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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2024 07:50
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13/12/2018 07:35
 
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«Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono»

Rev. D. Ignasi FABREGAT i Torrents
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci parla di Giovanni il Battista, il precursore del Messia, colui che è venuto a preparare il cammino del Signore. Accompagnerà anche noi da oggi fino al giorno sedici, giorno in cui finisce la prima parte dell’Avvento.

Giovanni è un uomo deciso, che sa quanto costino le cose, è consapevole che bisogna lottare per migliorare e per essere santo, per questo Gesù esclama: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12). I “violenti” sono quelli che esercitano violenza su se stessi: -mi sforzo per credermi che il Signore mi ama? Mi sacrifico per essere “piccolo”? Mi sforzo per essere cosciente e vivere come figlio del Padre?

Santa Teresa di Lisieux si riferisce a queste parole di Gesù dicendo qualcosa che ci può aiutare nella nostra conversazione personale ed intima con Gesù: «Sei tu o povertà! Il mio primo sacrificio, ti accompagnerò fino a morire. So che l’atleta, una volta nello stadio, abbandona tutto per correre. Assaporate voi mondani, la vostra angoscia, la vostra pena e i frutti amari della vostra vanità; io, felice, otterrò dalla povertà le palme del trionfo!». -Ed io perché mi lamento subito, quando scopro che mi manca qualcosa che considero necessaria? Magari potessi vedere tutti gli aspetti della mia vita come questa Dottoressa della Chiesa!

Enigmaticamente, Gesù anche oggi ci dice che: «Giovanni è Elia (...) Chi ha orecchi, ascolti!» (Mt 11,14-15). Cosa vuol dire? Vuole chiarirci che Giovanni era veramente il suo predecessore, colui che portò a termine la stessa missione di Elia, d’accordo con la tradizione che esisteva all’epoca, che il profeta Elia doveva ritornare prima del Messia.
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14/12/2018 08:44
 
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A chi paragonerò io questa generazione?»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, dovremmo turbarci davanti al sospiro del Signore: «a chi paragonerò io questa generazione?» (Mt 11,16). A Gesù lo stupisce il nostro cuore, troppe volte anticonformista ed ingrato. Non siamo mai contenti: ci lagniamo sempre. Abbiamo addiritttura il coraggio di accusarlo e di scaricare su di Lui la colpa di ciò che ci scomoda.

Ma «la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,19). Basta contemplare il mistero del Natale. E, in quanto a noi? Com’è la nostra fede? Cerchiamo forse di nascondere con queste lamentele l’assenza della nostra risposta? Certamente una buona domanda per questo tempo d’Avvento!

Dio viene all’incontro dell’uomo, ma l’uomo –particolarmente l’uomo contemporaneo- rifugge da Lui. Altri hanno paura di Lui, quali Erodi. Ad altri, risulta perfino molesta la Sua sola presenza: «Via! Via! Crocifiggilo!» (Gv 19,15). Gesù «è il Dio che viene» (Benedetto XVI) e noi, invece, sembriamo “l’uomo che se ne va”: «Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11).

Perché fuggiamo? Per la nostra mancanza di umiltà. San Giovanni Battista ci raccomandava di “rimpicciolirci”. E la chiesa ce lo ricorda ogni volta che arriva l’Avvento. Facciamoci, dunque, piccoli per poter capire ed accogliere il “Piccolo-Dio”. Lui ci si presenta nell’umiltà delle fasce: mai prima si era predicato un “Dio-con-le-fasce”! Che ridicola immagine presentiamo agli occhi di Dio quando gli uomini pretendiamo occultarci dietro scuse e false giustificazioni. Fin dagli albori dell’umanità, Adamo gettò la colpa su di Eva; Eva sul serpente e... con il passar dei secoli, continuiamo a fare lo stesso.

Arriva però Gesù-Dio: nel freddo e nella povertà estrema di Betlem non gridò e nulla ci rimproverò. Al contrario: comincia già a caricare sulle sue piccole spalle tutte le nostre colpe. Allora, dobbiamo avere paura di Lui? Davvero avranno valore le nostre scuse di fronte a questo “Piccolo-Dio”? «Il segno di Dio è il Bambino; impariamo a vivere con Lui ed anche a praticare con Lui l’umiltà» (Benedetto XVI).
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15/12/2018 08:39
 
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Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto»

Rev. D. Xavier SOBREVÍA i Vidal
(Castelldefels, Spagna)


Oggi, Gesù dialoga con i discepoli, scendendo dalla montagna dove hanno vissuto la Trasfigurazione. Il Signore non ha accolto la proposta di Pietro di restare e scende rispondendo alle domande dei discepoli. Questi, che hanno appena partecipato brevemente della gloria di Dio, restano sorpresi e non capiscono che il Messia sia già arrivato, senza che prima sia venuto il profeta Elia a preparare tutto.

Il fatto è che la preparazione è già stata realizzata. «Ma io vi dico: Elia è già venuto» (Mt 17,12): Giovanni Battista ha preparato il cammino. Ma gli uomini del mondo non riconoscono gli uomini di Dio, ne i profeti del mondo riconoscono i profeti di Dio, né i prepotenti della Terra riconoscono la divinità di Gesù Cristo.

E’ necessario uno nuovo sguardo ed un cuore nuovo per riconoscere i cammini di Dio e per rispondere con generosità ed allegria alla chiamata esigente dei suoi inviati. Non tutti sono disposti a capirlo ed, ancor meno, a viverlo. Peggio ancora, le nostre vite ed i nostri progetti possono contrapporsi alla volontà del Signore. Un’opposizione che può trasformarsi, addirittura, in lotta e rifiuto del nostro Padre del Cielo.

Abbiamo bisogno di scoprire l’intenso amore che guida i disegni di Dio verso di noi e, se siamo conseguenti con la fede e la morale che Gesù ci svela, non ci devono sorprendere le ostilità, le diffamazioni e le persecuzioni. Giacché, pur trovandoci sulla buona strada, non possiamo evitare le difficoltà della vita e Lui, nonostante la sofferenza, ci incoraggia a continuare.

Alla Madre di Gesù, Regina degli Apostoli, chiediamo che interceda perché a nessuno manchino amici, che, come i profeti, annunzino loro la Buona Nuova della salvazione che la nascita di Gesù Cristo ci porta. Abbiamo la missione, tu ed io, che questo Natale sia vissuto più cristianamente da parte di tutti quelli che incontreremo nel nostro cammino.
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16/12/2018 09:36
 
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Viene colui che è più forte di me»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)


Oggi, la parola di Dio ci presenta, in pieno Avvento, il Santo Precursore di Gesù, Giovanni Battista. Dio Padre ha ordinato la preparazione per la venuta, vale a dire, l’Avvento, di suo Figlio nella nostra carne, nato da Maria Vergine, in molti modi, come si dice all’inizio della Lettera agli Ebrei (1,1). I patriarchi, i profeti e i re hanno preparato la venuta di Gesù.

Vediamo le due genealogie, nei vangeli di Matteo e Luca. Egli è figlio di Abramo e di Davide. Mosè, Isaia e Geremia annunciarono il suo Avvento e descrissero le caratteristiche del suo mistero. Ma Giovanni Battista, come dice la liturgia (Prefazio della sua festa), lo segnalò con il dito, e gli spettò –misteriosamente!– Battezzare del Signore. Fu l’ultimo testimone prima della venuta di Gesù. E lo fù con la sua vita, la sua morte e la sua parola. Anche la sua nascita è stata annunciata, come quella di Gesù, e preparata, secondo il Vangelo di Luca (caps. 1 y 2). E la sua morte da martire, vittima della debolezza di un re e l’odio di una donna malvagia, prepara anche la morte di Gesù. Per questo, ricevette straordinari elogi da Gesù, come leggiamo nei Vangeli di Matteo e di Luca (cf. Mt 11,11; Lc 7,28): «Tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni». Lui, davanti a ciò che non può ignorare, è modello di umiltà: «al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali» (Lc 3,16), ci dice oggi. E, secondo Giovanni (3,30): «Egli deve crescere e io invece diminuire».

Ascoltiamo oggi la sua parola, che ci esorta a condividere ciò che abbiamo e a rispettare la giustizia e la dignità di tutti. Prepariamoci così a ricevere Colui che viene ora a salvarci e verrà nuovamente a “giudicare i vivi ed i morti”.
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17/12/2018 07:36
 
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Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo»

Rev. D. Vicenç GUINOT i Gómez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)


Oggi, nella Liturgia della messa leggiamo la genealogia di Gesù e ci fa pensare alla frase che si ripete negli ambienti rurali catalani «Traduzione letterale: Di Giuseppe, asini e Giovanni ce ne sono in tutte le case». Per questo, per distinguerli, si usano come riferimento i nomi delle case. Così si dice ad esempio: Giuseppe, quello della casa di Filomena; Giuseppe, quello della casa di Soledad... In questo modo una persona rimane facilmente identificata. Il problema è che uno resta segnato per la buona o mala fama dei suoi antenati. Questo è ciò che succede con il «Libro della Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo».

San Matteo ci sta dicendo che Gesù é un uomo vero. Detto in altro modo, che Gesù—come ogni uomo e come ogni donna che arriva a questo mondo— non parte dal nulla, ma porta con sé una lunga storia. Questo vuol dire che l’Incarnazione, va presa sul serio, che quando Dio si fa uomo, lo fa con tutte le conseguenze. Egli figlio di Dio, al venire a questo mondo, assume anche un passato famigliare.

Seguendo le tracce dei personaggi dell’elenco, possiamo apprezzare come Gesù— per quanto riguarda la sua genealogia famigliare— non presenta un “espediente immacolato’’. Come scrisse il Cardinale Mauyen Van Thuan, «In questo mondo se un popolo scrive una storia ufficiale, parlerà della sua grandezza... é un caso unico, ammirabile e splendido trovare un popolo in cui la storia ufficiale non nasconde i peccati dei suoi antenati». Appaiono peccati come il suicidio (Davide), la idolatria (Salomone), o la prostituzione (Rahab). E insieme a quello ci sono momenti di grazia e fedeltà a Dio, però soprattutto le figure di Giuseppe e Maria, «dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo».

Definitivamente, la genealogia di Gesù ci aiuta a contemplare il mistero che siamo prossimi a celebrare: che Dio si fece Uomo, vero Uomo, che «venne ad abitare in mezzo a noi» (Gn 1,14).
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18/12/2018 07:38
 
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Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia della parola ci invita a considerare il meraviglioso esempio di San Giuseppe. Lui fu straordinariamente sacrificato e delicato con la sua promessa Sposa Maria.

Non c’è dubbio che entrambi fossero persone eccellenti, innamorati fra di loro come nessun’altra coppia. Però, allo stesso tempo, c’è da riconoscere che l’Altissimo volle che il loro amore passasse per circostanze molto esigenti.

Il Papa san Giovanni Paolo II ha scritto che «Il cristianesimo è la sorpresa di Dio che si è messo al lato della sua creatura». Di fatto, è stato Lui a prendere “l’Iniziativa”: per venire a questo mondo, non ha aspettato che facessimo meriti. Malgrado tutto, Egli propone la sua iniziativa, non impone: quasi —diremmo— ci chiede permesso”. A Santa Maria le è stato proposto —Non le è stato imposto!— la vocazione di Madre di Dio: «Egli che aveva: Il potere di crearlo tutto partendo dal nulla, si è negato a rifare ciò che era stato profanato se non interveniva Maria» (San Anselmo).

Però Dio non soltanto ci chiede permesso, ma anche la nostra contribuzione ai suoi piani e una contribuzione eroica. E così fu nel caso di Maria e Giuseppe. In concreto, il Bambino Gesù aveva bisogno di avere dei genitori. Ancor di più: aveva bisogno dell’eroismo dei genitori che dovettero sforzarsi molto per difendere la vita del “piccolo Redentore”.

Ciò che è molto bello è che Maria svelò pochissimi dettagli della nascita: un fatto così emblematico è stato raccontato con solo due versi (cf. Lc 2,6-7). In cambio fu più esplicita al parlare della delicatezza che suo Sposo Giuseppe ebbe con Lei. Il fatto che «prima di cominciare a vivere insieme, si ritrovò incinta per opera dello Spirito Santo». Giuseppe suo Sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto (Mt 1,19). Così, prima che fosse stata promulgata la legge della carità, San Giuseppe l’aveva già messa in pratica. Maria (e il tratto giusto verso di Lei), fu la sua legge).
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19/12/2018 08:34
 
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L’angelo gli disse: Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni»

Rev. D. Ignasi FUSTER i Camp
(La Llagosta, Barcelona, Spagna)


Oggi, l'Arcangelo Gabriele annuncia al sacerdote Zaccaria la nascita “soprannaturale” di Giovanni Battista, che preparerà la missione del Messia. Dio, nella sua amorosa provvidenza, prepara la nascita di Gesù con la nascita di Giovanni Battista. Non importa che Elisabetta sia sterile. Dio vuol fare il miracolo per amore a noi, sue creature.

Però Zaccaria non manifesta nel momento opportuno la visione soprannaturale della fede: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni» (Lc 1,18). Ha un concetto delle cose eccessivamente umano. Gli manca la docilità fiduciosa per credere nei progetti di Dio, che sono sempre più grandi dei nostri: in questo caso, si parla nientemeno che dell’Incarnazione del Figlio di Dio per la salvezza del genere umano! L’angelo trova Zaccaria “distratto”, lento per le cose di Dio, come se stesse fuorigioco”.

Mancano solo pochi giorni a Natale e conviene che l’Angelo del Signore ci trovi preparati, come Maria. Dobbiamo cercare di mantenere la presenza di Dio durante la giornata, di intensificare il nostro amore a Cristo nei nostri momenti di preghiera, di ricevere con molta devozione la Santa Comunione: perché Gesù nasce e viene a noi! E che non ci manchi la visione spirituale nelle attività quotidiane della nostra vita. Dobbiamo porre uno sguardo soprannaturale nella nostra professione, nei nostri studi, nei nostri apostolati, anche nei contrattempi della giornata. Nulla sfugge alla provvidenza divina! Con la certezza e la gioia di sapere che collaboriamo con gli angeli e con il Signore nei progetti amorosi e salvifici di Dio.
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20/12/2018 08:18
 
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Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, contempliamo, ancora una volta, questa impressionante scena dell’Annunciazione. Dio, sempre fedele alle sue promesse, per mezzo dell’angelo Gabriele fa sapere a Maria che è lei la eletta per portare il Salvatore al mondo. Così è come abitualmente attua il Signore –l’avvenimento più grandioso per la storia dell’umanità -il Creatore e Signore di tutte le cose si fa uomo come noi-, succede nel modo più semplice: una giovane, in un piccolo paesino della Galilea, senza spettacolo.

Il modo è semplice; l’avvenimento è immenso. Come sono anche immense le virtù della Vergine Maria: piena di grazia, il Signore è con Lei, umile, semplice, disponibile alla volontà di Dio, generosa. Dio ha i suoi progetti per Lei, come li ha per te e per me, però lui attende la cooperazione libera ed amorosa di ognuno di noi per portarli a termine. Maria ci da l’esempio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38). Non non solo è un si al messaggio dell’angelo; è mettersi pienamente nelle mani del Padre-Dio, abbandonarsi fiduciosamente alla sua grandissima provvidenza, è un dire si e lasciare che il Signore agisca sempre, in tutte le circostanze della sua vita.

Dalla risposta di Maria, così come dalla risposta a ciò che Dio ci chiede —scrive il santo Josemaría— «non dimenticarlo, dipendono molte cose grandi».

Ci stiamo preparando per celebrare la festa del Natale. La miglior forma per farlo è restare accanto a Maria, contemplando la sua vita e cercando di imitare le sue virtù per poter ricevere il Signore con un cuore ben disposto: —Cosa spera Dio da me, ora, oggi, nel mio lavoro, con la persona che tratto, nella mia relazione con Lui? Sono piccole situazioni di tutti i giorni, però, dipende tanto dalla risposta che diamo!
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21/12/2018 09:54
 
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Beata colei che ha creduto»

Rev. D. Àngel CALDAS i Bosch
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, il testo del Vangelo corrisponde al secondo mistero gaudioso: la «Visita di Maria a sua cugina Elisabetta». È davvero un mistero! Un’esplosione silenziosa di una gioia profonda come mai la storia ci aveva raccontato! È la gioia di Maria, che ha appena ricevuto la notizia che sarà madre per opera dello Spirito Santo. La parola latina “gaudium” esprime una gioia profonda, intima, che non esplode al di fuori. Nonostante questo, le montagne della Giudea si ricoprirono di giubilo. Maria esultava come una mamma che sa di aspettare un figlio. E che Figlio! Un Figlio che pellegrinava, già prima di nascere, per i sentieri sassosi che portavano fino ad Ain Karim, racchiuso nel cuore e nelle braccia di Maria.

Gaudio nell’anima e nel volto di Elisabetta e nel bambino che sussulta di gioia nel suo seno. Le parole della cugina di Maria attraverseranno i tempi: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (cf. Lc 1,42). La preghiera del Rosario, come fonte di gioia, è una delle nuove prospettive scoperte da Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica Il rosario della Vergine Maria.

La gioia è inseparabile dalla fede. «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (Lc 1,43). La gioia di Dio e di Maria si è sparsa per tutto il mondo. Per accoglierla, basta aprirsi nella fede all’azione costante di Dio nella nostra vita e camminare con il Bambino, con Colei che ha creduto e della mano innamorata e forte di san Giuseppe. Per le strade del mondo, sull’asfalto, sulle pietre o lungo i terreni fangosi, un cristiano porta con sé, sempre, due dimensioni della fede: l’unione con Dio e il servizio al prossimo. Il tutto ben assemblato: con una unità di vita che impedisca che ci sia una soluzione di continuità tra una cosa e l’altra.
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22/12/2018 09:44
 
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«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore»

Rev. D. Francesc PERARNAU i Cañellas
(Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo della Messa presenta alla nostra considerazione il Magnificat, che Maria piena di gioia, intonò in casa della sua parente Elisabetta, madre di Giovanni il Battista. Le parole di Maria ci portano reminiscenze di altri canti biblici che Ella conosceva molto bene e che aveva recitato e contemplato in tante ocassioni. Però adesso, nelle sue labbra, quelle stesse parole hanno un significato molto più profondo: Lo spirito della Madre di Dio lascia intravedere dietro di loro la purezza del suo cuore. Ogni giorno, la Chiesa le fa sue nella Liturgia delle Ore quando pregando le Vispere dirige verso il cielo quello stesso canto con il quale Maria si esultava, benediva e ringraziava Dio per tutte le sue bontà.

Maria si é beneficiata della grazia più straordinaria che mai nessun’altra donna ha ricevuto o riceverà: è stata eletta da Dio, fra tutte le donne della storia, per essere la Madre di quel Messia Redentore che la Umanità stava aspettando da secoli. É l’onore più grande mai concesso ad un essere umano ed Ella lo riceve con assoluta semplicità e umiltà, rendendosi conto che è tutta grazia, regalo e che Ella non è nulla davanti all’immensità del Potere e della grandezza di Dio, che ha compiuto meraviglie in Lei (cf Lc. 1,49). Una grande lezione di umiltà per tutti noi, figli di Adamo ed eredi di una natura umana segnata profondamente per quel peccato originale del quale giorno dopo giorno, trasciniamo le conseguenze.

Stiamo arrivando già alla fine del tempo di Avvento, un tempo di conversione e di purificazione. Oggi è Maria che ci insegna il cammino migliore. Meditare la preghiera della nostra Madre —volendo farla nostra— ci aiuterà ad essere più umili. Santa Maria ci aiuterà se glielo chiediamo fiduciosi.
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23/12/2018 08:22
 
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Beata colei che ha creduto»

+ Mons. Ramon MALLA i Call Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)


Oggi, è l’ultima domenica di questo tempo di preparazione all’arrivo –l’Avvento- di Dio a Betlemme. Volendo essere in tutto uguale a noi, volle essere concepito –come qualunque altro uomo- nel seno di una donna, la Vergine Maria, ma per opera e grazia dello Spirito Santo, giacché era Dio. Presto, il giorno di Natale celebreremo, con grande giubilo, la Sua nascita.

Il Vangelo di oggi ci presenta due personaggi, Maria e Sua cugina Elisabetta che ci indicano l’atteggiamento che dobbiamo avere nel nostro spirito per contemplare questo avvenimento. Deve essere un atteggiamento di fede e di fede dinamica.

Elisabetta, con sincera umiltà, «fu colmata dello Spirito Santo ed esclamò a gran voce,e disse (...) A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,41-43). Nessuno glielo aveva detto; solo la fede, lo Spirito Santo, le aveva fatto vedere che Sua cugina era madre del suo Signore, di Dio.

Conoscendo adesso l’atteggiamento di fede totale da parte di Maria, quando l’Angelo Le annunciò che Dio L’aveva scelta per essere Sua madre su questa terra, Elisabetta non indugiò nel proclamare la gioia che dà la fede. Lo evidenzia dicendo: «Beata Colei che ha creduto!» (Lc 1,45).

E’, dunque, in atteggiamento di fede che dobbiamo vivere il Natale. Ma, imitando Maria e a Elisabetta, con fede dinamica. Di conseguenza, come Elisabetta, se è necessario, non dobbiamo astenerci dall’esprimere la gratitudine e la gioia di aver fede. E, come Maria, inoltre, dobbiamo manifestarla mediante le opere. «Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta» (Lc 1,39-40) per congratularsi con lei e per aiutarla, restando circa tre mesi da lei (cf. Lc 1,56).

Sant’Ambrogio ci raccomanda che, in queste feste, «abbiamo tutti l’anima di Maria per glorificare il Signore». Sicuramente non mancheranno le occasioni per condividere allegrie ed aiutare i bisognosi.
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24/12/2018 09:34
 
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Ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre»

Rev. D. Ignasi FABREGAT i Torrents
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo raccoglie il canto di lode di Zaccaria, dopo la nascita di suo figlio. Nella prima parte il padre di Giovanni ringrazia Dio, nella seconda parte i suoi occhi guardano verso il futuro. Tutto in lui traspira allegria e speranza al riconoscere l’azione salvatrice di Dio con Israele che, finisce con la venuta dello stesso Dio incarnato, preparata dal figlio di Zaccaria.

Già sappiamo che Zaccaria era stato castigato da Dio a causa della sua incredulità. Però adesso, quando l’azione divina è stata completamente manifestata nella sua carne -al recuperare la voce- esclama quello che fino allora non si poteva dire se non con il cuore; ed è vero quel che diceva: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele...» (Lc 1,68). Quante volte vediamo le cose oscure, negative, in modo pessimista! Se avessimo la visione soprannaturale dei fatti che Zaccaria ci mostra nel Canto del Benedictus, vivremmo con allegria e speranza in una forma stabile.

«Il Signore è vicino; il Signore è già qui». Il padre del precursore è consapevole che la venuta del Messia è, soprattutto, luce. Una luce che illumina tutti quelli che vivono nell’oscurità, sotto le ombre della morte, cioè a noi! Magari potessimo renderci conto con piena coscienza del fatto che il Bambino Gesù viene ad illuminare le nostre vite, viene a guidarci, a segnalarci il cammino che dobbiamo seguire! Magari ci lasciassimo guidare dalle sue illusioni, da quella speranza che ha in noi!

Gesù è il “Signore” (cf. Lc 1,68.76), però è anche il “Salvatore” (cf. Lc 1,69).

Queste due confessioni (attribuzioni) che Zaccaria fa a Dio, così vicine alla notte di Natale, mi hanno sempre sorpreso, perché sono precisamente le stesse che l’Angelo del signore assegnerà a Gesù nel suo annuncio ai pastori e che potremo ascoltare con emozione questa sera nella Messa della vigilia di Natale. Perché chi nasce è Dio!
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25/12/2018 08:43
 
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Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore»

Rev. D. Ramon Octavi SÁNCHEZ i Valero
(Viladecans, Barcelona, Spagna)


Oggi, è nato il Salvatore. Questa è la buona novella di questa notte di Natale. Come ogni Natale, Gesù rinasce in tutto il mondo, in ogni casa, nei nostri cuori.

Ma, a differenza di ciò che tiene la nostra società di consumo, Gesù non nasce in un ambiente di scarto, di shopping, comodità, capricci e grandi pasti abbondanti. Gesù nasce nell'umiltà di un presepe.

E lo fa in questo modo perché viene rifiutato dagli uomini: nessuno aveva voluto dare Lui alloggio nelle case e alberghi. Maria e Giuseppe, e Gesù stesso neonato sentirono quel che significa il rifiuto, la mancanza di generosità e di solidarietà.

Poi le cose cambieranno e, con l'annuncio dell'Angelo - «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10) - tutti correranno verso la grotta per adorare il Figlio di Dio. Un po 'come la nostra società, che emargina e nega molte persone perché sono poveri, stranieri o semplicemente diversi da noi, e dopo celebra il Natale parlando di pace, solidarietà e amore.

Oggi i cristiani siamo pieni di gioia, e c'è una bella ragione. Come afferma san Leone Magno: «Oggi Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita». Ma non possiamo dimenticare che questa nascita richiama un compromesso, vivere il Natale il più simile possibile a come lo ha vissuto la Sacra Famiglia. Cioè, senza ostentazione, senza spese inutili, senza buttare la casa dalla finestra. Celebrare e far festa è compatibile con l' austerità e persino la povertà.

D' altra parte, se in questi giorni non abbiamo veri sentimenti di solidarietà verso gli emarginati, stranieri, barboni, vuol dire che in fondo siamo come quella gente di Betlemme, non accogliamo il nostro Gesù bambino.
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26/12/2018 11:04
 
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Vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, appena assaporata la profonda esperienza della nascita di Gesù, cambia la scena liturgica. Si potrebbe pensare che la celebrazione di un martire, non si adatta al fascino del Natale ... Il martirio di Santo Stefano, che veneriamo come protomartire della cristianità, ricade nella teologia dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Gesù è venuto sulla terra per versare il suo Sangue per noi. Stefano fu il primo a versare il suo sangue per Gesù. Leggiamo nel Vangelo come Gesù stesso lo annuncia: «Vi consegneranno ai loro tribunali (...) sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia» (Mt 10,17.18). Precisamente "martire" significa proprio questo: testimone.

Questa testimonianza nella parola e nell'azione viene data grazie alla forza dello Spirito Santo: «È lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,19). Tale come leggiamo negli “Atti degli Apostoli”, capitolo 7, Stefano, portato in tribunale, ha tenuto una lezione magistrale, facendo un percorso per il Vecchio Testamento, dimostrando che tutto converge nel Nuovo, nella persona di Gesù. In lui viene compiuto tutto ciò che è stato annunciato dai profeti e insegnato dai patriarchi.

Nel racconto del suo martirio incontriamo una bellissima allusione trinitaria: «Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi nel cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù stare alla destra di Dio." (At 7,55). La sua esperienza era come un assaggio della gloria del cielo. E Stephen morì come Gesù, perdonare coloro che hanno sacrificato: "Signore, non tenere questo peccato» (At 7,60); pregò le parole del Maestro: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

Chiediamo questo martire che sappiamo come vivere come lui, pieni dello Spirito Santo, affinché, a fissando lo sguardo al cielo, vediamo Gesù alla destra di Dio. Questa esperienza ci farà godere del cielo, mentre siamo sulla terra.
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27/12/2018 09:50
 
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Vide e credette»

Rev. D. Manel VALLS i Serra
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia celebra la festa di san Giovanni, apostolo ed Evangelista. Il giorno dopo Natale, la Chiesa celebra la festa del primo martire della fede cristiana, santo Stefano, e, al giorno successivo, la festa di san Giovanni, colui che meglio e più profondamente penetra nel mistero del Verbo incarnato, il primo “teologo” e modello di ogni vero teologo. Il passaggio del suo Vangelo che viene oggi presentato, ci aiuta a contemplare il Natale dalla prospettiva della Risurrezione del Signore. Infatti, Giovanni, arrivato al sepolcro vuoto, «vide e credette» (Gv 20,8). Fiduciosi nel testimonio degli Apostoli, noi ci sentiamo mossi, ogni Natale a “vedere” e “credere”.

Uno può rivivere questi stessi “vedere” e “credere”, riflettendo sulla nascita di Gesù, il Verbo incarnato. Giovanni, mosso dalla intuizione del suo cuore –e dovremmo aggiungere, mosso dalla “grazia”- “vede” più in là di quanto i suoi occhi, in quel momento, possano arrivare a contemplare. In realtà, se lui crede, lo fa senza “aver visto” ancora Cristo, per cui c’è lì implicita una lode per quelli che «non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29), lode con la quale finisce il vigesimo capitolo del suo Vangelo.

Pietro e Giovanni “corrono” insieme verso il sepolcro, ma il testo ci dice che Giovanni «corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro» (Gv 20,4). Sembra che Giovanni fosse mosso più dal desiderio di trovarsi nuovamente accanto a Chi egli amava –Cristo- che stare solo fisicamente accanto a Pietro, di fronte al quale, tuttavia, -con il gesto di aspettarlo, perché fosse questi ad entrare per primo nel sepolcro- prova che è Pietro chi ha il primato nel Collegio Apostolico. Comunque, il cuore ardente, colmo di zelo, traboccante d’amore di Giovanni è ciò che lo porta a “correre” e “avanzare”, in un chiaro invito perché anche noi viviamo ugualmente la nostra fede con questo desiderio così ardente di ritrovare il Risuscitato.
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28/12/2018 08:32
 
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Si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)


Oggi celebriamo la festa dei Santi Innocenti, martiri. Anche se immersi nelle celebrazioni natalizie, non possiamo ignorare il messaggio che la liturgia vuole trasmetterci per definire, ancora di più, la buona Nuova della nascita di Gesù, con due particolari molto chiari. In primo luogo, la predisposizione di San Giuseppe nel progetto salvatore di Dio, accettando la Sua volontà. E,contemporaneamente,il male, l’ ingiustizia che frequentemente troviamo nella nostra vita, materializzato in questo caso nel martirio dei bambini Innocenti. Tutto questo richiede un atteggiamento ed una risposta personale e sociale.

San Giuseppe ci offre un testimonio molto chiaro di risposta decisa davanti alla chiamata di Dio. In lui ci sentiamo identificati quando dobbiamo prendere decisioni nei momenti difficili della nostra vita e partendo dalla nostra fede: «Si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2,14).

La nostra fede in Dio coinvolge la nostra vita. Fa sì che ci `alziamo´, cioè ci invita a stare attenti su quanto accade attorno a noi, perché -frequentemente- è da dove Dio ci parla. Ci fa prendere il `Bambino e Sua madre´ questo vuol dire che Dio ci si avvicina, quale compagno nel cammino, rafforzando la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità e ci fa uscire di notte verso l’ Egitto, ossia ci invita a non aver paura di fronte alla nostra stessa vita, che frequentemente si vede colma di notti difficili da illuminare.

Questi bambini martiri, oggi, hanno pure nomi reali di bambini, di giovani coppie di persone in età avanzata, immigranti ammalati... che aspettano la risposta della nostra carità. San Giovanni Paolo II dice così: «Infatti sono molte nei nostri tempi i bisogni che interpellano alla sensibilità cristiana. E’ l’ora di una nuova `immaginazione della carita´ che viene realizzata, non solo nell’efficacia dell’aiuto offerto, ma anche nella capacità di farci sentire vicini e solidali con chi soffre».

Che la luce nuova, chiara e forte di Dio, fatto Bambino, riempia le nostre vite e rafforzi la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità.
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29/12/2018 09:16
 
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Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace (...), perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza»

Chanoine Dr. Daniel MEYNEN
(Saint Aubain, Namur, Belgio)


Oggi, 29 dicembre, festeggiamo il santo Re Davide; ma la Chiesa vuole onorare tutta la famiglia di Davide e, specialmente, il più illustre di tutti loro, Gesù, il Figlio di Dio, Figlio di Davide! Oggi, in questo eterno “oggi” del Figlio di Dio, l’Antica Alleanza del tempo del Re Davide, si realizza e si compie in tutta la sua pienezza. Dunque, come narra il Vangelo di oggi, il Bambino Gesù viene presentato nel Tempio dai Suoi genitori, nell’osservanza dell’antica Legge: «Quando furono compiuti i giorni della purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (Lc 2,22-23).

Oggi si eclissa la vecchia profezia, per cedere il passo alla nuova: Colui che il Re Davide aveva annunciato all’intonare i suoi salmi messianici, è entrato finalmente nel Tempio di Dio! Oggi è il grande giorno in cui quello che San Luca denomina `Simeone´, presto abbandonerà questo mondo di oscurità per entrare nella visione della Luce eterna: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli» (Lc 2,29-32).

Anche noi, che siamo il Santuario di Dio, nel quale abita il suo Spirito (cf. 1Cor 3,16), dobbiamo stare attenti a ricevere Gesù nel nostro interiore. Se oggi abbiamo la fortuna di ricevere Gesù nell’Eucaristia, chiediamo a Maria, la Madre di Dio, che interceda per noi presso il Figlio: che muoia l’uomo vecchio e che il nuovo uomo (cf.Col 3,10) nasca in tutto il nostro essere, perché possiamo trasformarci nei nuovi profeti, coloro che annuncino al mondo intero la presenza di Dio tre volte santo, Padre, Figlio e Spirito Santo!

Come Simeone, siamo profeti della morte dell’ “uomo vecchio”! Come disse il Papa , Giovanni Paolo II, «la pienezza dello Spirito di Dio viene accompagnata (...) innanzitutto dalla disponibilità interiore che proviene dalla fede. Da questo, l’anziano Simeone, uomo giusto e pietoso, ebbe l’intuizione nel momento della presentazione di Gesù nel Tempio».
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30/12/2018 09:29
 
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Lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (...). Erano pieni di stupore per la sua intelligenza.»

Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(La Fuliola, Lleida, Spagna)


Oggi contempliamo, come la continuazione del mistero dell'Incarnazione, l'inclusione del Figlio di Dio nella comunità umana par eccellenza, la famiglia, e l'educazione progressiva di Gesù da parte di Giuseppe e Maria. Come dice il Vangelo, "E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52).

Il libro del Siracide, ci ha ricordato che «Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole» (Se 3,2). Gesù ha dodici anni e mostra la buona educazione ricevuta nella casa di Nazareth. La saggezza che mostra prova, senza dubbio, l'azione dello Spirito Santo, ma anche l'innegabile sapienza per educare di Giuseppe e Maria. L'angoscia di Maria e Giuseppe rivela la sua attitudine sollecita come educatori e la sua compagnia amorevole verso Gesù.

Non bisogna fare grandi ragionamenti per vedere che oggi, più che mai, è necessario che la famiglia assuma con forza la missione educativa che Dio gli ha affidato. Educare è introdurre nella realtà, e solamente può farlo chi la vive con senso. I genitori cristiani devono educare da Cristo, sorgente di senso e di sapienza.

Difficilmente si possono rimediare le carenze educative di casa. Tutto ciò che non si impara in casa non s’impara neanche fuori di casa, se non con grande difficoltà. Gesù ha vissuto e imparato con naturalità nella casa di Nazareth le virtù che Giuseppe e Maria esercitavano costantemente: lo spirito di servizio a Dio e all'umanità, pietà, amore per il lavoro ben fatto, essere solleciti gli uni con gli altri, il tatto, il rispetto, l'orrore al peccato ... I bambini, per crescere come cristiani, hanno bisogno di testimoni e, se sono i genitori, questi bambini saranno fortunati.

È necessario che tutti andiamo oggi a cercare la saggezza di Cristo per portarla alle nostre famiglie. Un antico scrittore, Origene, commentando il Vangelo di oggi, diceva che è necessario che chi cerca Cristo, non lo faccia in modo negligente ne di abbandono, come fanno alcuni che non riescono a trovarlo. Si deve cercarLo con "voglia", con grande entusiasmo, come lo cercavano Giuseppe e Maria.
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31/12/2018 10:17
 
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E il Verbo si fece carne»

Rev. D. David COMPTE i Verdaguer
(Manlleu, Barcelona, Spagna)


Oggi, è l’ultimo giorno dell’anno. Frequentemente una mescolanza di sentimenti –incluso contraddittori- sussurrano nei nostri cuori in questa data. E’ come una specie di rassegna, dei differenti momenti vissuti e di quelli che avremmo voluto vivere, che si facessero presenti nella nostra memoria. Il Vangelo di oggi può aiutarci a decantarli per poter cominciare il nuovo anno con rinnovato slancio.

«Il Verbo era Dio (...) Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1,1.3). Al momento di fare il bilancio dell’anno, bisogna tener presente che ogni giorno vissuto è stato un dono ricevuto. Perciò, qualunque profitto ne abbiamo tratto, oggi dobbiamo dimostrare la nostra riconoscenza per ogni minuto dell’anno trascorso.

Ma il dono della vita non è completo. Restiamo bisognosi. Perciò il Vangelo di oggi apporta una parola speciale: «accogliere». «E il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Accogliere lo stesso Dio! Dio, facendosi uomo, si mette alla portata di ognuno di noi. “Accogliere” significa aprirGli le nostre porte, permetterGli di entrare nelle nostre vite, nei nostri progetti, in quelle azioni che colmano i nostri giorni. Fino a che punto abbiamo accolto Dio e Gli abbiamo permesso di entrare in noi?

«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Accogliere Gesù vuol dire lasciarsi questionare per Lui. Permettere che i suoi criteri illuminino sia i nostri pensieri più intimi, sia le nostre attività sociali e lavorative. Che le nostre attuazioni concordino con le Sue!

«La vita era la luce» (Gv 1,4). Ma la fede è qualcosa di più che dei criteri. E’ la nostra vita innestata nella Vita. Non è solo sforzo –che lo è-. E’ soprattutto dono e grazia. Vita ricevuta nel seno della Chiesa, specialmente per mezzo dei sacramenti. Che posto occupano nella mia vita cristiana?

«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Tutto un progetto appassionante per l’anno che stiamo per cominciare!
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01/01/2019 08:19
 
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Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia»

Rev. D. Manel VALLS i Serra
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la Chiesa contempla riconoscente la maternità della Madre di Dio, modello della Sua propria maternità per tutti noi. Luca ci presenta l’ “incontro” dei pastori “con il Bambino” che è accompagnato da Maria, Sua Madre e da Giuseppe. La discreta presenza di Giuseppe suggerisce l’importante missione di essere custode del grande mistero del Figlio di Dio. Tutti insieme, pastori Maria e Giuseppe «e il bambino adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16) sono un’immagine preziosa della Chiesa in adorazione.

“Il presepe”: Gesù è stato già messo lì, in una occulta allusione all’ `Eucaristia´. E’ Maria Chi l’ha messo! Luca parla di un `incontro´ dei pastori con Gesù. Infatti, senza l’esperienza di un “incontro” personale con il Signore, non c’è fede. Solo questo “incontro” che implica un “vedere con i propri occhi” e, in un certo modo, un “toccare”, rende capaci i pastori di arrivare ad essere testimoni della Buona Novella, veri evangelizzatori che possono far «conoscere ciò che del bambino era stato detto loro» (Lc 2,17).

Ci viene presentato qui un primo frutto dell’ “incontro” con Cristo: «Tutti quelli che udivano si stupirono» (Lc 2,18). Dobbiamo chiedere la grazia di saper far sorgere questo “meravigliarsi”, questa ammirazione in coloro a cui annunciamo il Vangelo.

C’è ancora un secondo frutto di questo `incontro´: «I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto» (Lc 2,20). L’adorazione del Bambino riempie loro il cuore di entusiasmo per comunicare quello che hanno visto e udito e al comunicare quello che hanno visto e udito li guida alla preghiera di lode, di ringraziamento e di glorificazione del Signore.

Maria, maestra di contemplazione -«custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19)- ci da Gesù, nome che significa “Dio salva”. Il Suo nome è pure la nostra Pace. Accogliamo nel nostro cuore questo sacro e dolcissimo Nome ed abbiamolo frequentemente sulle nostre labbra!
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02/01/2019 08:13
 
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In mezzo a voi sta uno ..., colui che viene dopo di me»

Mons. Romà CASANOVA i Casanova Vescovo di Vic
(Barcelona, Spagna)


Oggi, nel Vangelo della liturgia eucaristica, leggiamo il testimonio di Giovanni il Battista. Il testo che precede queste parole del Vangelo secondo san Giovanni è il prologo nel quale si afferma con chiarezza: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Ciò che nel prologo –quale grande preludio- si annuncia, adesso nel Vangelo, punto per punto, viene svelato. Il mistero del Verbo incarnato è mistero di salvezza per l’umanità: «La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). La salvazione ci viene per mezzo di Gesù Cristo e la fede è la risposta alla manifestazione di Cristo.

Il mistero della salvazione in Cristo va sempre accompagnato dal testimonio. Lo stesso Gesù Cristo è l’«Amen, il Testimone degno di fede e veritiero» (Ap 3,14). Giovanni Battista è colui che dà testimonio con la sua missione ed il suo sguardo di profeta: «In mezzo a voi sta uno (...) che viene dopo di me» (Gv 1,26-27). Gli Apostoli, infatti, interpretano così la missione: «Questo Gesù, Dio Lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2,32).

La chiesa intera, e perciò tutti i suoi membri, abbiamo la missione di essere testimoni. Il testimonio che noi portiamo al mondo ha un nome. Il Vangelo è lo stesso Gesù Cristo. Lui è la “Buona Novella”. E la proclamazione del Vangelo in tutto il mondo, bisogna capirla anche nel senso di `testimonio che unisce inseparabilmente l’annunzio e la vita´. È conveniente ricordare quelle parole del papa Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta meglio coloro che danno testimonio che quelli che insegnano (...), o, se ascoltano quelli che insegnano, è perché danno testimonio».
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03/01/2019 10:06
 
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E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»

Rev. P. Higinio Rafael ROSOLEN IVE
(Cobourg, Ontario, Canada)


Oggi, San Giovanni Battista testimonia il Battesimo di Gesù. Il Papa Francesco ha ricordato che «Il Battesimo è il sacramento su cui si fonda la nostra stessa fede e che ci innesta come membra vive in Cristo e nella sua Chiesa»; aggiungendo: «Dunque non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli».

Abbiamo sentito i due effetti principali del battesimo insegnato nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1262-1266):

1º «Ecco l'agnello di Dio, colui c he toglie il peccato del mondo» (Gv 11,29). Un effetto del battesimo è la purificazione dei peccati, cioè, tutti i peccati sono perdonati, il peccato originale e tutti i peccati personali e tutta la punizione per il peccato.

2º «lo Spirito scendere», «battezza con lo Spirito Santo» (Gv 1,34): Il Battesimo ci fa "una nuova creazione", figli adottivi di Dio e compartecipi della natura divina, membri di Cristo, eredi con Lui e templi dello Spirito Santo.

La Santissima Trinità —Padre, Figlio e Spirito Santo— ci dona la grazia santificante, che ci rende capaci di credere in Dio, di sperare in Lui e di amarlo; di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo mediante i loro doni; di crescere nel bene per mezzo delle virtù morali.

Chiediamo, come il Papa Francesco ci esorta, « Dobbiamo risvegliare la memoria del nostro Battesimo», «vivere il nostro Battesimo ogni giorno, come realtà attuale nella nostra esistenza».
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04/01/2019 09:55
 
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Rabbì (che significa maestro), dove abiti? . Disse loro: Venite e vedrete»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci ricorda le circostanze della vocazione dei primi discepoli di Gesù. Per prepararsi alla venuta del Messia, Giovanni e il suo compagno Andrea avevano ascoltato e seguito per un certo tempo il Battista. Un bel giorno, lui indica Gesù con il dito e lo chiama Agnello di Dio. Immediatamente, Giovanni e Andrea capiscono: il Messia atteso è Lui! E lasciando il Battista, incominciano a seguire Gesù.

Gesù sente i passi dietro di Lui. Si gira e fissa lo sguardo su quelli che lo seguono. Gli sguardi si incrociano tra Gesù e quegli uomini semplici. Questi rimangono affascinati. Quello sguardo rimuove i loro cuori e sentono il desiderio di restare con Lui: «Dove abiti?» (Gn 1,38), gli chiedono. «Venite e vedrete» (Gn 1,39), risponde Gesù. Li invita ad andare con Lui e a guardare, a contemplare.

Vanno, e lo contemplano ascoltandolo. Vivono con Lui quell’imbrunire, quella notte. E’ l’ora per l’intimità e le confidenze. È l’ora dell’amore condiviso. Rimangono con Lui fino al giorno dopo, quando sorge il sole sul mondo.

Accesi con la fiamma di quel «sole che viene dall’alto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre» (cf. Lc 1,78-79), vanno a irradiarlo. Infervoriti, sentono la necessità di comunicare quello che hanno visto e vissuto ai primi che trovano per strada, «Abbiamo trovato il Messia!» (Gn 1,41). Anche i santi hanno fatto così. San Francesco, ferito d’amore, andava per le strade y le piazze, i villaggi e le foreste urlando: “L’Amore non è amato”.

L’essenza della vita cristiana è lasciarsi guardare da Gesù, andare e vedere dove abita, stare con Lui e condividere. E, dopo, annunciarlo. Questo è il cammino e il processo che hanno seguito i discepoli e i santi. E’ il nostro cammino.
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05/01/2019 07:57
 
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Vieni e vedi»

Rev. D. Rafel FELIPE i Freije
(Girona, Spagna)


Oggi, Filippo ci dà una lezione impeccabile accompagnando Natanaele fino il Maestro. Si comporta come l’amico che desidera condividere con l’altro il tesoro appena scoperto: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth» (Gv 1,45). Immediatamente, con illusione, vuole condividerlo con gli altri, affinché tutti possano ricevere i suoi benefici. Il tesoro è Gesù Cristo. Nessuno come Lui può colmare il cuore dell’uomo di pace e felicità. Se Gesù vive nel tuo cuore, il desiderio di condividerlo si trasformerà in una necessità. Da qui nasce il senso dell’apostolato cristiano. Quando Gesù, più avanti, ci inviti a tirare le reti dirà a ognuno di noi che dobbiamo essere pescatori di uomini, poiché sono molti quelli che hanno bisogno di Dio, che la fame di trascendenza, di verità, di felicità... c’è Qualcuno che può saziare pienamente: Gesù Cristo. «Soltanto Gesù Cristo è per noi tutte le cose (…). ¡Felice l’uomo che spera in Lui!» (Sant’Ambrogio).

Nessuno può dare quello che non ha o non ha ricevuto. Prima di parlare del Maestro, è necessario aver parlato con Lui. Soltanto se lo conosciamo bene e ci siamo lasciati conoscere da Lui, saremo in condizione di presentarlo agli altri, così come fa Filippo nel Vangelo di oggi. Così come hanno fatto tanti santi e sante lungo la storia.

Frequentare Gesù, parlare con Lui come un amico parla al suo amico, confessarlo con una fede convinta: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!» (Gv 1,49), riceverlo spesso nell’Eucaristia e visitarlo con frequenza, ascoltare attentamente le sue parole di perdono... tutto ci aiuterà a presentarlo meglio agli altri e a scoprire la felicità interiore che produce il fatto che molte altre persone lo conoscano e lo amino.
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06/01/2019 09:53
 
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Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono»

Rev. D. Joaquim VILLANUEVA i Poll
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il profeta Isaia ci esorta: «Alzati, rivestiti di luce, Gerusalemme, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te» (Is 60,1). Quella luce che ha visto il profeta, è la stella che vedono i Magi in Oriente, come molti altri uomini. I Magi scoprono il suo significato. Gli altri uomini la contemplano come se fosse qualcosa di ammirabile che, però, non causa in loro nessun effetto. E, così, non reagiscono. I Magi, si rendono conto che, con la stella, Dio invia loro un messaggio importante per il quale vale la pena lasciare le comodità del sicuro e rischiare tutto in un viaggio incerto: la speranza di incontrare il Re, li porta a seguire quella stella, che avevano annunciato i profeti e che il popolo di Israele aspettava da secoli.

Arrivano a Gerusalemme, la capitale degli Ebrei. Pensano che lì sapranno indicargli il luogo preciso dove è nato il loro Re. Effettivamente, diranno loro: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta» (Mt 2,5). La notizia dell’arrivo dei Magi e la loro domanda si diffuse per tutta Gerusalemme in poco tempo: Gerusalemme era allora una piccola città, e la presenza dei Magi e del loro seguito era stata notata da tutti i suoi abitanti visto che «Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3), ci dice il Vangelo.

Gesù si incrocia nella vita di molte persone, a cui non interessa. Un piccolo sforzo avrebbe cambiato le loro vite, avrebbero trovato il Re della Felicità e della Pace. Questo richiede la buona volontà di cercarlo, di muoversi, di chiedere senza scoraggiarsi, come i Magi, di uscire dalla nostra pigrizia, dalla nostra routine, di apprezzare l’immenso valore di incontrare Cristo. Se non lo incontriamo, non abbiamo trovato nulla nella vita, perché solo Lui è il Salvatore: incontrare Gesù è trovare il Cammino che ci porta a conoscere la Verità che ci da la Vita. E, senza di Lui, assolutamente nulla vale la pena.
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07/01/2019 09:11
 
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Il regno dei cieli è vicino»

Rev. D. Jordi CASTELLET i Sala
(Sant Hipòlit de Voltregà, Barcelona, Spagna)


Oggi, per così dire, rincominciamo. «Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce» (Mt 4,16), ci dice il profeta Isaia, citato in questo Vangelo odierno, e che ci rimanda a quello che ascoltavamo alla vigilia di Natale. Ricominciamo, abbiamo una nuova opportunità. Il tempo è nuovo, l’occasione lo merita, lasciamo quindi che –umilmente- il Padre agisca nella nostra vita.

Oggi inizia il tempo in cui Dio ci dà, ancora una volta, il Suo tempo affinché noi lo santifichiamo, affinché restiamo vicino a Lui e facciamo della nostra vita un servizio verso gli altri. Il Natale finisce, avverrà la prossima domenica –Dio volendo- con la festa del Battesimo del Signore, e con questa festa si dà il via al nuovo anno, al tempo ordinario –così, come diciamo nella liturgia cristiana- per vivere estensivamente il mistero del Natale. Il Verbo Incarnato ci ha visitato in questi giorni e ha seminato nei nostri cuori, in modo infallibile, la Sua Grazia salvatrice che ci incammina, nuovamente, verso il Regno del Cielo, il Regno di Dio che Cristo è venuto a inaugurare fra di noi, grazie alla Sua azione ed al Suo impegno nel seno della nostra umanità.

Per questo, ci dice San Leone Magno, che «la provvidenza e la misericordia di Dio, pensava già di aiutare –nei tempi recenti- il mondo che naufragava, determinò la salvezza di tutti i popoli per mezzo di Cristo».

Adesso è il tempo favorevole. Non pensiamo che Dio attuasse di più prima che adesso, poiché era più facile credere in Gesù –fisicamente, voglio dire– che adesso quando non lo vediamo così com’è. I sacramenti della Chiesa e la preghiera comunitaria ci concedono il perdono e la pace, così come l’opportunità di partecipare, nuovamente, all’opera di Dio nel mondo per mezzo del nostro lavoro, studio, famiglia, amici, divertimento o convivenza con i fratelli. Che il Signore, fonte di ogni dono e ogni bene, ce lo faccia possibile!
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08/01/2019 08:17
 
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Perché erano come pecore che non hanno pastore»

Rev. D. Xavier SOBREVÍA i Vidal
(Castelldefels, Spagna)


Oggi, Gesù ci mostra che Egli è sensibile alle necessità delle persone che vanno al suo incontro. Non può trovarsi con persone essere indifferente di fronte alle loro necessità. Il cuore di Gesù si compatisce al vedere la grande folla che lo segue «come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34). Il Maestro mette da parte i progetti precedenti e si mette a insegnare. Quante volte noi abbiamo permesso che la urgenza o l’impazienza si impongano sul nostro comportamento? Quante volte non abbiamo voluto cambiare i nostri programmi per soddisfare esigenze immediate e impreviste? Gesù ci da un esempio di flessibilità, di modificare il programma precedente ed essere disponibile per le persone che lo seguono.

Il tempo passa in fretta. Quando ami è facile che il tempo passi molto in fretta. E Gesù, che ama molto, sta spiegando la dottrina in modo prolungato. Si fa tardi, i discepoli glielo ricordano al Maestro e si preoccupano di poter dar da mangiare alla folla. Allora Gesù fa una proposta incredibile: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). Non solo si preoccupa di dare l’alimento spirituale con i suoi insegnamenti, ma anche di dare l’alimento corporale. I discepoli pongono difficoltà, che sono reali, molto reali!: il pane costerà un sacco di soldi (cf. Mc 6,37). Vedono le difficoltà materiali, ma i loro occhi ancora non vedono che Colui che parla è Onnipotente; manca a loro la fede.

Gesù non dispone di fare una fila, fa sedere la gente in gruppi. Riposeranno e condivideranno comunitariamente. Chiese ai discepoli il cibo che portavano: cinque pani e due pesci. Gesù li prende, invoca la benedizione di Dio, e li distribuisce. Un pasto così scarso che servirà alimentare migliaia di uomini e ancora avanzano dodici ceste. Miracolo che prefigura l’alimento spirituale dell’Eucaristia, il Pane della vita che si estende gratuitamente a tutti i popoli della Terra per dar vita e vita eterna.
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09/01/2019 08:49
 
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Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare»

Rev. D. Melcior QUEROL i Solà
(Ribes de Freser, Girona, Spagna)


Oggi, contempliamo come Gesù, dopo aver congedato gli apostoli e la gente, si ritira da solo a pregare. Tutta la sua vita è un dialogo costante con il Padre, e tuttavia, va sul monte a pregare. E noi? Come preghiamo? Spesso abbiamo uno stile di vita così frenetico, che finisce per essere un ostacolo per coltivare la vita spirituale e non siamo consapevoli di quanto sia necessario nutrire tanto l’anima come il corpo. Il problema è che, spesso, Dio occupa un posto poco rilevante nelle nostre priorità. In questo caso è molto difficile pregare veramente. Ne si può dire che abbiamo uno spirito di preghiera, quando solo si chiede aiuto nei momenti difficili.

Trovare il tempo e lo spazio per la preghiera richiede un requisito previo: il desiderio di incontrare Dio con la coscienza chiara che niente e nessuno lo può soppiantare. Se non c’è sete di comunicare con Dio, facilmente la preghiera diventa un monologo, perché la usiamo per cercare di risolvere i problemi che ci incomodano. E’ anche facile, nei momenti della preghiera, distrarsi perché i nostri cuori e le nostre menti sono costantemente invasi da pensieri e sentimenti di ogni genere. La preghiera non è ciarlataneria, ma un appuntamento semplice e sublime con l’Amore; è relazione con Dio: comunicazione silenziosa di un “io bisognoso” con il “Tu, ricco e trascendente”. Il gusto della preghiera è sapersi creature amate davanti al Creatore.

Preghiera e vita cristiana vanno unite, sono inseparabili. In questo senso, Origene ci dice che “prega senza fermarsi chi unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera. Solo allora possiamo considerare realizzabile il principio di pregare senza fermarsi”. Sì, è necessario pregare senza sosta perché le opere che realizziamo sono frutto della contemplazione; e fatte per la sua gloria. Si deve sempre agire dal dialogo permanente che Gesù ci offre, nella serenità dello spirito. Da questa certa passività contemplativa vedremo che la preghiera è il respiro dell’amore. Se non respiriamo moriamo, se non preghiamo. spiriamo spiritualmente.
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10/01/2019 08:32
 
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Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione»

Rev. D. Llucià POU i Sabater
(Granada, Spagna)


Oggi, ricordiamo che «chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1 Gv 4,21). Come possiamo amare Dio che non vediamo, se non amiamo a chi vediamo, immagine di Dio? Dopo che san Pietro rinnegasse, Gesù chiese se lui lo amava: «Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo» (Gv 21,17), rispose. Come a Pietro, anche a noi Gesù domanda: «Tu mi ami?», e vogliamo risponderGli ora: «Tu sai tutto, Signore, tu sai che ti amo, nonostante le mie mancanze, ma aiutami a dimostrarlo, aiutami a scoprire i bisogni dei miei fratelli, a darmi veramente agli altri, ad accettarli così come sono, a valorarli».

La vocazione dell'uomo è l'amore, è vocazione a darsi, cercando la felicità degli altri, e quindi trovare la propria felicità. Come dice san Giovanni della Croce, «alla fine della sera saremo giudicati sull' amore». Vale la pena farsi la domanda, alla fine della giornata, ogni giorno, in un breve esame di coscienza, come è andato questo amore, e concretizzare qualcosa a migliorare per il giorno successivo.

«Lo Spirito del Signore è sopra di me» (Lc 4,18), dirà Gesù, facendo suo il testo messianico. È lo Spirito dell’Amore che, così come fece del Messia «l’unto per portare la buona novella ai poveri» (cfr Lc 4,18), anche "riposa" su di noi e ci porta verso l'amore perfetto: come dice il Concilio Concilio Vaticano II, «tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità». Lo Spirito Santo ci trasformerà come fece con gli Apostoli, in modo da poter agire sotto la sua mozione, dandoci i frutti e così, portargli a tutti i cuori: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
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11/01/2019 09:38
 
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Di lui si parlava sempre di più»

Rev. D. Santi COLLELL i Aguirre
(La Garriga, Barcelona, Spagna)


Oggi abbiamo una grande responsabilità nel fare che la «sua fama» (Lc 5,15) continui ad estendersi, specialmente, tra quelli e quelle che non lo conoscono o che, per diverse ragioni e circostanze, se ne sono allontanati.

Ma questo contagio non sarà possibile se prima, non siamo stati capaci di riconoscere le nostre proprie “lebbre” particolari e di avvicinarci a Cristo, coscienti che solo Lui ci può liberare efficacemente da tutte le nostre invidie, egoismi, orgogli e rancori...

Che la fama di Cristo si estenda a tutti gli angoli della nostra società dipende, in gran parte, dagli “incontri particolari” che abbiamo avuto con Lui. Quanto piú intensamente ci impregniamo del Suo Vangelo, del Suo amore, della Sua capacità di ascoltare, di accogliere, di perdonare, di accettare l’altro (per diverso che sia), saremo più capaci di farLo conoscere al nostro intorno..

Il lebbroso del Vangelo, che oggi leggiamo nell’Eucaristia, è qualcuno che ha fatto un doppio esercizio di umiltà. Quello di riconoscere qual è il suo male e quello di accettare Gesù come suo Salvatore. Cristo è chi ci da l’opportunità di realizzare un cambio radicale e profondo nella nostra vita. Dinanzi a tutto quello che c’impedisce di amare e si è incistato nei nostri cuori e nella nostra vita, Cristo, con il testimonio della Sua vita e della Vita Nuova, ci propone una alternativa assolutamente reale e possibile. L’alternativa dell’amore, della tenerezza, della misericordia. Gesù, davanti a chi è diverso da Lui, (il lebbroso), non scappa, non se lo toglie di mezzo, non lo “fattura” a un ente pubblico, a una istituzione o alle “ong”. Cristo accetta la sfida dell’incontro, e, all’“ammalato” gli offre quello di cui ha bisogno, guarigione/purificazione.

Noi dobbiamo essere capaci di offrire a quelli che si avvicinano alle nostre vite, quello che abbiamo ricevuto dal Signore. Però, prima, sarà necessario averci incontrato con Lui e rinnovare il nostro impegno di vivere il Suo Vangelo nelle piccole cose di ogni giorno.
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