| | | OFFLINE | | Post: 2.316 Post: 1.739 | Registrato il: 22/05/2007 | EgiTToPhiLo/a | Scriba | |
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11/06/2009 11:00 | |
Ho discusso approfonditamente lo sviluppo dei monumenti di Giza nel paragrafo “Possibile progetto di Uenephes” del mio saggio “HASSALEH – L’OCCHIO DI HORUS. Manetone aveva ragione!”, nel quale riporto a pagina 251
«Questa ricostruzione, per quanto possa sembrare fantasiosa, risulta, a pensarci bene, abbastanza logica e soddisfa molte delle problematiche su Giza, altrimenti difficilmente risolvibili.
La geometria dei monumenti viene giustificata dalla necessità di utilizzare lo sperone roccioso per scolpire la testa della Sfinge e dal desiderio di nascondere l’accesso al “Pozzo dell’acqua”, determinando così, in base alle posizioni dei Templi a Monte e a Valle, l’orientamento della strada cerimoniale.
Si ritiene, ancora, che Uenephes abbia realizzato, nel fossato circondante l’isola della Sfinge, un grande bacino (figura 51), per il quale avrebbe costruito una serie di canalizzazioni per portarvi costantemente l’acqua del Nilo e nel quale doveva già essere stata intercettata la canalizzazione naturale proveniente dal “Pozzo dell’Acqua”.
Egli avrebbe progettato i due templi, davanti alla Sfinge, con uno stretto e antiestetico corridoio di separazione, per mettere in opera una specie di valvola di troppo pieno per l’acqua della fossa che altrimenti, in caso di forti precipitazioni, avrebbe potuto inondare i due templi (figura 51).
Quest’ipotesi è suffragata dai condotti, trovati recentemente di fronte ai due templi, facenti parte molto probabilmente dell’antico sistema d’incanalamento delle acque del Nilo, e dal muro occidentale del tempio della Sfinge, scavato nella roccia e non costruito, per ovvie ragioni d’impermeabilizzazione della fossa. Se quest’ipotesi è giusta, è ipotizzabile anche che il fondo, le pareti del fossato e il corpo della grande Sfinge siano stati, infine, intonacati e impermeabilizzati.
Risulta allora evidente come la continua presenza di acqua nel grande bacino, nel quale venivano tra l’altro convogliate anche le acque piovane superficiali del settore orientale della piana, possa giustificare le profonde erosioni, almeno quelle di natura chimica a prevalente sviluppo orizzontale. »
Ho preso le citazioni dal libro di Temple, quando ho scritto il libro, ma non ho al momento il testo, per cui non sono in grado di riportare la data della pubblicazione, che dovrebbe essere degli anni 70. Per quanto riguarda Harrell, è citato da Temple. Bisognerebbe cercare qualcosa su Internet.
Io ritengo che i Dogon abbiano appreso le loro conoscenze dagli Egizi, che non poterono osservare Sirio B senza una strumentazione sofisticata.
Esistono, a mio parere, due possibilità:
- la conoscenza è molto più antica e risale a un periodo storico in cui Sirio B era visibile, ed era dunque osservabile anche la durata della sua rivoluzione intorno alla stella principale (oggi di circa 50 anni);
- Sirio A fu vista dagli Egizi molto vicina a una seconda stella della costellazione del Cane Maggiore, a causa del suo considerevole moto proprio.
Sono propenso a credere alla seconda possibilità, anche se questa ipotesi non può giustificare la ciclicità di 50 anni di cui parlano i Dogon.
Ritengo però che questa ciclicità non sia legata alla rivoluzione di Sirio B, ma ad altre conoscenze degli Egizi.
Per quanto riguarda la possibilità che la Sfinge abbia rappresentato un cane, sono decisamente contrario.
Temple è un autore dotato di molta fantasia. Ho costruito la sua “fortuna” trattando delle conoscenza astronomiche dei Dogon e facendo ipotesi fantascientifiche su una possibile colonizzazione della Terra da parte di abitanti di Sirio.
Ritenendo che i Dogon e quindi gli Egizi considerassero la costellazione di Sirio come il “Cane Maggiore”, ha ritenuto che la Sfinge – cane potesse indicare l’origine della civiltà extraterrestre che avrebbe colonizzato la Terra.
Nel mio libro ho ipotizzato che l’origine di una civiltà del Paleolitico Superiore sia stata la regione della penisola della Sonda (allora molto più estesa) e alcuni arcipelagi dell’oceano Pacifico.
Ritengo ancora che una serie di catastrofi alla fine del Paleolitico abbia colpito questo “Eden ad oriente” e portato alla distruzione e parziale allagamento delle terre.
Le popolazioni superstiti si sarebbero salvate sulle coste dell’Indocina, forse su delle tante isole della costa. Il sovrano che condusse alla salvezza i superstiti dell’antichissima civiltà sarebbe stato ricordato nel mito come il demiurgo che avrebbe creato l’umanità, apparendo su di un’isola primordiale e generando da solo i suoi figli.
Il mito di creazione di Atum va letto, a mio parere, in modo esoterico, in quanto ancora una volta gli Egizi ci parlano di generazione miracolosa e innaturale.
La realtà potrebbe essere invece che Atum diede vita a una nuova civiltà postdiluviana. Egli sarebbe stato ricordato per il salvataggio sull’isola e forse sarebbe stato chiamato per il suo coraggio il “re leone”.
Senza andare a considerare la costellazione del Leone e il fatto di essere la casa del Sole durante un supposto “primo tempo” intorno al 10500 a.C., ho ipotizzato che un ramo della nuova civiltà di Atum sia arrivato in Egitto spostandosi verso Ovest. Essi avrebbero navigato secondo una conoscenza stellare e avrebbero constatato che grosso modo la nuova terra si trovava alla stessa latitudine della madrepatria.
Quando i faraoni della I dinastia realizzarono a Giza un complesso monumentale dedicato agli antenati, non poterono non assimilare la piana dove si salvò la civiltà egizia dopo il diluvio del 5500 a.C. alla terra del salvataggio in Indocina dopo il “diluvio” del Paleolitico nella madrepatria. Abili osservatori delle stelle essi avrebbero ricordato che Giza si trovava alla stessa latitudine dell’isola di Atum, per cui rivolsero la Sfinge, l’immagine vivente di Atum, verso Est, verso la madrepatria.
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