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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2024 07:50
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13/05/2021 08:15
 
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«La vostra tristezza si cambierà in gioia»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)
Oggi, contempliamo di nuovo la Parola di Dio con l’aiuto dell’evangelista Giovanni. In questi ultimi giorni di Pasqua sentiamo una speciale inquietudine per far nostra questa Parola e capirla. La stessa inquietudine dei primi discepoli, che si esprime profondamente nelle parole di Gesù — «Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete» (Gv 16,16)— concentra la tensione delle nostre apprensioni sulla fede, nella ricerca di Dio nella nostra vita quotidiana.

I cristiani di oggi sentiamo la stessa urgenza che i cristiani del primo secolo. Vogliamo vedere Gesù, sentiamo la necessità di percepire la sua presenza in mezzo a noi, per rinforzare la nostra fede, speranza e carità. Per questo, ci provoca tristezza pensare che Lui non sia tra di noi, che non possiamo sentire e palpare la sua presenza, sentire e ascoltare la sua parola. Però questa tristezza si trasforma in profonda allegria quando avvertiamo la sua presenza sicura tra di noi.

Questa presenza, così ce lo ricordava Giovanni Paolo II nella sua ultima Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia, si concreta —specificamente— nell’Eucaristia: «La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime solamente una esperienza quotidiana di fede, ma in sintesi rinchiude anche il nucleo del mistero della Chiesa. Questa sperimenta con allegria come si realizza continuamente, in molteplici forme la promessa del Signore: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). (...) L’Eucaristia è mistero di fede e, allo stesso tempo, “mistero di luce”. Ogni volta che la Chiesa la celebra, i fedeli possono rivivere in qualche modo, l’esperienza dei due discepoli di Èmmaus: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31).

Chiediamo a Dio una fede profonda, una costante inquietudine che si sazi nella fonte eucaristica, ascoltando e assimilando la Parola di Dio; nutrendo e saziando il nostro appetito nel Corpo di Cristo. Che lo Spirito Santo riempi di luce la nostra ricerca di Dio.
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14/05/2021 07:38
 
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«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)
Oggi la Chiesa ricorda il giorno in cui gli Apostoli scelsero quel discepolo di Gesù che doveva sostituire a Giuda Iscariota. Come ci narra opportunamente San Giovanni Crisostomo in una delle sue prediche, al momento di scegliere persone che usufruiranno di una certa responsabilità, possono esserci certe rivalità e discussioni. Per questo, San Pietro «si disinteressa dell’invidia che avrebbe potuto sorgere», lo lascia alla sorte, all’ispirazione divina, evitando così questa possibilità. Questo Padre della Chiesa, continua dicendo: «È certo che le decisioni importanti molte volte possono generare dispiaceri».

Nel Vangelo del giorno, il Signore parla agli Apostoli riguardo all’allegria che devono sentire: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»(Gv 5,11). In effetti, il cristiano, come Mattia, vivrà felice e con una serena allegria, se assume i diversi avvenimenti della vita dalla grazia della filiazione divina. Altrimenti, finirebbe lasciandosi trasportare da falsi tormenti, da sciocche invidie o da pregiudizi di qualsiasi tipo. L’allegria e la pace sono sempre i frutti dell’esuberanza, dell’impegno apostolico e della lotta per arrivare a essere santi. È il risultato logico e soprannaturale dell’amore a Dio e dello spirito di servizio al prossimo.

Romano Guardini scriveva: «La sorgente dell’allegria, si trova nel più profondo dell’essere di una persona (...). Lì risiede Dio. Allora, l’allegria si espande e ci fa luminosi. E tutto ciò che è bello è percepito con tutto il suo splendore». Quando non siamo contenti dobbiamo saper pregare come San Tommaso Moro: «Mio Dio, concedimi il senso dell’umore affinché possa assaporare la felicità della vita e possa trasmetterla agli altri». Non dimentichiamo quello che Santa Teresa del Gesù chiedeva anche: «Dio, liberami dai santi con la faccia triste, giacché un santo triste è un triste santo».
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15/05/2021 08:35
 
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«Sono uscito dal Padre (...) e vado al Padre»

Rev. D. Xavier ROMERO i Galdeano
(Cervera, Lleida, Spagna)
Oggi, alla vigilia della festa dell’Ascensione del Signore, il Vangelo ci lascia delle amorevoli parole di commiato. Gesù ci fa partecipi del suo mistero più stimato; Dio Padre è la sua origine, e alla volta il suo destino: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28).

Non dovrebbe mai cessare di risuonare in noi questa grande verità della seconda Persona della Santissima Trinità: realmente, Gesù è il Figlio di Dio; il Padre divino è la sua origine e, alla volta, il suo destino.

Per quelli che credono di saperlo tutto su Dio, che dubitano però della filiazione divina di Gesù, il Vangelo di oggi ha una cosa importante da ricordare: “Colui” che i giudei chiamano Dio è Colui che ci ha inviato Gesù; è, perciò, il Padre dei credenti. Con ciò si dice chiaramente che solo può conoscersi veramente Dio se si ammette che questo Dio è il Padre di Gesù.

E questa filiazione divina di Gesù ci ricorda un altro aspetto fondamentale della nostra vita: i battezzati siamo figli di Dio in Cristo per lo Spirito Santo. Ciò nasconde un mistero bellissimo per noi: questa paternità divina adottiva di Dio verso ogni uomo si distingue dall'adozione umana in quanto ha un fondamento reale in ognuno di noi, giacché suppone una nuova nascita. Pertanto, chi è stato introdotto nella grande Famiglia divina non è più un estraneo.

Per questo, nel giorno dell'Ascensione ci verrà ricordato nella Preghiera Colletta della Messa che tutti i figli abbiamo seguito i passi del Figlio: «Concedici, Dio onnipotente, di esultare di gioia e di ringraziarti in questa liturgia di lode, poiché l'Ascensione di Gesù Cristo, tuo Figlio, è già la nostra vittoria, e dove ci ha preceduti Lui, che è la nostra testa, speriamo di arrivare anche noi come membri del suo corpo». Infine, nessun cristiano dovrebbe “staccarsi”, giacché tutto questo è più importante che partecipare in qualunque corsa o maratona, giacché la meta è il cielo, Dio stesso!
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16/05/2021 10:07
 
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«Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, in questa solennitá, ci viene offerta una parola di salvezza, come mai l’abbiamo potuta immaginare. Il Signore Gesù non solo è risorto, vincendo la morte e il peccato, ma è anche stato portato alla gloria di Dio! Pertanto, la via del ritorno al Padre, quella strada che avevamo perso e che ci si è riaperta col mistero del Natale, è stata irrevocabilmente offerta oggi, dopo che Cristo ha dato tutto se stesso al Padre sulla croce.

Offerto? Offerto, sì. Perché Gesù Cristo, prima di essere portato in cielo, ha inviato ai suoi discepoli amati, gli Apostoli, a invitare tutti gli uomini a credere in Lui, per poter arrivare lá dove Lui si trova. "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" (Mc 16,15-16).

Questa salvezza che si dà a noi consiste, finalmente, nel vivere la stessa vita di Dio, come ci dice il Vangelo di Giovanni: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo."(Gv 17,3).

Ma quel che si dá per amore deve essere accettato nell’amore per poterlo ricevere come dono. Gesù Cristo, quindi, che non abbiamo visto, vuole che gli offriamo il nostro amore attraverso la nostra fede, che riceviamo ascoltando la Parola dei suoi ministri, che possiamo vedere e sentire. "Crediamo in Colui che non abbiamo visto. Lo hanno annunciato coloro che lo hanno visto. (...) Chi ha promesso è fedele e non inganna: non mancare alla tua fiducia, ma spera nella promessa. (...) Mantieni la fede!"(S. Agostino). Se la fede è un’offerta di amore a Cristo, conservarla e farla crescere fà sì che aumenti in noi la caritá.

Offriamo, dunque, al Signore la nostra fede!
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17/05/2021 08:32
 
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«Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!»

Rev. D. Jordi CASTELLET i Sala
(Sant Hipòlit de Voltregà, Barcelona, Spagna)
Oggi, possiamo avere la sensazione che il mondo della fede in Cristo si indebolisca. Vi sono molte notizie che vanno contro la fortezza che vorremmo ricevere dalla vita radicata integralmente nel Vangelo. I valori del consumismo, del capitalismo, della sensualità e del materialismo sono in voga e contro tutto ciò che suppone mettersi in sintonia con le esigenze evangeliche. Tuttavia, questo insieme di valori e modi di intendere la vita non danno la pienezza e la pace, anzi recano disagio ed inquietudine. Non sarà forse per questi motivi che oggi le persone camminano per le strade con volti tristi, chiuse in se stesse e preoccupate per un futuro che vedono tutt’altro che chiaro, precisamente perché lo hanno ipotecato al prezzo di un’automobile, di una casa o di una vacanza che, sta di fatto, non si possono permettere?

Le parole di Gesù ci invitano ad avere fiducia: «Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo» (Gv 16,33), cioè con la Sua Passione, Morte e Resurrezione ha raggiunto la vita eterna, quella vita che non ha ostacoli, quella vita senza limiti perché ha superato tutti i limiti e ha superato tutte le difficoltà.

Noi, che siamo di Cristo, superiamo tutte le difficoltà così come Lui le ha superate, anche se nella nostra vita ci vediamo costretti a passare attraverso successive morti e resurrezioni, mai desiderate ma si accettate dallo stesso Mistero Pasquale di Cristo. Non sono per caso “morti” la perdita di un amico, la separazione da una persona amata, il fallimento di un progetto o le limitazioni che sperimentiamo a causa della nostra fragilità umana?

«Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.» (Rm 8,37). Siamo testimoni dell’amore di Dio, perché Lui, in noi, «grandi cose ha fatto» (Lc 1,39) e ci ha dato il Suo aiuto per superare ogni difficoltà, anche la morte, perché Cristo ci dona il Suo Santo Spirito.
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18/05/2021 07:48
 
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«Padre, è venuta l’ora»

Rev. D. Pere OLIVA i March
(Sant Feliu de Torelló, Barcelona, Spagna)
Oggi il Vangelo di Giovanni —che da giorni stiamo leggendo— inizia parlandoci ”dell’ora”: «Padre, è giunta l’ora» (Gv 17,1). Il culmine, la glorificazione di tutte le cose, la donazione massima di Cristo per tutti... “L’ora” è ancora una realtà nascosta agli uomini. Si rivelerà man mano che la trama della vita di Gesù ci va aprendo la prospettiva della croce.

È giunta l’ora? L’ora di cosa? Ebbene, è giunta l’ora nella quale gli uomini conoscono il nome di Dio, cioè la Sua azione, il modo di dirigersi all’umanità, il modo di parlare a noi nel Figlio, in Cristo che ama.

Gli uomini e le donne di oggi, conoscendo Dio attraverso Gesù («Le parole che hai dato a me io le ho date a loro»: Gv 17,8), riusciamo ad essere testimoni della vita, della vita divina che si realizza in noi per il sacramento battesimale. In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo, in Lui troviamo parole che alimentano e che ci fanno crescere; in Lui scopriamo quel che Dio vuole da noi: la pienezza, la realizzazione umana, una vita vissuta senza vanagloria personale ma un atteggiamento esistenziale basato su Dio e la Sua Gloria. Ci ricorda Sant Ireneo che «La Gloria di Dio è che l’uomo viva». Lode e Gloria a Dio affinché la persona umana arrivi alla sua pienezza.

Siamo segnati dal Vangelo di Gesù; lavoriamo per la Gloria di Dio, compito che si traduce in un maggior servizio alla vita di uomini e donne di oggi. Questo significa: lavorare per una vera comunicazione umana, per la vera felicità della persona, far gioire chi è triste, compatirsi con i deboli... in definitiva... aperti alla Vita (con maiuscola).

Per lo Spirito, Dio lavora in ognuno di noi e abita nel più recondito di ogni persona, e non smette di stimolare tutti noi a vivere il Vangelo e i suoi valori. La Buona Notizia è espressione della felicità liberatrice che Lui vuole dare a noi.
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19/05/2021 07:17
 
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«Perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia»

Fr. Thomas LANE
(Emmitsburg, Maryland, Stati Uniti)
Oggi, viviamo in un mondo che non sa come essere veramente felice con la felicità di Gesù, un mondo che cerca la felicità di Gesù in tutti i posti sbagliati e nel modo più sbagliato possibile. Cercare la felicità senza Gesù solo può condurre a un'infelicità ancora più profonda. Fissiamoci nelle telenovelas, dove sempre si tratta di qualcuno che ha problemi. Queste serie televisive dimostrano le miserie di una vita senza Dio.

Ma noi vogliamo vivere al giorno d’oggi con l'allegria di Gesù. Lui prega a suo Padre nel Vangelo di oggi: «e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13). Rendiamoci conto che Gesù vuole che in noi la sua allegria sia completa. Desidera colmarci della sua allegria. Questo non significa che non abbiamo la nostra croce, giacché «il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo» (Gv 17,14), ma Gesù si aspetta da noi che viviamo con la sua allegria senza preoccuparci di ciò che il mondo possa pensare di noi. L'allegria di Gesù deve impregnarci fino all’intimo del nostro essere, evitando che il fragore superficiale di un mondo senza Dio possa penetrare in noi.

Viviamo dunque, oggi, con l'allegria di Gesù. Come possiamo ottenere sempre di più da questa allegria di Gesù Signore? Ovviamente dal proprio Gesù. Gesù Cristo è l'unico che può darci la vera felicità che manca nel mondo, come lo testimoniano le citate serie televisive. Gesù disse, «se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Dedichiamo perciò, ogni giorno, un po' del nostro tempo alla preghiera con la parola di Dio nelle Scritture; alimentiamoci e consumiamo le parole di Gesù nella Sacra Scrittura; lasciamo che siano il nostro alimento, per saziarci con la sua gioia: «All'inizio dell'essere umano non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro di un avvenimento, con una Persona che da alla vita un nuovo orizzonte alla vita» (Benedetto XVI).
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20/05/2021 08:02
 
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«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me»

P. Joaquim PETIT Llimona, L.C.
(Barcelona, Spagna)
Oggi, nel Vangelo troviamo una solida base per la fiducia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). È il cuore di Gesù il quale, nella intimità con i suoi, apre loro i tesori inesauribili del Suo Amore. Vuole rassicurare i loro cuori afflitti dall’aria di congedo che hanno le parole e i gesti del Maestro durante l’Ultima Cena. È la preghiera doverosa di Gesù che va al Padre chiedendo per loro. Quanta forza e sicurezza troveranno poi in questa preghiera durante la loro missione apostolica! In mezzo a tutte le difficoltà e pericoli che dovranno affrontare, questa preghiera li accompagnerà e sarà fonte di fermezza e coraggio per testimoniare, con l’offerta della propria vita, la loro fede.

La contemplazione di questa realtà, di questa preghiera di Gesù per i suoi, deve arrivare anche alle nostre vite: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). Queste parole, attraverso i secoli, arrivano a noi con la stessa forza con la quale furono pronunciate, fino al cuore di tutti e a ognuno dei credenti.

Nel ricordo dell’ultima visita di San Giovanni Paolo II in Spagna, troviamo nelle parole del Papa l’eco di questa preghiera di Gesù per i suoi: «Con le mie braccia aperte vi porto tutti nel mio cuore –disse il Pontefice davanti a più di un milione di persone-. Il ricordo di questi giorni si farà preghiera, chiedendo per voi tutti la pace in fraterna convivenza, stimolati da una speranza cristiana che non delude». E un po' più in là nel tempo, un’altro Papa faceva una esortazione con parole che giungono ancora al nostro cuore dopo tanti secoli: «Non vi è nessun malato al quale vi sia negata la vittoria della croce, né vi è nessuno al quale non lo aiuti la preghiera di Cristo. Giacché se questa è stata di profitto per coloro i quali hanno infierito contro di Lui, quanto più lo sarà per coloro i quali si rivolgono a Lui?» (San Leone Magno).
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23/05/2021 07:43
 
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«Ricevete lo Spirito Santo»

Mons. José Ángel SAIZ Meneses, Arcivescovo di Siviglia
(Sevilla, Spagna)
Oggi, nel giorno di Pentecoste si compie la promessa che Gesù fece agli Apostoli. Nel pomeriggio del giorno di Pasqua alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). La venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste rinnova e porta a termine questo dono in modo solenne e con manifestazioni esterne. Così culmina il mistero pasquale.

Lo Spirito che Gesù comunica crea, nel discepolo, una nuova condizione umana producendo unità. Quando l’orgoglio dell’uomo lo porta a sfidare Dio costruendo la Torre di Babele, Dio confonde le loro lingue così che non possano capirsi. In Pentecoste avviene l’inverso: per grazia dello Spirito Santo, gli Apostoli sono capiti per gente di provenienze e lingue diverse.

Lo Spirito Santo è il Maestro interiore che guida il discepolo verso la verità, che lo spinge ad operare bene, che lo consola nel dolore, che lo trasforma interiormente, dando forza e capacità nuove.

Il primo giorno di Pentecoste dell’era cristiana, gli Apostoli si trovavano riuniti in compagnia di Maria, raccolti in preghiera. Il raccoglimento, l’attitudine di preghiera è imprescindibile per ricevere lo Spirito. «Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (Atti 2,2-3).

Tutti furono pieni di Spirito Santo e si misero a predicare coraggiosamente. Quegli uomini intimoriti erano stati trasformati in coraggiosi predicatori per niente temerosi del carcere, della tortura o del martirio. Non c’è da sorprendersi: la forza dello Spirito era in loro.

Lo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità, è l’anima della mia anima, la vita della mia vita, l’essere del mio essere; è la mia santificazione, l’ospite del mio più profondo interiore. Per raggiungere la maturità nella vita di fede è necessario che la relazione con Lui sia ogni volta più consapevole, più personale. In questa celebrazione di Pentecoste spalanchiamo le porte del nostro interiore.

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24/05/2021 07:46
 
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«Ecco tuo figlio»

P. Alexis MANIRAGABA
(Ruhengeri, Ruanda)
Oggi facciamo memoria di Maria, Madre della Chiesa. In questo senso, contempliamo la maternità spirituale di Maria in connessione con la Chiesa che è —in sé stessa— Madre del Popolo di Dio, perché «nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre» (San Cipriano). Maria è la Madre del Figlio di Dio e allo stesso tempo Madre di coloro che amano il suo Figlio e i “ben amati” di suo Figlio, in conformità con quel «Donna, ecco tuo figlio; discepolo: Ecco tua madre» (Gv 19, 26-27), come disse Gesù. Dando il suo corpo agli uomini e restituendo il suo spirito al Padre, Gesù Cristo perfino ha anche dato sua Madre ai suoi amici.

E il più grande amore è quello con cui Gesù ama la Chiesa (cfr Ef 5,25), alla quale appartengono i suoi amici. Pertanto, i figli adottati da Dio non possono avere Gesù come fratello se non hanno Maria come Madre perché, mentre Maria ama suo Figlio, ama la Chiesa della quale Lei è un membro eminente. Ciò non significa che Maria sia superiore alla Chiesa, ma che è «madre dei membri di Cristo» (Sant'Agostino).

Il Concilio Vaticano II aggiunge che Maria è «veramente madre delle membra di Cristo perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra (Gesù)». Inoltre, rimanendo in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo (cfr At 1, 14), Maria —Madre della Chiesa— ricorda la presenza, il dono e l'azione dello Spirito Santo nella Chiesa missionaria. Invocando lo Spirito Santo nel cuore della Chiesa, Maria prega con la Chiesa e prega per la Chiesa, perché «assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge» (Prefazion della Messa “Maria, Madre della Chiesa”).

Maria si prende cura dei suoi figli. Possiamo, quindi, affidargli tutta la vita della Chiesa, come ha fatto Papa Paolo VI: «O Vergine Maria, Madre di Dio, Madre augustissima della Chiesa, a te raccomandiamo tutta la Chiesa e il Concilio Ecumenico».
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25/05/2021 08:00
 
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«Non c’è nessuno che abbia lasciato casa (...) per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva (...) cento volte tanto (...) e la vita eterna nel tempo che verrà»

Rev. D. Jordi SOTORRA i Garriga
(Sabadell, Barcelona, Spagna)
Oggi, come quel padrone che andava in piazza ogni mattina a cercare lavoratori per la sua vigna, il Signore cerca discepoli, seguaci, amici. Il Suo invito è universale. E’ un’offerta affascinante! Il Signore ci dà fiducia. Pone, però, una condizione per essere Suoi discepoli, condizione che può scoraggiarci; bisogna lasciare «casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo»(Mc 10,29).

Non c’è contropartita? Non c’è compenso? Questo ci apporterà dei benefici? Pietro a nome degli Apostoli, ricorda al Maestro: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc 10,28), quasi volesse dire: che beneficio otterremo da tutto questo?

La promessa del Signore è generosa; «già al presente cento volte (...) e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,30). Lui non si lascia vincere in generosità. Però aggiunge: “Con persecuzioni”. Gesù è realista e non vuole ingannarci. Essere Suoi discepoli, se lo siamo veramente, ci porterà difficoltà, problemi. Ma Gesù considera le persecuzioni e le difficoltà come un premio, giacchè ci aiutano a crescere, se le sappiamo accettare e vivere come un’occasione per guadagnare in maturità e in responsabilità. Tutto quello che è motivo di sacrificio ci fa rassomigliare a Gesù che ci salva con la sua morte sulla Croce.

Stiamo sempre in tempo per rivedere la nostra vita ed avvicinarci di più a Gesù. Questi tempi, e tutto il tempo, ci permettono –per mezzo della preghiera e dei sacramenti- di verificare se, tra i discepoli che Lui cerca, ci siamo noi, e vedremo pure quale deve essere la nostra risposta a questa chiamata. Accanto alle risposte radicali (come quella degli Apostoli) ve ne sono altre. Per molti, lasciare “casa, fratelli, sorelle, madre, padre...”vorrà dire tutto quello che ci impediva di vivere in profondità l’amicizia verso Gesù e, conseguentemente, essere Suoi testimoni di fronte al mondo. E questo è urgente, non ti sembra?
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26/05/2021 09:20
 
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«Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»

Rev. D. René PARADA Menéndez
(San Salvador, El Salvador)
Oggi, il Signore ci insegna quale dev’essere il nostro atteggiamento davanti alla Croce. L’amore ardente alla volontà di Suo Padre, per consumare la salvazione del genero umano –di ogni uomo e di ogni donna- Lo muove ad andare in fretta verso Gerusalemme, dove «sarà consegnato (...), lo condanneranno a morte (...), lo flagelleranno e l’uccideranno (cf. Mc 10,33-34). Anche se non comprendiamo, o incluso, abbiamo paura di fronte al dolore, la sofferenza o le contraddizioni di ogni giorno, cerchiamo di restare uniti –per amore alla volontà salvifica di Dio- all’offerta della croce di ogni giorno.

L’esercizio assiduo della preghiera e dei sacramenti, specialmente quello della Confessione personale dei peccati e quello dell’Eucaristia, aumenteranno in noi l’amore verso Dio e degli altri per Dio, in tal modo che ci renderemo capaci di dire: «Lo possiamo» (Mc 10,39), nonostante le nostre miserie, paure e peccati. Sì, possiamo abbracciare la croce di ogni giorno (cf.Lc 9,23) per amore, con un sorriso; questa croce che si svela in ciò che è ordinario e quotidiano: la stanchezza nel lavoro, le normali difficoltà nella vita familiare e nelle relazioni sociali, etc.

Solamente se abbracciamo la croce di ogni giorno, negando le nostre preferenze per servire gli altri, riusciremo a identificarci con Cristo, che venne «per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Giovanni Paolo II spiegava che «il servizio di Gesù arriva alla Sua pienezza con la morte sulla Croce, cioè con il dono totale di sè stesso». Imitiamo, dunque, Gesù, trasformando costantemente il nostro amore a Lui con atti di servizio a tutte le persone: ricchi o poveri, con grande o poca cultura, giovani o anziani, senza nessuna distinzione. Atti di servizio per avvicinarli a Dio e liberarli dal peccato.
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27/05/2021 08:28
 
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«Figlio di Davide, abbi pietà di me!»

P. Ramón LOYOLA Paternina LC
(Barcelona, Spagna)
Oggi, Cristo esce a trovarci. Tutti siamo Bartimeo: quel cieco vicino al quale passò Gesù e saltò gridando fino che le prestasse attenzione. Forse abbiamo un nome un po' più gradevole... però la nostra debolezza umana (morale) assomiglia la cecità che soffriva il nostro protagonista. Neanche noi raggiungiamo a vedere che Cristo vive nei nostri fratelli e, così, li trattiamo come li trattiamo. Forse non arriviamo a vedere nelle ingiustizie sociali, nelle strutture di peccato, una chiamata offensiva ai nostri occhi per un impegno sociale. Chissà non intravediamo che «c’è più felicità nel dare che nel ricevere», che «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Vediamo nuvoloso quello che è nitido: che le illusioni del mondo portano alla delusione, e che i paradossi del Vangelo, dopo le difficoltà, procurano frutto, realizzazione e vita. Siamo veramente non vedenti, ma non eufemisticamente, ma in realtà: nostra volontà indebolita per il peccato eclissa la verità nella nostra intelligenza e scegliamo quello che non ci conviene.

Soluzione:gridare, vuol dire, umilmente pregare «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Mc 10,48). E gridare in più quanto più ti rimproverino, ti scoraggino o tu ti scoraggi: «Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte...» (Mc 10,48). Gridare che è anche chiedere: «Rabbunì, che io veda» (cf. Mc 10,51). Soluzione: dare, come lui, un salto nella fede, credere più in là delle nostre certezze, fidarsi di chi ci amò, ci creò, ed è venuto a redimerci e restò con noi, nell’Eucaristia.

Il Papa Giovanni Paolo II ce lo diceva con la sua vita: le sue lunghe ore di meditazione –tante che il suo Segretario diceva che pregava “troppo”- ci dicono chiaramente che «quello che prega cambia la storia».
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28/05/2021 08:04
 
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«Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto»

Fra. Agustí BOADAS Llavat OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi, “frutto” e “petizione” sono parole chiavi nel Vangelo. Il Signore si avvicina a un fico e non trova frutti: soltanto fogliame caduto e reagisce maledicendolo. Secondo San Isidro de Sevilla, “fico’’, e “frutto” hanno la stessa radice. Al giorno dopo, perplessi, gli apostoli gli dicono: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato» (Mc 11,21). Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! (Mc 11,22).

C’è gente che quasi non prega, e cuando lo fa, è con il proposito che Dio gli risolva un problema cosi complicato del quale non vedono una soluzione. Lo argomentano le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato: Per questo vi dico: «Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà» (Mc 11,24). Hanno ragione ed è molto umano, comprensibile e lecito che difronte a problemi che ci superano, ci affidiamo a Dio, in qualche forza superiore a noi.

Però bisogna aggiungere che ogni preghiera è “inutile’’ («vostro Padre sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate») nella misura in cui non ha una utilità pratica diretta, —ad esempio— accendere una luce. Non riceviamo nulla a cambio di pregare, perche tutto ciò che abbiamo da Dio è grazia su grazia.

Pertanto, non è necessario pregare? Al contrario già che ora sappiamo che non è se non grazia, è allora quando la preghiera ha più valore: perchè è “inutile” ed è “gratuita”. Anche così, ci sono tre benefici che ci da la preghiera di petizione: Pace interiore (incontrare l’amico Gesù e affidarsi a Dio rilassa). Riflettere su un problema, ragionarlo e saperlo esporre è averlo averlo già mezzo risolto, e in terzo luogo, ci aiuta a discèrnere fra quello che è buono e quello che chissà per capriccio vogliamo nelle nostre intenzioni di preghiera. Quindi, a posteriori capiamo con gli occhi della fede cio che Gesù dice: «E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perchè il Padre sia glorificato nel figlio» (Gv 14,13).
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29/05/2021 07:36
 
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«Con quale autorità fai queste cose?»

Mn. Antoni BALLESTER i Díaz
(Camarasa, Lleida, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci chiede di pensare con quali intenzioni andiamo a vedere Gesù. Ci sono persone che vanno senza fede, senza riconoscere la sua autorità: per questo, «vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?”» (Mc 11,27-28).

Se non trattiamo a Dio nella preghiera, non avremo fede. Ma, come dice San Gregorio Magno: “quando insistiamo nella preghiera con molta veemenza, Dio si detiene nei nostri cuori e ricuperiamo la vista perduta”. Se abbiamo una buona disposizione, anche se siamo nell’errore, vedendo che l’altro ha ragione, accoglieremo le sue parole. Se abbiamo buone intenzioni, anche se trasciniamo il peso del peccato, nell’orazione Dio ci farà capire la nostra miseria, per riconciliarci con Lui, chiedendo perdono con tutto il cuore e attraverso il sacramento della penitenza.

La fede e la preghiera vanno insieme. Dice San Agostino che, “se ti manca la fede, la preghiera è inutile. Poi, quando preghiamo, crediamo e preghiamo perché non ci manchi la fede. La fede provoca la preghiera, e la preghiera produce a sua volta la forza della fede”. Se disponiamo di buone intenzioni, e accorriamo a Gesù, scopriremo chi è e capiremo la sua parola, quando ci chieda: «Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?» (Mc 11, 30). Per fede, sappiamo che veniva dal cielo, e che la sua autorità viene dal Padre che è Dio, e da Lui stesso perché è la seconda persona della Santissima Trinità.

Poiché sappiamo che Gesù è l’unico salvatore del mondo, ci rivolgiamo a sua Madre che è anche Madre nostra, affinché con il desiderio di accogliere la parola e la vita di Gesù, con buone intenzioni e buona volontà, abbiamo la pace e la gioia dei figli di Dio.
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31/05/2021 08:43
 
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«Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo»

+ Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)
Oggi contempliamo il fatto della Visita della Vergine Maria a sua cugina Elisabetta. Appena le è stato comunicato di essere stata scelta da Dio Padre per essere Madre del Figlio di Dio, e che sua cugina Elisabetta ha ricevuto anche lei il dono della maternità, marcia decisa verso la montagna per felicitare la sua propria cugina, e condividere con lei la gioia di essere state favorite dal dono della maternità e per servirla.

Il saluto della Madre di Dio provoca che il bambino, che Elisabetta porta nel suo grembo salti di entusiasmo fra le entraglie di sua madre: La Madre di Dio, che porta Gesù nel suo grembo è causa di gioia. La maternità è un dono di Dio che genera gioia. Le famiglie gioiscono quando si annunzia una vita nuova. La nascita di Cristo produce certamente «una grande gioia» (Lc 2,10).

Malgrado tutto, oggi la maternità non è valorizzata dovutamente. Frequentemente si prepongono altri interessi superficiali che sono manifestazioni di comodità e di egoismo. Le possibili rinuncie che comporta l’amore paterno e materno, spaventano a tanti matrimoni che chissà per i mezzi che hanno ricevuto da Dio, dovrebbero essere più generosi e dire di “Sì” in maniera più responsabile alle nuove vite. Tante famiglie smettono di essere “santuari della vita”. Il Papa San Giovanni Paolo II fa constatare che la contraccezione e l’aborto «hanno le loro radici nella mentalità edonistica e irresponsabile, rispetto alla sessualità e presuppongono un concetto egoista della libertà, che vede nella procreazione un ostacolo allo sviluppo della propria personalità».

Elisabetta, durante cinque mesi, non usciva di casa e meditava: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore» (Lc 1,25). E Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore (...) perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1,46.48). La Vergine Maria e Elisabetta valorizzano e ingrandiscono l’opera di Dio in loro: la maternità! È necessario che i cattolici ritrovino il significato della vita come un dono di Dio agli esseri umani.
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01/06/2021 06:44
 
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«Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio»

Rev. D. Manuel SÁNCHEZ Sánchez
(Sevilla, Spagna)
Oggi, di nuovo ci meravigliamo dell’ingegno e della saggezza di Cristo. Egli con la Sua magistrale risposta segnala direttamente la giusta autonomia delle realtà terrene: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare» (Mc 12,17).

Ma la Parola di oggi è molto di più che uscire da un affanno; è un fatto che risulta attuale in tutti i momenti della nostra vita: che cosa sto dando a Dio? E’ realmente la cosa più importante nella mia vita? Dove ho posto il cuore? Perché... «dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).

Infatti, secondo San Geronimo, «dovete dare per forza al Cesare la moneta che porta impressa la sua effigie; ma voi consegnate con piacere tutto il vostro essere a Dio, perché è impressa in noi la Sua immagine e non quella del Cesare». Lungo la Sua vita Gesù propone costantemente la questione dell’elezione. Siamo noi che siamo chiamati a scegliere, e le opzioni sono chiare: vivere secondo i valori di questo mondo, o vivere d’accordo ai valori del Vangelo.

E’ sempre tempo di scelta, tempo di conversione, tempo per tornare a risistemare la nostra vita nella dinamica di Dio. Sarà la preghiera e specialmente quella fatta con la Parola di Dio, quella che ci vada scoprendo ciò che Dio vuole da noi. Chi sa scegliere Dio si converte in dimora di Dio, giacché «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). E’ la preghiera che si trasforma in una autentica scuola, dove, come afferma Tertulliano, «Cristo va insegnandoci qual’è la volontà del Padre che Lui realizzava nel mondo e quale deve essere la condotta dell’uomo affinché sia conforme a questo stesso progetto». Sappiamo scegliere, perciò, quello che ci conviene!
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02/06/2021 09:33
 
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«Non è Dio dei morti, ma dei viventi!»

Pbro. D. Federico Elías ALCAMÁN Riffo
(Puchuncaví - Valparaíso, Cile)
Oggi, la Santa Chiesa sottopone alla nostra considerazione –per mezzo della parola di Cristo- la realtà della risurrezione e le proprietà dei corpi risuscitati. Infatti, il Vangelo ci narra l’incontro di Gesù con i sadducei, che –per mezzo di un caso ipotetico subdolo- Gli presentano una difficoltà circa la risurrezione dei morti, verità in cui essi non credevano.

Gli dicono che, se una donna sette volte vedova, «Di quale di loro [dei sette mariti] sarà moglie?» (Mc 12,23). Cercano, così, di ridicolizzare la dottrina di Gesù. Ma il Signore disfa questa difficoltà all’esporre che «Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.» (Mc 12,26-27).

E, vista l’occasione, Nostro Signore approfitta la circostanza per affermare la realtà della risurrezione, citando quello che disse Dio a Mosè nell’episodio del rovo: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isaac e il Dio di Giacobbe» e aggiunge «Non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Mc 12,26-27) Lì Gesù li rimprovera per l’equivoco in cui si trovano, perché non capiscono ne le Scritture ne il potere di Dio; non solo ma questa verità era già stata rivelata nell’Antico Testamento: così lo insegnarono Isaia, la madre dei Maccabei, Giobbe ed altri.

Sant’Agostino descriveva così la vita di eterna e amorosa comunione: «Lì non soffrirai limiti ne angustie perché avrai tutto, e tuo fratello anche lui avrà tutto; perché voi due, tu e lui, sarete una sola cosa e questa unicità possederà pure Colui che possederà ambidue».

Noialtri lungi dal dubitare delle Sacre Scritture e del potere misericordioso di Dio, aderiti, con tutta la mente ed il cuore a questa verità che infonde speranza, ci rallegriamo al non vedere frustrata la nostra sete di vita, piena ed eterna, la quale ci viene rassicurata nello stesso Dio, nella Sua gloria e felicità. Davanti a questo invito divino, non ci resta che accrescere il nostro desiderio di vedere Dio, il desiderio di trovarci per sempre regnando accanto a Lui.
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03/06/2021 07:26
 
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Non c’è altro comandamento più grande di questi»

P. Rodolf PUIGDOLLERS i Noblom SchP
(La Roca del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, un maestro della Legge domanda a Gesù: «Qual’è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28). La domanda è insidiosa. In primo luogo perché cerca di stabilire una gerarchia tra i vari comandamenti; e, in secondo luogo, perché la sua domanda si limita alla Legge. E’ normale, si tratta di una domanda di un maestro della Legge.

La risposta del Signore smonta la spiritualità di quel «maestro della Legge». Ogni atteggiamento di un discepolo di Gesù riguardo a Dio si sintetizza in un doppio punto: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore» e «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12,31). Il comportamento religioso viene definito nella sua relazione verso Dio e verso il prossimo, e il comportamento umano viene stabilito nella sua relazione con gli altri e verso Dio. In altre parole, dice Sant’Agostino: «Ama e fa quello che vuoi». Ama Dio e ama gli altri, e, tutto il resto sarà conseguenza di questo amore integrale.

Il maestro della Legge lo capisce perfettamente e indica che amare Dio con tutto il cuore e amare gli altri come sé stessi «Vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici» (Mc 12,33). Dio sta aspettando la risposta di ogni persona, la donazione totale «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza» (Mc 12,30) a Lui che è la Verità e la Bontà ed e il donarsi generosamente agli altri. I «sacrifici e le offerte» hanno senso solo nella misura in cui siano espressione vera di questo doppio amore. E pensare che a volte usiamo i “piccoli comandamenti” ed “i sacrifici e le offerte” come una pietra per criticare o ferire il prossimo!

Gesù commenta la risposta del maestro della Legge con un «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc12,34). Per Gesù, nessuno, che ami il suo prossimo al di sopra di tutto, è lontano dal regno di Dio.
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05/06/2021 08:57
 
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Venuta una vedova povera, vi gettò due monetine»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)
Oggi, come ai tempi di Gesù, i devoti –e ancor di più i “professionisti” della religione- possiamo soffrire la tentazione di una classe di ipocrisia spirituale, espressa in atteggiamenti vanitosi, giustificati dall’illusione di sentirci migliori degli altri: per un qualcosa, ci consideriamo i credenti, i praticanti... i puri! Almeno nel foro interno della nostra coscienza, a volte, forse ci sentiamo così; senza arrivare, tuttavia a “lasciarci vedere che preghiamo” e, meno ancora a che “ci impadroniamo dei beni altrui”.

In contrasto evidente con i maestri della Legge, il Vangelo ci offre il gesto semplice, diremmo insignificante, di una donna vedova che suscitò l’ammirazione di Gesù: «Venne una vedova povera, vi gettò due monetine» (Mc 12,42). Il valore materiale del donativo era quasi nullo. Ma la volontà di quella donna era ammirevole, eroica: diede tutto quello che aveva per vivere.

In questo gesto, Dio e gli altri si avanzavano a lei e alle sue necessità. Lei rimaneva totalmente nelle mani della Provvidenza. Non le restava nessun’altra cosa a cui afferrarsi, perché aveva messo tutto volontariamente al servizio di Dio e per l’aiuto ai bisognosi. Gesù –che vide quel gesto- giudicò il dimenticarsi di sé stessa e il desiderio di glorificare Dio e di aiutare i poveri, come il donativo più importante di tutti quelli che erano stati fatti –chissà ostentatamente- in quello stesso luogo.

Tutto ciò indica che la scelta fondamentale e salvifica la troviamo nel nucleo della propria coscienza, quando decidiamo aprirci a Dio e vivere per aiutare il prossimo; il valore della scelta non viene calcolato sulla qualità o quantità dell’operato, ma dalla purezza dell’intenzione e la generosità dell’amore.
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06/06/2021 08:40
 
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«Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue»

Mons. José Ángel SAIZ Meneses, Arcivescovo di Siviglia
(Sevilla, Spagna)
Oggi, celebriamo solennemente la presenza eucaristica di Cristo tra noi, il “dono per eccellenza”: «Questo è il mio corpo (...) Questo è il mio sangue» (Mc 14,22-24). Prepariamoci a suscitare nella nostra anima lo “stupore eucaristico” (San Giovanni Paolo II).

Il popolo giudeo, nella sua cena pasquale, commemorava la storia della salvezza, le meraviglie di Dio per il Suo popolo, specialmente la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. In questa commemorazione, ogni famiglia mangiava l’agnello pasquale. Gesù diventa il nuovo e definitivo agnello pasquale, sacrificato sulla croce e mangiato nel pane Eucaristico.

L’Eucaristia è sacrificio: è il sacrificio del corpo immolato di Cristo e del Suo sangue sparso per tutti noi. Nell’Ultima Cena questo venne anticipato. Lungo la storia sarà attualizzato in ogni Eucaristia. In Essa abbiamo l’alimento: è il nuovo alimento che da vita e forza al cristiano mentre cammina verso il Padre.

L’Eucaristia è presenza di Cristo tra noi. Cristo, risuscitato e glorioso resta fra noi, in un modo misterioso ma reale, nell’Eucaristia. Questa presenza implica un atteggiamento di adorazione da parte nostra ed un atteggiamento di comunione personale con Lui. La presenza eucaristica ci garantisce che Lui resta tra noi e continua a svolgere l’opera della salvezza.

L’Eucaristia è mistero di fede. E’ il centro e la chiave della vita della Chiesa. E’ la fonte e radice dell’esistenza cristiana. Senza la vivenza eucaristica, la fede cristiana si riduce ad una filosofia.

Gesù ci dà il comandamento dell’amore di carità, nell’istituzione dell’Eucaristia. Non si tratta dell’ultima raccomandazione dell’amico che parte e va lontano o del padre che vede prossima la sua morte. E’ la conferma del dinamismo che Lui mette tra noi. Con il Battesimo cominciamo una vita nuova, che viene alimentata per mezzo dell’Eucaristia. Il dinamismo di questa vita porta ad amare gli altri, ed è un dinamismo che va crescendo fino a dare la vita: in questo scorgeranno gli altri che siamo cristiani.

Cristo ci ama perchè riceve la vita dal Padre. Noi ameremo, ricevendo dal Padre la vita, specialmente attraverso il cibo eucaristico.
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08/06/2021 09:56
 
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«Voi siete il sale della terra (...)Voi siete la luce del mondo»

Rev. D. Francesc PERARNAU i Cañellas
(Girona, Spagna)
Oggi, San Matteo ci ricorda quelle parole con le quali Gesù parla della missione dei cristiani: essere sale e luce del mondo. Il sale, da una parte, è quel condimento necessario che da sapore ai cibi: senza sale, le vivande sono insipide! D’altra parte, per molti secoli, il sale è stato l’elemento fondamentale per la conservazione degli alimenti, per la sua capacità di evitare la decomposizione. Gesù ci dice: Dovete essere sale nel vostro mondo, e come il sale dar gusto onde evitare la corruzione.

Ai nostri tempi, molti hanno perso il senso della loro vita e dicono che non ne vale la pena; che è piena di dispiaceri, di difficoltà e di sofferenze; che passa troppo in fretta e che ha come prospettiva finale –assai triste- la morte.

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13). Il cristiano deve metterci il sapore: mostrare con la gioia e l’ottimismo sereno, di chi sa di essere figlio di Dio, che, in questa vita tutto è un cammino di santità; che le difficoltà, le sofferenze e i dolori aiutano a purificarci; e che poi ci aspetta la vita della Gloria, la felicità eterna.

E, anche come il sale, il discepolo di Cristo deve preservare dalla corruzione: dove c’è un cristiano di fede viva, non vi può esserci ingiustizia, violenza, abusi verso i più deboli... Anzi deve risplendere la virtù della carità con pieno vigore: l’interesse per gli altri, la solidarietà, la generosità...

E, così, il cristiano diventa luce del mondo (cf.Mt 5,14). Il cristiano è quella fiaccola che, con l’esempio della sua vita, porta la luce della verità fino all’ultimo angolo della terra, segnalando il cammino della salvezza... Là, dove prima c’erano solamente tenebre, incertezze e dubbi, nasce la luce, la certezza e la fiducia assoluta.
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10/06/2021 07:50
 
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«Se la vostra giustizia non supererà (...), non entrerete nel regno dei cieli»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)
Oggi, Gesù ci invita ad andare più in là di quanto possa vivere qualunque semplice osservante della legge. Anche senza cadere nella concrezione di cattive azioni, molte volte l’abitudine indurisce il desiderio della ricerca della santità, adattandoci conciliantemente all’abitudine di comportarsi bene e nient’altro. San Giovanni Bosco soleva ripetere: «Il buono è nemico dell’ottimo». E’ lì dove ci porta la Parola del Maestro, che ci invita a realizzare cose “maggiori” (cf. Mt5,20); che partono da un atteggiamento diverso. Cose maggiori che paradossalmente, passano attraverso cose minori, attraverso le più piccole. Incollerirsi, disprezzare e ingiuriare il fratello non vanno d’accordo con i discepoli del Regno, che è stato chiamato ad essere –nientemeno- che sale della terra e luce del mondo (cf.Mt 5,13-16), da quando esistono le beatitudini (cf.Mt 5,3-12).

Gesù, con autorità, cambia l’interpretazione del precetto negativo “non uccidere” (cf. Ex 20,13) con l’interpretazione positiva della profonda e radicale esigenza della riconciliazione – messa, per darle maggior enfasi- in relazione al culto. Così, non c’è offerta che valga quando ricordi che un fratello tuo ha qualcosa contro di te (cf. Mt 5,23) E’ perciò importante conciliare qualunque discordia, perché, diversamente, l’invalidità dell’offerta sarà rivolta contro di te (cf. Mt 5,26).

Tutto questo solamente potrà mobilitarlo un amore grande. Ci dirà San Paolo: «(...) non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in questa massima: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rom 113,9-10). Chiediamo di essere rinnovati nel dono della carità –fino al minimo dettaglio- verso il prossimo e la nostra vita sarà la migliore e la più autentica offerta che possiamo fare a Dio.
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11/06/2021 07:54
 
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«Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)
Oggi, ci viene offerto davanti agli occhi corporali –o meglio ancora davanti agli “occhi interiori”, illuminati dalla fede- l’immagine di Cristo, che, appena morto sulla Croce, ebbe il fianco aperto da una lancia scagliata dal centurione. «Subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,34). Spettacolo angosciante e allo stesso tempo, eloquentissimo! Non esiste nessuna possibilità per sostenere la tesi di qualcuno che afferma trattarsi di una morte apparente: Gesù è certamente morto, al cento per cento. Non solo, quell’ “acqua” misteriosa, che non uscirebbe da un corpo sano, normale, ci indica, secondo la medicina moderna, che la morte di Cristo avvenne a causa di un infarto o, come dicevano alcuni antenati, Gesù ebbe il cuore spaccato. Solamente in questo caso avviene la separazione del siero dai globuli rossi. Questo spiega quell’anomalo “sangue ed acqua”.

Quindi, Cristo è morto davvero, ed è morto sia a causa dei nostri peccati, sia per il Suo più ardente e principale desiderio: poter cancellare i nostri peccati. «Con la mia morte, ho vinto la morte ed ho innalzato l’uomo alla sublimità del cielo» (Melitón de Sardis). Dio, che ha sostenuto la promessa di risuscitare Suo Figlio, sosterrà anche la seconda promessa: risusciterà anche noi e ci innalzerà alla propria destra. Mette, però, una condizione minima: credere in Lui e lasciarci salvare da Lui. Dio non impone a nessuno il Suo amore a scapito della libertà umana.

Infine, su quell’Uomo che ha sofferto il colpo di lancia nel Suo cuore, «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), ce lo conferma pure l’Apocalissi: «Ecco, viene con le nubi ed ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7). Questa è una sacra esigenza della giustizia divina: dopo tutto, anche quelli che Lo hanno ostinatamente rifiutato dovranno riconoscerLo.. Anzi, il tiranno che si venera, l’assassino spietato, il superbo ateo..., tutti senza eccezione, si vedranno forzati ad inginocchiarsi davanti a Lui, riconoscendoLo quale vero, unico Dio. Non sarà meglio, allora, esserGli amici fin d’ora?
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14/06/2021 08:22
 
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«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù ci insegna che l’odio si supera con il perdono. La legge del taglione era un progresso poiché limitava il diritto a vendicarsi in una giusta proporzione: solo puoi fare al prossimo quello che lui ha fatto a te, contrariamente commetteresti una ingiustizia; questo è quello che significa l’aforismo «occhio per occhio, dente per dente». Malgrado ciò era un progresso limitato, visto che Gesù Cristo nel Vangelo afferma il bisogno di superare la vendetta con l’amore, così lo espresse Lui stesso quando, nella croce, intercedette per i suoi carnefici: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Ciò nonostante, il perdono deve essere accompagnato dalla verità. Non perdoniamo soltanto perché ci sentiamo impotenti e complessati. Spesso si è confusa l’espressione «porgi l’altra guancia” con l’idea della rinuncia ai nostri legittimi diritti. Non si tratta di questo. Porgere l’altra guancia significa denunciare e interpellare a chi lo ha fatto, con un gesto pacifico però deciso, l’ ingiustizia che ha commesso; è come dirgli «Mi hai picchiato in una guancia. Allora, vuoi picchiarmi anche nell’altra? Ti sembra corretto il tuo comportamento?». Gesù rispose con serenità al servo insolente del sommo sacerdote: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23).

Vediamo, dunque, quale deve essere la condotta del cristiano: non cercare la rivincita, però si mantenersi fermi; essere disposti al perdono e dire le cose con chiarezza. Certamente non è un’arte facile, però è l’unico modo di frenare la violenza e manifestare la grazia divina a un mondo spesso privo di grazia. San Basilio ci consiglia: «Fate caso e dimenticherete le ingiurie e gli oltraggi che vi giungano dal prossimo. Potrete vedere i nomi diversi che avrete l’uno e l’altro; a lui lo chiameranno collerico e violento, e a voi mansueti e pacifici. Lui si pentirà un giorno della sua violenza e voi non vi pentirete mai della vostra mansuetudine».
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15/06/2021 08:53
 
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«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)
Oggi, Cristo ci invita ad amare. Amare senza limiti, che è la misura dell'Amore vero. Dio è Amore, «che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). E l'uomo, scintilla di Dio, deve lottare per somigliare a Lui ogni giorno, «perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,45). Dove troviamo il volto di Cristo? Negli altri, nel prossimo più vicino a noi. È molto facile provare compassione per i bambini affamati d'Etiopia quando li vediamo in televisione, o per gli immigranti che arrivano ogni giorno sulle nostre spiagge. Ma, e quelli di casa nostra? Ed i nostri compagni di lavoro? E quel famigliare lontano che è solo e al quale potremmo andare a fargli un po’ di compagnia? Gli altri, come li trattiamo? Come li amiamo? Concretamente quale servizio rendiamo loro ogni giorno?

È molto facile amare chi ci ama. Ma il Signore ci invita ad andare oltre, perché «se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Amare i nostri nemici! Amare quelle persone che sappiamo —con certezza— che non ci restituiranno mai né l'affetto, né il sorriso, né quel favore. Semplicemente perché ci ignorano. Il cristiano, ogni cristiano, non può amare “interessatamente”; non deve dare un pezzo di pane, un'elemosina al mendicante dell'angolo della strada. Deve dare sé stesso. Il Signore morente sulla Croce, perdona chi lo crocifigge. Non un rimprovero, non un lamento, né un gesto improprio...

Amare senza aspettare nulla a cambio. Quando amiamo dobbiamo seppellire le calcolatrici. La perfezione è amare senza limiti. La perfezione l'abbiamo nelle nostre mani in mezzo al mondo, tra le nostre occupazioni di ogni giorno. Facendo quello che bisogna fare ad ogni istante, non quello che ci soddisfa di più. La Madre di Dio, alle nozze di Cana di Galilea, si accorge che gli invitati non hanno vino. E si fa avanti. E chiede al Signore che faccia il miracolo. Chiediamo a Lei oggi il miracolo di saperlo scoprire nelle necessità altrui.
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16/06/2021 07:47
 
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«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù ci invita a operare per la gloria di Dio, con lo scopo di gradire al Padre, che perciò stesso siamo stati creati. Cosi lo afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dio ha creato tutto per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione». Questo è il senso della nostra vita e il nostro onore: gradire al Padre, compiacere Dio. Questo è il testimonio che ci ha lasciato Cristo. Magari il Padre celeste possa dare di ognuno di noi lo stesso testimonio che ha dato del suo Figlio al momento del battesimo: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17).

La mancanza di una retta intenzione sarebbe specialmente grave e ridicola se avvenisse in atti come la preghiera, il digiuno e l´elemosina, perché questi sono atti di pietà e carità, vuol dire, atti che —di per se— sono propri della virtù della religione o atti che si eseguono per amore a Dio.

Per questo, «guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Come potremmo gradire a Dio se quello che procuriamo fin dall´inizio è che ci vedano ed essere ben considerati —prima di tutto— davanti agli uomini? Non significa che dobbiamo nasconderci dagli uomini affinché non ci vedano, piuttosto si intende che dobbiamo dirigere le nostre buone opere direttamente e in primo luogo a Dio. Non importa e non è nemmeno pregiudizievole che ci vedano gli altri: al contrario, poiché possiamo educarli con la testimonianza coerente del nostro agire.

Quello che è veramente importante —e molto!— è che noi vediamo Dio dietro le nostre azioni. E, per questo, dobbiamo «esaminare con molta cura (accuratezza) la nostra intenzione in tutto quello che facciamo, e non cercare i nostri interessi, se vogliamo servire il Signore» (San Gregorio Magno).
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17/06/2021 09:04
 
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«il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate»

Rev. D. Emili MARLÉS i Romeu
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi il Signore vuole aiutarci a crescere in un tema centrale della nostra vita cristiana: la preghiera. Ci avverte di non pregare come i pagani che cercano di convincere Dio di ciò che vogliono. Molte volte cerchiamo di ottenere ciò che vogliamo attraverso l'insistenza, rendendoci “pesanti” a Dio, credendo che saremo in grado di farci sentire con la nostra verbosità. Il Signore ci ricorda che il Padre è costantemente sollecito della nostra vita e che, in ogni momento, sa di cosa abbiamo bisogno prima che glielo chiediamo (cfr. Mt 6,8). Viviamo con questa fiducia? Sono consapevole che il Padre mi lava costantemente i piedi e che conosce meglio di chiunque altro ciò di cui ho bisogno in ogni momento (nelle cose grandi e piccole)?

Gesù apre per noi un nuovo orizzonte di preghiera: la preghiera di coloro che si rivolgono a Dio con la coscienza dei bambini. Il tipo di relazione che ho con una persona determina come chiedo le cose e anche cosa posso aspettarmi da lei. Da un padre, e specialmente dal Padre celeste, posso aspettarlo tutto e so che si prende cura della mia vita. Per questo motivo, Gesù, che vive sempre da vero figlio, ci dice «non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete» (Mt 6,25). Ho davvero questa coscienza di figlio? Mi rivolgo a Dio con la stessa familiaretà come lo faccio con mio padre o mia madre?

Dopo, Gesù ci apre il suo cuore e ci insegna come è il suo rapporto/preghiera con il Padre in modo che anche noi lo facciamo nostro. Con la preghiera del “Padre nostro” Gesù ci insegna a vivere da bambini. San Cipriano ha un noto commento al “Padre nostro”, in cui ci dice: « Ma bisogna che ci ricordiamo, o fratelli carissimi, quando chiamiamo Dio nostro Padre, che dobbiamo comportarci da figli di Dio. Se ci compiacciamo in Dio, nostro Padre, anche lui deve potersi compiacere di noi».
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18/06/2021 08:56
 
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«Accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)
Oggi, il Signore ci dice che «La lucerna del corpo è l'occhio» (Mt 6,22). Santo Tommaso interpreta che con questo —parlando dell'occhio— Gesù si riferisce all´intenzione dell'uomo. Quando l'intenzione è retta, chiara, incamminata verso Dio, tutte le nostre azioni sono lucenti, splendenti; ma quando l'intenzione non è retta, com’è grande l'oscurità! (cf. Mt 6,23).

La nostra intenzione può essere non troppo retta, per malizia, per malvagità, ma più frequentemente è per mancanza di buon senso. Viviamo come se fossimo venuti sulla terra per ammucchiare ricchezze e non abbiamo in testa nessun altro pensiero. Guadagnare soldi, comprare, disporre, possedere. Vogliamo attrarre l'ammirazione degli altri o forse l'invidia. Ci inganniamo, soffriamo, ci addossiamo preoccupazioni e dispiaceri e non troviamo la felicità desiderata. Gesù ci fa un'altra proposta: «accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano» (Mt 6,20). Il Cielo è il granaio delle buone azioni. Questo sì che è un tesoro per sempre.

Siamo sinceri con noi stessi. In che cosa impieghiamo i nostri sforzi? Quali sono le nostre inquietudini? Certamente è proprio di un buon cristiano lo studio ed il lavoro onesto per aprirsi passo nel mondo, per portare avanti la famiglia, assicurare il futuro dei suoi e la tranquillità della vecchiaia; magari, per lavorare pure per il desiderio di aiutare gli altri... Sì, tutto questo è proprio di un buon cristiano. Ma se quello che tu cerchi è possedere sempre di più, mettendo il cuore in queste ricchezze, dimenticando le buone azioni, dimenticando che in questo mondo siamo di passaggio, che la nostra vita è un'ombra che passa, non è vero, allora, che abbiamo gli occhi offuscati? E se il buon senso si offusca, «quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,23).
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19/06/2021 09:42
 
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«Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)
Oggi, il Vangelo parla chiaramente di vivere il "momento presente": non girare intorno al passato, ma abbandonarsi in Dio e la sua misericordia. Non attormentarsi domani, ma affidarlo alla sua provvidenza. S. Teresa del Bambino Gesù ha detto: "soltanto mi guida l’abbandono, non ho altra bussola»!.

La preoccupazione non ha mai risolto alcun problema. I problemi vengono risolti con la fiducia, la fede. «Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,30), dice Gesù.

La vita per se stessa non è troppo problematica, è l'uomo che manca di fede ... L'esistenza non è sempre facile. A volte è pesante, spesso ci sentiamo feriti e offesi da ciò che accade nella nostra vita o quella degli altri. Ma cerchiamo di affrontare questo con fede e cerchiamo di vivere, giorno per giorno, con la fiducia che Dio adempirà le sue promesse. La fede ci porterà alla salvezza.

«Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». (Matteo 6:34). Cosa significa? Oggi, cercare di vivere con giustizia, secondo la logica del Regno, nella fiducia, la semplicità, la ricerca di Dio, l’ abbandono. E Dio farà il resto ...

Giorno per giorno. È molto importante. Quello che di solito ci esaurisce è girare continuamente al passato e avere paura al futuro; mentre quando si vive nel presente, in un modo misterioso, troviamo la forza. Quello che devo vivere oggi, ho la grazia per viverlo. Se domani devo affrontare situazioni più difficili, Dio aumenterà la sua grazia. La grazia di Dio è data al momento, giorno per giorno. Vivere il momento presente suppone accettare la debolezza: rinunciare a rifare il passato o il futuro, contentarsi con il presente.
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TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
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