alla piena assunzione della responsabilità personale del proprio 'sì' o 'no' di fronte alle scelte reali e concrete da Lui proposte.

Ecco perché il suo discorso appare 'duro'.

È impressionante, a duemila anni di distanza, leggendo il Vangelo, vedere le folle che lo cercavano, lo assillavano, non gli concedevano pace, fino a togliergli il tempo per mangiare e riposare e guardare alla Sua risposta a tale assedio: non esitava a moltiplicare i segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno alla Buona Novella del Vangelo un'atmosfera di concreto amore, un amore che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente.

Ma allora come oggi è facile accogliere un amore che nutre i nostri bisogni primari, non lo è altrettanto - ieri come oggi - 'entrare' in un amore che coinvolge cuore, mente e scelte di vita.

E così, quando Gesù passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del dono del Suo Corpo e Sangue, come avviene nell'Eucarestia oggi, la gente si confonde e si smarrisce, come racconta il Vangelo di oggi, che mostra l'amarezza di Gesù nel non vedere accolto il suo Dono estremo ... come se noi, povere creature, fossimo capaci di superare le esperienze, anche solo puramente umane e terrene, da soli, senza il suo sostegno, la sua forza e il suo aiuto.

"In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?'. Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'.

Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui.

Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?'. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio'." (Gv. 6, 61-70)

Anche troppi di noi, oggi si smarriscono e reagiscono come 'molti dei discepoli' di allora, forse proprio a causa di tutte le energie spese in una ricerca, che, a volte, si fa spasmodica, del benessere e della salute, non riuscendo a comprendere che questi sono beni relativi e non possono soddisfare le aspirazioni più vere e profonde del nostro essere: la vita eterna, che solo Gesù sa coltivare e donare Ma, per grazia di Dio, ci sono anche tanti cristiani - li ho conosciuti e conosco - che si accostano alla Comunione, come loro nutrimento necessario per poter gustare, oltre i dolori e le difficoltà inevitabili, la bellezza della vita, perché Gesù accolto genera serenità, gioia e forza nella difficile esistenza di quaggiù.

Ricorderò sempre quel deputato illustre, che preferisco non nominare, che, chiamato a parlare alla mia gente nel Belice, mi chiese di poter prima stare in adorazione davanti a Gesù Eucaristia e di riceverLo nella Comunione. La gente fu stupefatta di una tale testimonianza. Nel discorso che fece trasmise davvero la sua grandezza di fede. Alla fine la folla mormorava: 'Si vede che è un santo: non si affida solo alle parole ... '

Approfondiamo, con la guida delle parole di Giovanni Paolo II, che parlò e visse di Gesù, il grande Mistero eucaristico, 'nucleo del mistero della Chiesa', che siamo noi.

"La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); ma nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un'intensità unica. Da quando, con la Pentecoste, la Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza, ha cominciato il suo cammino pellegrinante verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza.

Giustamente il Concilio Vaticano II ha proclamato che il Sacrificio eucaristico è «fonte e apice di tutta la vita cristiana». «Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini». Perciò lo sguardo della Chiesa è continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sacramento dell'Altare, nel quale essa scopre la piena manifestazione del suo immenso amore."

... e con lui chiediamo nella preghiera il coraggio di testimoniare Cristo Eucaristia:

Non abbiate paura di accogliere Cristo

e di accettare la Sua potestà!

Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo

e, con la potestà di Cristo,

servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura!

Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!

Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati,

i sistemi economici come quelli politici,

i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!

Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo Lui lo sa!

Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro,

nel profondo del suo animo, del suo cuore.

Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.

È invaso dal dubbio

che si tramuta in disperazione.

Permettete a Cristo di parlare all'uomo.

Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

 Antonio Riboldi – Vescovo –

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01/09/2012 09:06
 
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XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Lo scandalo: un male grave … diventato di moda!

 

 

Sappiamo tutti che chi ha il compito di educare, soprattutto il cuore di un bambino che si presenta alla vita, come uno specchio in cui si riflettono tutti i nostri esempi, ha il dovere di 'scrivervi' il bello divino della vita secondo Dio.

È questa la più grande opera di carità, agli occhi di Dio e degli uomini, che molti di noi hanno ricevuto e che oggi siamo chiamati a donare alle nuove generazioni.

Venendo alla vita, dono del Padre, ogni bambino è un piccolo essere fragile, inesperto, innocente e, per questo, più esposto alla tempesta dello scandalo, che può cancellare in lui, precocemente, ogni desiderio di grandi prospettive e l'aspirazione alle grandi virtù, che sono l'abito della santità, con cui Dio adorna i suoi figli, unica vera realizzazione di sé per qualsiasi creatura umana.

Da qui ben possiamo comprendere le severe parole di Gesù: "

"Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare.

Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.

Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna.

Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". (Mc. 9,40-47)

Sono parole davvero molto dure sulla bocca di Gesù, che mostrano il grande male che vi è nello scandalo, soprattutto per le conseguenze che può avere sui bambini.

Questi appena nascono e cominciano a muovere i primi passi, ad incontrare persone adulte, entrano nel nostro mondo, con tutti i rischi che ciò comporta: vedono, ascoltano, imitano, senza poter avere ancora la capacità di discernere ... pensiamo anche solo a certi spettacoli, in cui non vi è alcun scrupolo di fare del male, con parole e comportamenti, ma solo conta l' audience.

Da bambini si vede tutto con l'occhio pulito dell'innocenza e dell'inesperienza, ed è chiaro che fatti o linguaggi, senza rispetto né per sé né per gli altri, possono scuotere tale innocenza e fare male, molto male.

Ricordo da piccolo, in famiglia - è vero che erano altri tempi - ma vi era molta attenzione verso fatti o segni che potessero turbare i piccoli.

Un giorno trovandomi con amici in una città, per un incontro, fui invitato da loro ad un pranzo in una trattoria. Mi colpì, fino ad intervenire presso i proprietari, il vedere come vicino al nostro tavolo vi fossero due piccoli che si divertivano con una rivista, che avrebbe dovuto essere di scandalo anche per noi adulti. Quando lo feci presente ai gestori ebbi una risposta che pare sia diventato il sentire di tanti, troppi.: 'Perché si meraviglia, padre? È giusto che da piccoli si sappia ciò che ci attende. Meglio saperlo oggi, che più avanti ... 'Il confronto fu forte e finì con queste parole del proprietario: "Si vede proprio che lei non conosce la vita e il mondo. Io desidero invece che i miei figli lo conoscano subito!'

Questa è una 'scusa' iniqua, per coprire la nostra superficialità, ignoranza e persino banalità negativa nell' affrontare la vita.

È la scelta e il modo più gravemente dannoso dei cattivi maestri, coloro che della vita non sanno più vedere la bellezza. Che ne sarà dei piccoli che sono loro affidati?

Oggi poi si è giunti ormai ad una tale situazione di scandali diffusi, in ogni manifestazione della vita, che rischiano di non fare più neppure impressione.

Eppure lo scandalo rimane sempre un trauma dell' anima, che a volte incide talmente nel profondo del cuore da imprimere un corso diverso e sbagliato ad un'intera esistenza.

In quanto attentato alla bellezza del cuore, chiunque di noi abbia conservato un retto giudizio della vita, sa che è più sopportabile e meno dannoso un incidente che in qualche modo mutila il nostro corpo, di uno scandalo che intacca l'integrità del cuore, della persona.

Ecco perché Gesù ha pronunciato quelle parole durissime, che dovrebbero fare riflettere tanti, ma tanti: gente che forse neppure prova rimorso di condurre una vita scandalosa.

Ha ragione Gesù quando afferma: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare".

E allora come affrontare gli scandali del mondo, che a volte appaiono quasi 'programmati'?

In modo serio, ma semplice: vivendo con chiarezza e con coraggio quello che il mondo chiama 'lo scandalo della croce', che per noi cristiani è vivere le beatitudini, sola via alla santità.

Un incoraggiamento ci viene dalla guida del grande Paolo VI:

"Gli uomini del nostro tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. Tanti si chiedono se sono accetti a coloro che sono accanto. I nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, la carità, malgrado le prove e le contraddizioni dalle quali essi stessi sono colpiti.

Essere testimoni della forza di Dio, che opera nella sorprendente e sempre rinascente fragilità umana, non significa alienare l'uomo, ma proporgli il cammino della libertà.

Le nuove generazioni sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo attende il passaggio dei santi".

Non resta che vigilare continuamente su noi stessi, in modo da chiudere ogni spazio al male che ci attornia. Conosciamo bene la nostra debolezza e sappiamo che è facile farsi ingannare ed attirare dal male, anche se sembra assurdo, ma quel che è peggio ... comunicarlo: è questo il pericolo e il dramma dello scandalo!

Alziamo dunque barriere di umiltà e sincerità contro il male, dentro e fuori di noi.

E non accada, mai e poi mai, che qualche nostra leggerezza o scandalo colpisca qualcuno, lasciando un segno difficile da cancellare.

Dio ci aiuti in questo impegno, che richiede profondità di pensiero nella verità, ferma volontà nella giustizia e vera pace del cuore.

Riflettiamo dunque ancora, aiutati dal Papa buono; Giovanni XXIII:

"La verità. Tutti sanno quante insidie si addensano e si architettano per sopprimerla o sminuirla. Da quando eravamo bambini sappiamo l'orrore che ogni cristiano deve avere delle bugie.

Orbene, oggi, si direbbe che il mondo goda di una generale menzogna in atto; voluta e organizzata. Difficilmente capita di leggere o di ascoltare un'espressione integra, completa, assoluta, di verità. Tante volte si cerca di coprire con rivestimenti del vero ciò che in realtà è il contrario.

Invece noi dobbiamo, di fronte ai gravi problemi della vita, della morte e dell'aldilà della morte, rendere onore, sempre, alla verità. Il Signore è la verità.«Io sono il vostro maestro».

Accanto alla verità la giustizia. Le regole fondamentali del vivere dell'uomo vicino al suo simile, nell'ordine familiare e domestico, nell'ordine civile, nell'ordine sociale, devono di continuo essere tenute presenti non solo per quanto concerne i nostri rapporti con Dio, col Vangelo e con la grande dottrina che sempre ha da rimanere la luce dei nostri passi, ma anche per ciò che, in provvida concomitanza, è benessere materiale.

Infine la pace. O pace santa! Guardandoci intorno, vediamo innumerevoli persone che, attraverso questi ultimi decenni, hanno potuto osservare dolorose situazioni, rovine senza nome; ed hanno trovato rifugio unicamente nell'invocazione a Dio, per riavere l'inestimabile bene della pace"

 Antonio Riboldi – Vescovo

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08/09/2012 07:39
 
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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)


All’inizio dell’anno scolastico: un augurio e una preghiera

Sento il dovere e la gioia di fare un grande augurio alla Scuola, docenti ed alunni, dalle Materne all'Università. È il cammino per la conoscenza e quindi per dare il giusto senso alla vita.

È grande la responsabilità, trattandosi di formazione di ragazzi e giovani, che si apprestano ad affrontare il serio impegno che la vita esige.

La Scuola non è una 'formalità', ma se ben vissuta, da tutti gli operatori, può diventare il momento formativo fondante per una crescita, vissuta all'insegna della responsabilità, della solidarietà, basi portanti della maturità personale.

Mi piace offrire a tutti le parole del grande maestro di vita, che è stato Giovanni XXIII:

"La figura del maestro, quella che tutti chiudiamo in cuore come uno dei ricordi più cari della fanciullezza, è tutta in questa altissima funzione, che lo fa educatore di anime, con la parola, con gli esempi, con l'opera paziente svolta attraverso tante difficoltà e rinunce.

Con quali profonde parole, a voi ben note, san Giovanni Crisostomo tratteggia tale incomparabile missione: «Che cosa c'è di più grande che governare le anime, e plasmare i costumi degli adolescenti? Io giudico senza dubbio il più eccellente di tutti i pittori, di tutti gli scultori ed artisti, colui che ben conosce l'arte di modellare l'animo dei giovani». Quest'arte non si impara sui libri, non si acquista con la pratica, ma si ottiene dalla grazia di Dio, dalla preghiera e da un lungo tirocinio di profonda vita cristiana, fin dagli anni fecondi dello studio e della scuola.

La grandezza di questa missione educatrice si giudica anche dalla responsabilità che le è collegata: all'opera dei maestri sono affidate le sorti stesse del civile consorzio, perché essi formano gli uomini di domani, instillando nel loro cuore, ancora tenero e duttile, insegnamenti e impressioni che resteranno dominanti per tutta la vita".

Conservo un ricordo irrepetibile in un anno del mio liceo, a Torino, presso l'Istituto dei Padri Rosminiani. Eravamo 33 allievi. Erano i tempi difficili degli ultimi anni di guerra, con le contrapposizioni tra partigiani e fascisti repubblichini. Anche tra di noi si discuteva, e soprattutto vi erano posizioni diverse: chi simpatizzava per gli uni e chi per gli altri, cercando di motivare attraverso il confronto le proprie scelte. Ma ci accorgemmo che la tensione poteva diventare non controllabile e troppo difficile era un'analisi oggettiva della situazione reale: la storia ha bisogno di tempo per poter essere compresa, tanto più quando coinvolge gli ideali stessi degli uomini, che l'hanno vissuta. Noi vi eravamo troppo 'immersi' dentro, per poter essere lucidi ed equilibrati.

Con una maturità, che ancora oggi mi stupisce e commuove, facemmo una sorta di patto: finché avremmo frequentato l'anno scolastico, tutti, senza eccezioni, dovevamo essere amici e rispettarci, mettendo in disparte il nostro 'credo politico', che non poteva che essere causa di divisione e tensioni. Questo ci permise, in alcuni casi, di essere uniti nel difendere da situazioni difficili l'uno o l'altro compagno, indipendentemente dalla 'parte' in cui stava: importante era la persona, al di là delle sue stesse convinzioni politiche.

Ritengo che questo sia davvero il frutto di una scuola che educa, capace di guardare all'uomo, per salvaguardarne i più elementari diritti, oltre ogni ideologia.

Auguro che la scuola aiuti a far acquisire più consapevolezza della necessità, attraverso la riflessione, la disciplina e 1'autocontrollo, di un cammino di vera libertà, per maturare una personalità equilibrata e serena, capace di aprirsi con rispetto e fiducia verso ogni realtà.

La Scuola, attraverso i suoi 'maestri', deve interpellare la libertà dei giovani, aprendo li ad una visione di ampio respiro, oltre il proprio 'piccolo orticello'.

'Un respiro', che abbia le sue radici nella convinzione profonda del valore della coscienza e della libertà di pensiero, di espressione e di azione, come basi dell'eguaglianza degli uomini e garanzia per la salvaguardia dei diritti di tutti.

……………………………………..

GESÙ CONDANNA, SENZA MEZZI TERMINI, UN'IPOCRISIA DIFFUSA.

Tutti, credo, sappiamo come l'ipocrisia altro non sia che un voler mostrare ciò che non si è o, addirittura, fame una maschera della vita.

Il fatto che il Vangelo di oggi ci offre mostra la durezza di Gesù contro questa mistificazione:

"In quel tempo si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde - cioè non lavate, i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati le mani fino al gomito, attenendosi alle tradizioni degli antichi e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature dei bicchieri, stoviglie e oggetti di rame – quei farisei e scribi lo interrogarono: 'Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?'

Ed egli rispose loro: 'Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: 'Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate le tradizioni degli uomini'.

Chiamata di nuovo la folla, Gesù diceva loro: 'Ascoltatemi tutti ed intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Dal di dentro, infatti, dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnie, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo". (Mt. 7,1-23)

Il vivere uno vicino all'altro dovrebbe essere l'occasione per una coscienza reciproca improntata alla chiarezza, ossia mostrarci per quello che siamo, senza inutili trasformismi, che sanno di ipocrisia - anche fisicamente!

Così, dialogando, non dovremmo nasconderci dietro parole senza senso o contrarie a quello che veramente pensiamo. È bello sapere che chi ci è vicino non è una 'maschera', ma una persona sincera a cui possiamo parlare ed affidarci con fiducia.

Purtroppo spesso vi è invece tanta ipocrisia, che non può assolutamente aprire la strada alla vera conoscenza e quindi all'amicizia e alla stima.

Spesso, nonostante abbiamo, penso, tutti, nel profondo, un grande desiderio di mostrarci per quello che siamo, aiutandoci a vicenda nel correggerci, siamo forse ormai abituati a dare troppa importanza e a fermarci a ciò che appare, che non ha senso se non è ispirato all'essere profondo di ognuno.

Quante volte siamo assordati e confusi da tante parole, che alla fine si rivelano come solo rumore o siamo attratti da un modo di presentarsi, magari anche elegante e raffinato, per poi essere profondamente delusi dai comportamenti ...

Nessuno condanna la cura del corpo o del vestito. Tutti abbiamo bisogno di stima, ma questa non si compra con la moda o l'estetica. La stima è un grande bene, che viene dalla sincerità, correttezza e rispetto che viviamo verso noi stessi e gli altri.

Ho incontrato tante, ma tante, persone, anche di grande prestigio, come Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto l'opportunità di essere con lei in incontri con i giovani. Mi ha sempre colpito quel suo presentarsi discreto, per poi scomparire, senza farsi travolgere dagli applausi ... come a difendere ciò che veramente sentiva di essere. E così era con il Santo Padre, Giovanni Paolo II. Colloquiando con lui era possibile come intravedere il suo cuore semplice, capace di ascoltare, amare e stupirsi. L'augurio è che nessuno di noi si presti all'ipocrisia, che è ingannare chi ci incontra, ma soprattutto se stessi. È importante imparare a vivere nella sincerità e nella libertà, senza mai avere paura di fare 'brutta figura'. Dobbiamo accettarci e presentarci agli altri per quel che siamo davanti a Dio: è il più bel dono che possiamo offrire a chi ci è vicino.

Soprattutto la sincerità delle parole, non solo fa tanto bene, ma mostra la bellezza della verità, che apre il cuore all'amicizia. Mai ipocriti, carissimi. Sempre con totale sincerità.

Siamo quello che siamo, 'vasi di creta', sì, ma anche 'tempio dello Spirito'. Lasciamo che sia Lui ad operare in noi: è questa la via per essere ed avere amici, il cui amore e la cui sincerità la vedi negli occhi. Ci aiuti Maria, specchio di sincerità, puro riflesso della Divina Presenza.

Antonio Riboldi – Vescovo
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16/09/2012 09:13
 
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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Essere discepoli esige fede forte e coraggiosa

 

 

Leggendo la Parola di Gesù, oggi, si ha l'impressione di un confronto netto da quanto pensavano di Lui i Suoi, rispetto a ciò che Egli proponeva se si voleva veramente essere Suoi discepoli.

Forse gli Apostoli vedevano in Gesù, che aveva Parole di verità sorrette dalla potenza dei miracoli, un domani qui in terra pieno di gloria.

Erano davvero poveri, gli Apostoli: pescatori senza un domani ... assomigliavano a tanta gente di oggi che non ha più nemmeno la voglia o la forza di 'sognare', consapevole che i suoi sono spesso solo castelli in aria, schiacciata dalla fatica della ferialità o, come altri, guidati solo da un sogno di grandezza umana, cullata a volte in modo sfacciato e senza scrupoli, (un mondo che non aveva posto nelle aspettative, semplici, degli apostoli) che finisce sempre per lasciare l'amaro in bocca.

Solo chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in famiglie, dove la fede era al primo posto, senza false ambizioni, può capire la bellezza di non avere sogni da uomo, ma desideri di realtà celesti.

Da piccolo vivevo in una famiglia numerosa e povera. Non potevamo coltivare sogni di grandezza, cui purtroppo tanti bambini fin da piccoli vengono educati.

Si viveva la semplicità dei poveri, materialmente, ma una grande ricchezza di fede, di amore ... ed eravamo felici. Oggi pare tutto diverso: si ha tutto, almeno nel nostro mondo del benessere, e si vive spesso il vuoto ...

La domanda fondamentale è quindi: 'Quali sono i tempi migliori per un uomo?'.

I tempi in cui i sogni terreni non vanno oltre la bellezza fisica, lo star bene e contare umanamente nella società o il tempo della semplicità evangelica, che fa spazio a Dio, alle virtù, alla generosità e all'amore?

Il Vangelo di oggi mostra la diversità di prospettive tra Gesù e Pietro, in cui spesso ritroviamo noi stessi. Racconta l'evangelista Marco:

"In quel tempo Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: 'Che dice la gente che io sia?'.

Ed essi risposero: 'Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: 'E voi chi dite che io sia?'.

Pietro gli rispose: 'Tu sei il Cristo'. E impose loro di non parlarne con nessuno".

Ed ecco che Gesù, conoscendo i pensieri e le profondità del cuore dei Suoi, con fermezza li strappa dai falsi sogni e dalle sbagliate aspettative che pongono su di Lui, sorprendendoli:

"E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente.

Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.

Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! ".

Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuoi salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà." (Mc. 8,27-35) Pietro amava tanto Gesù, al punto da aver lasciato tutto per seguirlo e, forse, con gli altri apostoli, si attendeva qualcosa di diverso, come i nostri 'sogni' troppo umani.

Non aveva ancora le prospettive di Vita del Maestro: una visione divina, eterna, di grande coraggio nel diffondere il Vangelo, soprattutto non poteva avere la disposizione a mettere a rischio la stessa vita terrena, per la Vita eterna, come avverrà dopo il Dono dello Spirito Santo, nella Pentecoste. Possiamo comprendere la perplessità sua e degli Apostoli, che diverrà paura e fuga il giorno dell'arresto di Gesù e durante la Sua passione e morte ... come fossero cadute le speranze che avevano coltivato.

Sarà lo Spirito Santo a chiarire il vero disegno di Dio su di loro, al punto che dopo la Pentecoste saranno uomini diversi, davvero discepoli del Maestro: scomparsa la paura, affronteranno ogni tipo di disagio, di sofferenza, di persecuzione, di prova, fino al martirio.

Capita anche a noi, a volte, di concepire la nostra fede, come una sorta di 'sicurezza', che viene sì da Dio, ma quasi come una 'garanzia' contro le difficoltà della vita.

Ma sappiamo tutti che nessuno può sfuggire alla sofferenza e al dolore o anche a momenti di grande angoscia, legati al nostro essere creature fragili, soggette al limite e alla precari età di questa nostra vita terrena, che si manifesta in tanti modi.

Sono momenti in cui - se siamo credenti - diciamo che 'Dio ci sta mettendo alla prova' o che 'è assente', o, peggio ancora, che 'ci sta punendo e castigando' .... quasi rendendo Dio complice della malattia, delle difficoltà, del male.

Sono momenti bui, come quelli della sera della cattura di Gesù, momenti in cui, come gli apostoli, non sappiamo vedere che, proprio in Gesù che dona se stesso, Dio si rivela come Colui che salva e libera dal male, dal nostro stesso male.

Questo è il vero senso del 'mettere alla prova la nostra fede': confermarci la Sua Presenza nella nostra vita, il Suo Amore personale e fedele per ciascuno, che soli ci possono aprire, fin da quaggiù, alla fiducia e alla speranza anche nelle situazioni più disperate.

Questi sono davvero momenti di Incontro e di Vita necessari.

Ricordo quando l'obbedienza mi fece parroco a Santa Ninfa, in Sicilia.

Mi prese una grande angoscia, motivata dalla consapevolezza dei miei limiti e dalle difficoltà a cui andavo incontro: quella parrocchia, in seguito ad un cattivo esempio del parroco, guardava alla Chiesa come ad un pericolo.

Fu richiesta a me e ai miei confratelli tanta pazienza e fiducia in Dio.

Ci volle tempo, fino a che la gente comprese che la Chiesa era altro e ci si poteva, non solo fidare, ma fame generosamente parte. E fu preziosa questa partecipazione, perché, dopo il terremoto, che nel 1968 ci lasciò tutti 'nudi', senza casa e senza sicurezze, trovammo nella Comunità la forza per sopravvivere alla prova, anzi per reclamare la ricostruzione.

Ma occorre avere fiducia, grande fiducia nel Padre, che certamente sa come ridonarci la serenità.

'La fede cristiana porta la nostra attenzione sulla fine del male, e, nella prospettiva delle realtà ultime, esorta a combattere il male, fisico e morale, in questo mondo'. (L. Lorenzetti)

Posso tranquillamente affermare che quando ci è chiesto il difficile, davanti a cui si vorrebbe voltare le spalle, Dio ci è vicino più che mai con la Sua luce e forza e, quando accogliamo con fede e generosità ciò che la vita porta con sé, Dio sa fare delle 'cose vecchie, cose nuove '.

Questa è la vera prova della nostra fede: credere che il Padre non ci lascia mai soli.

Dobbiamo tenere sempre presente nella mente e nel cuore le parole del Figlio, Gesù:

'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà'.

L'annuncio cristiano esige una fede forte e coraggiosa.

Il nostro caro Paolo VI, maestro nella fede, ci aiuti ad approfondire questa verità di vita cristiana. "Per infondere nella nostra vita cristiana il rinnovamento, noi dobbiamo restaurare, con altre virtù e risorse dello spirito, la virtù della fortezza, come è intesa nella nostra pedagogia morale.

Sì, fortezza. È forse legittima la concezione di un cristianesimo debole? Di un cristianesimo privo di fermezza nelle sue convinzioni, agnostico, indifferente, volubile, opportunista, vile? Di un cristianesimo timido e pauroso di se stesso? Manovrato dal rispetto umano? È forse autentico e nuovo un cristianesimo, che nella pratica, nel confronto con l'ambiente circostante, è disponibile a ogni conformismo, che ha soprattutto la tacita ansia di evitare fastidi, critiche, ironie, e il manifesto desiderio di profittare d'ogni occasione per fare bella figura o guadagnare vantaggi, risparmiare in guai e avanzare nella carriera? ...

Un seguace di Cristo non deve aver paura.

Egli si sente avvolto in un'atmosfera di provvidenza, che volge al bene anche le cose avverse, le quali possono anche esse cooperare al nostro bene, se noi amiamo Dio.

Egli è investito da un dovere di testimonianza che lo affranca dalla timidezza e dall'opportunismo, e che gli suggerisce contegno e parola al momento opportuno, provenienti da una sorgente interiore, di cui forse egli, prima della prova, ignorava l'esistenza.

Quando anche voi foste soverchiati da avversari più forti di voi, ci insegna il Signore nel Vangelo: «Non preoccupatevi del come parlerete, né di ciò che dovrete dire: in quel momento vi sarà suggerito ciò che dovrete dire, perché non siete voi parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi».

A questo punto vi è un paradosso da risolvere: noi non siamo forse deboli per la nostra inferma natura? Si, è vero; persino Gesù nel Getsemani lo ha detto: «La nostra carne (cioè la nostra natura umana) è fiacca», ma Egli ha insieme affermato che «lo spirito è pronto».

E San Paolo ha spiegato che, proprio quando umilmente e realisticamente ci confessiamo tribolati, allora siamo forti, perché il Signore gli aveva interiormente detto: «Ti basta la mia grazia, perché la virtù si afferma nella debolezza».

Debolezza e fortezza, perciò, nel cristiano possono essere complementari.

Vi è un orientamento coraggioso da imprimere nella nostra vita cristiana, privata e pubblica, per non diventare altrimenti insignificanti nel mondo dello spirito e forse complici di comuni rovine.

La tendenza odierna, perciò, ad abolire ogni sforzo etico o personale (eccetto, e sta bene, nel campo sportivo, ma non basta) non prelude ad un vero progresso veramente umano.

La croce è sempre diritta davanti a noi, e ci chiama al vigore morale, alla fortezza dello spirito, al sacrificio che ci assimila a Cristo e può salvare noi e il mondo”. (28 maggio 1973)

 

Antonio Riboldi – Vescovo

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22/09/2012 07:59
 
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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Se qualcuno vuol venire dietro di me ...

Negli anni passati erano numerose e frequenti le occasioni di incontrarmi per un dibattito con alunni dei vari livelli scolastici. E Dio sa quanto, soprattutto gli adolescenti abbiano bisogno di conoscere, sentire persone che con serietà offrano loro degli spunti, attraverso la loro esperienza di vita vissuta. Sappiamo tutti come oggi - forse più di sempre - tante volte gli adolescenti siano circondati da un vuoto di proposte, un vuoto che dovrebbe essere colmato da pagine profonde di vita: quella vita che li attende e che, volenti o nolenti, dovranno interpretare.

Un'interpretazione che necessità di basi fondamentali, che solo una serie e buona formazione, rivolta a cercare la ragione della loro esistenza agli occhi del Padre che li ha creati, può dare.

Aprire il cuore e la mente alla ricerca paziente e costante dei disegni del Padre sulla nostra vita personale e comunitaria è la vera educazione alla vita.

L'adolescenza è davvero un tempo in cui si possono porre radici solide, per orientare alle vere prospettive della vita, perché possa essere umanamente e spiritualmente realizzata in tutta la sua pienezza. Ma è così?

Di fatto fa impressione, oggi, la cronaca di troppi adolescenti che sembrano smarriti di fronte e spesso a causa di una visione di vita che in famiglia, nella scuola, nella società non presenta linee serie programmate che, che svelino le ragioni della loro creazione da parte del Padre.

Hanno tutto, sono educati a voler tutto e subito, ma non sanno 'chi sono e perché vivono' .

Ma nessuno, che viene a questo mondo, può sottrarsi alla responsabilità di vivere.

La vita non è un caso, né un gioco, ma un meraviglioso percorso, se siamo consapevoli di essere stati presi per mano dal Padre, che ci ha affidati ai nostri genitori, il cui dovere è di indicarci i primi passi da compiere secondo Dio e non secondo il mondo.

Diventati adolescenti e giunti alla maturità, toccherà poi a ciascuno accollarsi la responsabilità delle proprie scelte. Ma quanta responsabilità abbiamo noi adulti, affinché ciò sia possibile.

Ricordo un incontro con alunni di una scuola media, per un botta e risposta spontaneo, che svelasse il loro pensiero sulla vita, a cominciare dalla fede.

Erano ragazzi e ragazze che nulla facevano per nascondere il loro culto del benessere, che sembrava la sola ragione, almeno superficiale, della grande responsabilità che li attendeva. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, che ammiravano, ma che appariva come una persona di cui era difficile capire le ragioni della sua scelta e soprattutto il senso profondo del suo ministero.

A bruciapelo feci una domanda: 'Chi vorreste essere nella vita, quando sarete grandi?'

Si levò un coro di voci diverse, che urlavano - letteralmente - il nome di personaggi per loro famosi del mondo dello spettacolo e dello sport. Volendo guidarli ad una riflessione più profonda formulai la domanda in un altro modo: 'Ammettiamo che voi desideriate la vera felicità, quella maiuscola, che poi è la vera grandezza agli occhi di Dio, vorreste essere come S. Francesco, che da ricco si fece povero o come uno sceicco, di quelli ricchi sfondati?'. La risposta, anche questa volta, fulminea: 'Come sceicchi!'.

Viva la sincerità, possiamo dire, ma se questo pare un fatto isolato, che riguarda ragazzini, la dice però lunga su quello che sognano di realizzare da adulti.

Ma possiamo davvero, anche solo umanamente, considerare 'sogno' un tale livello di aspettativa? Desiderio di celebrità, di ricchezza, di potere, - valori sì, ma che passano inesorabilmente - e nulla hanno a che fare con la bellezza che Dio vuole costruire in noi e attraverso la nostra vita, 'chiamati ad essere santi come Tu sei santo'.

Purtroppo una visione solo limitata alla dimensione terrena, materiale, non riguarda solo il sogno degli adolescenti, che poco sanno della vita e delle sue difficoltà, come le conosciamo ormai noi, ma purtroppo, molte volte, è proprio 'il sogno' su cui troppi adulti sacrificano tutto, per poi trovarsi nelle mani un briciolo di apparente felicità, a cui fa seguito il vuoto, che non aiuta nella dura lotta della quotidianità.

Era il sogno che cullavano quanti seguivano Gesù: un falso sogno, che diventava un ostacolo tremendo per comprendere la verità annunciata dal Maestro.

Basta leggere il Vangelo di oggi:

"Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'. Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?'. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti'. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato''. (Mc. 9, 30-37)

Veramente dura la risposta di Gesù, che vuole scuotere anche noi, oggi, poiché è la sola verità di ogni vita: "Se uno di voi vuoi essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti'.

Vivere senza saper donare la vita a Cristo e, per Lui, ai fratelli, nel quotidiano, è un Vivere superficiale, un vivere 'a metà'. Occorre dare alla vita una dimensione più ampia, completa, che solo il senso del dono garantisce, poiché la vita stessa ci è stata donata.

Ma per questo occorre fare piazza pulita dei falsi sogni terreni, l'essere primo, emergere su tutto e tutti, essere ricco e importante, essere celebre, avere visibilità: 'sogni' che riducono la vita ad una scalata al potere e al prestigio, senza esclusione di colpi. È la grande tentazione di sempre, fin dalle origini: 'Sarete come dio!' a cui non è sfuggito neppure Gesù, quando fu tentato da satana nel deserto. Tutti siamo soggetti alla tentazione della superbia, che illude l'uomo di essere quello che non è, di poter bastare a se stesso, magari a danno degli altri. Solo l'umiltà e la semplicità ci rendono capaci di conoscere ed accettare la nostra povertà, affidandola al Padre, “Datore di ogni bene" sapendo che 'tutto concorre al bene per chi ama il Signore'.

Ricordo spesso gli incontri con Padre Clemente Rebora, mio confratello rosminiano. Trascorremmo l'estate insieme, nel silenzio della Sacra di S. Michele (TO). Facevamo passeggiate insieme. Ero novizio e nulla sapevo della sua riconosciuta grandezza di poeta e della sua conversione, ma ne avvertivo l'autorevolezza. Cercavo di fare sfoggio di ciò che leggevo e sapevo. Certamente lui, scrittore, mi avrà compatito - anche se mai diede a vederlo - mentre io non percepivo la mia ignoranza al suo confronto.

È quello che tutti rischiamo di vivere: ci facciamo un altare, su cui collocarci, senza capire che il nostro posto è 'essere lo sgabello per i Tuoi piedi'. Ci vuole tanta umiltà, che è la virtù che ci mostra la verità di ciò che siamo di fronte alla grandezza di Dio - 'Sono la serva del Signore' dichiara Maria all'angelo - e, contemporaneamente, ci fa comprendere quanto da Lui siamo amati, nonostante, anzi, grazie alla nostra pochezza - 'grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente' proclama, lodando il suo Signore -

Non resta che chiedere a Dio il dono dell'umiltà, che ci avvicina al Padre e ci tiene lontani da quei sogni di stupida superbia umana, che svilisce la nostra vera bellezza di creature amate dal Signore. Affidiamoci a Maria che con discrezione e nel silenzio ha accompagnato il Figlio nei momenti più importanti della Sua missione tra di noi: dall'Annunciazione al Natale di Gesù, rifiutato dai superbi e accolto dagli umili pastori e Magi nella grotta di Betlemme; nella ricerca per tre giorni del Figlio, ritrovato a 12 anni, Maestro tra i Dottori nel tempio e per tutto il lungo cammino di formazione dei 30 anni di vita nascosta a Nazareth. Quando Gesù, ormai adulto, darà inizio alla sua missione, Lo seguirà, senza quasi farsi notare, Discepola tra i discepoli, fino alla Croce, dove ci sarà donata dal Figlio come Mamma, cioè guida nella fede, nella preghiera, nell'attesa della Pentecoste, quando continuerà nello Spirito la missione affidatagli e lo fa ancora oggi: esserci vicina per aiutarci a diventare, come Lei, discepoli fedeli del Suo Figlio, nella semplicità e bontà di vita.

Antonio Riboldi – Vescovo
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29/09/2012 23:30
 
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XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Guai a chi scandalizza i piccoli

  Dicevamo alcune domeniche fa, parlando del cuore dell'uomo, sede delle scelte da compiere e luogo sacro delle responsabilità, che chi sa educare il cuore di un bambino, compie la più grande opera di carità, davanti a Dio e agli uomini.

Ognuno, nascendo alla vita, è come il bambino di cui parla oggi Gesù nel Vangelo: un piccolo essere fragile, inesperto, innocente ed aperto al bene, che è la bellezza di ciascuno di noi, ma, nello stesso tempo, esposto alle tempeste dello scandalo.

Un tempo, quando i mezzi di comunicazione erano davvero quasi nulli, si era come avvolti in un mondo che offriva poco o nulla che offendesse l'innocenza di un piccolo, come anche dei giovani. Ricordo la mia infanzia ed adolescenza. La famiglia non solo era custode della nostra crescita nella fede e nella santità, ma era il luogo di una vera educazione al bene. Si cresceva all'ombra della bellezza vera.

Non è più così oggi, dove il mondo pare divertirsi ad offrire la parte peggiore dell'uomo. Facile imbattersi in spettacoli televisivi in cui - al di là dell'avviso 'per un pubblico adulto' - dominano messaggi ambigui e immagini scabrose.

Sappiamo tutti quanto sia fragile il bambino, che tutto assorbe, senza consapevolezza piena, quasi fosse una 'spugna'. Offrire spettacoli o comportamenti spregiudicati, può davvero non solo guastare, ma anche modificare nel profondo la visione della vita di chi sta crescendo: una crescita che non è solo quella fisica, ma ancor più quella interiore.

Il bambino, ma direi chiunque si affaccia alla vita con la voglia di conoscere, facilmente si lascia sedurre da quello che sente e vede e su quelle impressioni rischia di concepire una visione distorta della verità.

Non usa mezze parole, Gesù, per condannare questo scandalo, ma toni duri.

Io non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori, che crearono una famiglia dove la cura dell'innocenza e della fede era la priorità dell'educazione. Ringrazio mamma e papà per la loro dedizione e l'impegno e la testimonianza che mi hanno offerto per la mia crescita cristiana: un vero grande dono. È stata la forza per accogliere la mia vocazione e viverla.

Purtroppo non tutti i bambini sono così fortunati.

Un giorno ero con amici al ristorante. Mi colpirono due bambini che curiosavano su una rivista scandalistica. Espressi il mio dissenso e davanti alla reazione indifferente dei genitori, dopo un breve quasi battibecco, lasciai la sala. Dovremmo meditare e approfondire più spesso il Vangelo di oggi, che esprime la condanna verso ogni tipo di scandalo.

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: 'Maestro abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri'.

Ma Gesù disse: 'Non glielo proibite, perché non vi è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa'.

"Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo, èmeglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". (Mc. 9, 37-47)

Gesù, pronunciando queste parole, tiene in braccio un bambino. Dobbiamo imparare la sua tenerezza, sapendo che è come volesse tenere stretta tra le sue braccia la debolezza di tutti, una fragilità che chiede protezione nella difficoltà di ogni crescita verso il bene, a tutte le età.

Una crescita che dovrebbe avvenire senza il pericolo degli scandali, che possono stravolgere la vita e dare un volto drammatico all'esistenza che attende tutti.

La realtà, infatti, è che tutti, oggi, senza distinzioni, conviviamo in questo mondo che ha perso il pudore, atteggiamento veramente bello agli occhi del Padre. Tutti siamo frutto delle sue mani ed è mostruoso, diabolico, imporre la visione del vizio, dell'egoismo.

Dio solo sa con quanti sacrifici si edifica un cuore di uomo e tutti siamo testimoni nella vita di questi sacrifici per dargli la bellezza che solo la virtù dona.

Ma ciò che ritengo più drammatico è che oggi gli scandali sono in ogni manifestazione della vita, al punto tale che quasi non fanno più ... scandalo!

Si leggono fredde statistiche su decine di migliaia di fanciulli avviati alla prostituzione, usati per divertire gli adulti, di vite violentate nella brutalità per fini solo commerciali.

Un tempo si conservava almeno l'orrore dello scandalo, oggi rischia di passare nelle coscienze quasi come segno di liberazione dalla virtù, eppure rimane sempre come un trauma per l'anima di chi lo subisce, incide talmente nel profondo dell'essere, da dare a volte un corso sbagliato all'intera esistenza.

Ecco perché oggi Gesù usa parole durissime, che dovrebbero far riflettere tanti, ma tanti, che forse non provano neppure più rimorso nel condurre una vita scandalosa.

Non resta che pregare perché il mondo si riempia di giovani, di uomini e donne che sappiano e vogliano conservare quella bellezza del cuore, che sa emanare il profumo dell'innocenza.

È bello incontrare o stare assieme a persone dalla vita sobria e semplice, in cui regna la presenza di Dio: sono una testimonianza preziosa che si contrappone all'oscurità dello scandalo.

Chiediamo al Padre di conservarci 'un cuore da bambini', che è la vera nostra bellezza davanti ai Suoi occhi. È un cammino esigente, ma necessario, se vogliamo davvero realizzare il fine umano e divino per cui siamo stati creati.

Gesù ci guida e ci sostiene, Lui, l'Agnello innocente e senza macchia, affinché possiamo davvero 'essere ciò che siamo', come afferma Paolo VI, cioè figli del Padre:

"Cristo nel suo Vangelo, c'insegna con la parola e con l'esempio come dobbiamo vivere, e con il sussidio interiore del suo Spirito, la grazia, e quello esteriore della sua comunità, la Chiesa, ci rende possibile compiere ciò che egli ci prescrive ... Nessuno si illuda. Cristo è esigente. La via di Cristo è la via stretta (cfr. Mt. 7, 14) ... Il Concilio dirà che, se abbiamo coscienza di quanto il battesimo opera nel nostro essere umano rigenerato, dobbiamo sentirci obbligati a vivere come figli di Dio, secondo l'esigenza di perfezione e di santità, che appunto deriva dalla nostra elevazione all'ordine soprannaturale (Lumen gentium n 40)

Ma nessuno si spaventi. Perché la perfezione alla quale - siamo chiamati dalla nostra elezione cristiana non complica e non aggrava la vita, anche se ci domanderà l'osservanza di molte norme pratiche, atte piuttosto ad aiutare che non a rendere più difficile la nostra fedeltà.

La perfezione cristiana esige innanzi tutto da noi la ricerca dei principi fondamentali del nostro essere umano. Il nostro dovere cerca di adeguarsi al nostro essere. Dobbiamo essere ciò che siamo. È questo il criterio della legge naturale, sulla quale oggi tanto si discute; ma che la semplice ragione rivendica nelle sue esigenze fondamentali, risultanti dalla vita stessa, interpretate dal buon senso, dalla ragione comune (cfr. Gaudium et spes, n. 36). È la legge che portiamo in noi stessi, in quanto uomini: «non scripta sed nata lex» (Cicerone); la legge che San Paolo riconosce anche nei popoli ai quali non fu annunciata la legge mosaica (cfr. Rm. 2, 14), e che il Vangelo ha assorbito, convalidato e perfezionato."

 Antonio Riboldi – Vescovo

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05/10/2012 07:04
 
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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

La famiglia, un dono, oggi, a volte incompreso

 

 

Il Vangelo di oggi con forza ci interpella sul grande sacramento del Matrimonio.

Ogni uomo, nascendo, ha una sua vocazione, ossia una strada da percorrere, per realizzare pienamente se stesso, costruendo ogni giorno la sua santità. E questo sentiero, il più delle volte, è il Matrimonio e quindi la famiglia.

Conosciamo tutti come questo grande sacramento venga oggi bistrattato, come pure non ci si riesce a darsi una ragione del fatto di così tante separazioni, che avvengono spesso anche dopo un brevissimo lasso di tempo vissuto insieme.

Alla base di una tale reale 'emergenza' - personale e sociale - certamente esiste una scarsa o precaria preparazione a questa stupenda vocazione, la più diffusa, in cui si misura la capacità e la vera natura del volersi bene. Per tanti amarsi è seguire un sentimento, cioè innamorarsi, ma questa è solo una prima tappa - importante, ma non fondante - che poco ha a che fare con la vera natura dell'amore. È vero che l'amore trova la sua base sul sentimento, ma questo, se non è educato, rischia di finire presto, mentre la famiglia e il matrimonio hanno bisogno di continuità.

L'amore non è certamente solo il 'sentirsi innamorati', ma va oltre: è una scelta di voler amare e come tale necessita di tempo, di fedeltà, di continuità per diventare davvero amore, quello vero.

Un tempo, nella società tutta, il senso della famiglia era profondo e serio: viveva di profondità e in una visione effettiva del 'per tutta la vita'.

Ho sempre in mente le parole che un giorno mi disse papà - io ero già sacerdote - 'Sono trent'anni che sto con mamma e mi sembra ieri, ma ti confesso che l'amo così tanto che se mi mancasse sarebbe come morire'. In altre parole mi voleva dire che quando si ama veramente, proprio per la natura dell'amore, che non è sono sentimento passeggero, proprio per la sua natura fa dei due una realtà così profonda nella vita, che ha il segno dell'eternità.

Aveva ragione papà a dire che perderla sarebbe stato come morire, perché mamma era diventata parte della sua stessa vita.

Il male di oggi è la troppa superficialità, che si ferma alla provvisorietà di un innamoramento, dopo di che, se non coltivato, viene il vuoto e inizia la tragedia della rottura.

Che la grazia del sacramento agisca e assicuri la continuità lo vedo da tante coppie che spesso chiedono una particolare benedizione in occasione dell'anniversario del loro matrimonio dopo 25, 30, 40 anni.

Una fedeltà che commuove ed è la testimonianza più bella che amare è davvero 'mettere piede nell'eternità'. E sono tante ancora le famiglie che conservano un dono così prezioso. Ogni volta le incontro o le benedico tocco con mano l'efficacia della Grazia.

Purtroppo è anche vero che in questo mondo, che ha al centro il consumismo, basato sull'usa e getta, gli stessi rapporti interpersonali e tanto più il matrimonio, sono privati di radici profonde e corrono il grave rischio di consumarsi in poco tempo e, a volte, con tanta leggerezza, senza valutare le drammatiche 'ferite' che arrecano ... paradossalmente anche in chi crede di compiere un atto di 'libertà personale'.

Ricordo un fotografo che mi manifestava la sua delusione, perché non sapeva a chi dare le foto di un matrimonio celebrato ... pochi mesi prima e già in frantumi.

Sono casi limite, si dirà, ma evidenziano come sia necessaria, soprattutto da parte della Chiesa, una vera preparazione, non superficiale, ma profonda, ossia che aiuti i fidanzati a conoscersi, valutare se sono in grado di compiere una vera scelta consapevole l'uno dell'altra, educandoli alla vera natura dell'amore - educazione che dovrebbe iniziare fin dai primi anni di vita nelle proprie famiglie, ma è così? -

Che l'amore soffra per le nostre fragilità, che spesso non ci rendono capaci di assumerci responsabilità, portandole avanti anche nelle difficoltà, è un limite che appartiene a uomini e donne di tutti i tempi, anche quelli di Gesù. Basta leggere il Vangelo di oggi:

"Avvicinatisi dei farisei per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: 'E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?'. Ma egli rispose loro: 'Che cosa vi ha ordinato Mosé?'

Dissero: 'Mosé ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla'.

Gesù disse loro: 'Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina, per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una cosa sola. L'uomo non separi mai ciò che Dio ha congiunto". (Mc. 10,2-16)

Lungo è il cammino: occorre non solo pregare, ma cercare di formare i giovani, i fidanzati, non solo cristiani, alla responsabilità nella vita e, soprattutto, nel matrimonio.

Unirsi in matrimonio è una vocazione, ossia una scelta che non può conoscere soste e tempo. È una scelta per sempre, che esige maturità umana e spirituale.

Non è la grande festa di un giorno, ma deve diventare un cammino insieme di tutta la vita, volendo davvero insieme, e con l'aiuto della Grazia, per chi crede, diventare 'una sola cosa' nello spirito, oltre che nella carne.

Vale sempre la ragione di mio papà, che credo sia anche di tantissimi papà e mamme: 'Se mi mancasse ... mi sentirei morire', perché sarebbe come perdere 'una parte di sé': questo è il matrimonio a cui si deve aspirare e per cui si è disposti alla 'rinunciare di sé' , intesa come pretese di illusoria 'libertà' ed egoismo.

Bisognerebbe, in un tempo come il nostro in cui regna tanta superficialità ed individualismo in tutto, educare alla serietà e alla gioia del dono, unica via per una realizzazione personale e maturazione vera. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra cosiddetta 'libertà', non può essere tale se lede i diritti degli altri.

Abbiamo mai provato a metterci nei panni di figli che vivono il dramma della separazione dei genitori? Pagano conseguenze terribili per l'immaturità di chi dovrebbe proteggerli, provando confusione, disorientamento, sofferenze che pesantemente influiranno sulla loro vita, sulla loro crescita come persone.

Il Vangelo di oggi pone accanto alla necessità della fedeltà nel matrimonio, la conseguenza sulla sorte dei piccoli.

Gesù amava i bambini, proprio perché più deboli. E lascia un monito che deve farci pensare: 'Lasciate che i bambini vengano a Me. Non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno dei Cieli'.

Affermava Giovanni Paolo II: “La famiglia cristiana, in quanto Chiesa domestica, costituisce una scuola nativa e fondamentale per la formazione alla fede. Il padre e la madre ricevono dal sacramento del matrimonio la grazia e il ministero dell' educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali trasmettono e testimoniano insieme valori umani e valori religiosi.

Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che sentono vicino come Padre amorevole e provvidente, imparando i primi gesti d'amore, i figli imparano ad aprirsi anche agli altri, cogliendo nel dono di sé il senso del vivere umano ....

Quanto più i coniugi e i genitori cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro 'Chiesa domestica' è partecipe della vita e della missione della Chiesa universale, tanto più i figli potranno essere formati al senso della Chiesa".

Non ci resta che pregare la Sacra Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria.

Sia la sola scuola di vita di tante famiglie che, con me, cercano il vero segreto della gioia e della santità. Prego per voi.

 Antonio Riboldi – Vescovo

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14/10/2012 06:34
 
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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Tu vieni e seguimi

 

 

Difficile conoscere il cuore degli uomini, sempre, come spesso è difficile decifrare il nostro cuore, anche quando meditiamo la Parola di Dio, direi, anzi, che ogni volta che cerchiamo di immergerci nella Sua Parola, ci prende una grande confusione, dovendo constatare il grande distacco tra ciò cui aspiriamo e ciò che viene richiesto.

Quando parla della difficoltà del nostro cuore, intendo riferirmi alla sede delle nostre scelte, soprattutto quelle profonde, su cui poi indirizziamo non solo gli affetti, ma l'intera vita e con essa la scommessa della vera felicità o, se volete, la scoperta del segreto di ciò che Dio, creandoci, ha 'sognato' per noi.

Infatti il cuore dell'uomo è diventato un groviglio di interessi, che a volte si affannano a detenere il primo posto - per poi magari essere smentiti subito dopo da altri in contrasto -

Al mattino - si spera - preghiamo: 'Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa ... ' e poi durante il giorno ci accorgiamo di rincorrere ben altro: interessi materiali, cercati a volte disordinatamente o, più semplicemente tutta una serie di azioni dettate semplicemente dal tanto radicato nostro egoismo.

Alla fine - ed è Grazia - ci viene da chiederci: 'Ma io amo veramente Dio?' O forse ci chiediamo: 'Dove si dirige il mio amore? È davvero il centro delle mie scelte, da cui prendono sapore e gusto le altre creature e la stessa mia vita?'

C'è nella vita di ciascuno di noi qualcuno o - Dio non voglia - qualcosa che amiamo di più: qualcuno o qualcosa che abbiamo scelto come il più grande amore, cui dedicare la massima attenzione, fino a dare la vita se necessario! Un amore, insomma, che è come il nostro respiro e dà senso a tutto. Può venire a mancare tutto e ... sarebbe sopportabile, ma guai se venisse a mancare questo amore. Come quando due persone che si amano con totalità, se una delle due sta male ed occorre curarla, si è disposti a vendere tutto, purché sia salva la vita di chi si ama. È l'amore e lì è la felicità.

Sappiamo tutti che noi veniamo alla vita per la volontà del Padre, il quale non solo sa a chi affidarci, ma dà alla nostra vita come un progetto da realizzare. In questa vita terrena abbiamo il compito di raffinarci nell'amore, eseguendo la Sua volontà che ci manifesta, ma lascia sempre liberi di scegliere. È il progetto che Dio a ciascuno di noi, ora, nella nostra vita quotidiana, manifesta in mille modi, attraverso i nostri doveri, le persone che incontriamo, i fatti che ci accadono, la Sua Parola, nel matrimonio, nella vita consacrata, nelle missioni ... insomma, a ciascuno Dio crea una strada da percorrere, che diventa il filo da seguire. Noi le chiamiamo scelte, ma direi che, più che nostre scelte, dovrebbero essere il frutto della ricerca, che ciascuno fa nella vita, delle scelte 'sognate' da Dio per la nostra realizzazione e pienezza di Vita.

È vero che sono infiniti i modi di vivere le scelte, ma è altrettanto vero che tutte dovrebbero essere un 'fiat' generoso alla volontà del Padre, che ha tutto preparato per noi.

Non avrei mai immaginato di vivere nella mia vita quello che ho vissuto! A cominciare dalla mia vocazione alla vita religiosa, al mio essere parroco nel Belice, con tutto quello che è accaduto, fino alla sorpresa di essere chiamato dalla Chiesa ad essere vescovo. Nulla di tutto questo era nei miei sogni da fanciullo. Nella prima adolescenza avevo avuto qualche pensiero sull'essere missionario in Africa, ma poi le cose sono andate diversamente e così, facendomi prendere per mano, come religioso, dall'obbedienza, mi sono visto mandato dove non avrei mai immaginato di andare ed essere quello che mai mi era passato nemmeno per la testa. Ma ora, a distanza, riesco a vedere chiaro la mano di Dio che ha fatto di me quello che non avrei mai sognato!

Ricordo sempre quando Paolo VI mi chiese di accettare di essere vescovo. Rimasi talmente confuso, che non seppi dire una parola, salvo poi dire la sola che mi venne: obbedisco.

Essere cristiani è essere come fanciulli che non conoscono la strada, ma si affidano ciecamente a Chi li prende per mano, pienamente fiduciosi, anche se a volte in qualcuno è forte la tentazione di dire 'no' alla voce di Dio, l'unica vera causa di 'tristezza' nella vita.

"Mentre Gesù stava per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domanda: 'Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?'.

Gesù gli rispose: 'Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre '.

Egli allora gli disse: 'Maestro tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza'.

Allora fissatolo, lo amò e gli disse: 'Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi'. Ma egli,rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

"Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 'Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno dei cieli!'. I discepoli rimasero stupefatti a queste parole, ma Gesù riprese: 'Come è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio!'. Ma i discepoli ancora più sbalorditi dicevano tra loro: 'E chi si può salvare?'.

Ma Gesù, guardandoli, disse: 'Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio!'. Pietro allora disse: 'Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito'. Gesù gli rispose: 'In verità vi dico: non v'è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli, sorelle o padre o madre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case, fratelli, sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna'. (Mc. 10, 17-30)

Fa davvero pensare quel giovane, presentatosi a Gesù con entusiasmo, di fronte alla scelta del Maestro e alle sue richieste ... rattristatosi, rifiuta di seguirLo, perché aveva molti beni!

Fa davvero pensare il rifiuto del giovane, che si era presentato a Gesù con entusiasmo ed era stato scelto dal Maestro.

Certo può sembrare un linguaggio duro questo offrirsi di Dio, come il più grande Amore, che deve occupare tutta la vita. Chissà quante volte, anche oggi, avviene questo rifiuto.

Non si può comprendere come si possa rifiutare l'offerta di essere amati in modo totale da Dio, ma comprendiamo benissimo come la inevitabile conseguenza sia un profondo 'rattristarsi'.

Del resto quale importanza possono avere tutte le cose di questo mondo, una volta che si è trovata 'la perla preziosa'. Possiamo ammirare, godere di tante bellezze e comodità della vita, sono sempre creature di Dio, ma sono, appunto, solo creature ... passano!

Eppure siamo pronti a venderle tutte per non perdere una sola fibra del Suo Amore? È questo davvero l'atteggiamento spirituale di ogni cristiano, qualunque sia la via maestra - matrimonio, vita consacrata ... - che per lui il Padre ha disegnato?

Fa davvero riflettere quello che da parte di tante mamme e papà che, fin da piccoli, indirizzano i figli verso traguardi che nulla hanno a che fare con la vita eterna.

Ogni volta incontro giovani, mamme, papà, che hanno a cuore una vera educazione dei figli alla vita con Dio provo una grande gioia. È una gioia che vorrei fosse di tutti quelli che con me riflettono sul Vangelo di oggi.

Dovremmo avere sempre davanti al cuore e alla mente le parole che Gesù rivolse a Pietro, che affermava: 'Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito ... '.

La risposta del Maestro è chiara, sicura e fedele: In verità in verità vi dico: 'Non c'ènessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madre e figli campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna'.

Mettere l'amore al Padre al primo posto, affidandoci alla Sua volontà, è la strada maestra, sicura, che auguro a tutti noi per essere davvero figli felici qui e, soprattutto, nella Casa del Padre.

 Antonio Riboldi – Vescovo

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20/10/2012 09:48
 
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XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Il cristiano vero ama il servizio, non il potere

 

 

Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti uomini e donne a farsi avanti per essere sulle prime pagine dei giornali, delle riviste o della cronaca in genere, e non solo nel campo della politica o dell'economia o dello spettacolo, ma a volte in quello della violenza o della malavita organizzata.

Ed è emersa una risposta abbastanza evidente. Sono due le 'sirene' che attraggono, seppur nascoste sotto modi e forme diversi: il prestigio e il potere È difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste 'sirene'! Se si ha 1'occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre.

Del resto 'l'occasione fa l'uomo ladro' è un detto della saggezza antica, quella che nasce da una lunga esperienza del vivere umano!

Il successo e il potere garantiscono di finire sulla bocca di tutti, di entrare nella vita di tanti e diventano un sogno per molti. Poco importa se, spesso, per arrivarci si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale, se si deve ignorare ogni sentimento di solidarietà verso gli altri, che invece, per noi che siamo di Cristo, sono valori che hanno il primo posto nella vita.

Dobbiamo esserne consapevoli: il prestigio e il potere, in ogni campo, esigono come prezzo di essere posti come principi di vita, da non mettere mai in discussione, se li si vuole raggiungere ... anche se le conseguenze sono a volte devastanti: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, senza considerare il vuoto esistenziale, il deserto interiore, che una tale visione di vita, a lungo andare provoca in chi si è reso schiavo di tali 'sirene'.

Il prestigio e il potere si rivelano 'padroni', che inaridiscono coloro che li seguono, rendendoli 'duri di cuore', fino a pretendere dagli altri un servizio, che è servilismo, distruggendo la meravigliosa condivisione e senso dell'uguaglianza nella dignità, che solo l'amore sa costruire.

Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Uno di loro mi fece attendere un'ora. Quando finalmente comparve, con una certa delicatezza, gli feci rilevare la non opportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di che cosa sia 'il trono', che ci si può costruire 'dentro'. Con fare sprezzante quasi mi urlò: 'Nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone!' ... e vi era un chiaro compiacimento in queste sue parole! Gli risposi: 'lo non ho mai torto un capello a nessuno. Sono qui, perché sono stato invitato da lei e dai suoi compagni, e la ringrazio. Forse ai suoi occhi, per questo mio servizio, sono un niente, ma ho scelto io di voler essere un niente senza morti, abbracciando come principio della vita il servizio'. Mi guardò con attenzione, con un senso di sufficienza, poi ebbe una reazione furibonda e, mentre uscivo, urlò: 'Questa sera non arriverà a casa'. Un vero delirio di chi si sente grande ... a suo modo!?

Sappiamo tutti che la superbia è il grande male, iniziato all'origine della creazione dell'uomo, a causa dell'uomo stesso. I progenitori erano stati creati per la felicità, erano il primo frutto dell'amore del Padre ... ed erano nello stesso tempo la nostra origine.

Dio permise che l'amore fosse messo alla prova, perché amare è sempre una scelta libera. Il demonio seppe ingannarli, facendo balenare ai loro occhi la possibilità di 'essere come Dio, disobbedendo': è la tentazione della superbia, ieri, oggi e sempre, perché i nostri pro genitori caddero e quel vizio è ora annidato in ogni uomo.

Il Vangelo di oggi ha una prima parte in cui affiora la voglia di emergere, del potere e dall'altra la risposta netta di Gesù: 'Chi vuoi essere primo tra di voi sarà servo di tutti'.

Ricordiamo sempre che tutto quello che Gesù, il Figlio dell'uomo, chiede, lo ha vissuto in prima persona: è la grande lezione nella lavanda di piedi agli Apostoli

"In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra'. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatoli a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc. 10,35-45)

È evidente che i due apostoli, Giacomo e Giovanni, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano ancora come tanti di noi.

Immaginavano che, stando vicino al Maestro, se non proprio subito, ma in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la 'gloria'. Ma non potevano sapere, né tanto meno comprendere ed accettare, da un punto di vista puramente umano, qual era il loro - e spesso il nostro - che la 'gloria' era nell'annientamento per amore, attraverso la passione fino al colmo dell'umiliazione sulla Croce. Affermava Paolo VI: 'Che l'umiltà sia un'esigenza costituzionale della morale del cristiano, nessuno lo può negare. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi termini stessi'.

Se ci guardiamo dentro con sincerità troviamo in noi stessi tanti lati oscuri, al punto da riuscire a volte ad appannare persino ogni tentativo di superbia, per mascherarla. Siamo proprio nulla. Solo del bene che lasciamo operare da Dio in noi dovremmo vantarci.

Questo lo capivano e lo capiscono i grandi nello Spirito. Ho avuto la grazia di stare vicino a persone davvero 'grandi' agli occhi di Dio e degli uomini, proprio per la loro umiltà e confidenza nell'azione della Grazia, e sempre mi hanno colpito proprio per la loro semplicità di cuore, questa è la luce vera che effondevano ed effondono ancora.

Così come nulla rattrista ed allontana come la superbia.

Non resta a noi, che siamo di Cristo, che riconquistare quello spirito di verità che genera l'umiltà. Alziamo il nostro sguardo a Maria SS. ma.

Nessuna creatura al mondo è stata e sarà grande come Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Suo Figlio. Leggendo il Vangelo appare tutta la sua umiltà, quella che le fa cantare: L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva ... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e grande è il Suo Nome'.

Che ci aiuti Maria a voler essere umili, ossia graditi a Dio e quindi amati ... anche se agli occhi degli uomini siamo considerati un nulla.

L'umiltà è verità e aiuta a guardare con mitezza e bontà, con speranza radicata in Dio, ogni espressione della vita.

Con questo spirito riflettiamo ancora con le parole di Paolo VI:

"Noi abbiamo passato in rivista i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e cosi via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l'attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente; ecc.

Vi diremo ora che vi è un altro aspetto delle Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini.

Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l'umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l'invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza.

Chiesa umile, non nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell'esercizio delle sue potestà, generatrice e moderatrice del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l'edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d'ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l'indegnità propria, sempre ricordando l'esclamazione dell'Apostolo pescatore: «Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Lc. 5, 8).

E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell'indefettibilità della Chiesa e della rappresentazione di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli.

La Chiesa di Pietro gode di un'assistenza di Cristo e d'una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male; e la Chiesa intera non cessa d'essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell'esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l'edificazione del Corpo di Cristo» (Ef. 4, 12).

Questa osservazione, che ci condurrebbe allo studio delicato dell'azione del Signore nella sua Chiesa, ci autorizza a fare a voi, diletti figli e figlie, una raccomandazione.

Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la raccomandazione. Non vi accontentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, che essa presenta; conoscetela nella verità, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice".

Antonio Riboldi –Vescovo

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27/10/2012 14:00
 
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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

 

Una insistenza della preghiera che viene ripagata

 

 

"Che vuoi che io ti faccia?" E’ domanda che Gesù pone al cieco, che aveva incontrato, mentre era in viaggio. E la risposta diretta del cieco è una grande lezione su cosa significhi avere fiducia, ossia fede: 'Rabbunì, che io riabbia la vista'.

Tante volte capita anche a noi, nella necessità, di rivolgerci a Dio, ma quasi con arroganza, con la pretesa di essere esauditi, che è ben diversa dalla fede, che è un rimettersi alla bontà di Dio, certi che Lui sa quello che giova a noi ed è il nostro vero bene. Pregare è, credo, innanzitutto affidare a Dio ciò che siamo e desideriamo, poiché è evidente la nostra continua esperienza di quanto poco possiamo e, quindi, la necessità di rivolgerci a Chi invece può tutto, ma senza mai dimenticare ­come ho già detto e ribadisco - che il Padre sa meglio di noi quale è il nostro vero bene.

Questa è la fiducia che dobbiamo dimostrargli, mettendo tutta la nostra vita nelle sue braccia e lasciando a Lui, con molta fiducia, l'opportunità o meno di esaudire i nostri desideri, poiché noi, nella nostra pochezza, troppo spesso, misuriamo il bene della vita solo guardando alle necessità della terra, ossia alla breve esperienza che facciamo qui, prima della vera vita eterna, che per Dio è il nostro vero fine, la nostra vera realizzazione e salvezza.

Pregare è dialogare con Dio, per imparare a conoscerne i pensieri, il progetto d'amore da Lui pensato per ciascuno di noi. Vi può essere un momento più importante del dialogare con Dio?

Ma sappiamo come è difficile questo atteggiamento già solo tra di noi, spesso le nostre sono solo chiacchiere senza contenuto, un parlare che fa solo rumore, ma quando il parlare diviene dialogo allora davvero si cerca nell'altro e con l'altro il vicendevole bene. Ci vuole però tanta fiducia, immensa fiducia, l'uno con l'altro: è un cammino difficile, come fu quello di Bartimeo, il cieco di cui parla il Vangelo di oggi:

"Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me'. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: 'Figlio di Davide, abbi pietà di me!'. Allora, Gesù si fermò e disse: 'Chiamatelo'. E chiamarono il cieco dicendogli: 'Coraggio! Alzati, ti chiama'. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: 'Che vuoi che io ti faccia?'. E il cieco a lui: 'Rabbunì, che io riabbia la vista'. E Gesù gli disse: 'Va', la tua fede ti ha salvato'. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada". (Mc, 10, 46-52)

E' davvero commovente la fede e la semplicità del cieco Bartimeo. Quando si rivolge a Gesù innanzitutto si appella alla Sua pietà, ed è questa fiducia che tocca il cuore di Gesù e diviene guarigione per Bartimeo. Molto diversa dalla preghiera di troppi che, a volte, si rivolgono a Dio con la presunzione di imporgli ciò che riteniamo ci sia necessario, senza chiederci se rientra nel nostro vero bene, quello che Dio solo conosce: un bene che non può essere solo la soddisfazione di quel che necessita qui, ma va oltre, e proprio per questo noi miserelli non siamo neppure in grado di valutarlo. È giusto, dunque, rivolgerci a Dio nelle nostre necessità, ma è più saggio abbandonarsi poi al Cuore del Padre, che sa quello di cui veramente abbiamo bisogno.

Ho conosciuto un uomo che aveva alle spalle una vita certamente lontana da Dio. Si trovò un giorno a doversi riparare dalla pioggia in una chiesa. Il silenzio del luogo sacro lo attrasse e avvenne l'Incontro. Passò ore davanti al Santissimo come a voler ricucire un dialogo che forse non c'era mai stato. Ma quando uscì da quella chiesa era ben altro, tanto che diceva a tutti coloro che conosceva o incontrava, meravigliandoli: 'Dio esiste. lo l'ho incontrato.' ... e scrisse anche un libro eccezionale su questa sua esperienza di vita ... divina. Così come conosco famiglie che nella casa hanno un angolo, un piccolo spazio - tanto prezioso - per i momenti di preghiera, dove tutti, a sera, si ritrovano per condividere fede e fiducia e Dio li ripaga con una vita insieme che è vera comunione. Quando ci si affida a Dio, Lui non ci lascia mai a mani vuote.

Ben diversa la situazione di una persona che era in difficoltà e viveva il grande male della disperazione. Quando le dissi di provare a fidarsi del Padre e invocarlo nella preghiera, la risposta mi agghiacciò: 'Ma lei crede ancora a queste cose?'.

Purtroppo sono tanti che ragionano come quell'uomo, ma sappiamo tutti come il dolore, tante volte, possa essere devastante, soprattutto se affrontato con le sole nostre forze, che sono talmente povere, fino a poter giungere a volergli porre un fine con il suicidio.

Bisogna ritornare a chiederci, tutti, quale posto abbia Dio nella nostra vita? Dio non voglia, davvero, che lo abbiamo ridotto ad una pura astrazione, una illusione, una tradizione da vecchi ... peggio ancora 'oppio dei popoli'. Dio esiste, è il Vivente e la Sorgente della nostra vita, è Colui che ci mantiene nell'essere e nell'esistere e ha cura di noi, di ciascuno di noi ... personalmente! Questa è la nostra fede e questa è la ragione che ci porta a chiederci quale posto abbia ancora, in noi e nella nostra vita, la preghiera? Meglio ancora quale posto ha Dio in noi e come e quante volte nella giornata Gli parliamo, anche solo con uno sguardo o un sospiro del cuore o un breve dialogo spontaneo con Lui: questa è l'essenza della preghiera, sapere che c'è e veglia su di noi ed è l'Unico di cui non possiamo fare a meno. Non è lui l'assente, ma siamo noi che troppo siamo distratti da altre cose ... Lui attende solo che, come il cieco Bartimeo, Gli rivolgiamo attenzione, parola e amore.

Voglio ricordare un esempio di preghiera che mi ha dato gioia. Era 1'8 maggio del 1968, qualche mese dopo il terremoto del Belice. Subito dopo il dramma avevamo costruito, accanto alle baracche, una chiesa-tenda, come a ricordare a tutti che il Padre era tra di noi. Venne a visitarci l'On.le Aldo Moro. Quel giorno, come è usanza, vi era la supplica alla Madonna di Pompei. Il Presidente arrivò quando era iniziata l'ora di adorazione. Chiese di parteciparvi e stette per tutto il tempo in ginocchio, in atteggiamento di profonda preghiera, lasciando tutti noi stupiti, quasi attoniti. Solo dopo visitò le baracche. Ricordo che accanto a me un uomo, visibilmente commosso, disse: 'Finchè ci sono uomini così al Governo possiamo avere tanta fiducia'.

Sarebbe bello se ciascuno di noi creasse un momento della giornata in cui poter dialogare, con calma e nella pace, con Dio. Darebbe alla vita un altro sapore, quello che solo Dio sa donare.

Ma saremo capaci di avere la fede di Bartimeo?

Approfondiamo questo valore profondo della preghiera con le parole del caro Paolo VI:

"La preghiera è un colloquio; un colloquio della nostra personalità attualmente cosciente con lui, l'interlocutore invisibile, ma avvertito presente, il sacro Vivente, che riempie di timore e di amore, il divino Ineffabile, che Cristo, (cfr. Mi.11,27) facendoci il grande, inestimabile dono della rivelazione, ci ha insegnato a chiamare Padre, cioè fonte necessaria e amorosa della nostra vita, invisibile e immenso come il cielo, come l'universo, dov'egli si trova, tutto creante, tutto penetrante e continuamente operante. Come risvegliare questo fondamentale senso religioso, nel quale soltanto la nostra voce minima, ma piena di significato, piena di spirito, trova la sua atmosfera, e può esprimersi gemendo e cantando la sua filiale parola: Padre nostro, che sei nei cieli? Risvegliare, dicevamo, nell'uomo moderno questo senso religioso, come si può? (cfr. Guardini, Introduzione alla preghiera). Perché noi avvertiamo l'enorme e cresciuta difficoltà, che oggi la gente incontra nel parlare con Dio. Il senso religioso oggi si è come affievolito, spento, svanito. Almeno così pare. Chiamate come volete questo fenomeno: demitizzazione, secolarizzazione, autosufficienza, ateismo, antiteismo, materialismo ... Ma il fatto è grave, estremamente complesso, anche se si presenta in pratica così semplice, e invade le masse, trova propaganda e adesione nella cultura e nel costume, arriva dappertutto, come fosse una conquista del pensiero e del progresso; sembra caratterizzare l'epoca nuova, senza religione, senza fede, senza Dio, come se l'unità fosse emancipata da una condizione superflua e oppressiva (cfr. Gaudium et Spes, n. 7).

Così non può essere, voi lo sapete: ricordate forse - per dire tutto con un'immagine - la parabola del «filo dall'alto» dello Joergensen, quel filo che sostiene tutta la trama della vita, spezzato il quale, tutta la vita si affloscia e decade, perde il suo vero significato, il suo stupendo valore; quel filo è il nostro rapporto con Dio, è la religione. Essa ci sostiene e ci fa sperimentare in una gamma ricchissima di sentimenti, la meraviglia di esistere, la gioia e la responsabilità di vivere. Noi siamo certissimi di ciò. Il nostro ministero vi è essenzialmente impegnato, e soffre osservando come la nostra generazione faccia fatica a conservare e ad alimentare questo senso religioso sublime e indispensabile".

 

Antonio Riboldi – Vescovo

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