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MERAVIGLIOSA PROGETTAZIONE DEGLI ORGANISMI VIVENTI

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2021 16:14
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06/07/2011 08:22
 
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La struttura di ogni singola parte dell'esistente, dalla più piccola alla più grande, mostra una complessità, una organizzazione, una efficienza,una finalizzazione, una bellezza, una armonia in se stessa e con tutto il resto,  tali da ritenere che non possano essersi prodotte per caso o per l'esplicarsi di una forza inconsapevole, tutte le informazioni opportune per il loro sviluppo.

Tali INFORMAZIONI presuppongono un INFORMATORE.

E non un INFORMATORE qualsiasi, considerata la minuziosità, la grandezza, e la complessità dell'esistente.


[Modificato da Credente 10/04/2015 19:57]
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06/07/2011 08:23
 
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L’evoluzione dell’occhio rende ancora inquieti i neodarwinisti


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 

“Dove hai preso quegli occhioni?”. Stavolta parliamo di occhi. La frase è il titolo di un articolo in cui Richard Dawkins tenta di minimizzare il famoso problema dell’evoluzione dell’occhio.

In realtà, la questione dell’occhio nasce insieme alla teoria dell’evoluzione. Ne “L’origine delle specie” Darwin afferma infatti: «Supporre che l’occhio, con tutti i suoi inimitabili meccanismi [...], si possa essere formato per mezzo della selezione naturale, sembra, lo confesso liberamente, assurdo al massimo grado. Tuttavia la ragione mi dice che, se si potesse dimostrare l’esistenza di numerose gradazioni da un occhio perfetto e complesso a uno molto imperfetto e semplice, ogni gradino essendo utile al suo possessore [...], allora la difficoltà di credere che un occhio perfetto e complesso si possa formare mediante la selezione naturale, sebbene insuperabile dalla nostra immaginazione, potrebbe a stento ritenersi reale». Va detto che il problema dell’individuazione dei suddetti gradini è sempre apparso particolarmente tenace.

Il primo tentativo apparentemente efficace di spiegazione gradualistica darwiniana è del 1994: si tratta del famoso lavoro di Nilsson e Pelger A pessimistic estimate of the time required for an eye to evolve, al quale fa entusiasticamente riferimento Dawkins nell’articolo citato. L’ipotesi si può riassumere più o meno come segue:
1) un occhio imperfetto e semplice è costituito da uno strato di cellule sensibili alla luce, grazie alle quali l’animale è capace di dirigersi verso la direzione generica della fonte di luce.
2) l’evoluzione comincia con l’”insaccamento” di questo strato in una specie di pozzetto semisferico;
3) quando il pozzetto è diventato abbastanza profondo, appare all’ingresso della cavità un diaframma circolare che va progressivamente restringendosi;
4) nell’incavo, già pieno di una sostanza trasparente, si forma gradualmente una zona di densità più elevata che agisce da lente.

E così, sembrerebbe proprio che si possa arrivare a un occhio “perfetto e complesso” attraverso una serie di piccole variazioni, a partire da un occhio “imperfetto e semplice”. Oltretutto, secondo gli autori la transizione non richiederebbe più di 400.000 anni! Non c’è da stupirsi che questa clamorosa affermazione abbia suscitato tanto entusiasmo nei circoli ultra-darwinisti. D’altra parte, purtroppo per questi ultimi, non è difficile dimostrare che essa è quanto meno un po’ avventata. Infatti, la catena evolutiva descritta nei passaggi precedenti non è affatto graduale e continua, dal momento che i passaggi 2 → 3 e 3 → 4 non corrispondono a minime modificazioni di una stessa caratteristica (la forma del “proto-globo oculare”, per intendersi), ma comportano l’”invenzione” di due specifiche strutture organiche del tutto indipendenti, la “proto-pupilla” e il “proto-cristallino”.
Insomma, si capisce che è richiesta l’immissione saltuaria di nuova informazione, ovvero la comparsa casuale di novità impreviste e non implicite nel patrimonio genetico preesistente. Di conseguenza, nessuna teoria può essere in grado di prevederne la tempistica.

C’è poi, nella questione dell’evoluzione degli organi complessi, un importante fattore di cui tenere conto: ed è quello della “larghezza del setaccio”. Mi spiego: la selezione naturale darwiniana non è in grado di distinguere tra una mutazione che porta alla formazione di un organo complesso e una che semplicemente favorisce la sopravvivenza del singolo animale; perciò, essa costituisce un “setaccio” troppo largo: esistono infatti troppe modalità alternative di sopravvivenza, che non sono – invariabilmente o necessariamente – le migliori. Facciamo un esempio: prendiamo il caso di un’ipotetica specie acquatica formata da erbivori. Supponiamo che tutti gli individui della specie stiano per passare dalla fase 3 alla fase 4: dunque hanno una struttura oculare ottimizzata per funzionare senza lente (il “proto-cristallino”) e sono – per così dire – “in attesa” che una mutazione casuale la faccia comparire. Visto, però, che al Caso non si comanda, potrebbe capitare che nell’ambito della specie compaiano due gruppi mutanti: uno, finalmente dotato di “proto-cristallino”; l’altro, ancora fornito del vecchio modello di occhio – ma leggermente più prolifico. I due gruppi vengono mangiati dagli stessi carnivori e sono in competizione per le stesse risorse alimentari. Chi può dire, perciò, quale di loro prevarrà? La selezione naturale non riesce, infatti, a distinguere la caratteristica veramente migliore sul lungo termine (un occhio dotato di cristallino) da quella che permette solo all’animale di avere una discendenza più numerosa. Infatti, un occhio non ancora completamente evoluto non è necessariamente vantaggioso per il suo possessore: se l’animale non riesce ad adattare l’apertura a condizioni di luce variabile, risulta cieco a tutti gli effetti quando, per esempio, l’illuminazione diventa scarsa… insomma, potrebbe bastare il passaggio frequente di nuvole per mandare al Creatore tutte quelle speranzose bestioline con occhioni tanto promettenti, e decretare invece il successo dei poveri parenti semi-ciechi, ma più fecondi di loro.

Ad ogni modo, nessuno considera ancora chiusa la questione dell’occhio. È appena dello scorso giugno un articolo di Trevor D. Lamb in cui si dichiara baldanzosamente che «ormai gli scienziati hanno una chiara visione di come sia apparso il nostro occhio notoriamente complesso». In effetti, questo lavoro non aggiunge granché alla problematica in questione (cfr. www.evolutionnews.org/2011/06/). Oltretutto, ho trovato molto divertente la seguente affermazione di Lamb: «I risultati indicano che il nostro genere di occhio [...] si formò in meno di 100 milioni di anni, evolvendo da un semplice sensore di luce [...] a partire da 600 milioni di anni fa». Meno di cento milioni di anni? Altro che i 400.000 anni di Nilsson e Pelger, allora! Del resto, se pensiamo che in un arco di tempo molto inferiore – forse lungo soli dieci milioni di anni sarebbero apparsi tutti i piani corporei animali conosciuti… ci rendiamo conto che, probabilmente, c’è ancora una volta qualcosa che non torna nel ragionamento gradualistico darwiniano. Con buona pace di Dawkins e seguaci.

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06/07/2011 08:30
 
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Il cervello umano

Sfida alla complessità

Lo studio del cervello rappresenta una vera e propria sfida data l'enorme complessità e mistero che avvolge quest'organo centrale per la nostra esistenza.

 La determinazione della sequenza del genoma ci ha messo di fronte all'evidenza che i nostri geni non sono poi così numerosi come si poteva ragionevolmente pensare guardando la complessità del nostro organismo.

Studi comparativi ci hanno rivelato che il loro numero non è significativamente diverso da quello dei geni del topo o del moscerino della frutta, ma allora che cosa ci diversifica da questi organismi? Che cosa rende così complesse le nostre funzioni cerebrali? Che cosa ci rende capace di analizzare, valutare, indagare, scoprire noi stessi e la realtà che ci circonda, di adattarvisi o di modificarla come nessun altro animale sa fare?

Se si analizza il cervello di un mollusco marino chiamato Aplasia, si può riconoscere ogni singolo neurone e lo si può ritrovare nella stessa posizione e con le stesse caratteristiche in ogni esemplare di questa stessa specie.

Quando si prende in considerazione il cervello umano una simile operazione diventa immediatalmente impraticabile, non solo per il numero elevato di cellule che lo caratterizzano, ma per l'unicità della loro disposizione e delle reazioni reciproche che si sviluppano nel corso dell'esistenza di ogni singolo individuo.

Come se ciò non bastasse il cervello umano è plastico, in continuo divenire e quello che più i neurobiologi vorrebbero sapere è come funziona questa plasticità a livello molecolare, quali eventi biochimici devono verificarsi per modificare le connessioni tra cellule nervose, quali sono i geni coinvolti nei diversi processi, quali le proteine critiche e come si può intervenire per ottenere determinati risultati (per es. come aumentare la capacità di apprendimento o far recuperare la memoria) e qual sono i limiti funzionali di una struttura tanto articolata e dinamica.

Qualunque evento che vada al di là di una semplice reazione enzimatica coinvolge moltissime strutture e molecole differenti che interagiscono in modo coordinato.

Per comprendere la natura di un meccanismo è quindi necessario prendere in considerazione tutte le proteine presenti nella cellula nel momento in cui il fenomeno si verifica.

Se si pensa che non si conoscono ancora con precisione le caratteristiche strutturali e funzionali di nessuna delle migliaia di proteine presenti per esempio a livello di una determinata cellula nervosa, risulta immediatamente chiaro quanto lavoro resti ai ricercatori.

Un cellula del cervello che va incontro a morte cellulare Inoltre, attribuire una funzione a ogni proteina presente nella cellula è una sfida conoscitiva, infatti praticamente tutte le patologie umane dipendono dalla presenza nell'organismo di una o più proteine alterate o che funzionano male.

Quasi tutti i farmaci e le tecniche terapeutiche esistenti finora, anche quelli più mirati e specifici, non agiscono mai esclusivamente sulla cellula difettosa, ma anche su altre strutture analoghe presenti in altre parti del corpo, oppure sono studiati per compensare un'alterazione anche se non la eliminano e ancora riescono ad alleviare solo i sintomi che adesso induce.

Molte sostanze che agiscono sul sistema nervoso inoltre vengono utilizzate solo su base empirica in quanto si è visto che riescono ad alleviare un certo disturbo, ma poco o nulla si sa di come agiscono a livello molecolare.

La conoscenza della struttura tridimensionale delle proteine e delle loro modificazioni di conformazione in presenza di particolari condizioni cellulari o in seguito all'interazione con farmaci o altre molecole è essenziale per penetrare e definire la funzionalità cellulare.

Il dettaglio della struttura proteica è fondamentale per individuar e per progettare il farmaco ottimale capace di compensare il difetto.

Per alcune malattie come la fibrosi cistica o l'emicrania familiare derivanti da anomalie di canali proteici presenti nella membrana cellulare, gli studi di questo tipo sono già a buon punto.

Il cervello può essere funzionalmente suddiviso in tre aree definite ciascuna reponsabile di un'attività specifica.

Nello studio del funzionamento delle diverse zone del cervello assumono un ruolo critico le tecniche di imaging che consentono di visualizzare l'attività neuronale in vivo.

Benché sempre più specifiche e raffinate, quelle attualmente esistenti non riescono a rilevare fenomeni che avvengono molto rapidamente o che hanno interferenze minime sul complessivo metabolismo cellulare.

Attualmente sono in studio traccianti capaci di consentire l'analisi di un singolo eurone nel tempo e con adeguata sensibilità e capaci di evidenziare particolari attività cellulari.

Per esempio, in Germania e in America è già stato messo a punto un dispositivo di microscopia a due fotoni che applicato sulla testa di un animale in movimento consente di visualizzarne l'attività dei neuroni negli strati superficiali della corteccia senza causare nessun fastidio all'animale.

Questa stessa tecnica può essere utilizzata per studiare la formazione di nuove terminazioni nervose in vivo.

Esistono già diversi studi in cui si dimostra che è possibile seguire la struttura di un neurone anche a centinaia di millimetri di distanza e attraverso diversi strati di tessuto (epidermide, teca cranica, liquor...) e di seguirne le modificazioni nello stesso animale per mesi.

Le tecniche di visualizzazione sono importanti anche per capire quali sono le funzioni di una proteina in vivo perché consentono di valutare direttamente l'effetto della sua presenza o della sua assenza sulla struttura cellulare.

Ma è proprio necessaria una conoscenza così dettagliata? Pensiamo alla malattia di Alzheimer: pochi sanno che le forme di Alzheimer derivate da un singolo difetto genico, ovvero le forme familiari ed ereditabili, costituiscono soltanto l'1-2% di tutti i casi.

Nei casi restanti, la patologia insorge per motivi diversi ancora da chiarire. Il fatto che negli ultimi decenni la demenza senile appaia più diffusa e più grave dipende dunque in primo luogo dall'allungarsi della vita media della popolazione.

Esiste però una significativa variabilità individuale rispetto all'entità del fenomeno.

Sezione di cervello umano Così mentre alcuni sviluppano un grado di demenza fortemente invalidante, altri mantengono una memoria pressoché inalterata e funzioni mentali invidiabili anche in tarda età.

A quanto pare questa variabilità dipende anche dall'uso che facciamo del cervello.

Secondo la teoria più accreditata, se due neuroni lavorano insieme, le loro connessioni si rafforzano ed essi tendono ad interagire con maggiore efficienza riuscendo anche a sopperire ad eventuali danni.

Per esempio, se dopo un ictus che ha portato la paralisi di un braccio, si immobilizza il braccio sano, i continui stimoli nervosi che arrivano al braccio malato favoriscono la guarigione in tempi rapidi.

Analogamente se l'ischemia causa un disturbo del linguaggio, il recupero è più veloce e marcato nel caso in cui chi circonda il malato lo obbliga ad esprimenrsi verbalmente evitando di rispondere alle sue richieste gestuali o scritte.

Con la memoria e le funzioni intellettive avviene lo stesso: miglioriamo se ci sforziamo ad utilizzarle.

Naturalmente le possibilità di potenziare le funzioni cognitive, così come quelle di recuperare un danno non sono infinite, resta da definire quali siano i limiti biologici, da che cosa dipendono e se sia possibile estenderli o abbatterli.

Se è vero che esiste infatti un confine temporale nella storia del nostro cervello superato il quale determinate funzioni cessano di avvenire o avvengono con minor efficienza (si pensi ad esempio all'impossibilità di imparare un nuovo idioma come madre lingua dopo 8-10 anni di età), è vero anche che questa saracinesca funzionale può essere riaperta modificando opportunamente l'ambiente esterno o interno alle cellule nervose coinvolte nel fenomeno.

neuroni della corteccia cerebrale Le tecniche di studio utilizzate sino ad oggi, benché ancora valide, appaiono troppo parziali e quindi sostanzialmente inadatte per analizzare e comprendere la complessità.

Per capire la strada da intraprendere è quindi necessario puntare su nuovi approcci capaci di amplificare la conoscenza e di gestire adeguatamente la mole dei dati che via via emergono: biofisica, proteomica, genomica e bioinformatica sembrano pronte ad affrontare la sfida.

Articolo a cura di Laura Barberis
 
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06/07/2011 08:35
 
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Ordine naturale 

E' ormai acclarato che viviamo in un cosmo che ha avuto un principio.Tuttavia recentemente qualche scienziato è tornato ad attaccare la teoria del Big-bang,sostendendo la sua improbabilità sulla base di congetture piuttosto che di osservazioni vere e proprie.Fatto sta che nessuno riesce a portare argomentazioni convincenti a sostegno di tale tesi.
Ma il bello è che anche qualora venisse provato che il cosmo abbia avuto un'origine diversa,o addirittura che sia eterno,non sarebbe comunque possibile parlare di "prova scientifica dell'inesistenza di Dio".Infatti non si può prescindere dal fatto che la materia presenta una struttura intrinseca assolutamente ordinata.Il concetto di "ordine" comporta che in una serie di elementi,alcuni di essi siano predisposti come mezzo-a-fine per l'esistenza o la sussistenza di altri;e il predisporre un mezzo per raggiungere un fine è una prerogativa dell'intelligenza,la quale rimanda ad un essere vivente!Il finalismo della natura è un dato di fatto,sia che l'universo abbia avuto un inizio nel tempo,sia che lo si dica eterno:bisogna necessariamente fare riferimento ad una causa ordinatrice.A questo punto qualcuno potrebbe dire:"E che bisogno c'è di tirare in ballo Dio?Questa mente superiore potrebbe tranquillamente essere un alieno dotato di poteri straordinari!";beh,questa sarebbe un'obiezione davvero disperata!La classica frase pronunciata pur di andare contro...
Infatti come potrebbe un essere materiale,e quindi limitato,determinare l'ordine di un universo che esiste da prima di lui ed è infinitamente più grande?
Se invece per "alieno" si intende una sorta di demiurgo o spirito superiore,un'ipotesi di questo tipo dovrebbe confrontarsi con un  altro interrogativo fondamentale:questo "alieno" esiste da sempre?Se diamo una risposta negativa,il problema rimane irrisolto(perchè non abbiamo trovato il Motore Immobile);se diamo una risposta affermativa,allora perchè non chiamarlo con il nome che gli è proprio,e cioè "Dio" invece di "alieno"?

A ciò si aggiunga tutta una serie di argomenti che nel loro insieme sono sicuramente più ragionevoli di simili obiezioni:a partire dalla Rivelazione,quindi la vita di Gesù Cristo e la storicità dei vangeli canonici,per arrivare alle prove della Resurrezione e ai tanti Segni soprannaturali che testimoniano l'autenticità del Cristianesimo.Ma di questo si parlerà molto più avanti.Ora torniamo al punto di partenza.
Va comunque ricordato che il Big-Bang è da considerare come la nascita dello spazio,ma anche del tempo stesso!Con il grande scoppio ha avuto inizio l'intera dimensione spazio-temporale,così come ha sottolineato lo scienziato Stephen Hawking:non ha senso domandarsi perchè l'universo ha impiegato tanto tempo a nascere,perchè in realtà prima dello scoppio non esisteva nè materia nè tempo;si tratta della dimensione dell'eternità,cioè del "fuori dal tempo".

La seconda categoria di prove in favore dell'esistenza di Dio è quella relativa all'ordine naturale,al fatto cioè,che tutto ciò che è presente in natura è finalizzato.Con questa espressione intendiamo dire che noi viviamo in un mondo che è un'enorme macchina complessa e programmata in cui tutto ciò che la natura produce risponde ad un fine ben preciso:consentire e favorire la vita!L'obiezione che si potrebbe sollevare in questo caso è la seguente:non è possibile che tutto ciò che esiste sia il frutto del caso cieco?Non è possibile che l'universo abbia avuto inizio per caso e solo dopo la sua nascita casuale si sia innescata una serie di meccanismi dominati dalle leggi fisiche?
No.Non è possibile.La scienza ci fornisce sempre più argomenti per poterlo affermare.Risponderemo anche a questo interrogativo,ma andiamo con ordine.

Tre sono le evidenze scientifiche che confermano la tesi dell'ordine naturale:

-la materia è finalizzata
-la natura è finalizzata
-gli esseri viventi sono finalizzati

1)Tutta la materia(e per materia intendiamo qualsiasi cosa:dalatomo filo d'erba,agli esseri umani,ai più remoti pianeti dell'universo)è composta da atomi.L'atomo più semplice che esiste in natura è l'atomo di idrogeno:è costituito da un protone che ne forma il nucleo e da un elettrone che gli orbita attorno.Beh,finanche questo microscopico elemento ci consente di sbalordirci dinanzi al Creato:l'atomo riproduce nell'infinitamente piccolo i movimenti degli astri del nostro sistema solare!A questo,già di per sè sorprendente,si aggiunga che nel 1869,il geniale scienziato russo Dmitrij Mendeleev,studiando la struttura degli atomi,dichiarò:"Sono perfettissimi e rispecchiano un disegno intelligente",tant'è che sono catalogabili in base al numero dei loro protoni.Procedendo negli studi poi,Mendeleev giunse ad elaborare il "sistema periodico degli elementi",una vera e propria catalogazione.

2)La seconda evidenza è che la Terra è finalizzata:essa infatti si trova in una posizione privilegiata all'interno del nostro sistema solare.Guarda caso è l'unico pianeta sul quale è possibile la vita.La Terra ruota attorno al sole alla distanza media di 150 milioni di kilometri;a questa distanza la temperatura al suolo è di 20°.Su Venere è di 380° e su Marte di -30°.
TerraMa la cosa più stupefacente è che anche trovandosi alla giusta distanza dal sole,la Terra senza un ulteriore "aiuto" non potrebbe consentire la vita:ci riferiamo all'insieme di gas benefici presenti sul nostro pianeta,che non solo consentono la vita,ma la favoriscono!Sugli altri pianeti,al contrario,esistono gas velenosi.Senza parlare degli effetti visivi a dir poco meravigliosi che tali gas producono:se non avessimo l'atmosfera,non esisterebbero l'alba,il tramonto,l'aurora boreale,quegli splendidi colori che possiamo ammirare all'orizzonte!E di conseguenza non esisterebbero le loro immagini ritratte:quadri,fotografie,riprese cinematografiche;senza l'atmosfera si farebbe giorno in un attimo,all'improvviso,senza il graduale cambiamento di colori del cielo,con tutte le sue splendide sfumature;e altrettanto per la notte,buio improvviso,proprio come accade sulla Luna.Sembra quasi che il Creatore si sia divertito ad inserire tante meraviglie nella natura...

Natura

3)Senza alcun dubbio però,l'esempio più alto di finalizzazione,di ordine,di programmazione della natura,è rappresentato dagli esseri viventi.L'argomento rimanda necessariamente alla questione di come sia apparsa la vita sulla Terra.
-Secondo Darwin e gli evoluzionisti la vita si è prodotta dalla materia non-vivente e per puro caso.
-L'alternativa possibile è che la vita sia il risultato di una programmazione intelligente ad opera di un Progettista.

Ricordiamo innanzitutto che Charles Darwin viene fatto passare per un grande scienziato innovatore quando in realtà il suo pensiero è più filosofico che scientifico:l’idea di evoluzione dell’uomo dalla scimmia era stata già avanzata nel ‘500 dal filosofo Giulio Cesare Vanini al quale si rifà Darwin.E soprattutto si tratta di una teoria non solo indimostrata,ma alla luce delle più recenti scoperte scientifiche anche irragionevole. Del resto lo stesso Darwin,che non intendeva ammettere il finalismo della natura,si disperava dinanzi alla sua perfetta finalizzazione,osservando il ciclo fogliare (che consente alle foglie di ricevere la massima luce possibile in base alla disposizione sullo stelo) e scrisse ad un suo collega:“Se non vuoi che impazzisca e muoia di morte miserabile,dimmi perché il ciclo fogliare ha sempre un angolo di 1\2, 1\3, 2\5, 3\8, e mai un altro!”.Inoltre e soprattutto,pochi sanno che il padre dell'evoluzionismo giunse a formulare questa teoria partendo da un ragionamento (non scientifico) completamente errato sul piano logico:dal momento che l'uomo con la selezione naturale riesce,ad esempio,a migliorare la razza di un cavallo o a produrre varie specie di rose,sarebbe plausibile ritenere che in milioni di anni,casualmente e gradualmente,da un'unica forma di vita primordiale si siano sviluppate tutte le altre.
Tuttavia Darwin non tiene conto di due fattori:
- innanzitutto la selezione naturale è guidata da un essere intelligente qual è l'uomo,e quindi non è affatto casuale;
- ma soprattutto,nonostante la selezione naturale,non accadrà mai che il cavallo si trasformi in un ippopotamo o che la rosa diventi un tulipano!


Quanto alla comparsa della vita sulla Terra,cominciamo col dire che la scienza ha dimostrato che ogni essere vivente deriva da un altro essere vivente(con Francesco Redi nel XVII secolo,Lazzaro Spallanzani nel XVIII,e Louis Pasteur nel secolo scorso),quindi non è possibile che la vita nasca dalla materia inorganica.Ma questo è niente.
Vediamo come è composta la materia vivente:
essa è tutta fatta di proteine,veri e propri "mattoni" con cui è "costruito" ogni essere vivente(dai batteri,alle piante,agli animali,noi compresi).Ogni proteina è composta principalmente da una lunga serie di composti chimici(ma non-viventi!)detti aminoacidi che devono unirsi tra loro secondo una precisa successione logica.Il numero di aminoacidi esistenti in natura è di appena 20,ma alternandosi in successioni diverse possono formare milioni di proteine viventi l'una diversa dall'altra.Ricorrendo al calcolo fattoriale si sa che con appena 20 aminoacidi possono avere origine 2400 milioni di miliardi di proteine diverse,a seconda delle varie combinazioni.Ciò che è incredibile è che in natura queste enormi possibilità di combinazione sono sfruttate solo in minima parte e -straordinario!- solo in quelle precise successioni che danno origine ad esseri viventi!Gli evoluzionisti dicono che la vita(cioè la prima proteina)si sarebbe formata per puro caso nel cosiddetto "brodo primordiale",un ambiente acquatico saturo di metano,ammoniaca e idrogeno;l'energia dei raggi del sole o delle scariche dei fulmini avrebbe coagulato questi elementi dando vita agli aminoacidi e poi alla prima proteina.Nel 1953 lo scienziato Stanley Miller per dimostrare questa ipotesi fece un esperimento in cui riproduceva artificialmente il "brodo primordiale",e -apparente successo- dopo qualche giorno vennero fuori alcuni aminoacidi.Il problema è che,come abbiamo già detto,gli aminoacidi sono composti chimici non-viventi!Quindi dal "brodo" non era venuta fuori la vita.Si sono ripetuti molti altri esperimenti analoghi,anche di recente con strumenti ancora più sofisticati,ma niente!La vita non è saltata fuori.In forza dell'evidenza si è riconosciuto che il caso può al massimo determinare la formazione di elementi chimici inorganici,ma non potrà mai ordinare la sequenza degli aminoacidi in modo tale da generare anche la più piccola proteina vivente!
Oltre all'esperimento di Miller vogliamo ricordare un altro episodio:nel 1954 l'American Scientific,rivista scientifica di fama mondiale,pubblica un articolo del premio Nobel George Wald,della Harvard University.Costui sostiene che la vita sia nata da una serie di reazioni accidentali;nel 1979 la stessa rivista ripubblica l'articolo di Wald con una ritrattazione:si afferma che lo scienziato si è sbagliato in quanto è dimostrato che una combinazione casuale di molecole non è in grado di dar luogo nemmeno alle più semplici forme di vita.Nel 1991 sempre l'American Scientific scrive che la formazione accidentale di un batterio può avvenire con la stessa probabilità che un Boeing 747 venga assemblato da un tornado che soffia in un deposito di rottami!
Infatti i biologi hanno calcolato che il caso cieco,anche se avesse a disposizione tutti gli aminoacidi necessari,non riuscirebbe a formare una sola proteina nemmeno in 300 milardi di anni;e noi sappiamo che la Terra si è formata "solo" 4 miliardi di anni fa.Ma perchè?Ebbene la biologia dimostra che la sequenza in cui devono essere ordinati gli aminoacidi per dar vita ad una proteina,dipende e deriva da una programmazione intelligente che precede la proteina stessa.

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06/07/2011 08:39
 
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La tecnica ingegnosa dei globuli rossi


In ogni millimetro cubico di sangue (1 mm3 = 1 μl = 1 microlitro) abbiamo 5 milioni di globuli rossi. Ciò vale a dire che in una goccia di sangue ce ne sono 150 milioni. Sono come dei sommergibili ultra specializzati che non trasportano a bordo siluri micidiali, ma svolgono dei compiti d’importanza vitale. • 175’000 volte i globuli, nella loro breve vita di 120 giorni, fanno rifornimento di ossigeno e allo stesso tempo scaricano nel polmone il prodotto dell’ossidazione, cioè l’anidride carbonica (CO2).

• Questi piccolissimi battelli di trasporto sono così minuscoli da passare addirittura all’interno dei vasi sanguigni molto sottili (i capillari) raggiungendo in quel modo tutte le parti del corpo.

• Ogni secondo si generano due milioni di nuovi globuli che contengono una sostanza colorante rossa, l’emoglobina – un composto chimico molto interessante e molto complesso.

L’emoglobina è necessaria per il trasporto dell’ossigeno già durante lo sviluppo embrionale. Fino al terzo mese della vita intrauterina il fabbisogno d’ossigeno è notevolmente diverso da quello nello stadio fetale (dal terzo mese in poi) e per questa ragione, ogni fase necessita di un tipo particolare d’emoglobina che possiede una diversa struttura chimica.

Poco prima della nostra nascita tutte le nostre sorgenti di produzione dei globuli rossi lavorano a pieno regime, modificando un’altra volta l’emoglobina in un tipo adatto per l’adulto. Le tre specie di emoglobina non si possono essere generate per caso, perché sono le sole (tra moltissime) variazioni capaci di trasportare la quantità necessaria di ossigeno, senza la quale sopraggiungerebbe la morte. Non basta che nei primi due stadi della crescita intrauterina si producono le molecole giuste, per evitare la morte certa, anche la terza molecola deve essere perfettamente accordata. Per la fabbricazione dell’emoglobina ci vogliono necessariamente questi tre meccanismi biologici fondamentalmente diversi che devono pure modificare la loro produzione al momento giusto!

Da dove viene un meccanismo così complicato e preciso? Tutti i concetti evoluzionistici falliscono a questo punto interamente, perché gli organismi viventi nei loro stadi intermedi incompleti, che secondo l’evoluzione sarebbero sbocciati da soli in un meccanismo complesso, non sarebbero mai sopravvissuti. Il concetto della «complessità irreducibile» vale anche per il sistema immunitario dell’organismo umano o per i flagelli (organo di locomozione) con i quali si spostano i batteri. Anche in questi casi gli organismi viventi «in sviluppo» non avrebbero mai raggiunto il loro stadio odierno. E’ più ovvio dedurre che tutti gli elementi erano già completi fin dall’inizio e ciò sarebbe soltanto possibile se un Creatore sapiente li avesse concepiti e creati così pienamente funzionanti.
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30/12/2011 11:58
 
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Sulla terra tutti i corpi fisici tendono a decomporsi col tempo. Le rocce si sgretolano. Il legno si corrompe. Pensate quale sarebbe però la situazione se le condizioni atmosferiche non influissero su rocce, legno e altri materiali, e se non ci fosse la degradazione della materia organica. Ciò significherebbe che la terra sarebbe sterile. Potrebbero, se mai, aver luogo solo alcune reazioni chimiche. Il nostro apparato digerente non potrebbe funzionare nel modo dovuto, perché si vale dell’azione chimica e batterica per ridurre e alterare la composizione delle sostanze alimentari. Si potrebbe fare poco lavoro, perché si potrebbe alterare la struttura di poche cose. Anche ora certe plastiche che non si decompongono facilmente causano un problema di eliminazione dei rifiuti. Affinché la vita continui sulla terra, ci devono dunque essere cambiamenti nella materia organica e in quella inorganica.

C’è la vita vegetale che provvede alimenti per tutta la vita animale, e, infatti, è la base di tutta la vita terrestre. Le piante possono fare qualche cosa che gli animali non possono: fabbricano la propria sostanza alimentare mediante l’uso della luce solare. Questo processo si chiama “fotosintesi”. La vita animale deve dunque dipendere da quella vegetale. Le piante devono crescere, provvedere nutrimento e morire. Quindi, mediante la prodigiosa germinazione del seme, si produce un’altra raccolta.

Nel mare la “catena alimentare” mantiene la vita a vari livelli; la minuscola vegetazione del fitoplancton costituisce il nutrimento dello zooplancton animale, che, a sua volta, è divorato dai pesci più grossi, compresi alcuni che servono di nutrimento all’uomo. Quindi l’azione batterica converte la materia morta in alimenti per il fitoplancton, e il ciclo ricomincia di nuovo.

Nel corso di questo processo, i singoli animali muoiono, per essere sostituiti dalla progenie, che così preserva la specie. Sotto questo aspetto, c’è differenza fra l’uomo e gli animali?
Sì, c’è. Poiché, mentre nei corpi viventi cellule e tessuti si consumano, e alcune cellule muoiono, la vita tende a invertire il processo di “degradazione”. Da alcuni composti semplici gli organismi viventi formano composti altamente organizzati e complessi. Se la forza vitale si potesse mantenere in piena efficienza, i tessuti consumati sarebbero di continuo sostituiti o riparati. Non interverrebbe la vecchiaia, e non si morrebbe mai. Tutti i cicli della terra, fra cui la nascita e la morte della vita vegetale e animale, in effetti sembrano disposti primariamente per il beneficio dell'umanità.

Come è ragionevolmente pensabile che queste complementarità, e finalizzazioni, che sono soltanto alcuni degli innumerevoli esempi che si possono fare, siano solo il risultato dell'esplicazione di forze inconsapevoli?
[Modificato da Credente 28/12/2013 01:33]
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24/04/2012 16:05
 
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L’embriologia, l’evoluzione
e l’evidenza del “progetto”


 
 
di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

 

L’embriologia è sempre stata un grandissimo spettacolo per i biologi, ma anche per tutti coloro che hanno avuto la possibilità di vedere qualche filmato o qualche ecografia in gravidanza. Forse è veramente il “più grande spettacolo dopo il big bang”, come giustamente canta Jovanotti.  L’embrione è il motore di tutti i processi che portano alla sua formazione: non si può spiegare né la spermatogenesi né la ovogenesi con il suo meraviglioso ciclo mensile se non a partire dal nuovo essere che prende il via dall’incontro tra due cellule uniche che dimorano in due corpi diversi e che non conoscono nemmeno l’esistenza l’una dell’altra. Questo è veramente misterioso!

Ciascuno di noi ha iniziato l’avventura della vita a partire da un incontro tra due cellule che non si conoscono e che dovrebbero anche, in teoria, respingersi a vicenda, come accade nei contatti tra xeno tessuti.  Lo spermatozoo penetra la cellula uovo come un ago che entra nel dito: perché lo può fare?  E’ un caso unico tra le cellule del nostro corpo e tra le cellule in generale del mondo animale. Eppure il richiamo della vita nuova è insopprimibile: bisogna creare un figlio.  Non si può invecchiare ed estinguersi. Poi accade il più grande spettacolo dell’Universo: in poche settimane, quaranta nel nostro caso, da una cellula sferica si formano miliardi di cellule, tutte al loro posto, costruendo un essere capace di piangere, di ridere, di mangiare, di scaricare, di pensare e di … farsi amare! Da uno a 254 tipi di cellule diverse. Com’è possibile tutto questo?

La moderna evo-devo, ovvero evolutionary developmental biology, ce lo spiega. «Gli interruttori genetici funzionano come sistemi GPS.  Proprio come questi calcolano la posizione della vettura integrando diversi stimoli, gli interruttori integrano informazioni spaziali nell’embrione rispetto a longitudine, latitudine, altitudine e profondità e definiscono le aree in cui i geni sono attivati e disattivati.» (pag. 109, Sean Carroll, “Infinite forme bellissime”, Codice 2006).  Questa è l’immagine centrale del moderno pensiero della “nuova scienza dell’Evo-Devo”, come recita il sottotitolo del bello libro del genetista Carroll: gli interruttori genetici sono i registi occulti della vita che, a seconda della sinfonia che dirigono, determinano una forma bellissima piuttosto che un’altra e, al contempo, la possono trasformare l’una nell’altra, senza mai interrompere la musica. Sono addirittura potenti e intelligenti come il Global Positioning System! I due massimi problemi della biologia teorica, l’ontogenesi e l’evoluzione, sono risolti con un solo termine, “il gene interruttore”: la forma della vita è la manifestazione visibile della sua regia e l’evoluzione della vita è il suo flusso ininterrotto nel tempo, per mutazione.

Sean Carroll è professore di Genetica all’University of Wisconsin e la sua attività scientifica è considerata fondamentale per la comprensione della nuova versione dell’evoluzione, la “Evo-Devo”.  Questo libro ne è una importantissima sintesi per il grande pubblico e porta infatti la prefazione di Telmo Pievani.  Vediamo ilproblema dell’ontogenesi. Ogni organismo deriva da una cellula sola, sferica e omogenea.  Dove si trovano le istruzioni per il montaggio di tutti gli organi di cui è fatto l’animale? Come fa la testa aprendere la forma che ha e come fa ad assumerla in quella posizione? E la stessa domanda vale per i denti, per gli occhi, per il cuore, per i piedi, per le unghie, ecc… E ancora: ciascuna cellula di ogni tessuto (oltre 200 tipi nel corpo umano) possiede gli stessi geni di tutte le altre, eppure la cellula dell’occhio ha un metabolismo molto diverso da quello della cellula del femore o ancora della cellula di un nefrone; questo accade grazie all’attività di alcuni geni e al silenziamento di altri.  Ma chi o che cosa decide questa scelta? Ecco la scoperta di Carroll: gli interruttori sono i responsabili ultimi di ciascuna fase dello sviluppo dell’embrione e sono attivati tra loro a cascata: quelli ora attivi sono stati indotti da altri precedenti e a loro volta ne stimoleranno nuovi. Ma cosa c’è all’inizio di tutto? Qual è la prima mossa nell’uovo fecondato? E’ la definizione di due poli nella sfera dell’uovo. E’ la creazione dell’asse principale, quello cefalo-caudale.

Segue immediatamente la determinazione degli altri due assi, quello ventre-dorsale e quello latero-laterale.  Sembra che gli assi si creino attraverso la distribuzione a gradiente di una o più proteine (tra cui la cordina nei vertebrati). Una volta determinate le coordinate fondamentali (le tre dimensioni dello spazio) dell’embrione entrano in azione i geni Hox, che costituiscono il kit degli attrezzi per il suo montaggio. I geni Hox sono una pietra miliare nell’Embriologia contemporanea.  Nella Drosophila sono otto, tutti co-lineari con le strutture anatomiche che si sviluppano lungo l’asse cefalo-caudale, ovvero il primo, lab, crea le labbra e l’ultimo, Abd, crea il segmento anale. La parte homeobox  (sequenza di Dna) dei geni della Drosophila si ritrova pressochè identica anche nel topo o nella rana, manifestando per di più la stessa colinearità e la stessa organizzazione in cluster. Questo significa che le diverse forme animali sono solo varianti dello stesso tema: non sono disegni nuovi e diversi tra loro. Quello che importa è che questi geni costituiscono il Kit degli attrezzi per il montaggio degli animali e sembrano essere abbastanza universali.

La prima mossa, si diceva, è la determinazione dei poli, la successiva, quella degli assi. Segue un altro passaggio incredibile per la complessità: la suddivisione del corpo embrionale in spicchi di longitudine e latitudine (come accade per la Terra), di dimensioni via via più piccole. Ad ogni spicchio viene quindi assegnata un’identità precisa (un somite, un cuore, uno stomaco,…).  La formazione dell’organo specifico procede ora attraverso una ridefinizione di un nuovo “micro-mondo” con poli, meridiani e paralleli… e avanti di nuovo! Ogni cellula sa quello che deve fare in funzione della sua posizione nell’embrione. E’ l’unico modo per spiegare la morfogenesi, il più grande spettacolo sulla Terra:contemporaneamente si sviluppano ex novo tutti gli organi di cui è fatto l’organismo, a partire da un uovo indifferenziato, tutto uguale e privo di qualunque minima bozza di ciò che sarà dopo qualche settimana! Tutto procede “come se” il prodotto finito (l’embrione sviluppato) agisse attirando a sé ogni cellula, assegnandole il compito che deve svolgere nel tempo: è “come se” la vita non si costruisse per tentativi, ma sapesse chiaramente quello che deve fare con assoluta certezza, istante per istante e posizione per posizione. Tutto questo fa pensare.

Vediamo ora il problema dell’evoluzione. La chiave dell’evoluzione consiste  nelle mutazioni a carico dei geni interruttori, che creano nuove geografie di accensione dei geni; a queste nuove geografie corrispondono più somiti o più appendici o diverse appendici come le ali rispetto agli arti. Non ho lo spazio per dilungarmi su questo tema, ma è già stato detto molto per tirare qualche conclusione: bellissimo il libro, complimenti a Carroll e a tutta la squadra di ricercatori più o meno noti che hanno lavorato per mesi o talora per anni per scoprire la funzione anche di un solo gene. I dati sono tutti merito loro; le loro interpretazioni, ora, si devono discutere insieme: è così che la scienza progredisce. Vorrei riprendere l’immagine iniziale del GPS: paragonare il nostro DNA ad un sistema integrato high tech significa attribuirgli una complessità ed una intelligenza che non sono attributi riferibili ad una molecola.  E’ fin troppo evidente lasproporzione tra un interruttore e l’animale che bisogna costruire. L’acido desossiribonucleico non è capace di “integrare informazioni spaziali e trasformarle in ordini esecutivi differenziati e direzionati”, perché è solo un acido.  E’ il suo “codice” che lo rende intelligente e quindi capace di ricevere e di trasmettere informazioni.  Ma che cos’è questo codice e da dove viene?

Si potrebbe fare un piccolo passo di logica e riconoscere che nei geni interruttori giace un surplus di “istruzioni” che è distinguibile dalla materia, così come accade in ogni comunicazione, dove il suo “senso” è separabile dalla materia che la veicola. Quindi, la causa ultima deve precedere i geni interruttori, per poterli informare. Spiace inoltre, lo devo confessare, che in tutte le 300 pagine del libro, a fronte di descrizioni di fenomeni veramente meravigliosi e stupefacenti come la formazione di animali, di organi e di arti (vi è forse qualcosa di più grande che i nostri occhi possono contemplare?), non si ricorra mai ai concetti che affiorano ovunque:  il ”progetto” e la “finalità”. Personalmente, dopo anni di riflessioni sulla biologia, ritengo che la causa ultima dei processi che si snodano mirabilmente, dalla fecondazione in poi, senza soluzioni di continuità, senza sforzi, senza ripensamenti, per forze solo interne, senza errori, sia proprio l’obiettivo da raggiungere: il corpo dell’animale. I geni interruttori agiscono in modo corretto solo se sono “consapevoli” del progetto completo, di cui costituiscono solo che una parte: ogni cellulaconosce le proprie coordinate geografiche e in base a queste sa quello che deve fare. La cellula non procede per tentativi (“vediamo quello che succede”) ma per scelte decise tra infinite possibilità!

Sono “le chiavi in mano” del prodotto finito a determinare tutto il flusso di informazioni che gorgoglia dall’uovo fecondato, in una modalità che, secondo me, percepiamo solo a tratti. A tratti, perché la “consapevolezza del progetto” non può essere racchiusa in un pezzo di DNA, così come in altre molecole. Più si studia la “vita” e più ci si accorge che è qualcosa di grande, che deborda sempre dai confini che le abbiamo disegnato intorno: è fatta di cellule ma si serve di queste, le muove e le organizza come un vero e proprio manager che sa quello che vuole. I Fatti mostrati dell’embriologia sono che la consapevolezza del progetto comprime lo spazio della casualità e dilata lo spazio dell’informazione.  Il campo morfogenetico, ovvero il paesaggio che canalizza tutte le mosse dello sviluppo precede ogni evento. Come le leggi della fisica precedono il comportamento della materia, così le leggi dello sviluppo precedono i processi dell’embrione, che sono destinati alla perpetuazione del modello di specie cui appartiene. Le forze interne che costringono le infinite mosse del processo morfogenetico sono fortemente stabilizzate e non consentono variazioni di alcun tipo, pena la malformazione o l’aborto.

Non si vede dove possa collocarsi lo spazio per la trasformazione di un piano di sviluppo in un altro, in modo repentino, come afferma il saltazionismo degli equilibri punteggiati di Gould e di Eldredge. Il gradualismo nell’evoluzione appartiene ormai al passato (eccetto che nei libri di testo scolastici); ma il saltazionismo non trova alcuna complicità nello sviluppo dell’embrione, come invece vorrebbe la moderna teoria dell’Evo-Devo. Tutte le mutazioni dei geni Hox che conosciamo in Drosophila portano a “mostri” o comunque a varianti non significative dal punto di vista dell’evoluzione. L’origine dei paesaggi morfogenetici tipici di ciascuna specie rimane ancora un grande mistero e la ricerca rimane aperta, più di prima. In conclusione: tutto accade nella “vita” come se ci fosse un “protagonista” invisibile… tant’è vero che  pensa addirittura a riprodursi (!)… ma certamente non per la decisione di un gene-interruttore.

Da: “Evoluzione: i fatti e le teorie”, Convegno di studi, Verona, Palazzo della Gran Guardia 29/03/12


[Modificato da Credente 28/12/2013 01:35]
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02/05/2012 23:19
 
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 La vita si muove da sola?

«L’evoluzione è caratterizzata dal muovere verso: della materia verso la complessità e della vita verso la complessità e la coscienza.» (Ludovico Galleni, editoriale della Nuova Secondaria n°8, 15 aprile 2012). Il professor Galleni, noto docente di zoologia all’Università di Pisa, propone la lezione diTeilhard de Chardin quale soluzione della grande antitesi presente nel dibattito contemporaneo tra il materialismo riduzionista del neodarwinismo da una parte e il creazionismo esplicito del Disegno Intelligente dall’altra.

In altre parole, secondo il professore, il Progetto in natura esiste, ma non va cercato al di fuori, bensìdentro la materia stessa. Sembra una soluzione elegante del problema: Dio esiste e l’evoluzione spontanea pure. Le cose però non sembrano essere così semplici. La domanda che sorge immediata di fronte a simili affermazioni è infatti questa: “Come fa la materia a muoversi verso una direzione se non è consapevole di quello che fa?”. E ancora: “Può esistere un movimento direzionale senza un obiettivo consapevole da raggiungere?”. E questo obiettivo è dentro la materia che si muove o è là, in fondo al percorso, ad attenderla?

In queste affermazioni, cioè, si attribuiscono alla materia proprietà che essa non ha.  Né il carbonio, né l’idrogeno o l’ossigeno possono conoscere il loro destino all’interno di una cellula: sono atomi e basta, privi di qualunque informazione morfogenetica.  Stanno bene da soli e non si uniscono in modo organizzato e teleonomico se non subentra una causa esterna a scuoterli dalla loro inerzia (proprio come quello che si dice nel primo principio della dinamica). No. Non credo che possa essere così. Se la materia si muove nella direzione della vita è solo perché “è mossa” dall’esterno.  Nessuno può darsi quello che non ha!

Oppure, in alternativa, dobbiamo ammettere che, se questa materia grezza  è capace di autoorganizzarsi per formare una struttura infinitamente complessa, dinamica e omeostatica come la cellula, allora significa che è “di natura divina”: sa quello che deve fare e lo fa. 

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23/06/2012 10:45
 
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La complessità irriducibile come prova a sostegno del disegno intelligente

I sostenitori del disegno intelligente usano questo termine per riferirsi a quei sistemi biologici che ritengono non possano essere il risultato di alcuna serie di piccole modifiche. Essi sostengono che qualunque forma meno che completa di un tale sistema non funzionerebbe affatto e pertanto non sopravviverebbe ad un processo di selezione naturale. Quindi, sistemi dotati di complessità irriducibile non possono essere spiegati dalla teoria dell'evoluzione; da ciò si dedurrebbe la necessità dell'intervento di un progettista intelligente che abbia creato la vita o comunque guidato la sua evoluzione.

Lo stesso Charles Darwin formulò la prova che avrebbe falsificato la sua teoria, esponendola ne L'origine delle specie:[4]

 « Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualsiasi organo complesso, che non si fosse potuto formare attraverso una serie di leggere mutazioni successive, la mia teoria non starebbe assolutamente più in piedi. Ma non ne ho trovato alcuno. »
  

A questo proposito lo stesso Behe, in una intervista, afferma:

 « La ricerca ha provato che il fondamento della vita, la cellula, è gestita da una complessa e sofisticata macchina molecolare. Ci sono, letteralmente, piccoli camion e piccoli autobus molecolari che lavorano nella cellula e piccoli motori fuoribordo che le permettono di muoversi. Di tali aspetti si dà un migliore resoconto considerandoli prodotto di un progetto piuttosto che del caso e della selezione naturale. La scatola nera è la cellula. Darwin, come altri scienziati dell'epoca, ne aveva scarsa conoscenza e pensava che fosse molto semplice. Oggi sappiamo invece che è enormemente sofisticata e complessa, dando la forte impressione di essere stata esplicitamente progettata. La complessità irriducibile è legata al fatto che tutte le macchine, per funzionare, hanno bisogno di vari componenti e si fermano se vengono private di quelli indispensabili. »
[Modificato da Credente 22/10/2012 18:49]
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23/07/2012 23:01
 
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Aristotele e la finalità nelle opere della natura

*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

 La seconda prova della maturità classica di quest’anno è stata di greco.  Il brano scelto dal Ministero è preso da Aristotele e presenta un buon livello di difficoltà per la traduzione: gli studenti non ne sono rimasti entusiasti. Vorrei in questa sede offrire a tutti i nostri lettori la possibilità di gustare la bellezza e la profondità di quanto afferma questo grandissimo personaggio del quarto secolo a.C., parlando di un tema che ci sta particolarmente a cuore: il rapporto tra le parti e il tutto, all’interno del mondo animale.

«Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e massimamente: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la regione del bello. Se poi qualcuno ritenesse indegna l’osservazione degli altri animali, nello stesso modo dovrebbe giudicare anche quella di se stesso; non è infatti senza grande disgusto che si vede di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e simili parti. Similmente occorre ritenere che quando si discute intorno a una parte o a un oggetto qualsiasi non si richiama l’attenzione sulla materia né si discute in funzione di essa, bensì della forma totale: si parla, per esempio, di una casa, ma non dei mattoni, della calce, del legno; e allo stesso modo – quando si tratta della natura – si parla della totalità sintetica della cosa stessa, non di quelle parti che non si danno mai separate dalla cosa stessa cui appartengono» (Aristotele, De partibus animalium).

Io credo che valga la pena sottolineare l’accento che Aristotele pone sulla “totalità sintetica della cosa stessa” piuttosto che sulle parti che “non si danno mai separate dalla cosa stessa”: penso allo studio della singola cellula, ma anche alla sua biochimica o ancora meglio a qualunque organismo. Non c’è dettaglio di un essere vivente che non acquisti senso se non all’interno del sistema: perfino il cuore, quello stupendo organo a quattro cavità che pulsa nel nostro mediastino circa centomila volte al giorno, spontaneamente e a ritmo, isolato dal contesto, strappato di tutti i suoi cavi naturali e posto sul nostro tavolo, diventa assolutamente inutilizzabile.

Se il cuore, invece, viene invece studiato nella sua location, con tutti i suoi collegamenti di vasi e di nervi (del simpatico e del parasimpatico) diventa “di più” di quello che vediamo. Difficile escludere quindi, per conto mio, l’evidenza di un “progetto”, nella vita, che assegna ad ogni parte un ruolo che non le compete per la natura della sua materia, ma che emerge dal suo collegamento con le altre.

Rimangono aperte, oggi come allora, ai tempi di Aristotele, la sfida della ricerca della base materiale di questo progetto-finalità e la sfida della sua possibile evoluzione.

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11/03/2013 13:28
 
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L’evoluzione guidata dall’Intelligenza

A.R. WallaceIn pochi sanno che Alfred Russel Wallace ha scoperto in modo indipendente da Charles Darwin la selezione naturale. Ma perché il suo nome è sempre stato in secondo piano e sopratutto sconosciuto nella divulgazione popolare e storica dell’evoluzione biologica?

Probabilmente ha inciso il fatto che i più energici divulgatori del darwinismo sono stati da sempre ateologi e scientisti, convinti che Darwin avrebbe messo una pietra definitiva sopra alla fede religiosa negando la presenza di un Creatore. Eppure sappiamo che Darwin stesso non arrivò mai a negare Dio (divenne agnostico in seguito alla morte della figlia), e i primi darwinisti furono noti teisti e cristiani come Asa Gray, Lyell, Herschel, Henslow, Mivart, De Filippi, Chambers, Rosa, De Nouy, Sinnott, Marcozzi…ed inoltre lo stesso Wallace, come abbiamo detto co-scopritore della selezione naturale.

E’ un piacere sapere che anche il suo ruolo sta lentamente venendo sempre più riconosciuto. Fu lui il primo a scrivere un articolo sulla teoria. George Beccaloni, curatore della mostra al Natural History Museum ha spiegato«Wallace era quello che aveva la carta pronta per la pubblicazione, e se l’avesse inviata direttamente ad una rivista per farla pubblicata, la selezione naturale sarebbe stata la scoperta di Wallace». Lo studioso ha invece scelto di inviare il suo lavoro a Darwin, inconsapevole che anch’egli stava lavorando in modo parallelo sulla stessa intuizione. Seguirono operazioni poco oneste nei confronti di Wallace da parte del noto naturalista e di due suoi amici scienziati, Sir Charles Lyell e il dottor Joseph Hooker, tanto che il dott. Beccaloni ha parlato di azioni«moralmente piuttosto riprovevoli».

La storia lo ha messo da parte in ogni caso, e siamo d’accordo con il fisico Gerald L. Schroeder quando proprio a UCCR ha detto che sarebbe giusto celebrare anche unWallace Day, magari ricordando che non volle mai concedersi al riduzionismo e allo scientismo, e sostenne sempre la superiorità dello spirito sulla materia. Credeva in un Dio trascendente e nel finalismo della natura e diceva«Un esame onesto e inflessibile delle forze della natura ci dice che ad un certo periodo della storia della terra ci fu un atto di creazione, un dono alla terra di qualcosa che prima non aveva posseduto, e da quel dono, il dono della vita, è giunta la popolazione infinita e meravigliosa delle forme viventi. Poi, come sapete, io ritengo che vi fu un successivo atto di creazione, un dono per l’uomo, quando uscì dalla sua ascendenza scimmiesca , uno spirito o un’anima. Niente nell’evoluzione può spiegare l’anima dell’uomo. La differenza tra l’uomo e gli altri animali è incolmabile e dimostra che l’uomo possiede una facoltà inesistente in altre creature. Poi ci sono la musica e la facoltà artistica. Ma l’anima è stata una creazione a parte».

E ancora: «come uomo che studia ciò che lo circonda per vedere dove si trova, la conclusione raggiunta è questa: in tutto il mondo, non qui e là, ma ovunque, e nelle operazioni molto più piccole della natura in cui l’osservazione umana è penetrata, c’è uno scopo e un orientamento continuo e di controllo [...]. Potrebbe non essere possibile per noi dire come questa guida viene esercitata, ed esattamente con quali poteri, ma per coloro che hanno occhi per vedere e la mente abituata a riflettere,  c’è una direzione intelligente e consapevole, in una parola, vi è una Mente».

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15/03/2013 11:08
 
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Il linguaggio e l’unicità irriducibile dell’uomo

LinguaggioGli essere umani sono gli unici a poter combinare le parole in un modo complesso ed infinito, ovvero ad avere la capacità disintassi. Questa dote è legata alla sua biologica e dunque questo fa pensare che anche la struttura biologica dell’uomo da qualche punto di vista è unica.

Secondo studi recenti, l’origine del linguaggio umano avrebbe le sue origini nel ritmo, in particolare da particolari espressioni ritmiche facciali, come lo schioccare delle labbra, a cadenza naturale, suggerendo che tra i machaci e i ritmi del linguaggio umano possa effettivamente esserci una comune origine evolutiva. Andrea Moro, docente di Linguistica generale alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia, ha spiegato che il risultato però «non è affatto sorprendente. Nel mondo animale, infatti, esistono molti casi in cui viene utilizzato questo particolare processo, da alcuni insetti fino ai cani. Noi tutti riusciamo infatti a percepire che tipo di messaggio ci sta mandando un cane, ad esempio, ascoltando il ritmo con cui abbaia».

Ha a sua volta ribadito che «il linguaggio umano costituisce un fatto unico tra gli esseri viventi. Solo gli esseri umani, infatti, sono in grado, ricombinando parti del messaggio, di cambiarne il significato».Questa capacità, ha continuato Moro, «non è un fatto culturale, ma dipende strettamente da come è costruito il nostro cervello. Da questo si deduce che, se il linguaggio umano è unico tra tutti gli esseri viventi e se è agganciato alla struttura del cervello, allora anche quest’ultimo è unico». In poche parole, la sintassi è un fenomeno troppo complesso per poter essere ricondotto al semplice ritmo, come spiega il ricercatore: «attribuire al ritmo l’innesco evolutivo o la nascita del linguaggio è un passo davvero troppo azzardato, perché le proprietà matematiche della sintassi non possono essere ricondotte a un elementare fatto ritmico».

Sulla tematica del linguaggio e della unicità dell’essere umano si è soffermato in una recente intervista anche l’antropologo statunitense Ian Tattersal, curatore della divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural History di New York, spiegando che «noi non siamo una versione “migliorata” degli scimpanzé. Ma una presenza senza precedenti sul nostro pianeta, non solo per anatomia ma anche per potenziale cognitivo». Ed ancora, prendendo le distanze dal neodarwinismo riduzionista: «Non un cammino graduale verso una sensibilità umana unica, ma qualcosa che interviene d’improvviso nella storia evolutiva, forse innescato dalla comparsa del linguaggio». Ovvero, la differenza uomo-animale non è soltanto quantitativa ma qualitativa, un salto ontologico non giustificabile con una spiegazione naturalistica.

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19/03/2013 10:19
 
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Il Dna e il processo orientato e organizzato della vita

DNA umanoDavvero molto interessante l’intervista che il quotidiano Avvenireha fatto al prestigioso filosofo e divulgatore scientifico, nonché docente di Logica matematica, Evandro Agazzi, docente presso l’Università Autonoma Metropolitana di Città del Messico e con una carriera presso l’Università di Genova, la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

La tematica è la scoperta della doppia elica del Dna, avvenuta 60 anni fa (qui il bell’articolo per l’occasione del prof. Giorgio Masiero), che Agazzi ritiene essere «l’evento più importante della biologia del Novecento». Ma una delle conseguenze più interessanti è stata la nuova interpretazione del complesso fenomeno della vita biologica, che ha interrotto «l’egemonia meccanicista».

Si è in particolare introdotto «il fattore “informazione”. Si parla del Dna come di un sistema di istruzioni scritte in un codice chimico con un alfabeto che consta di soli quattro segni fondamentali. Le infinite combinazioni possibili fra di loro sono in grado di esprimere messaggi che valgono come precise istruzioni per costruire un intero organismo vivente. In questo modo ritrova il suo posto nella biologia quella visione della vita come processo organizzato e orientato, che la tradizione ha sempre condiviso e che è chiaro anche al senso comune, ma che la lunga egemonia di una visione meccanicista aveva screditato»«È fuor di dubbio»ha spiegato Agazzi«che chiunque consideri questa molecola non può fare a meno di vedere la vita come lo sviluppo di un “disegno” (anche se questa parola è diventata un tabù in seguito all’abuso che ne hanno fatto i difensori americani della dottrina del “disegno intelligente”)».

Tuttavia una certa cultura allergica alla metafisica ha voluto sfruttare anche i progressi della genetica per portare avanti la sua campagna contro l’uomo. Il motivo è semplice: per negare Dio sono costretti a negare l’uomo, la sua libertà, la sua unicità e la complessa bellezza del creato, come ha spiegato benissimo il prof. Francesco Agnoli. Agazzi ha messo infatti in guardia: «è bene non sottovalutare un equivoco che possiamo chiamare“determinismo genico”, secondo il quale tutto ciò che accade ad un organismo è scritto sin dall’inizio nei suoi geni. Una visione riduttiva e oltre tutto errata, dal momento che, anche sotto il profilo biologico, le interazioni con l’ambiente influiscono sulla vita di un organismo almeno quanto il suo impianto genetico. Insomma è una strada pericolosa far dipendere dalle condizioni biologiche tutto quanto costituisce l’esperienza di un vivente, compreso l’uomo».

Un enorme passa avanti per l’uomo è stato realizzato dalla decifrazione del genoma umano da parte di ricercatori americani guidati dal genetista Francis Collins. Quest’ultimo ha più volte sottolineato come la sua fede cristiana sia stata rinvigorita grazie al suo lavoro scientifico, arrivando ad affermare«Ho guardato per la prima volta nella storia umana le lettere del DNA umano – che io ritengo siano il linguaggio di Dio – e ho avuto solo un assaggio minuscolo della straordinaria potenza creativa della Sua mente, così lo è ogni scoperta che compie la scienza»

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22/05/2013 00:11
 
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Gli articoli  che seguono del dr. N. Nobile Migliore sono tratti da:

Fonte : http://www.origini.info/argomento/biologia


LO SPERMATOZOO: CELLULA ALTAMENTE PROGETTATA
di N. Nobile Migliore - 03/05/13
 



Lo spermatozoo è una cellula altamente modificata per un solo scopo che è quello di viaggiare attraverso le vie genitali femminili ,incontrare l'ovocellula femminile ,penetrarvi e fecondarla unendo i suoi cromosomi con quelli femminili. Per fare questo ha subito già nei tubuli seminiferi dei testicoli delle modificazioni della sua struttura altamente integrate per cui mancando una sola di queste tutta la struttura non può funzionare. Anzitutto è formato da una testa e da una coda. La testa è formata quasi completamente dal nucleo che contiene i cromosomi dimezzati dal meccanismo meiotico; attorno al nucleo esiste un citoplasma estremamente ridotto e attorno a tre quarti del nucleo esiste un'
altra struttura chiamata acrosoma che è un lisosoma modificato contenente degli enzimi idrolitici e proteolitici. Una volta che lo spermatozoo è giunto nell'epididimo gli viene aggiunta la coda che contiene un vero e proprio flagello simile a quello dei batteri formato dalle proteine motrici ,da un vero e proprio motore circondato da una serie di mitocondri che danno energia e gli enzimi necessari ,alla sintesi e alla degradazione dell'atp come l'atp sintetasi e l'atpasi, già altre volte descritte da me in questo
sito. Gli spermatozoi in questo modo diventano mobili e una volta eiaculati in vagina nell'atto sessuale incominciano il loro viaggio lungo le vie genitali femminili ,collo dell'utero ,utero e infine le tube di falloppio dove incontreranno l'uovo femminile. Il viaggio è molto difficoltoso e dei milioni di spermatozoi eiaculati solo 10 su novanta riusciranno a raggiunger le tube e di tutti solo uno riuscirà a raggiungere l'ovulo femminile e non necessariamente il migliore e più forte ma solo il più "fortunato" che si è trovato al posto giusto e al momento giusto. In tutto questo aspro percorso gli spermatozoi sono aiutati dalle contrazioni uterine e delle tube e anche
da particolari sostanze emesse dall'ovocellula femminile che determinano una azione chemiotattica nei confronti degli spermatozoi ed anche una azione di incremento della motilità degli spermatozoi che diventa iper-veloce e cambiadirezione passando da motilità lineare a iper-motilità a zig-zag in modo che la probabilità di raggiungere l'uovo aumenta notevolmente. Inoltre l'uovo femminile invia altre proteine e s forma una cascata di reazioni enzimatiche
che determinano la cosiddetta capacità degli spermatozoi, cioè
l'acrosoma si modifica profondamente ,diventa più fluido e diventa capace dirilasciare gli enzimi proteolitici ed idrolitici che creano una distruzione in una zona del setto pellucido dell'uovo femminile che è una membrana spessa che protegge l'uovo. Attraverso il varco formato nel setto pellucido passa lo spermatozoo che entra dentro la cellula uovo femminile molto più grande di lui e li dentro inizia il processo di fecondazione cioè l'unione dei gameti maschili con quelli femminile. Quest’ultimo processo è molto complesso e richiede la fusione dei cromosomi maschili con quelli femminili e per far questo vengono innescate ancora una volta delle vere e proprie cascate enzimatiche molto complesse. Come si può constare tutti questi
processi che ho appena descritto sono altamente integrati e
irriducibilmente complessi e ancora una volta mettono in grave crisi il paradigma darwiniano. Infatti per esempio se non ci fosse la coda mobile gli spermatozoi non potrebbero muoversi, se non ci fosse l'acrosoma non ci potrebbero essere gli enzimi litici che fanno passare lo spermatozoo dentro l'uovo cellula. Se non ci fossero gli enzimi che fluidificano le membrane non ci potrebbe essere la fusione delle membrane e la fuoruscita degli enzimi litici. Se non ci fosse la cascata enzimatica della fusione di gameti non potrebbe avvenire la fecondazione ,se non ci fossero i segnali chimici peptidici da parte dell'ovulo femminile gli spermatozoi non otterrebbero
trovare l'ovulo femminile ecc. ecc. Tutta questa struttura integrata deve essere sorta tutta in una volta per un atto creativo di 
una Intelligenza.

 

[Modificato da Credente 19/08/2018 22:09]
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24/06/2013 19:24
 
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L’uomo, il linguaggio e la sua irriducibilità

LinguaggioI linguisti dibattono da tempo se i bambini realmente capiscono la grammatica che stanno utilizzando o stanno semplicemente memorizzando e imitando gli adulti. Un nuovo studio dellaUniversity of Pennsylvania ha fatto luce su questo: i bambini, dai 2 anni in poi capiscono le regole grammaticali di base appena imparano a parlare, ma non lo fanno semplicemente come imitazione degli adulti.

I ricercatori hanno poi applicato la stessa analisi statistica sui dati di uno dei più famosi esperimenti di acquisizione-linguaggio negli animali (Project Nim), rilevando che gli scimpanzé a cui è stato insegnato il linguaggio dei segni nel corso di molti anni, non hanno mai afferrato le regole grammaticali che invece appaiono innate nei bambini di 2 anni. La conclusione tratta è molto semplice e contraria ad ogni scienza riduzionista: l’apprendimento della lingua è una caratteristica unicamente umana.

Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia presso l’Università di Torino e direttore di un laboratorio di ricerca presso il Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi ha a sua volta spiegato che «negli animali manca completamente un omologo del linguaggio umano» (Complessità, evoluzione, uomo p. 192). Come già messo in luce dal biologo evoluzionista americano Marc Hauser, esiste un «divario fondamentale e senza precedenti» nell’evoluzione dell’uomo e dell’animale.

Esiste cioè una irriducibilità dell’uomo al suo substrato chimico, biologico e genetico, egli èontologicamente differente da qualsiasi cosa lo circondi. L’uomo non è un animale semplicemente più evoluto, ma appartiene ad un’altra dimensione che non deriva dal graduale operare della selezione naturale nel corso del tempo (anche perché l’evoluzione non procede in modo graduale e la selezione naturale non è la sua unica protagonista).

Un’altra notizia recente circa il linguaggio riguarda la scoperta di una lingua comune e madre, un idioma arcaico nato probabilmente dalle parti dell’Anatolia o del Caucaso, comune a tutti i popoli dell’Europa e dell’Asia e di cui esistono ancora oggi delle tracce.

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16/07/2013 18:07
 
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La complessità fondamentale della vita

Di Michele Forastiere

Interattoma 

 

Il paradosso di Levinthal dell’interattoma e le sue conseguenze sulla biologia evolutiva

 

 

Le proteine sono le molecole tuttofare della vita, veri e propri nanostrumenti capaci di svolgere le funzioni più svariate. Sono oggetti dalle molteplici forme, raggruppabili in tre grandi classi: le proteine globulari, più o meno sferiche, come l’emoglobina; le proteine fibrose, dalla struttura filamentosa, come la cheratina; infine, le proteine di membrana, dalla geometria dipendente dalla funzione svolta (per esempio, regolare il passaggio di ioni attraverso la membrana cellulare).

 

La maggior parte delle attività delle cellule di ogni organismo vivente viene eseguita da proteine che interagiscono tra loro e con altre molecole organiche del nucleo, del citoplasma e della membrana cellulare. Di solito si tratta di interazioni complesse, che prevedono una successione di passi esattamente scandita e regolata, sia nel tempo sia nello spazio. Si pensi, ad esempio, all’interazione fondamentale: la sintesi proteica. Si tratta di un meccanismo complicato che prevede, a grandi linee, prima la trascrizione del gene codificante una data proteina inRNA messenger (mRNA) all’interno del nucleo, poi la traduzione del codice mediante il montaggio sequenziale – all’interno dei ribosomi – delle molecole di amminoacidi trasportate dall’RNA transfer (tRNA), infine la ripiegatura della lunga catena peptidica nella forma finale della proteina (la cosiddetta conformazione nativa).

 

Tutte le operazioni che coinvolgono molecole organiche dipendono,ovviamente, dalle specifiche interazioni chimiche che avvengono tra di loro. Dal punto di vista della fisica queste ultime sono semplicemente la manifestazione di interazioni elettromagnetiche tra le nuvole elettroniche degli atomi coinvolti. In pratica, le molecole organiche si combinano tra di loro, si “smontano” e si “rimontano” in configurazioni diverse grazie al fatto che la loro superficie esterna – quella che rappresenta l’interfaccia della molecola con l’ambiente – costituisce un “paesaggio” composito di zone, diverse per forma e dimensione, con densità di carica elettrica differente. In tal modo una proteina può agganciarne un’altra in una specifica direzione e (per esempio) formare un aggregato di forma allungata, come nelle fibre di cheratina; oppure può trattenere una molecola di ossigeno, per poi rilasciarla al momento opportuno; e via dicendo.

 

È evidente, dunque, che la funzione di una proteina è determinata in maniera essenziale dalla “mappa” di densità elettronica sulla sua superficie esterna, che a sua volta dipende tanto dalla sua struttura primaria (la sequenza di amminoacidi – ovvero residui – che la costituiscono), quanto dalla sua struttura secondaria e terziaria (l’esatta configurazione tridimensionale di tutti i suoi atomi). Secondo l’ipotesi termodinamica (nota anche come dogma di Anfinsen ) la conformazione nativa della proteina è determinata univocamente dalla sequenza degli amminoacidi costituenti. In pratica, nelle condizioni ambientali in cui la proteina viene sintetizzata, la conformazione nativa corrisponde a un minimo unicostabile e accessibiledell’energia libera. Quindi, la forma finale è una configurazione di equilibrio stabile dal punto di vista termodinamico, che viene raggiunta spontaneamente nella biosintesi proteica (vale a dire, nel corso dell’assemblaggio della proteina all’interno di una cellula vivente).

 

Questa considerazione non risolve, però, il cosiddetto problema del ripiegamento: in che modo una proteina raggiunge la sua forma funzionale, partendo dalla catena di amminoacidi sintetizzata nei ribosomi? Il fatto è che se il ripiegamento dovesse avvenire mediante un processo di “ricerca casuale” – per agitazione termica – del minimo globale di energia libera, questo richiederebbe un tempo assolutamente irrealistico, molto maggiore di quello trascorso dalla nascita dell’Universo. Vediamo perché.

 

Per ogni legame peptidico sono possibili due diversi angoli di rotazione,ognuno dei quali può dar luogo a tre configurazioni energeticamente stabili. Perciò, una proteina costituita da N residui – quindi con (N – 1) legami peptidici – avrà 2(N – 1) diversi angoli di legame. Dato che ad ognuno di questi corrispondono tre configurazioni stabili, il numero di possibili conformazioni della catena (non equivalenti dal punto di vista dell’energia libera complessiva) sarà di 32(N – 1) = 9N – 1 ≈ 100,95(N – 1) .

Se la proteina dovesse raggiungere la sua conformazione nativa – quella corrispondente al minimo globale di energia libera – mediante un’esplorazione casuale delle varie configurazioni realizzabili, ognuna delle quali avvenisse in un tempo dell’ordine del picosecondo (10–12 secondi), ci vorrebbero più o meno 100,95N – 13 secondi per raggiungere lo scopo. Nel caso di una piccola proteina formata da 100 residui (quindi con N = 100), il tempo richiesto sarebbe dell’ordine di 1082secondi, più o meno 1065  volte l’età dell’Universo! È evidente che c’è qualcosa che non torna: un batterio come l’E. Coli si riproduce ogni 20 minuti, duplicando l’intero insieme delle sue proteine funzionali – gran parte delle quali ben più lunghe di 100 residui – entro quell’intervallo di tempo. Tale contraddizione venne riconosciuta per la prima volta da Cyrus Levinthal nel 1969 (): si tratta di quello che è ormai universalmente noto come “paradosso di Levinthal”.

 

Il problema del ripiegamento si può dunque riformulare in questo modo: come viene selezionato l’unico stato funzionale di una proteina in mezzo a un numero tanto grande di alternative? Secondo Levinthal, la risposta è semplice: il ripiegamento non può che avvenire seguendo percorsi preferenziali; in altre parole, è accelerato e guidato dal rapido instaurarsi di interazioni locali, che a loro volta servono da centri di nucleazione per i passaggi successivi. In pratica, l’assemblaggio delle proteine sarebbe un processo gerarchico, che si verifica in un “paesaggio energetico” a forma di imbuto, analogo al rotolamento di un masso dalla cima di una montagna verso un pozzo situato in una profonda valle.

 

È  evidente che i “canali preferenziali” che guidano il corretto ripiegamento proteico sono messi a disposizione dal processo stesso di biosintesi nella cellula sana, e dipendono dalle giuste condizioni fisico-chimiche – oltre che dall’eventuale presenza di particolari molecole organiche dette chaperone, specificamente adibite a fornire “assistenza” al ripiegamento. Notoriamente, ogni discostamento dalla conformazione nativa produce proteine inattive, spesso tossiche; alcune malattie neuro-degenerative sembrano essere prodotte da proteine mal-ripiegate. Lo “srotolamento” parziale o totale di una proteina, detto denaturazione, è nella maggior parte dei casi irreversibile – indubbiamente a causa del grandissimo numero diconformazioni denaturate, in confronto all’unica nativa.

Al di fuori dell’ambiente cellulare, perciò, la sintesi artificiale di una proteina a partire esclusivamente dai suoi componenti elementari appare ancora un problema tecnicamente arduo.

 

Ora, ritornando a quanto detto all’inizio, il funzionamento di una cellula dipende dall’insieme delle interazioni tra le proteine e tutte le altre molecole, organiche e inorganiche, presenti al suo interno. In particolare, l’attività cellulare è determinata dalla rete completa del suo interattoma, vale a dire dall’insieme di tutte le interazioni fisiche proteina-proteina che possono aver luogo nella cellula. Non è difficile comprendere che il problema dell’assemblaggio dell’interattoma sia analogo a quello del ripiegamento delle proteine, nel senso che in entrambi i casi lo stato funzionale viene selezionato entro un numero astronomicamente alto di alternative non funzionali.

 

I biologi Peter Tompa della Vrije Universiteit di Brussels e George Rose della Johns Hopkins University hanno affrontato la questione della sintesi dell’interattoma in un articolo apparso su Protein Science nel 2011, The Levinthal paradox of the interactome”. La rete dell’interattoma è costituita dall’insieme delle interconnessioni che collegano idealmente le migliaia di componenti cellulari; ogni collegamento corrisponde a un’interazione chimicamente efficace delle molecole coinvolte. Nel caso delle interazioni proteina-proteina, queste avvengono in modo corretto solo se le due (o più) molecole coinvolte presentano la “giusta” distribuzione complementare di carica elettrica e si avvicinano l’una all’altra nella “giusta” direzione – un po’ come una chiave nei confronti di una serratura. Ora, è chiaro che, nel caso di molecole grandi e di forma complicata come le proteine, esistono molte possibilità diverse di interazione, dipendenti dalla geometria del “contatto”.

 

Tompa e Rose forniscono una stima approssimata del numero di possibili schemi di interazione in un interattoma-modello, considerando per semplicità solo interazioni a coppie tra proteine “medie”. L’interattoma esaminato è quello esistente in una particolare fase di crescita del lievito Saccharomyces cerevisiae, con 4500 proteine diverse, lunghe in media 400 residui e presenti in media in 3000 copie ciascuna. Supponendo per semplicità di avere a che fare solo con proteine globulari, gli autori calcolano 3540 interfacce distinguibili in una proteina tipica. Nel caso più semplice, in cui si assume che ognuna delle proteine diverse sia presente in una singola copia, e che tutte le interazioni avvengano a due a due attraverso una singola interfaccia, il numero complessivo di possibili schemi di interazione risulta pari a:

 

La dipendenza da è rapidamente crescente: per = 6 si hanno 15 interazioni possibili, per  = 10 si sale a 945, per = 20 si arriva già a più di 600 milioni… nel caso esaminato, con  = 4500, vi sono ben 107200 possibilità! Questo, però, è ancora niente: se si tiene conto del fatto che vi sono in media 3540 interfacce per ogni proteina, si arriva a 4500 x 3540 ≈ 1.6 x 107  enti distinti in grado di interagire. Ebbene, il numero di interazioni possibili sale adesso allo strabiliante valore di1054 000 000 ! Non è finita qui: considerando che ogni proteina compare in 3000esemplari, più copie della stessa proteina possono essere impegnate in interazioni con controparti diverse allo stesso tempo; si giunge quindi a una stima di1079 000 000 000 distinte configurazioni dell’interattoma. Un numero assolutamente stupefacente.

 

Tompa e Rose osservano che tale straordinaria complessità esclude la possibilità che un interattoma funzionale si formi per tentativi ed errori in un qualsiasi accettabile arco di tempo, e ne traggono la conclusione che l’assemblaggio dell’interattoma debba procedere lungo percorsi preferenziali, anche mediante l’interpretazione di opportuni segnali di “montaggio”. Secondo gli autori, dunque, è evidente che la formazione di un interattoma funzionale necessiterebbe di una rete preesistente di proteine interagenti – vale a dire, dell’interattoma stesso. Prendiamo, per esempio, alcune fasi della biosintesi proteica: la localizzazione dell’mRNAcomporta l’esistenza del citoscheletro, che funge da rete di trasporto; a sua volta, il citoscheletro può essere assemblato correttamente solo se esiste un’organizzazione precedente (come i centri di organizzazione dei microtubuli, MTOC); infine, il trasporto lungo il citoscheletro può verificarsi solo mediante motori proteici, che sono costituiti appunto da proteine precedentemente sintetizzate. Inoltre, tutte le nanomacchine coinvolte richiedono un flusso continuo di energia per funzionare: non è quindi pensabile che il risultato finale del loro lavoro (un interattoma funzionale) possa mantenersi in equilibrio spontaneamente, cioè senza alcun dispendio energetico.

 

In sostanza, nessun interattoma potrebbe auto-organizzarsi spontaneamente a partire dai suoi componenti proteici isolati; al contrario, esso può raggiungere il suo stato funzionale solo “copiando” l’interattoma di una cellula-madre, e mantenere quello stato solo attraverso un continuo dispendio energetico. Senza una rete preesistente di interazioni, una cellula finirebbe per impantanarsi in uno stato caotico non funzionale, incompatibile con la vita. Insomma, secondo Tompa e Rose esiste, tra un interattoma vitale e i suoi componenti isolati – tra vita e non vita – una discontinuità che risulta essere insormontabile, in modo spontaneo, al di fuori dell’ambiente cellulare.

 

Per chiarire meglio il concetto di discontinuità, i due ricercatori individuano tre configurazioni generali (“zone”) di organizzazione del materiale organico.

 

La zona 1, quella dell’ordine o dello stato nativo, corrisponde all’interattoma vitale, in condizioni fisiologiche normali. L’assemblaggio spontaneo è dominante e le trasformazioni sono completamente reversibili.

La zona 2, quella del disordine, viene definita da transizioni reversibili dalla zona 1, dovute a stress, malattie, mutazioni, divisione cellulare, eccetera. La reversibilità qui è minore, ma ogni trasformazione si può invertire con un costo energetico e grazie a una combinazione di percorsi obbligati e molecole assistenti (chaperone).

La zona 3, quella del caos, rappresenta il livello assoluto di disorganizzazione. Le trasformazioni che portano in questa zona non sono reversibili: non esiste alcun meccanismo che permetta di raggiungere da qui la zona 1 in tempi ragionevoli.

 

In altre parole, tra zona 3 e zona 1 esiste una barriera invalicabile, almeno nelle condizioni attualmente esistenti sulla Terra. È evidente, del resto, che la vita deve aver attraversato la zona 3 almeno una volta – all’inizio. Si capisce che qui entriamo in un campo altamente congetturale; possiamo però presumere che gli attuali meccanismi di assemblaggio dell’interattoma riflettano la loro storia evolutiva. Anche nell’ottica della Sintesi estesa (cioè della teoria dell’evoluzione più “prudente” e conservativa) ogni proteina sintetizzata in ogni organismo oggi vivente viene guidata al suo destino nella cellula lungo una strada che è stata forgiata in un’epoca precedente. È nondimeno ovvio che un primo interattoma funzionale, benché primitivo, deve essere esistito in qualche momento del remoto passato, emergendo in qualche modo dalla zona 3 – vale a dire, in assenza di un preesistente interattoma di supporto.

 

Su come debba essere stato l’interattoma  primordiale non sappiamo granché, al momento. Tuttavia, abbiamo al riguardo qualche indicazione da parte degli scienziati premiati con il Nobel per la chimica nel 2009: si deve essere trattato almeno di una triade catalitica costituita da RNA ribosomiale, proteina ribosomiale e tRNA substrato. Dunque, almeno una grande proteina funzionale, non  dissimile da quelle moderne, deve aver attraversato il confine tra zona 3 e zona 1 qualcosa come quattro miliardi di anni fa. Per puro caso? È certamente possibile, sebbene molto improbabile, se si tiene conto del paradosso di Levinthal. La valutazione della probabilità di tale evento, però, si riduce ancora quando si considera che deve essere stato un interattoma completo – seppure primitivo, seppure ridotto all’osso – ad attraversare spontaneamente la barriera tra caos ordine. Una stima di tale probabilità è stata effettuata da Eugene Koonin, e non appare molto incoraggiante.

 D’altro canto, non potrebbe invece essere che una qualche “legge di natura”– vale a dire un aspetto intrinseco della natura, piuttosto che un caso contingente – abbia giocato un ruolo fondamentale nell’origine e nell’evoluzione della vita, comesuggerisce Michael J. Denton?

Non lo sappiamo. Pensiamo, però, che valga davvero la pena di continuare a riflettere sul tema della complessità fondamentale della vita, forse la questione più importante della biologia del XXI secolo.

[Modificato da Credente 16/07/2013 18:08]
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10/09/2013 00:57
 
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Evoluzione, finalismo e casualità
nel libro del prof. Facchini

Evoluzione FacchiniDurante l’edizione scorsa (2012) del “Meeting per l’Amicizia tra i Popoli”, organizzato dal movimento di Comunione e Liberazione” a Rimini, è stato presentato l’ultimo libro di Fiorenzo Facchini, Professore Emerito di Antropologia presso l’Università degli Studi di Bologna, dove è anche responsabile del Museo di Antropologia, intitolato Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale (Jaca Book 2012).

A presentare il volume, oltre all’autore, erano presenti Carlo Cirotto, Docente di Citologia e Biologia Teorica all’Università degli Studi di Perugia edElio Sindoni, Docente di Fisica Generale all’Università degli Studi di MilanoBicocca. Il libro di Facchini si divide in cinque capitoli che poi sono il cuore del dibattito: 1) Evoluzione e creazione; 2) Crescita della complessità ed evoluzione; 3)Caso, finalità e finalismo; 4) Le specie nell’evoluzione umana; 5) Identità dell’uomo.

 Il prof. Cirotto ha elogiato il lavoro di Facchini parlando di «impostazione sobria, seria e consequenziale dello scienziato. Ne è una riprova l’abbondante e circostanziata bibliografia, indiscutibile indice di serietà scientifica, ma anche il taglio dell’esperto divulgatore, capace di comunicare in modo incisivo i fatti e le considerazioni della scienza anche a lettori poco attrezzati». Il tutto «evitando sempre e comunque qualsiasi confusione di campo, giudicando, a ragione, ingiustificabile l’attitudine a cercare risposte in campi del sapere diversi dai quali sono emerse le domande. E così prende in modo fermo le distanze dai tentativi di fornire risposte teologiche a problemi scientifici e viceversa». Opponendosi alle diverse versioni dell’Intelligent design, così come al Creazionismo, il prof. Facchini ha parlato dei due magisteri di Scienza e Fede come  «non ermeticamente chiusi»“> come quelli di Gould, ma attraversati da «cancelli di comunicazione, cioè quegli strumenti della logica che permettono di passare correttamente da un campo del sapere all’altro». Quest’apertura reciproca «è giustificata dalla stessa unità dell’oggetto studiato, che è l’Universo nel quale viviamo. E’ superfluo, credo, che debba sottolineare il mio completo accordo con tale posizione». Il biologo ha quindi contestato «l’ideologia del caso, promossa a spiegazione universale», spiegando che è «avvenuto qualcosa in quei nostri antichissimo progenitori, non la comparsa di una caratteristica nuova allo stesso livello delle altre, ma una caratteristica nuova in grado diriorganizzare in modo nuovo tutte le preesistenti, una caratteristica spirituale, la stessa che farà fiorire l’arte, il sentimento religioso, la filosofia, la teologia e anche la scienza».

Fiorenzo Facchini ha brevemente parlato del suo libro, sottolineando una certa «presunzione di avere chiaro tutto, di spiegare tutto. Il darwinismo, che certamente è la teoria scientifica più diffusa, viene presentato a volte come una teoria che spiega tutto, per cui la mia sensazione è che anche nella divulgazione ci sia una eccessiva semplificazione del problema». Proprio le cinque questioni citate (titolo dei cinque capitoli) rimangono tuttora«aperte». Riconoscere il finalismo in natura, ha commentato, è «un’operazione che posso fare dal punto di vista scientifico; dedurre però da questo un finalismo come concezione generale della realtà, che acquista un senso nel suo insieme, questo mi porta già su un piano che è un piano filosofico». Rispetto alla casualità, invece, essa «non è affatto da escludersi anche in un universo ordinato, anche in un’armonia della natura. Anzi direi che la storia della vita è segnata da questa combinazione curiosa fra le finalità che si riconoscono e la casualità di molti eventi».

Spostandosi sul piano dell’evoluzione dell’Universo, il fisico Sindoni ha concluso l’evento spiegando: «Se c’è una cosa che veramente è stupefacente è come – tra l’altro lo diceva già Galileo – l’Universo segua delle leggi geometrico-fisiche molto, molto precise. In natura c’è questa enorme precisione e pare che il Creatore conoscesse bene anche la geometria, perché ha utilizzato la sezione aurea in tantissimi casi: la stessa forma dell’uomo segue in qualche modo la sezione aurea. Quindi parlare di caso, per me, è un pochino complicato. Trattare il caso in Fisica è una cosa molto, molto delicata e direi che è un pochino fuori uso, era un pochino più in uso un po’ di anni fa». Ha quindi proseguito: «grazie al fatto che conosciamo queste leggi, cioè conosciamo esattamente l’orbita di tutti i pianeti, conosciamo esattamente l’influenza del sole, eccetera, capiamo che queste leggi non sono casuali, queste leggi dicono qualcosa di estremamente preciso e questa cosa estremamente precisa, a mio parere, vale anche per la nascita della vita. Quindi parlare di caso, sia in fisica che in evoluzione, secondo me è un problema molto, molto discutibile. Questo cosa porta a dire? Porta a dire che sono abbastanza convinto – e troverete parecchi esempi in questo libro – che dietro di noi o davanti a noi o sopra di noi c’è un finalismo, un finalismo che attraverso questi processi evolutivi doveva portare all’essere autocosciente».

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13/10/2013 10:14
 
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LO STOMACO E LA SUA PERFEZIONE

di N. Nobile Migliore 

 

Nel percorso digestivo dei cibi il primo organo che si trova è lo stomaco,organo cavo in cui vengono secreti vari enzimi digestivi, il più importante è la pepsina ,enzima che degrada le proteine scindendole in prodotti più piccoli chiamati peptidi. Per fare questa
operazione però l'enzima necessita di un ambiente fortemente acido con un ph di 1,5-2 e questo ambiente viene fornito dalla secrezione dell'acido cloridrico che è compito di particolari cellule deputate a questo. L'acido cloridrico denatura le proteine del cibo svolgendole dal loro avvolgimento naturale e rendendole permeabili all'azione della pepsina che non le degrada in modo casuale ma solo in corrispondenza di alcuni particolari aminoacidi chiamati aromatici. L'acido cloridrico però potrebbe distruggere anche le pareti dello stomaco .essendo anch'esse fatte da proteine e quindi soggette all'azione della pepsina. Per evitare ciò esiste un meccanismo fondamentale e cioè la secrezione da parte di un altro tipo di cellule di una notevole quantità di muco ,di due qualità che forma una barriera invalicabile all'azione dell'acido più pepsina proteggendo cosi le pareti dello stomaco. Quando questo meccanismo non funziona si formano le ulcere peptiche molto pericolose perchè possono portare alla perforazione dello stomaco, se non curate. Ma c'è dell'altro: la pepsina non viene secreta dalle cellule apposite come pepsina attiva ,ma sotto forma di un precursore chiamato pepsinogeno che possiede 44 aminoacidi in più della pepsina; questi aminoacidi in più hanno la funzione di coprire il sito attivo dell'enzima e quindi l'enzima dentro la cellula che lo produce non può agire. Questo accade perchè se l'enzima fosse subito attivo potrebbe distruggere le strutture proteiche della cellula distruggendola. Ma una volta che il pepsinogeno viene liberato nella cavità gastrica l'ambiente acido gli fa cambiare conformazione e lo rende autocatalitico cioè lo induce a eliminare i 44 aminoacidi trasformandosi cosi in pepsina attiva che attiva a sua volta gli altri pepsinogeni secreti. Come si può constatare facilmente tutti questi meccanismi digestivi sono altamente integrati e devono essere comparsi contemporaneamente nella storia della vita. Se fosse sorto prima il muco senza gli enzimi digestivi lo stomaco non avrebbe potuto digerire i cibi, se fosse sorta prima la pepsina senza l'acido cloridrico la pepsina non avrebbe potuto agire in ambiente acido ,se fosse sorto prima la pepsina e l'acido cloridrico senza il muco protettivo la parete gastrica sarebbe stata distrutta dalla pepsina e dall'acido. Infine se la cellula che produce la pepsina l'avesse prodotta attiva la cellula sarebbe stata distrutta facilmente dall'enzina attivo e quindi era necessario che fosse prodotto originariamente inattivo. Questa breve descrizione del funzionamento gastrico dimostra quindi che l'evoluzione casuale a piccoli passi con le modalità darwiniane non può essere avvenuto, ma tutto deve essere avvenuto in modo globale e....con intelligenza in una sola volta. 

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20/10/2013 13:03
 
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Cosa c’entra il motore immobile
di Aristotele con il DNA?

Aristotele 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Da qualche tempo si alzano voci dubitative in campo darwinista sulla qualificazione di “programma” del DNA, nel significato tecnico che la parola ha in cibernetica di sequenza lineare d’istruzioni in linguaggio eseguibile. Ciò si deve forse al persistente fallimento a trovare unmodello scientifico dell’abiogenesi, che resta tuttora “una questione irrisolta”, come ha dichiarato al convegno del 2011 organizzato dal CERN per fare il punto sul problema lo scienziato che più di tutti vi si è dedicato per 40 anni, Stuart Kauffman.

Mi rendo conto che cercare nel bussolotto dei dadi il motore del salto dalla materia inanimata alla vita “non è la strada migliore per costruirsi una carriera scientifica” (“Nature”, 21 maggio 2009), essendo l’informazione (in questo caso, quella contenuta nel DNA) opposta per definizione al caso. Ancora nel III secolo Plotino argomentava: “Come attribuire al caso il principio di ogni ragione, ordine e determinazione? Di molte cose certamente è padrone il caso, ma di generare l’intelligenza, il pensiero, l’ordine esso non è padrone; e poiché il caso è il contrario alla ragione, come potrebbe esserne il genitore?” (Enneadi, VI 8, 10). Ma, se non si crede che il pero nasca dal seme della pera per fortuna, e così il gattino dall’ovulo fecondato della gatta e il bambino dalla donna, essendo solo una felice serie di eventi ciechi a selezionare di seguito per settimane i 1024÷1025 atomi che compongono la struttura ordinata dell’unità biologica; se non si può credere ciò, si deve ritenere razionalmente necessario che (prima ancora di ricercare scientificamente come) nel seme o nell’ovulo fecondato d’una specie esistano il software (completo) e l’hardware (iniziale) per il montaggio di un’unità della stessa specie, attraverso l’estrazione dall’ambiente della materia e dell’energia necessarie.L’esistenza del programma genetico è dunque una necessità di ragione.

Tale necessità fu compresa fin dagli albori del pensiero occidentale. Tommaso d’Aquino usa il termine seminalis ratio: “È evidente che i principi attivi e passivi della generazione delle cose viventi sono i semi da cui si generano le cose viventi. Perciò Agostino opportunamente ha dato il nome di ‘cause seminali’ [seminales rationes] a tutti i principi attivi e passivi che presiedono alla generazione naturale e allo sviluppo [degli organismi viventi]” (Summa Theologiae, I, q. 115). Tommaso aveva attinto il tema da Agostino, che aveva elaborato l’idea stoica del lógos spermatikós. C’è chi scorge l’intuizione addirittura nel Salmo 139, dove il re Davide (1040-970 a.C.) canta: “Poiché Tu stesso producesti i miei reni, mi tenesti coperto nel ventre di mia madre. Ti loderò perché sono fatto in maniera tremendamente meravigliosa. […] Le mie ossa non Ti furono occultate quando fui fatto nel segreto, quando fui tessuto nelle parti più basse della terra. I Tuoi occhi videro perfino il mio embrione, e nel Tuo libro ne erano scritte tutte le parti, riguardo ai giorni quando furono formate e fra di esse non ce n’era ancora nessuna” [sottolineatura mia].

Aristotele tra gli antichi è il più esplicito e moderno. C’è da restare strabiliati davanti all’attualità scientifica di molti concetti biologici di Aristotele e alla forza della sua analisi, conseguente ad osservazioni di morfologia, anatomia, sistematica ed anche di embriologia, trattate in 5 libri. Prendiamo tra questi “Sulla generazione degli animali”. Aristotele comincia considerando un aspetto fondamentale della vita: il fatto che gli umani generano umani, i conigli conigli e le mele meli. Nella generazione degli uomini, prosegue lo Stagirita, il maschio fornisce col seme unprincipio formale, non un uomo in miniatura. Contro il padre della medicina Ippocrate, per il quale il seme è una secrezione in cui è materialmente presente ogni parte del corpo nascituro per mezzo di un contributo di quella stessa parte del genitore (una particella di fegato paterno per il fegato del futuro bambino, di vecchio cuore per il nuovo cuore, ecc.), egli osserva che gli uomini generano progenie anche prima di avere certe parti, per es. la barba o i capelli grigi, e lo stesso vale per le piante; che l’ereditarietà può saltare generazioni, “come nel caso di una donna di Elide che si accoppiò con un etiope. Sua figlia non fu nera, ma il figlio della figlia fu un nero” (I, 18); che il seme maschile può generare femminucce, e chiaramente non può farlo come secrezione in un uomo da genitali femminili. “Dalle considerazioni precedenti è chiaro che il seme non consiste di contributi provenienti da tutte le parti del corpo del maschio […], e che il contributo della femmina è alquanto diverso da quello del maschio. Il maschio offre il piano di sviluppo e la femmina il substrato. Per questa ragione la femmina non è fertile di per se stessa, poiché le manca il principio formale, cioè qualcosa che regoli lo sviluppo dell’embrione, qualcosa che determini la forma che esso assumerà” (I, 21). Secondo Aristotele dunque, il maschio fornisce il software, la femmina l’hardware: non è riconosciuto il contributo femminile nella meiosi (forse per un pregiudizio maschilista tipico dell’epoca), ma il concetto d’informazione genetica c’è.

Il principio informativo presente nel seme è paragonato al falegname, che costruisce i mobili di casa organizzando i materiali secondo un progetto, senza essere scalfito dal processo produttivo: “Il seme non contribuisce in nulla al corpo materiale dell’embrione, ma solo gli comunica il suo programma di sviluppo. Questa capacità è ciò che agisce e crea, mentre il materiale che riceve le sue istruzioni ed è forgiato da esso è il residuo non scaricato del fluido mestruale. […] La creatura prodotta dal principio formale nel seme e dalla materia proveniente dalla femmina è  come un letto, che è prodotto dal falegname e dal legno. […] Nessuna parte del falegname entra nel legno lavorato, […] ma solo la forma viene impartita dal falegname al materiale attraverso i cambiamenti che egli introduce. […] È la sua informazione che controlla il moto delle sue mani” (I, 22). In termini moderni, Aristotele ci dice che l’informazione contenuta nel DNA, dopo la fecondazione, viene letta in un modo pre-programmato che forgia la materia su cui agisce, ma non altera l’informazione salvata, la quale non è materialmente parte del prodotto finito. Il DNA è il motore della trasformazione, non trasformato dal processo. In greco kinoún àkíneton, un motore immobile in italiano.

È un errore scientista negare il ruolo della filosofia nelle scienze naturali, che invece ne è sempre alla base, come fase d’intuizione e metodo logico quanto meno. Ogni scienziato è nel suo lavoro, anche senza saperlo, un pedissequo discepolo di Aristotele. E il libro “Sulla generazione degli animali” prova che anche la scoperta di Francis Crick e James Watson del ruolo del DNA ha un lungo antefatto poco noto.

Così come è un’altra madornalità scientista irridere al concetto di motore immobile, dallo Stagirita dedotto proprio dai suoi studi embriologici e poi portato in fisica, in astronomia e finalmente in metafisica. Certo, se per moto s’intende (in bella ignoranza delle lingue classiche) solo il cambio di posizione spaziale, è facile obiettare alla filosofia aristotelica che in dinamica vale il galileiano principio d’inerzia; ma se, come intendevano Aristotele e la Scolastica medievale, la parola significa ogni tipo di cambiamento, allora l’assunzione di principi formali invarianti delle trasformazioni naturali è costituiva di tutte le scienze. Nella concezione meccanicistica della vecchia fisica newtoniana, per cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, il concetto di motore immobile appare un non senso; ma se, come nel DNA, esso è un principio che governa una trasformazione senza esserne alterato, allora il primo motore immobile (“próton kinoún àkíneton”) non è altro in fisica che il sistema di equazioni tensoriali dei campi di forza che regolano le trasformazioni basiche dei fenomeni naturali e sono il presupposto metafisico, immutabile della fisica moderna e della riduzione metodologica ad essa delle altre scienze naturali. (La forma tensoriale delle equazioni decreta matematicamente il confine tra l’invarianza assoluta dei principi e la covarianza relativa all’osservatore delle evidenze sperimentali misurate). In prospettiva, il primo motore immobile fisico è il santo Graal della cosiddetta TOE, l’unificazione matematica dei 4 campi.

Se conosciamo Aristotele, lo dobbiamo prima all’opera conservativa e traduttrice del cristianesimo medievale (dai cristiani d’Oriente ai monaci di Mont-Saint-Michel a Giacomo Veneto) e poi a quella divulgatrice e sviluppatrice della Scolastica, di San Tommaso d’Aquino in particolare; appartiene all’impulso iconoclastico di distruzione delle proprie radici se l’Occidente, in gran parte, oggi ignora questa storia.

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L'EPATOCITA: UN "SOFISTICATO" LABORATORIO CHIMICO
di N. Nobile Milgiore -


L'epatocita è la cellula fondamentale di quell'organo fondamentale per la vita che è il fegato .Si può paragonare ad un sofisticato laboratorio chimico oppure anche ad una fabbrica di prodotti chimici che vengono importati ,trasformati ed elaborati e poi dismessi modificati per servire alle varie esigenze dell'organismo. L'unità funzionale del fegato è il lobulo che è una struttura a forma poligonale in cui sono presenti cordoni di epatociti disposti in modo ordinato in modo che il polo basale della cellula poggia verso il circolo sanguigno portale proveniente dall'intestino e il polo apicale poggia su un canalicolo biliare, il trasportatore della bile. Al centro del lobulo è presente la venula centrale del lobulo in cui confluiscono tutti i prodotti finiti che saranno trasportati in tutto l'organismo.
Tutte le sostanze che nell'intestino vengono digerite e degradate ad elementi semplici vengono trasportati al fegato per essere elaborati. Una prima sostanza che arriva all'epatocita per essere elaborata è il glucosio che proviene dalla digestione dei farinacei. Nella membrana basale dell'epatocita sono presenti i ricettori per il glucosio .

I ricettori sono proteine a forma di canale che riconoscono il glucosio e lo fanno passare all'interno della cellula dove speciali enzimi chiamati glicogenasi uniscono molte molecole di glucosio formando cosi una molecola complessa chiamata glicogeno che si accumula nella cellula epatica come prodotto di riserva del glucosio. Il glucosio è una sostanza energetica e degradandosi forma energia per le diverse esigenze dell'organismo. Durante il digiuno per esempio o durante la fatica fisica il glucosio è necessario per le esigenze energetiche ed allora scatta nell'epatocita un meccanismo di degradazione del glicogeno a glucosio per opera di specifici enzimi. Quando disgraziatamente si hanno delle mutazioni di questi enzimi che li rendono non funzionali si hanno malattie genetiche chiamate glicogenosi in cui il glicogeno non può essere degradato e si accumula nel fegato. In questo caso però il glucosio non può essere utilizzato quando c'è bisogno ed allora questi soggetti hanno bisogno di mangiare sempre zucchero, anche di notte altrimenti vanno incontro a crisi ipoglicemiche con coma e morte. Oltre gli zuccheri arrivano al fegato gli aminoacidi derivati dalla digestione delle proteine nell'intestino .Nella membrana dell'epatocita esistono i ricettori dei vari aminoacidi che li riconoscono e li internalizzano nella cellula dove subiscono vari trattamenti;anzitutto possono venir demoliti con produzione di energia ;inoltre l'ammoniaca molto tossica che si forma dalla
loro demolizione viene neutralizzata e trasformata in urea attraverso processi enzimatici ;l'urea che è solubile viene eliminata attraverso ireni. Gli aminoacidi possono poi essere trasformati in glucosio attraverso il processo della neoglucogenesi. Ma gli aminoacidi sono anche utilizzati per produrre proteine utili all'organismo come per esempio l'albumina,le lipoproteine che trasportano i lipidi e il colesterolo,tutte le proteine della cascata della coagulazione del sangue a cominciare dal fibrinogeno,e la vitamina K. Ed infatti nelle gravi insufficienze epatiche si hanno difetti della coagulazione ed emorragie .Inoltre il fegato sintetizza ex novo partendo da composti più semplici alcuni aminoacidi ,i cosiddetti aminoacidi non essenziali. Le altre sostanze fondamentali che arrivano all'epatocita per essere elaborate sono i lipidi,e gli acidi grassi. Anche questi ultimi possono essere demoliti a scopo energetico ,o possono essere ritrasformati in lipidi. Inoltre il fegato sintetizza il colesterolo attraverso una cascata enzimatica di ben 20 enzimi diversi. Il colesterolo ,una volta formatosi viene veicolato dalle apoliproproteine e circola nel sangue. Il colesterolo ,è molto importante perchè entra a far parte di tutte le membrane cellulari. L'epatocita inoltre produce la bile che viene riversata nel polo apicale della cellula ,il cosiddetto polo biliare e riversata nel canalicolo biliare adiacente. La bile contiene essenzialmente i sali biliari che sono delle sostanze emulsionanti destinate a solubilizzare i grassi che arrivano all'intestino e sono quindi importantissimi per la loro digestione.Inoltre la bile contiene i pigmenti biliari , sostanzialmente la bilirubina che proviene dalla distruzione dei globuli rossi invecchiati e quindi dalla emoglobina ,dalla mioglobina muscolare e dai citocromi ,enzimi respiratori. Un'altra funzione importantissima dell'epatocita è la detossicazione cioè la neutralizzazione di sostanze tossiche endogene ed esogene come farmaci ,alcool ecc..Questa detossicazione avviene mediante vari sistemi enzimatici ,l'alcool per esempio viene neutralizzato attraverso l'alcooldeidrogenasi; parecchi farmaci vengono neutralizzati attraverso il citocromo P450 e vari altri processi come la coniugazione con ac.glicuronico .Tutte le sostanze tossiche vengono rese solubili ed eliminate poi attraverso il rene colle urine. Al fegato infine arrivano informazioni per la modulazione della sua attività attraverso gli ormoni che vi arrivano ,per esempio l'insulina di cui il principale organo bersaglio è il fegato:esiste nella membrana dell'epatocita il ricettore dell'insulina ;l'unione del ricettore coll'ormone innesca una cascata di reazioni enzimatiche che regola il metabolismo degli zuccheri. Al fegato arrivano anche tutti gli ormoni sessuali estrogeni,progesterone e testosterone che vengono trasformati e solubilizzati per poter effettuare la loro funzione specifica. Da tutta questa descrizione sintetica che ho fatto si può dedurre facilmente che il fegato e quindi l'epatocita è un vero e proprio laboratorio chimico che funziona a vantaggio dell'organismo.Si calcola che nel fegato in modo specifico si svolgono in ogni cellula ben 500 reazioni chimiche diverse,tutte catalizzate da enzimi specifici. La mancata funzionalità anche di uno solo di questi enzimi per un guasto mutazionale può portare a gravi malattie o alla morte. Giunto alla fine di questo scritto mi permetto di fare una riflessione:se siamo vivi è proprio per un miracolo:una grande Intelligenza ci ha voluto e progettato.
[Modificato da Credente 05/02/2014 14:53]
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L'EPATOCITA: UN "SOFISTICATO" LABORATORIO CHIMICO
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L'epatocita è la cellula fondamentale di quell'organo fondamentale per la vita che è il fegato .Si può paragonare ad un sofisticato laboratorio chimico oppure anche ad una fabbrica di prodotti chimici che vengono importati ,trasformati ed elaborati e poi dismessi modificati per servire alle varie esigenze dell'organismo. L'unità funzionale del fegato è il lobulo che è una struttura a forma poligonale in cui sono presenti cordoni di epatociti disposti in modo ordinato in modo che il polo basale della cellula poggia verso il circolo sanguigno portale proveniente dall'intestino e il polo apicale poggia su un canalicolo biliare, il trasportatore della bile. Al centro del lobulo è presente la venula centrale del lobulo in cui confluiscono tutti i prodotti finiti che saranno trasportati in tutto l'organismo.
Tutte le sostanze che nell'intestino vengono digerite e degradate ad elementi semplici vengono trasportati al fegato per essere elaborati. Una prima sostanza che arriva all'epatocita per essere elaborata è il glucosio che proviene dalla digestione dei farinacei. Nella membrana basale dell'epatocita sono presenti i ricettori per il glucosio .

I ricettori sono proteine a forma di canale che riconoscono il glucosio e lo fanno passare all'interno della cellula dove speciali enzimi chiamati glicogenasi uniscono molte molecole di glucosio formando cosi una molecola complessa chiamata glicogeno che si accumula nella cellula epatica come prodotto di riserva del glucosio. Il glucosio è una sostanza energetica e degradandosi forma energia per le diverse esigenze dell'organismo. Durante il digiuno per esempio o durante la fatica fisica il glucosio è necessario per le esigenze energetiche ed allora scatta nell'epatocita un meccanismo di degradazione del glicogeno a glucosio per opera di specifici enzimi. Quando disgraziatamente si hanno delle mutazioni di questi enzimi che li rendono non funzionali si hanno malattie genetiche chiamate glicogenosi in cui il glicogeno non può essere degradato e si accumula nel fegato. In questo caso però il glucosio non può essere utilizzato quando c'è bisogno ed allora questi soggetti hanno bisogno di mangiare sempre zucchero, anche di notte altrimenti vanno incontro a crisi ipoglicemiche con coma e morte. Oltre gli zuccheri arrivano al fegato gli aminoacidi derivati dalla digestione delle proteine nell'intestino .Nella membrana dell'epatocita esistono i ricettori dei vari aminoacidi che li riconoscono e li internalizzano nella cellula dove subiscono vari trattamenti;anzitutto possono venir demoliti con produzione di energia ;inoltre l'ammoniaca molto tossica che si forma dalla
loro demolizione viene neutralizzata e trasformata in urea attraverso processi enzimatici ;l'urea che è solubile viene eliminata attraverso ireni. Gli aminoacidi possono poi essere trasformati in glucosio attraverso il processo della neoglucogenesi. Ma gli aminoacidi sono anche utilizzati per produrre proteine utili all'organismo come per esempio l'albumina,le lipoproteine che trasportano i lipidi e il colesterolo,tutte le proteine della cascata della coagulazione del sangue a cominciare dal fibrinogeno,e la vitamina K. Ed infatti nelle gravi insufficienze epatiche si hanno difetti della coagulazione ed emorragie .Inoltre il fegato sintetizza ex novo partendo da composti più semplici alcuni aminoacidi ,i cosiddetti aminoacidi non essenziali. Le altre sostanze fondamentali che arrivano all'epatocita per essere elaborate sono i lipidi,e gli acidi grassi. Anche questi ultimi possono essere demoliti a scopo energetico ,o possono essere ritrasformati in lipidi. Inoltre il fegato sintetizza il colesterolo attraverso una cascata enzimatica di ben 20 enzimi diversi. Il colesterolo ,una volta formatosi viene veicolato dalle apoliproproteine e circola nel sangue. Il colesterolo ,è molto importante perchè entra a far parte di tutte le membrane cellulari. L'epatocita inoltre produce la bile che viene riversata nel polo apicale della cellula ,il cosiddetto polo biliare e riversata nel canalicolo biliare adiacente. La bile contiene essenzialmente i sali biliari che sono delle sostanze emulsionanti destinate a solubilizzare i grassi che arrivano all'intestino e sono quindi importantissimi per la loro digestione.Inoltre la bile contiene i pigmenti biliari , sostanzialmente la bilirubina che proviene dalla distruzione dei globuli rossi invecchiati e quindi dalla emoglobina ,dalla mioglobina muscolare e dai citocromi ,enzimi respiratori. Un'altra funzione importantissima dell'epatocita è la detossicazione cioè la neutralizzazione di sostanze tossiche endogene ed esogene come farmaci ,alcool ecc..Questa detossicazione avviene mediante vari sistemi enzimatici ,l'alcool per esempio viene neutralizzato attraverso l'alcooldeidrogenasi; parecchi farmaci vengono neutralizzati attraverso il citocromo P450 e vari altri processi come la coniugazione con ac.glicuronico .Tutte le sostanze tossiche vengono rese solubili ed eliminate poi attraverso il rene colle urine. Al fegato infine arrivano informazioni per la modulazione della sua attività attraverso gli ormoni che vi arrivano ,per esempio l'insulina di cui il principale organo bersaglio è il fegato:esiste nella membrana dell'epatocita il ricettore dell'insulina ;l'unione del ricettore coll'ormone innesca una cascata di reazioni enzimatiche che regola il metabolismo degli zuccheri. Al fegato arrivano anche tutti gli ormoni sessuali estrogeni,progesterone e testosterone che vengono trasformati e solubilizzati per poter effettuare la loro funzione specifica. Da tutta questa descrizione sintetica che ho fatto si può dedurre facilmente che il fegato e quindi l'epatocita è un vero e proprio laboratorio chimico che funziona a vantaggio dell'organismo.Si calcola che nel fegato in modo specifico si svolgono in ogni cellula ben 500 reazioni chimiche diverse,tutte catalizzate da enzimi specifici. La mancata funzionalità anche di uno solo di questi enzimi per un guasto mutazionale può portare a gravi malattie o alla morte. Giunto alla fine di questo scritto mi permetto di fare una riflessione:se siamo vivi è proprio per un miracolo:una grande Intelligenza ci ha voluto e progettato.
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Tutte le sostanze che nell'intestino vengono digerite e degradate ad elementi semplici vengono trasportati al fegato per essere elaborati. Una prima sostanza che arriva all'epatocita per essere elaborata è il glucosio che proviene dalla digestione dei farinacei. Nella membrana basale dell'epatocita sono presenti i ricettori per il glucosio .

I ricettori sono proteine a forma di canale che riconoscono il glucosio e lo fanno passare all'interno della cellula dove speciali enzimi chiamati glicogenasi uniscono molte molecole di glucosio formando cosi una molecola complessa chiamata glicogeno che si accumula nella cellula epatica come prodotto di riserva del glucosio. Il glucosio è una sostanza energetica e degradandosi forma energia per le diverse esigenze dell'organismo. Durante il digiuno per esempio o durante la fatica fisica il glucosio è necessario per le esigenze energetiche ed allora scatta nell'epatocita un meccanismo di degradazione del glicogeno a glucosio per opera di specifici enzimi. Quando disgraziatamente si hanno delle mutazioni di questi enzimi che li rendono non funzionali si hanno malattie genetiche chiamate glicogenosi in cui il glicogeno non può essere degradato e si accumula nel fegato. In questo caso però il glucosio non può essere utilizzato quando c'è bisogno ed allora questi soggetti hanno bisogno di mangiare sempre zucchero, anche di notte altrimenti vanno incontro a crisi ipoglicemiche con coma e morte. Oltre gli zuccheri arrivano al fegato gli aminoacidi derivati dalla digestione delle proteine nell'intestino .Nella membrana dell'epatocita esistono i ricettori dei vari aminoacidi che li riconoscono e li internalizzano nella cellula dove subiscono vari trattamenti;anzitutto possono venir demoliti con produzione di energia ;inoltre l'ammoniaca molto tossica che si forma dalla
loro demolizione viene neutralizzata e trasformata in urea attraverso processi enzimatici ;l'urea che è solubile viene eliminata attraverso ireni. Gli aminoacidi possono poi essere trasformati in glucosio attraverso il processo della neoglucogenesi. Ma gli aminoacidi sono anche utilizzati per produrre proteine utili all'organismo come per esempio l'albumina,le lipoproteine che trasportano i lipidi e il colesterolo,tutte le proteine della cascata della coagulazione del sangue a cominciare dal fibrinogeno,e la vitamina K. Ed infatti nelle gravi insufficienze epatiche si hanno difetti della coagulazione ed emorragie .Inoltre il fegato sintetizza ex novo partendo da composti più semplici alcuni aminoacidi ,i cosiddetti aminoacidi non essenziali. Le altre sostanze fondamentali che arrivano all'epatocita per essere elaborate sono i lipidi,e gli acidi grassi. Anche questi ultimi possono essere demoliti a scopo energetico ,o possono essere ritrasformati in lipidi. Inoltre il fegato sintetizza il colesterolo attraverso una cascata enzimatica di ben 20 enzimi diversi. Il colesterolo ,una volta formatosi viene veicolato dalle apoliproproteine e circola nel sangue. Il colesterolo ,è molto importante perchè entra a far parte di tutte le membrane cellulari. L'epatocita inoltre produce la bile che viene riversata nel polo apicale della cellula ,il cosiddetto polo biliare e riversata nel canalicolo biliare adiacente. La bile contiene essenzialmente i sali biliari che sono delle sostanze emulsionanti destinate a solubilizzare i grassi che arrivano all'intestino e sono quindi importantissimi per la loro digestione.Inoltre la bile contiene i pigmenti biliari , sostanzialmente la bilirubina che proviene dalla distruzione dei globuli rossi invecchiati e quindi dalla emoglobina ,dalla mioglobina muscolare e dai citocromi ,enzimi respiratori. Un'altra funzione importantissima dell'epatocita è la detossicazione cioè la neutralizzazione di sostanze tossiche endogene ed esogene come farmaci ,alcool ecc..Questa detossicazione avviene mediante vari sistemi enzimatici ,l'alcool per esempio viene neutralizzato attraverso l'alcooldeidrogenasi; parecchi farmaci vengono neutralizzati attraverso il citocromo P450 e vari altri processi come la coniugazione con ac.glicuronico .Tutte le sostanze tossiche vengono rese solubili ed eliminate poi attraverso il rene colle urine. Al fegato infine arrivano informazioni per la modulazione della sua attività attraverso gli ormoni che vi arrivano ,per esempio l'insulina di cui il principale organo bersaglio è il fegato:esiste nella membrana dell'epatocita il ricettore dell'insulina ;l'unione del ricettore coll'ormone innesca una cascata di reazioni enzimatiche che regola il metabolismo degli zuccheri. Al fegato arrivano anche tutti gli ormoni sessuali estrogeni,progesterone e testosterone che vengono trasformati e solubilizzati per poter effettuare la loro funzione specifica. Da tutta questa descrizione sintetica che ho fatto si può dedurre facilmente che il fegato e quindi l'epatocita è un vero e proprio laboratorio chimico che funziona a vantaggio dell'organismo.Si calcola che nel fegato in modo specifico si svolgono in ogni cellula ben 500 reazioni chimiche diverse,tutte catalizzate da enzimi specifici. La mancata funzionalità anche di uno solo di questi enzimi per un guasto mutazionale può portare a gravi malattie o alla morte. Giunto alla fine di questo scritto mi permetto di fare una riflessione:se siamo vivi è proprio per un miracolo:una grande Intelligenza ci ha voluto e progettato.
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Tutte le sostanze che nell'intestino vengono digerite e degradate ad elementi semplici vengono trasportati al fegato per essere elaborati. Una prima sostanza che arriva all'epatocita per essere elaborata è il glucosio che proviene dalla digestione dei farinacei. Nella membrana basale dell'epatocita sono presenti i ricettori per il glucosio .

I ricettori sono proteine a forma di canale che riconoscono il glucosio e lo fanno passare all'interno della cellula dove speciali enzimi chiamati glicogenasi uniscono molte molecole di glucosio formando cosi una molecola complessa chiamata glicogeno che si accumula nella cellula epatica come prodotto di riserva del glucosio. Il glucosio è una sostanza energetica e degradandosi forma energia per le diverse esigenze dell'organismo. Durante il digiuno per esempio o durante la fatica fisica il glucosio è necessario per le esigenze energetiche ed allora scatta nell'epatocita un meccanismo di degradazione del glicogeno a glucosio per opera di specifici enzimi. Quando disgraziatamente si hanno delle mutazioni di questi enzimi che li rendono non funzionali si hanno malattie genetiche chiamate glicogenosi in cui il glicogeno non può essere degradato e si accumula nel fegato. In questo caso però il glucosio non può essere utilizzato quando c'è bisogno ed allora questi soggetti hanno bisogno di mangiare sempre zucchero, anche di notte altrimenti vanno incontro a crisi ipoglicemiche con coma e morte. Oltre gli zuccheri arrivano al fegato gli aminoacidi derivati dalla digestione delle proteine nell'intestino .Nella membrana dell'epatocita esistono i ricettori dei vari aminoacidi che li riconoscono e li internalizzano nella cellula dove subiscono vari trattamenti;anzitutto possono venir demoliti con produzione di energia ;inoltre l'ammoniaca molto tossica che si forma dalla
loro demolizione viene neutralizzata e trasformata in urea attraverso processi enzimatici ;l'urea che è solubile viene eliminata attraverso ireni. Gli aminoacidi possono poi essere trasformati in glucosio attraverso il processo della neoglucogenesi. Ma gli aminoacidi sono anche utilizzati per produrre proteine utili all'organismo come per esempio l'albumina,le lipoproteine che trasportano i lipidi e il colesterolo,tutte le proteine della cascata della coagulazione del sangue a cominciare dal fibrinogeno,e la vitamina K. Ed infatti nelle gravi insufficienze epatiche si hanno difetti della coagulazione ed emorragie .Inoltre il fegato sintetizza ex novo partendo da composti più semplici alcuni aminoacidi ,i cosiddetti aminoacidi non essenziali. Le altre sostanze fondamentali che arrivano all'epatocita per essere elaborate sono i lipidi,e gli acidi grassi. Anche questi ultimi possono essere demoliti a scopo energetico ,o possono essere ritrasformati in lipidi. Inoltre il fegato sintetizza il colesterolo attraverso una cascata enzimatica di ben 20 enzimi diversi. Il colesterolo ,una volta formatosi viene veicolato dalle apoliproproteine e circola nel sangue. Il colesterolo ,è molto importante perchè entra a far parte di tutte le membrane cellulari. L'epatocita inoltre produce la bile che viene riversata nel polo apicale della cellula ,il cosiddetto polo biliare e riversata nel canalicolo biliare adiacente. La bile contiene essenzialmente i sali biliari che sono delle sostanze emulsionanti destinate a solubilizzare i grassi che arrivano all'intestino e sono quindi importantissimi per la loro digestione.Inoltre la bile contiene i pigmenti biliari , sostanzialmente la bilirubina che proviene dalla distruzione dei globuli rossi invecchiati e quindi dalla emoglobina ,dalla mioglobina muscolare e dai citocromi ,enzimi respiratori. Un'altra funzione importantissima dell'epatocita è la detossicazione cioè la neutralizzazione di sostanze tossiche endogene ed esogene come farmaci ,alcool ecc..Questa detossicazione avviene mediante vari sistemi enzimatici ,l'alcool per esempio viene neutralizzato attraverso l'alcooldeidrogenasi; parecchi farmaci vengono neutralizzati attraverso il citocromo P450 e vari altri processi come la coniugazione con ac.glicuronico .Tutte le sostanze tossiche vengono rese solubili ed eliminate poi attraverso il rene colle urine. Al fegato infine arrivano informazioni per la modulazione della sua attività attraverso gli ormoni che vi arrivano ,per esempio l'insulina di cui il principale organo bersaglio è il fegato:esiste nella membrana dell'epatocita il ricettore dell'insulina ;l'unione del ricettore coll'ormone innesca una cascata di reazioni enzimatiche che regola il metabolismo degli zuccheri. Al fegato arrivano anche tutti gli ormoni sessuali estrogeni,progesterone e testosterone che vengono trasformati e solubilizzati per poter effettuare la loro funzione specifica. Da tutta questa descrizione sintetica che ho fatto si può dedurre facilmente che il fegato e quindi l'epatocita è un vero e proprio laboratorio chimico che funziona a vantaggio dell'organismo.Si calcola che nel fegato in modo specifico si svolgono in ogni cellula ben 500 reazioni chimiche diverse,tutte catalizzate da enzimi specifici. La mancata funzionalità anche di uno solo di questi enzimi per un guasto mutazionale può portare a gravi malattie o alla morte. Giunto alla fine di questo scritto mi permetto di fare una riflessione:se siamo vivi è proprio per un miracolo:una grande Intelligenza ci ha voluto e progettato.
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28/12/2013 01:21
 
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L'UDITO, STRUTTURA ALTAMENTE INTEGRATA


L'udito, nei mammiferi è una di quelle strutture che immediatamente gridano la progettualità. Descrivo brevemente il meccanismo. A partire dalla sorgente sonora il suono che consiste in vibrazioni meccaniche simili ad onde si propaga attraverso l'aria e giunge al padiglione auricolare dove viene amplificato 20 volte e attraverso il condotto uditivo arriva presso una membrana chiamata membrana timpanica che entra anch'essa in vibrazione che si trasmette nella cassa del timpano alla catena degli ossicini martello, incudine e staffa che si muovono indotti dalla vibrazione della membrana del timpano.

La staffa, l'ultimo degli ossicini poggia sulla finestra ovale che è un'altra membrana che trasmette il movimento della staffa alla perilinfa ,un liquido presente nel comparto interno dell'orecchio chiamato organo del corti che entra anch'esso in vibrazione formando delle onde contro le cellule recettive del Corti ,Esse sono circa 20.000 e ciascuna di esse possiede alla loro estremità circa una ventina di ciglia che colpite dall'onda della perilinfa entrano in movimento e in stiramento attivando degli speciali canali del calcio e depolarizzando cosi la membrana cellulare.

La membrana cellulare depolarizzata attiva altri canali specifici del calcio che entrando nella cellula dal liquido endolinfatico fa uscire da speciali vescicole il neurotrasmettitore che è il glutammato che effonde nella giunzione intersinaptica ,viene captato dai recettori della membrana postsinaptica che da luogo a un potenziale d'azione che si trasmette ad uno specifico ganglio nervoso e poi al nervo acustico che trasmette l'impulso elettrochimico ai centri cerebrali dell'udito situati nell'area temporale 41.Quindi in altri termini si ha la trasduzione dell'onda meccanica del suono in impulsi elettrochimici che vengono poi nella corteccia cerebrale decodificati e trasformati nella percezione del suono. Questo meccanismo descritto schematicamente è irriducibilmente complesso.

Infatti se manca la membrana del timpano il suono non si può trasmettere agli ossicini, se mancano gli ossicini la staffa non può battere contro la finestra ovale. Se non ci fosse la finestra ovale il movimento della staffa non si può trasmettere al liquido perilinfatico. Senza quest'ultimo poi le ciglia delle cellule recettoriali non potrebbero muoversi e stimolare i canali del calcio dando luogo alla cascata di eventi biochimici che inducono il cervello alla percezione del suono.

Queste strutture devono essersi formate tutte in una volta e non per piccoli passi casuali .C'è un altro dato importante :le cellule ciliate sono allineate in modo ordinato secondo l'ordine di frequenza dei suoni ,all'inizio ci sono le cellule recettoriali peri toni bassi e poi via via in ordine crescente per i toni più acuti: anche questo tipo di struttura non è certo casuale. Infine un'ultima considerazione :tutte le informazioni sensoriali dei vari organi dei sensi viaggiano attraverso i nervi e arrivano ai centri cerebrali corrispondenti sotto forma di impulsi elettrochimici uguali per tutti tipi di organi di senso.

E' il cervello che decodifica le informazioni elettrochimiche in percezioni sonore ,visive ,olfattive ecc. Come il cervello riesca a fare questo è un enigma ;a mio modesto parere c'è qualcosa nel cervello che trascende la materia e crea percezioni diverse da identici impulsi elettrochimici. I misteri della mente esistono ancora.

Nobile Migliore Nunzio
[Modificato da Credente 05/02/2014 14:52]
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28/12/2013 01:26
 
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LA COMPLESSITA' BIOCHIMICA DELL'OLFATTO
di N. Nobile Migliore



L'olfatto è l'organo per cui noi percepiamo gli odori, sembra semplice la percezione degli odori ma se si scava a fondo nell'esaminare i meccanismi biochimici deputati alla percezione si vede subito la sua complessità irriducibile. L'organo dell'olfatto è situato nel pavimento superiore della cavità nasale ed è composto da 10 milioni di cellule olfattive che sono cellule nervose modificate di tipo bipolare.

Il polo rivolto verso la cavità nasale è rivestito da una miriade di estroflessioni chiamate microvilli ,nella loro superficie esistono delle microcavità rivestite da proteine di membrana, molto diverse le une dalle altre perchè sono i recettori delle svariate sostanze odorose che arrivano a loro contatto sciolte nel muco prodotto da speciali cellule ghiandolari che sono presenti accanto alle cellule bipolari.

Si calcola che il 4% dei geni presenti nel DNA umano codificano per i vari recettori dell'olfatto. Una volta che la sostanza odorosa si è unita al suo ricettore specifico scatta una modificazione conformazionale della proteina che a sua volta attiva una speciale proteina G olf espressa solo dai neuroni olfattivi; questa proteina è formata da 3 subunità, alfa, beta e gamma; le subunità beta e gamma si staccano e la subunià alfa unendosi al GTP attiva l'enzima adenilato ciclasi che a sua volta trasforma il 5-AMP in amp ciclico; l'amp ciclico a sua volta ha il potere di aprire speciali canali del calcio e del sodio presenti nella membrana della cellula facendo entrare una notevole quantità di calcio e sodio all'interna della cellula cambiando il potenziale elettrico della cellula che da negativo diventa positivo creando cosi un potenziale d'azione che si trasmette all'altro polo della cellula da cui parte il filamento neuritico che trasmette il potenziale d'azione trasferendolo alle cellule olfattive dei neuroni cerebrali. Dopo questi fenomeni a cascata interviene un altro enzima che si chiama fosfodiesterasi che ritrasforma l'amp ciclico in 5'amp ripristinando cosi le condizioni iniziali di riposo. Infatti in tutti i meccanismi vitali esistono sempre dei sistemi di controllo che impediscono che l'effetto biochimico, si prolunghi in modo indefinito.

Come si può vedere da questa breve e sintetica descrizione siamo di fronte ad una struttura altamente integrata a complessità irriducibile, se manca un solo componente la struttura non può funzionare. Non parliamo poi del meccanismo della trasduzione dell'impulso olfattivo nel potenziale elettrochimico e dell'interpretazione che i centri cerebrali fanno di questo impulso nella percezione dell'odore. Tutto questo induce a ritenere che il sistema nel suo complesso è stato progettato
[Modificato da Credente 05/02/2014 14:55]
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28/12/2013 01:30
 
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IL CONTROLLO DELLA MOLTIPLICAZIONE CELLULARE
di N. Nobile Migliore -

La moltiplicazione cellulare è una funzione estremamente importante della vita perchè è alla base della formazione di nuove cellule che sostituiscono quelle deteriorate e di nuovi organismi che perpetuano la specie e anche lo sviluppo ontogenetico di un nuovo organismo.

La replicazione cellulare deve essere però controllata, deve cioè avvenire al momento giusto e nella misura giusta ,cioè non deve essere una moltiplicazione illimitata perchè altrimenti si forma il tumore che è caratterizzato da uno sviluppo illimitato ,senza controllo. In questo scritto descrivo brevemente l'azione di una proteina chiamata Rb codificata dal gene Rb1.Questa proteina quando è attivata blocca la cellula nella fase del suo ciclo moltiplicativo chiamato G1 e la cellula rimane in questa fase in una situazione di stallo. Quale è il meccanismo di azione di questa proteina?
Essa si lega ad un fattore proteico ,un dimero chiamatoE2F-DP ,questo è un fattore di trascrizione che si lega a delle specifiche sequenze del DNA e lo induce a trascrivere specifiche proteine che aiutano e inducono la duplicazione del DNA attraverso anche l'attivazione della DNA polimerasi inducendo alla fine la cellula alla duplicazione. La proteina Rb diventa attiva solo quando è defosforilata. Infatti quando la cellula è alla fine della mitosi interviene una fosfatasi specifica che defosforila la Rb e quindi la rende capace di legarsi al complesso E2F-DP inattivandolo e bloccando cosi la cellula nella fase G1.

Se invece per varie ragioni viene il momento in cui la cellula deve moltiplicarsi intervengono enzimi del tipo delle chinasi che fosforilano nuovamente la Rb inattivandola e facendola staccare dal complesso E2F-DP che può di nuovo attivare la moltiplicazione cellulare. Abbiamo quindi per l'Rb una fase oN=attivazione e una fase OFF =inattivazione. Ora la cosa importante è questa: esistono mutazioni del gene
RB1 che non fanno più funzionare la proteina .

Quando queste mutazioni avvengono in tutti e due i geni omologhi e cioè l'organismo o una singola cellula è omozigote per quella determinata mutazione avviene un tumore ,cioè una moltiplicazione illimitata della cellula ,senza freno. Mutazioni dell'Rb inducono per esempio l'insorgenza del retinoblastoma ,un raro tumore della retina infantile .Nella proteina Rb1 sono state descritte ben 1000 mutazioni diverse che fanno perdere la funzionalità della proteina. La scoperta di cosi tante mutazioni deleterie in una sola proteina indica due fatti: la precisione che deve avere la sequenza aminoacidica della proteina e la scarsa tolleranza della proteina alle mutazioni casuali.

Ne deduco quindi senza ombra di dubbio che questa proteina è stata progettata e non può essere sorta a poco a poco attraverso mutazioni casuali: essa è importantissima per gli organismi pluricellulari ,senza di essa si perderebbe il controllo della moltiplicazione cellulare. La proteina è una struttura altamente integrata e irriducibilmente complessa. Anche davanti ad eventi negativi e tragici come i tumori si vede che alla base della vita esiste una Intelligenza In seguito descriverò altri meccanismi che regolano il ciclo della replicazione cellulare.
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28/12/2013 01:39
 
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INTEGRINE:PROTEINE CHE STABILIZZANO STRUTTURE



di N. Nobile Migliore -

Perchè le cellule sono fisse stabili nella loro posizione? Questo lo si deve soprattutto a delle proteine tutte speciali chiamate integrine. Esse sono composte da due catene polipeptidiche una catena alfa e una catenabeta. Tutte e due le catene hanno una parte intracellulare, una parte transmembrana e un'ultima parte extracellulare che pesca nella matrice extracellulare.

La parte intracellulare ,tramite anche il legame con altre proteine, come la vinculina e la nexina si attacca ai microtubuli intracellulari che sono come i binari della cellula.
La parte extracellulare si attacca nella parte terminale delle due catene ad altre proteine della matrice extracellulare o ad altre proteine di altre cellule creando le condizioni per le adesioni delle cellule tra loro ed anche per l'adesione delle cellule alla matrice extracellulare rendendo le cellule in alcune circostanze fisse ed in altre circostanze invece mobili con spostamenti che possono essere anche di 5 cm. al giorno; soprattutto questo avviene durante lo sviluppo embrionale quando le cellule devono modificare la loro posizione per formare gli organi e i tessuti. Vi sono almeno 24 tipi diversi di integrine ,a seconda delle sequenze diverse degli aminoacidi soprattutto nella loro catena beta. ' una proteina quindi dalle molte funzioni: per esempio l'integrina presente nelle piastrine, quando un vaso sanguigno si rompe si attacca alfibrinogeno innescando cosi la reazione enzimatica a cascata che porta alla coagulazione del sangue. Una mutazione di questa proteina presente nelle piastrine porta alla malattia di Glasman che si caratterizza per emorragie frequenti e ripetute. Una integrina di un altro tipo è presente nei linfociti citotossici:quando una cellula è invasa da un virus viene attaccata e distrutta dalle integrine presenti sulla superficie dei linfociti. Le mutazioni di questa integrina danno luogo ad una malattia che porta a molte e gravi infezioni ripetute. Come si può vedere da queste brevi note queste proteine sono strutture altamente integrate con vari parti o domini che hanno varie funzioni altamente complesse ed integrate. Tutto questo sa molto di progetto!
[Modificato da Credente 05/02/2014 15:00]
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28/12/2013 01:41
 
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LA KINESINA:PROTEINA ALTAMENTE PROGETTATA
di N. Nobile Migliore -



Nei miei articoli che periodicamente scrivo sul sito si A.I.S.O cerco di descrivere sempre i fatti ,i fatti che la ricerca molecolare degli ultimi cinquant'anni ha scoperto e che rendono la struttura della vita e anche quella di una sola cellula di una complessità straordinaria ,inimmaginabile che supera di gran lunga la complessità delle macchine ,anche le più sofisticate costruite dall'uomo. Una di queste straordinarie macchine molecolari è la kinesina ,una delle varie proteine motrici che sono responsabili del movimento degli esseri viventi. Essa è responsabile del trasporto di vari materiali dal centro della cellula alla sua periferia, attaccandosi e camminando su veri e propri binari ,i microtubuli formati da un' altra proteina ,la tubulina con forma di disco che si incastra perfettamente col disco successivo formando quindi un vero e proprio binario che si chiama microtubulo. Descrivo brevemente la forma della kinesina :è formata ad una estremità da due domini globulari ,a forma cioè di globulo, seguiti da due domini flessibili e due domini allungati ad alfa elica avvolti aspirale, segue ancora all'altra sua estremità un dominio anch'esso globulare variabile nella composizione degli aminoacidi da kinesina a kinesina a seconda del materiale che deve trasportare.

I due domini globulari posseggono un sito enzimatico atpiasico e un sito di attacco alla tubulina dei microtubuli.Il dominio globulare situato all'altra estremità ha un sito d'attacco al cargo da trasportare che può essere una vescicola contenente proteine di secrezione o neurotrasmettitori, oppure
interi mitocondri che devono essere trasportati in vari luoghi della cellula per i suoi bisogni energetici.

Come funziona la chinesina ? uno dei due domini globulari attaccato al microtubulo libera energia dall'ATP scindendolo in adp e ac.fosforico.e l'energia viene utilizzata per staccare la testa globulare e farle fare un passo avanti tramite una modificazione di conformazione del dominio flessibile, a sua volta poco dopo succede la stessa cosa all'altro dominio globulare che si stacca anch'esso dalla tubulina e fa
anch'esso un passo avanti e cosi via i domini globulari si alternano nei passi avanti analogamente a quello che fanno le nostre due gambe che si alternano nei movimenti nel cammino. Il cammino è sempre in direzione centrifuga dal centro alla periferia .

L'altra estremità globulare della chinesina è attaccata al cargo da trasportare. Il cammino che può fare può essere molto lungo come accade negli assoni dei nervi per il trasporto delle vescicole contenenti i neurotrasmettitori che devono arrivare alle giuzioni sinaptiche dei nervi. In rapporto alla sua piccolezza il suo cammino è straordinariamente lungo.

Questa proteina è quindi evidentemente progettata per il trasporto lungo i binari della cellula ,i microtubuli. E' una proteina essenziale alla vita negli eucarioti ,senza di essa non potrebbe avere inizio nemmeno la vita embrionale. Non è possibile immaginare che questa proteina funzioni senza una sola delle sue parti: se mancano i due domini globulari è come se non avesse i piedi, se non avesse le parti flessibili non ci potrebbe essere il moto se non avesse il gambo ad alfa elica e il dominio che si attacca al cargo non potrebbe trasportare niente.

E' un sistema altamente integrato irriducibilmente complesso, deve essere stato creato tutto in una volta ed anche da una Intelligenza che sapeva lo scopo che doveva avere la proteina. Quante meraviglie contiene la vita ,io che la studio da più di cinquant'anni non smetto ancora di meravigliarmi.
[Modificato da Credente 05/02/2014 15:01]
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28/12/2013 01:47
 
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L'IPOTALAMO: ORGANO PERFETTO
Di N. Nobile Migliore -


Nei vertebrati e in particolare nei mammiferi esistono delle strutture integrate interattive ormonali di straordinaria complessità che regolano e determinano svariate funzioni dell'organismo. Questa straordinaria complessità avviene soprattutto a livello molecolare ed è a questo livello che si sono fatte le scoperte più eclatanti negli ultimi cinquant'anni.

In questo scritto faccio un esempio fra i tanti che posso fare per rendere una pallida idea di come sono complesse le cose e lo faccio descrivendo l'interazione tra la ghiandola ipofisaria e la tiroide che secerne gli ormoni tiroidei. Il tutto inizia nell'ipotalamo ,una struttura nervosa posta immediatamente sotto l'ipofisi all'interno della scatola cranica.

L'ipotalamo secerne un polipepdide chiamato GNR il quale va nel circolo ematico adiacente all'ipofisi ,si mette in contatto con un recettore specifico per il GNR situato nella membrana delle cellule ipofisarie, ricettore che è una proteina specifica la quale unendosi al GNR fa iniziare una serie di eventi molecolari che inducono la ipofisi a produrre e secernere un ormone chiamato TSH che è una proteina specifica che entra in circolo e una volta arrivata alle cellule della ghiandola tiroide si unisce ad una proteina di membrana delle cellule tirodee che è un recettore specifico peril TSH,; una volta che il TSH si è unita al suo recettore la proteina cambia conformazione ed avvia una serie di eventi molecolari enzimatici che avviano la produzione degli ormoni tiroidei diodio tironina e triiodio tironina ,detti anche T3 e T4 ,aminoacidi legati alloiodio che è legato a sua volta ad una proteina chiamata tireoglobulina.

La tiroide cosi stimolata secerne gli ormoni tiroidei che vanno in circolo verso gli organi bersaglio che sono molteplici perchè l'azione degli ormoni tiroidei è molteplice e in particolare hanno la funzione di stimolare il metabolismo di tutto l'organismo ed anche lo sviluppo corretto del sistema nervoso; senza questi ormoni il sistema nervoso si sviluppa poco nel feto e nel bambino e si ha il cosi detto crretinismo ipotiroideo. Gli ormoni tiroidei per esercitare le loro funzioni nelle cellule bersaglio di uniscono a dei recettori specifici proteici di membrana che a loro volta scatenano delle reazioni enzimatiche che attivano proteine specifiche che si uniscono a sequenze specifiche del DNA altamente conservate in tutte le specie le quali attivano tutti i geni che codificano per le funzioni specifiche di esaltazione del metabolismo e sviluppo del sistema nervoso. Questi stessi ormoni però hanno una azione di feedback negativo sull'ipofisi nel senso che unendosi ad un recettore specifico dell'ipofisi inibiscono la produzione e la secrezione di ulteriore TSH regolandone cosi la sua produzione ed evitando che se ne produca troppo e in continuazione evitando cosi una stimolazione eccessiva della tiroide la cui eccessiva funzione produce danni gravi dell'organismo.

La carenza invece
degli ormoni tiroidei invece provoca un feedback positivo nel senso che stimola l'ipofisi a produrre ulteriore ormone tiroideo. Non basta quindi la produzione degli ormoni per la salute ma anche la sua fine regolazione ,la loro produzione deve essere fatta nel momento giusto e al posto giusto.

Le medesime interazioni sono presenti negli ormoni che regolano la sessualità e il ciclo ovarico femminile e anche quello maschile con i due ormoni ipofisari FSH edLH che regolano la produzione degli estrogeni ,del progesterone e del testosterone anzi queste strutture sono ancora più complesse.

In altri termini le strutture molecolari che sono alla base di questi fenomeni interattivi ormonali sono molto più complessi di quelli macroscopicamente visibili. Per questi motivi non è più possibile oggi affermare che tutto ciò è avvenuto attraverso piccoli passi cumulativi selezionati dalla selezione naturale.

Tutte queste strutture integrate devono essere sorte contemporaneamente nello stesso momento perchè per esempio se è nato un ormone deve essere sorto contemporaneamente il suo recettore perchè altrimenti esso non avrebbe potuto agire sulla cellula per dare origine ai fenomeni complessi di trasduzione del segnale.

L'improbabilità però che tutto questo sia sorto contemporaneamente per caso è abissale come dice molto bene anche Behe nel suo libro sul disegno intelligente. Ancora una volta la descrizione di questi fenomeni mi fanno dire che dietro esiste una grande Intelligenza che ha creato tutto ciò. E' ora che la scienza se ne renda conto.
[Modificato da Credente 05/02/2014 14:58]
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28/12/2013 01:49
 
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DISTROFINA E CONTRAZIONE MUSCOLARE
di N. Nobile Migliore -

Esistono delle patologie genetiche gravi chiamate distrofie muscolari progressive ;iniziano in una età molto giovane ,provocano un progressivo indebolimento muscolare che giunge sino all'atrofia dei muscoli e alla fibrosi; sono colpiti quasi tutti i muscoli e la morte avviene in genere per una paralisi dei muscoli respiratori .La più comune è la distrofia muscolare di Duchenne dal nome dello studioso che per primo la osservò. Questa malattia è dovuta alla mancanza ,nel dna del gene che codifica una proteina chiamata distrofina. E' il gene più lungo che esiste in natura e codifica una grossa proteina di 3648 aminoacidi chiamata appunto distrofina.

Questa proteina ha innanzitutto la funzione ,insieme ad altre proteine ,di stabilizzare la membrana muscolare ed evitare che lo stress della contrazione muscolare ,meccanicamente violento provochi un deterioramento rapido della membrana muscolare con sua successiva rottura e morte della cellula muscolare stessa. Recentemente è stato scoperto che la distrofina ha una funzione più sofisticata e ...intelligente: essa attiva alcuni geni che codificano dei micro RNA i quali a sua volta inibiscono l'attivazione dei geni dello stress ossidativo e della fibrosi. In assenza della distrofina vengono attivati questi ultimi geni e viene provocata la fibrosi muscolare che sostituisce quindi il muscolo deteriorato. Anche le mutazioni del gene della distrofina danno luogo a distrofine difettose che determinano altri tipi e varietà di distrofie muscolari.

La distrofina sembra apparentemente una proteina che non fa parte direttamente della contrazione muscolare ma non è cosi' perchè senza di essa i muscoli si deteriorano irrimediabilmente. La contrazione muscolare è un fenomeno straordinarimente sofisticato, in essa entrano tantissime proteine ,una di queste è per esempio la titina ,una grossissima proteina formata da ben 30.000 aminoacidi.

Essa ha una funzione elastica :mettendosi in senso longitudinale per tutta la lunghezza della fibra muscolare permette a quest'ultima di ritornare facilmente nella posizione di partenza dopo l'accorciamento dovuto alla contrazione muscolare .
Descrivo in breve la contrazione muscolare :l'acetilcolina, un neurotrasmettitore ,fuoriesce dalle vescicole situate nel terminale sinaptico della fibra nervosa motrice ;due molecole di acetilcolina si uniscono al recettore colinergico posto sulla superficie della membrana della fibra muscolare che si chiama sarcolemma.

Dopo la fusione acetilcolina -recettore scatta un meccanismo di apertura di un canale ionico sodio-potassio ,il sodio entra nella cellula e il potassio ne esce e si forma quindi una differenza di potenziale elettrico che innesta una corrente elettrica che viaggia nella fibra muscolare ed induce l'apertura di un altro tipo di canali ,i canali ionici del calcio ; il calcio fuoriesce dalle cisterne endoplasmatiche dove era rinchiuso e fuoriesce libero nel citoplasma. Il calcio libero nel citoplasma si combina con una proteina chiamata troponina che cambia conformazione e si stacca da un'altra proteina chiamata tropomiosina che è avvolta a spirale attorno alla fibra di actina e che si sposta scoprendo i siti in cui è collegato l'atp e la testa della miosina.

La tropomiosina ,nel muscolo a riposo copre i siti che sono collegati all'atp e alla testa della miosina ,la proteina essenziale della contrazione muscolare. Una volta scoperti i siti la testa della miosina che è una ATPasi scinde l'atp in adp+ac.fosforico liberando energia che viene usata dalla testa della miosina che è flessibile, che fa un movimento di 90 gradi che sposta la fibra di actina con un movimento energico chiamato colpo di frusta ,creando cosl' un accorciamento della fibra muscolare giacchè i filamenti sottili di actina e i filamenti spessi di miosina sono posti e allineati in modo opposto.

Interviene infine una calcio atpasi che stacca il calcio dalla troponina e il calcio rientra attraverso i canali del calcio specializzati nelle cisterne endoplasmatiche e la fibra muscolare ritorna a rilasciarsi. Questa breve sintesi della contrazione muscolare dimostra una cosa inequivocabile ,la irriducibile complessità della contrazione muscolare .
Se manca una sola delle innumerevoli componenti proteiche la contrazione muscolare non può avvenire e quindi tutto il meccanismo deve essersi formato tutto insieme ed improvvisamente .Tutte queste strutture funzionali integrate dicono a noi una sola cosa :progetto !!L'argomento del progetto non è un argomento ad ignoranza ;infatti più sappiamo dei meccanismi della vita e più ci rendiamo conto che dietro di essi c'è una intelligenza progettuale .

Non c'è più il Dio tappabuchi che copre la nostra ignoranza ,ma al contrario è la nostra conoscenza dei meccanismi della vita che scopre sempre di più Dio.
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