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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2024 07:50
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25/09/2020 09:05
 
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«Le folle, chi dicono che io sia? (...) Ma voi, chi dite che io sia?»

Rev. D. Pere OLIVA i March
(Sant Feliu de Torelló, Barcelona, Spagna)
Oggi, nel Vangelo, ci sono due interrogativi che lo stesso Maestro dirige a tutti. Il primo interrogativo vuole una risposta statistica, approssimativa: «Le folle, chi dicono che io sia?» (Lc 9,18). Questo interrogativo fa sì che ci guardiamo attorno per esaminare come risolvono la questione gli altri: i vicini, i compagni di lavoro, gli amici, i familiari prossimi... Osserviamo l’ambiente in cui viviamo e ci sentiamo più o meno responsabili o prossimi –dipende dalle circostanze- di alcune delle risposte che formulano quelli che hanno a che fare con noi o con il nostro ambito, “la gente”...E la risposta ci dice molto, ci informa, ci ubica e fa sì che ci accorgiamo di quello che desiderano, di quello di cui hanno bisogno e cercano quelli che vivono al nostro fianco. Ci aiuta a sintonizzare, a scoprire un punto d’incontro con l’altro per andare più avanti...

C’è un secondo interrogativo che viene diretto a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). È una questione fondamentale che bussa alla porta, che chiede, mendicando a ciascuno di noi: una adesione od un rifiuto; una venerazione o un’indifferenza; camminare con Lui ed in Lui o che si concluda in un avvicinamento di semplice simpatia... È questa una questione delicata, è determinante perché ci riguarda. Che cosa dicono le nostre labbra ed i nostri atteggiamenti? Vogliamo essere fedeli verso Colui che è e da senso al nostro essere? C’è in noi una sincera disposizione a seguirlo nei cammini della vita? Siamo disposti ad accompagnarLo alla Gerusalemme della croce e della gloria?

«E’ un cammino di croce e risurrezione (...). La croce è la esaltazione di Cristo. Lo disse Lui stesso:`Quando sarò innalzato, attrarro tutti verso di me´. (...) La croce, dunque, è gloria e celebrazione di Cristo» (Sant’Andrea di Creta). Disposti a marciare verso Gerusalemme? Ma solo con Lui ed in Lui, vero?
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26/09/2020 07:58
 
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«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, oltre due mila anni dopo, l’annunzio della passione di Gesù ci provoca ancora. Che l’Autore della Vita annunci la sua morte per mezzo di quelli per i quali è venuto a dare assolutamente tutto, è una chiara provocazione. Si potrebbe dire che non era necessario, che sia stata un’esagerazione. Lo dimentichiamo spesso: il peso che opprime il cuore di Cristo, il nostro peccato, il più radicale dei mali, la causa e l’effetto di metterci al posto di Dio. Peggio ancora, non ci lasciamo amare da Dio e ci impegnamo a rimanere rinchiusi nelle nostre meschine categorie e nell’immediatezza della vita presente. E’ così necessario che ci riconosciamo peccatori, come è necessario ammettere che Dio ci ama nel Figlio suo Gesú Cristo. Dopo tutto siamo come i discepoli, «Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento» (Lc 9,45).

Per dirlo con una immagine: potremmo trovare nel Cielo tutti i vizi ed i peccati, ma non la superbia, giacché il superbo non riconosce mai il suo peccato e non si lascia perdonare da un Dio che ama fino al punto di morire per noi. E nell’inferno potremmo trovare tutte le virtù, ma non l’umiltà, perché l’umile si riconosce così com’è e sa molto bene che senza la grazia di Dio non può smettere di offenderlo, così come neppure può corrispondere alla sua Bontà.

Una delle chiavi della saggezza cristiana è riconoscere la grandezza e l’immensità dell’Amore di Dio e contemporaneamente ammettere la nostra grettezza e la viltà del nostro peccato. Siamo così lenti a capirlo! Il giorno in cui scopriremo che abbiamo l’Amore di Dio alla portata di mano, quel giorno diremo come sant’Agostino, con lacrime d’Amore: «Tardi ti ho amato, mio Dio!». Quel giorno può essere oggi. Può essere oggi. Forse
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28/09/2020 09:40
 
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«Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande»

Prof. Dr. Mons. Lluís CLAVELL
(Roma, Italia)
Oggi, dirigendosi a Gerusalemme verso la Passione, «sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande» (Lc 9,46). Ogni giorno i mezzi di comunicazione e anche le nostre conversazioni sono piene di commenti sull’importanza delle persone: degli altri e di noi stessi. Questa logica soltanto umana produce frequentemente il desiderio di trionfo, di essere riconosciuto, apprezzato, aggraziato e, la mancanza di pace, quando questi riconoscimenti non arrivano.

La risposta di Gesù a questi pensieri —E chissà anche commenti— dei discepoli ricorda lo stile degli antichi profeti. Prima delle parole ci sono i gesti. Gesù «prese un bambino, se lo mise vicino» (Lc 9,47). Dopo, arriva l’insegnamento: «Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,48). —Gesù perché facciamo tanta fatica ad accettare che questo non è un’utopia per la gente che non è implicata nel traffico di un lavoro intenso, nel quale non mancano i colpi degli uni contro gli altri, e che con la tua grazia, lo possiamo vivere tutti? Se lo facessimo avremmo più pace interiore e lavoreremo con più serenità e gioia.

Questa attitudine è anche la fonte da dove sorge la gioia, vedendo come altri lavorano bene per Dio con uno stile diverso dal nostro, però sempre avvalendosi del nome di Gesù. I discepoli volevano impedirlo. Invece, il Maestro difende le altre persone. Nuovamente, il fatto di sentirci i figli piccoli di Dio ci facilita ad avere il cuore aperto verso tutti e credere nella pace, nella gioia e nel ringraziamento. Questi insegnamenti sono valsi a Santa Teresa di Lisieux, il titolo di “Dottoressa della Chiesa”: nel suo libro Storia di un’anima, lei ammira il bel giardino di fiori che è la chiesa, ed è contenta di sapersi, lei, un piccolo fiore. Al lato dei grandi Santi, —rose e gigli— ci sono i piccoli fiori —come le margherite o le viole— destinati a rallegrare gli occhi di Dio, quando Egli dirige il suo sguardo alla terra
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29/09/2020 09:14
 
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«Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)
Oggi in questa festa dei Santi Arcangeli, Gesù manifesta ai suo Apostoli e a tutti noi, la presenza dei Suoi angeli e il rapporto che hanno con Lui. Gli angeli stanno nella Gloria celestiale dove perennemente lodano al Figlio dell’uomo, che è lo stesso Figlio di Dio. Lo circondano e stanno al Suo servizio.

«Salire e scendere» ci ricorda l’episodio del sogno del Patriarca Giacobbe, che dormiva su una pietra durante il viaggio verso la terra di origine della sua famiglia (Mesopotamia), vede gli angeli che «salgono e scendono» da una misteriosa scala che unisce cielo e terra, mentre Dio stesso si trova in piedi accanto a lui comunicandogli il messaggio. Notiamo la relazione esistente tra la comunicazione divina e la presenza attiva degli angeli.

Così Gabriele, Michele e Raffaele appaiono nella Bibbia come presenti in eventi terreni e portando agli uomini –come ci dice lo stesso San Gregorio il Grande- le comunicazioni, mediante la loro presenza e le loro stesse azioni, che cambiano in modo decisivo le nostre vite. Essi sono chiamati appunto “arcangeli”, cioè, principi degli Angeli, perché inviati per le più grandi missioni.

Gabriele fu inviato ad annunciare a Maria la concezione verginale del Figlio di Dio, che è l’inizio della nostra redenzione (cf. Lc 1). Michele lotta contro gli angeli ribelli espulsandoli dal cielo (cf. Ap. 12): ci annuncia, così, il mistero della giustizia divina, portato a termine anche tra gli angeli quando questi si ribellano, e ci dà la sicurezza della sua e nostra vittoria sul male. Raffaele accompagna invece Tobia “junior”, lo difende e consiglia, e cura infine suo padre (cf. Tob). In questo modo ci annuncia la presenza degli angeli accanto a ciascuno di noi: l’angelo che chiamiamo Custode.

Impariamo da questa celebrazione degli arcangeli che «salgono e scendono», che servono Dio, e che lo servono in beneficio nostro. Danno gloria alla Santissima Trinità, e lo fanno servendo noi. E in conseguenza esaminiamo quanta devozione dobbiamo loro e quanta gratitudine dobbiamo al Padre che li invia per il nostro bene.
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03/10/2020 08:34
 
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«Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)
Oggi, l’evangelista Luca ci parla del fatto che da luogo alla riconoscenza di Gesù verso suo Padre per i benefici che ha conferito all’Umanità. Ringrazia per la rivelazione elargita agli umili di cuore, ai piccoli del Regno. Gesù esprime la sua allegria vedendo che questi accettano, capiscono e praticano quello che Dio fa conoscere per mezzo di Lui. In altre occasioni, nel suo dialogo intimo con il Padre, gli dimostrerà la sua riconoscenza perché l’ascolta sempre. Elogia il samaritano lebbroso che, curato del suo male –assieme agli altri nove-, torna solo lui dov’è Gesù per ringraziarlo del beneficio ricevuto.

Scrive sant’Agostino: «Possiamo avere qualcosa di meglio nel cuore, pronunciarlo con la bocca, scriverlo con la penna, che queste parole: `Grazie a Dio’? Non c’è nulla che possa dirsi con maggior brevità, né ascoltare con maggior allegria, né sentirsi con maggior elevazione, ne realizzare con maggiore utilità». E’ così che dobbiamo attuare sempre verso Dio e verso il prossimo, riconoscenti pure per i doni ricevuti che ignoriamo, come scriveva san Josemaria Escrivà. Gratitudine verso i genitori, gli amici, gl’insegnanti, i compagni. Riconoscenza verso tutti quelli che ci aiutano, ci spronano, ci servono. Riconoscenza pure, come è logico, verso la nostra Madre la Chiesa.

La riconoscenza non è una virtù molto “usata” o abituale, e invece, è una di quelle che ci offrono il maggior piacere. Dobbiamo tuttavia riconoscere che, a volte, non è nemmeno facile viverla. Santa Teresa affermava: «Sento una disponibilità di riconoscenza tale che mi potrebbero subornare con una sardina». I santi hanno agito sempre così. E lo hanno realizzato in in tre modi diversi come indicava san Tommaso d’Aquino: primo, con la riconoscenza interiore dei benefici ricevuti; secondo, , lodando esternamente Dio con la parola; e, terzo, cercando di ricompensare il benefattore per mezzo delle opere, secondo le proprie possibilità.
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04/10/2020 09:04
 
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Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”»

P. Jorge LORING SJ
(Cádiz, Spagna)
Oggi, contempliamo il mistero del rifiuto generale di Dio, e di Cristo in particolare.È sorprendente vedere come l’uomo si resiste ad accettare l’amore di Dio.

Tuttavia, oggi la parabola si riferisce in particolare al rifiuto che gli ebrei ebbero con Cristo: «Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.» (Mt 21,37-39). Questo non è certamente facile da capire: è perché Cristo è venuto a redimere il mondo intero, mentre gli ebrei attendono ancora il loro proprio “messia” particolare che dia loro il dominio sul mondo intero.

Quando andai in Terra Santa mi diedero un prospetto turistico di Israele nel quale vi erano gli ebrei più famosi della storia: da Mosè, Gedeone e Giosuè fino a Ben Gurion, che fu il realizzatore dello Stato di Israele. Tuttavia in quel prospetto non vi era Gesù, e dire che Gesù è stato l’ebreo più famoso della storia: oggi è conosciuto nel mondo intero, ed è morto duemila anni fa...

Ai grandi personaggi, dopo un po’ di tempo, sono ammirati, ma non amati. Oggi nessuno ama a Cervantes o a Michelangelo. Tuttavia, Gesù è il più amato della storia. Uomini e donne danno la vita per amor suo. Alcuno di colpo attraverso il martirio, e altri “goccia a goccia”, vivendo unicamente per Lui. Se ne contano a migliaia nel mondo intero.

E Gesù è il più influente nella storia. Valori oggi accettati dappertutto sono di origine cristiana. Non solo, ma oggi si può constatare che vi è un avvicinamento a Gesù, anche tra gli ebrei (“nostro fratelli maggiori nella fede”, come disse Giovanni Paolo II). Chiediamo a Dio soprattutto per la conversione degli ebrei: un popolo di grandi valori, convertito al cattolicesimo, può essere di gran beneficio per l’umanità intera.
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05/10/2020 09:13
 
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«Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»

Rev. P. Ivan LEVYTSKYY CSsR
(Lviv, Ucraina)
Oggi, il messaggio evangelico indica la strada della vita: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, (...) e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10,27). E perché Dio ci ha amato per primo, ci porta all’unione con Lui. La Beata Teresa di Calcutta dice: “Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera”. Se siamo in unione con Dio, cominciamo a sperimentare che tutto è possibile, anche l’amore per il prossimo.

Qualcuno diceva che il cristiano entra in Chiesa per amare Dio ed esce dalla Chiesa per amare il prossimo. Papa Benedetto XVI sottolinea che il programma del cristiano –il programma del buon samaritano, il programma di Gesù- è “un cuore che vede”. Vedere e fermarsi! Nella parabola, due persone vedono l’uomo che ha bisogno, ma non si fermano. Quindi Cristo rimproverò i farisei dicendo: «Avete occhi e non vedete» (Mc 8,18). Anzi, il samaritano vede e si ferma, ha compassione e salva a chi ha bisogno e a se stesso.

Quando il famoso architetto Antonio Gaudì fu investito da un tram, alcune persone che passavano non si fermarono per aiutare quell’anziano ferito. Non aveva con sé alcun documento e dal suo aspetto sembrava un mendicante. Sicuramente se la gente avesse saputo chi era quel pròssimo, avrebbe fatto coda per aiutarlo.

Quando facciamo del bene, pensiamo di farlo per gli altri, ma in realtà lo facciamo anche per Cristo: «In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). E il mio prossimo, dice Benedetto XVI, è qualunche che abbia bisogno di me e che io possa aiutare. Se ognuno di noi, nel vedere il prossimo bisognoso, si fermasse e avesse pietà di lui almeno una volta al giorno o alla settimana, la crisi diminuerebbe e il mondo diventerebbe migliore. “Niente ci assomiglia tanto a Dio come le buone opere” (San Gregorio di Nisa).
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06/10/2020 08:36
 
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Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno»

Rev. D. Josep RIBOT i Margarit
(Tarragona, Spagna)
Oggi, come ogni giorno, puoi imparare dal Vangelo. Gesù invitato a casa di Betania, ci da una lezione di umanità: Egli che voleva bene alla gente, si faceva voler bene, perché le due cose sono importanti. Rifiutare le mostre d’affetto, di Dio e degli altri, sarebbe un grave errore, di nefaste conseguenze per la santità.

Marta o Maria?, però..., perché affrontare coloro che si volevano tanto bene, e volevano tanto bene a Dio? Gesù amava a Marta e Maria, e al loro fratello Lazzaro, e ama ognuno di noi.

Nel cammino alla santità non ci sono due anime gemelle. Tutti procuriamo amare Dio, però con stile e personalità propria senza imitare nessuno. Il nostro modello sta in Cristo e nella Vergine. Ti dispiace il modo in cui gli altri trattano Dio? Cerca di imparare dalla sua pietà personale.

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Servire gli altri per amore a Dio, è un onore, non un aggravio. Serviamo con gioia, come la Vergine a sua cugina Santa Elisabetta o nelle nozze di Canà, o come Gesù nella lavanda dei piedi nell’ultima cena?

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno» (Lc 10,41-42). Non perdiamo la pace, ne il buon umore. E per questo salvaguardiamo la presenza di Dio. «Sappiatelo bene: c’è qualcosa di Santo, di divino nascosto nelle situazioni più comuni, che è compito di ognuno di noi scoprire (...); o sappiamo incontrare nella nostra vita ordinaria il Signore, o non lo incontreremo mai» (San Josemaria).

«Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42). Dio ci vuole felici. Che nostra Madre del cielo ci aiuti a sperimentare la gioia di darsi.
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07/10/2020 10:12
 
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«Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli»

Fr. Austin Chukwuemeka IHEKWEME
(Ikenanzizi, Nigeria)
Oggi, vediamo come uno dei discepoli dice a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1). Gesù risponde: «Quando pregate, dite: "Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione» (Lc 11,2-4), che può essere sintetizzata in una frase: la corretta disposizione della preghiera cristiana è la disposizione di un bambino davanti a suo padre.

Vediamo subito che la preghiera, secondo Gesù, è un atteggiamento “tra padre e figlio”. Vuole dire che è una questione familiare fondata su una relazione di familiarità e di amore. L’immagine di Dio come padre ci parla di una relazione fondata sull’affetto e l’intimità e non sul potere e l’autorità.

Pregare come cristiani suppone mettersi in una situazione nella quale vediamo Dio come padre e gli parliamo come figli suoi: «Mi hai scritto: “Pregare è parlare con Dio. Ma, di che cosa?”. —Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni quotidiane..., debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche: e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscerti: “stare insieme”!» (San Josemaria).

Quando i figli parlano con i loro genitori, badano una cosa: trasmettere in parole e linguaggio corporale quello che sentono nel cuore. Arriviamo ad essere migliori donne e uomini di preghiera quando il nostro atteggiamento verso Dio, diventa più intimo, come quello di un padre verso suo figlio. Di questo, ci ha lasciato esempio lo stesso Gesù. Lui è il cammino.

E se ci rivolgiamo alla Madonna, maestra di preghiera, ci sarà molto più facile! Infatti, «la contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene in un modo speciale (...). Nessuno si è dedicato con l’assiduità di Maria alla contemplazione del volto di Cristo» (Giovanni Paolo II).
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09/10/2020 11:07
 
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«Alcuni dissero: "È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni"»

Rev. D. Josep PAUSAS i Mas
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)
Oggi, contempliamo stupefatti, come Gesù è ridicolamente “accusato” di scacciare i demoni «per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni» (Lc 11,15). È difficile immaginare un bene così grande –scacciare, allontanare dalle anime il diavolo, il provocatore dei mali- e, allo stesso tempo, udire l’accusa più grave- farlo, precisamente con il potere del proprio diavolo. È realmente una accusa gratuita, che dimostra molta cecità e invidia da parte degli accusatori del Signore. Anche oggi giorno, senza rendercene conto, eliminiamo radicalmente il diritto che hanno gli altri di dissentire, di essere differenti e ad avere le proprie posizioni contrarie e o, addirittura, opposte alle nostre.

Chi vive chiuso in un dogmatismo politico, culturale o ideologico, facilmente disdegna colui che non è d’accordo, squalificando tutto il suo progetto, negandogli competenza e, perfino, onestà. Allora, l’avversario politico o ideologico si converte in un nemico personale. Il confronto degenera in insulti e agressività. Il clima di intolleranza e reciproca esclusione violenta può, allora, condurci alla tentazione di voler eliminare in qualche modo a chi si presenta come nemico.

In questo clima è facile giustificare qualsiasi tipo di attentato contro le persone, anche, l’assassinio, se il morto non è dei nostri. Quante persone soffrono oggi giorno con questo ambiente di intolleranza e reciproco rifiuto che, con frequenza, si respira nelle istituzioni pubbliche, nei posti di lavoro, nelle assemblee e nelle confrontazioni politiche!

Fra tutti dobbiamo cercare di creare le condizioni per un clima di tolleranza, rispetto reciproco e confronto leale, nel quale sia possibile trovare percorsi di dialogo. I cristiani, lungi dal sacralizzare e irrigidire falsamente le nostre posizioni, manipolando a Dio e identificandolo con le nostre scelte, dobbiamo seguire a questo Gesù che –quando i suoi discepoli pretendevano che impedisse che altri potessero scacciare demoni in Suo nome- li corresse dicendo «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi» (Lc 9,50). Dunque, «tutto il coro innumerevole di pastori, si reduce al corpo di un solo Pastore» (Sant’ Agostino).
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11/10/2020 09:04
 
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«Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)
Oggi, Gesù ci mostra il re (il Padre) che invita –per mezzo dei suoi ”servi” (i profeti )- al banchetto dell’alleanza di suo Figlio con l’umanità (la salvazione). Prima lo fece con Israele, «ma questi non volevano venire» (Mt 22,3). Di fronte al rifiuto, il Padre continua ad insistere: « Ecco, ho preparato il mio pranzo; (...) tutto è pronto; venite alle nozze!» (Mt 22,4). Ma questo disprezzo: lo scherno e morte dei servi, provoca l’invio di soldati, la morte di quegli omicidi e l’incendio della “loro” città (cf. Mt 22,6-7): Gerusalemme.

E’ così, che per mezzo di altri “servi” (gli apostoli) –inviati ad andare «ai crocicchi delle strade» (Mt 22,9): «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli...», dirà più tardi il Signore Gesù in Mt 28,19- siamo stati invitati noi, il resto dell’umanità, vuol dire «tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali» (Mt 22,10): la Chiesa. Ma non è tutto; il quesito è che non basta trovarsi nella sala delle nozze perché invitati, ma c’entra pure, e molto, la dignità con cui ci si sta («l’abito nuziale», cf. Mt 22,12). San Geronimo commentò al riguardo: «I vestiti da festa sono i comandamenti del Signore e le opere compiute secondo la Legge ed il Vangelo che sono i vestiti dell’uomo nuovo». Cioè, le opere di carità con cui bisogna accompagnare la fede.

Sappiamo che Madre Teresa, ogni notte, usciva per le strade di Calcutta a raccogliere moribondi per dar loro, con amore, una morte degna: puliti, avvolti in coltri e, se era possibile, battezzati. In un’occasione commentò: «Non ho paura di morire, perché quando sarò d’avanti al Padre, ci saranno tanti poveri, che Gli ho mandato con il vestito nuziale, che sapranno difendermi». Beata lei! –Impariamo da lei la lezione!
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13/10/2020 09:00
 
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«Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, l’evangelista ci presenta Gesù in un banchetto: «Un fariseo lo invitò a pranzo» (Lc 11,37). Che idea geniale! Come ci sarà rimasto l’anfitrione quando l’ospite non eseguì il rituale di lavarsi (che non era un precetto della Legge, bensì una antica tradizione rabbinica) e inoltre censurò contundentemente lui e il suo gruppo sociale. Il fariseo certamente non azzeccò la giornata giusta, ed il comportamento di Gesù, come si direbbe oggi, non fu “politicamente corretto”.

I Vangeli ci mostrano che al Signore poco importava il “cosa dirà la gente” e del fatto che fosse o no “politicamente corretto”; per questo piaccia o no alla gente, entrambe le cose non devono essere norma di attuazione di colui che si considera cristiano. Gesù condanna chiaramente l’azione propria della doppia morale, l’ipocrisia che cerca la convenienza o l’inganno: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria» (Lc 11,39). Come sempre, la Parola di Dio ci interpella circa gli usi e i costumi della nostra vita quotidiana, nella quale finiamo per convertire in “valori” le sciocchezze che cercano di occultare i peccati di superbia, egoismo ed orgoglio nel tentativo di “globalizzare” la morale nel politicamente corretto, con il fine unico di non discordare e di non essere emarginati senza che importi il prezzo da pagare, ne come turbiamo la nostra anima perché, alla resa dei conti tutti lo fanno!

Diceva San Basilio che «da nulla deve fuggire l’uomo prudente tanto come di vivere secondo il parere altrui». Se siamo testimoni di Cristo, dobbiamo sapere che la verità sempre è e sarà verità succeda quel che succeda.. Questa è la nostra missione tra gli uomini con i quali condividiamo la vita, cercando di mantenerci sempre limpidi seguendo il modello di uomo che Dio ci rivela in Cristo. La purezza di spirito sta al di sopra delle forme sociali e, in caso di dubbio, ricordiamoci sempre che i puri di cuore vedranno Dio. Che ognuno scelga l’obiettivo del proprio sguardo per tutta l’eternità.
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14/10/2020 08:28
 
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«Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)
Oggi, vediamo come il Divino Maestro ci dà alcune lezioni: tra le altre, ci parla delle decime e anche della coerenza che devono avere gli educatori (genitori, maestri e ogni apostolo cristiano). Nel Vangelo secondo san Luca della Messa di oggi, l’insegnamento appare in una forma più sintetica, ma nei passaggi paralleli di Matteo (23,1ss.) è piuttosto estesa e concreto. Tutto il pensiero del Signore porta alla conclusione che ciò che l’ànima della nostra attività deve essere la giustizia, la carità, la misericordia e la fedeltà (cf. Lc 11,42).

Le decime nell’Antico Testamento e la nostra attuale collaborazione con la Chiesa, secondo le leggi e le usanze vanno nella stessa linea. Ma dar carattere di legge obbligatoria a piccole cose – come facevano i Maestri della Legge – è esagerato e arduo: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,46).

È vero che le persone sensibili hanno delicati gesti di generosità. Abbiamo avuto esperienze recenti di persone che del loro raccolto hanno apportato alla Chiesa – per il culto e per i poveri – il 10% (la decima); altri che riservano la prima fioritura (le primizie), del miglior frutto del loro orto; o anche offrono lo stesso importo che hanno speso in un viaggio o nella vacanza; altri traggono il prodotto preferito del loro lavoro e tutto ciò con con la stessa finalità. Si intravede li assimilato lo spirito del Santo Vangelo. L’amore è ingegnoso; dalle cose piccole ottiene gioie e meriti di fronte a Dio.

Il buon pastore passa davanti al gregge. I buoni genitori sono un modello: l’esempio contagia. I buoni educatori sono coloro che si sforzano di vivere le virtù che insegnano. Questa è la coerenza. Non solamente con un dito ma pienamente: Vita di adorazione, di devozione alla Madonna, piccoli servizi in casa, diffondere il buonumore cristiano... «Le anime grandi hanno in gran conto le cose piccole» (San Josemaria).
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15/10/2020 08:24
 
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Costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)
Oggi, ci si propone il senso, l’accettazione ed il trattamento dato ai profeti: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno» (Lc 11,49). Sono persone di qualunque condizione sociale o religiosa, che hanno ricevuto il messaggio divino e si sono impregnati di esso; impulsati dallo Spirito, l’esprimono con segni e parole comprensibili nella loro epoca. E’ un messaggio trasmesso per mezzo di discorsi, mai compiacenti o comportamenti, quasi sempre difficili da accettare. Una caratteristica della profezia è la sua scomodità. Il dono risulta fastidioso per chi lo riceve, perché gli brucia interiormente, ed è spiacevole per quanto lo circonda, poichè oggi, grazie a l’Internet o ai satelliti, puó diffondersi in tutto il mondo.

I contemporanei del profeta pretendono condannarlo al silenzio, lo calunniano, lo screditano, così fino alla morte. Arriva allora il momento di erigergli un sepolcro e di organizzargli omaggi quando non da più fastidio. Non mancano nell’attualità profeti che godono di prestigio universale: la Madre Teresa, Giovanni XXIII, Monsignor Romero... Ricordiamo di cosa si lagnavano e ci esigevano? Mettiamo in pratica quello che ci fecero vedere? La nostra generazione dovrà rendere conto della cappa di ozono che ha distrutto, della desertizzazione che il nostro spreco d‘acqua ha causato, e anche dell´ostracismo a cui abbiamo ridotto i nostri profeti.

Ci sono ancora persone che si riservano il “diritto di sapere in esclusiva”, diritto che condividono –nel migliore dei casi- con i loro congeneri, con quelli che permettono loro di continuare a conservarsi nei loro successi e sulla loro fama. Persone che chiudono il passo a quelli che cercano di entrare negli ambiti della consapevolezza, non sia il caso che sappiano tanto come loro e li superino: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52).

Adesso, come ai tempi di Gesù, molti analizzano frasi e studiano testi per screditare quelli che incomodano per le loro parole. E’ questo il nostro modo di procedere? «Non c’è cosa più pericolosa come giudicare le cose di Dio con i ragionamenti umani» (San Giovanni Crisostomo).
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18/10/2020 09:15
 
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«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

P. Antoni POU OSB Monje de Montserrat
(Montserrat, Barcelona, Spagna)
Oggi, viene presentata alla nostra considerazione una “famosa” affermazione di Gesù Cristo: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21).

Non capiremmo bene questa frase se non considerassimo il contesto in cui Gesù la pronuncia: «I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù» (Mt 22,15), e Gesù conosceva la loro malizia (cf. 18). Così, dunque, la risposta di Gesù è calcolata. All’ascoltarla i farisei rimasero sorpresi, non se l’aspettavano. Se chiaramente fosse andato contro il Cesare, l’avrebbero potuto denunciare; se si fosse dichiarato apertamente a favore di pagare il tributo al Cesare, se ne sarebbero andati soddisfatti per la loro astuzia. Ma Gesù Cristo, senza pronunciarsi contro il Cesare, lo ha relativizzato: bisogna dare a Dio quello che è di Dio e di Dio sono pure i poteri di questo mondo.

Il Cesare, come tutti i governanti, non può esercitare un potere arbitrario, perché il suo potere gli vien dato in “consegna” o garanzia; come i servi della parabola dei talenti, che devono rendere conto al Signore dell’uso dei talenti. Nel Vangelo di san Giovanni, Gesù dice a Pilato: «Tu non avresti nessun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto» (Gv 19,11). Gesù non vuole presentarsi quale agitatore politico. Semplicemente, mette le cose al loro posto.

L’interpretazione che , a volte, si è dato di Mt 22,21, è che la Chiesa non dovrebbe “immischiarsi in politica”, ma solamente badare al culto. Quest’interpretazione, però, è totalmente falsa, perché occuparsi di Dio non è solo occuparsi del culto, ma è occuparsi della giustizia e degli uomini, che sono figli di Dio. Pretendere che la Chiesa resti nelle sagrestie, che agisca come se fosse sorda, cieca e muta di fronte ai problemi morali ed umani del nostro tempo, è voler togliere a Dio quello che è di Dio. «La tolleranza che solo accetta Dio come opinione privata, negandoGli, però il dominio pubblico (...) non è tolleranza, ma ipocrisia» (Benedetto XVI)
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19/10/2020 09:14
 
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«La sua vita non dipende da ciò che egli possiede»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, il Vangelo, se non ci tappiamo le orecchie e non chiudiamo gli occhi, ci causerà una grande commozione per la sua chiarezza: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15). Cos'è quello che garantisce la vita dell’uomo?

Sappiamo benissimo su cosa è assicurata la vita di Gesù, perché Lui stesso ce l’ha detto: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26). Sappiamo che la vita di Gesù non deriva solamente dal Padre, ma che consiste nel fare la sua volontà, poiché questo è il suo alimento, e la volontà del Padre equivale a realizzare la sua grande opera di salvazione tra gli uomini, offrendo la vita per i suoi amici, segno del più eccelso amore. La vita di Gesù è, pertanto, una vita ricevuta totalmente dal Padre e consegnata totalmente allo stesso Padre e, per amore al Padre, agli uomini. La vita umana, potrà allora essere sufficiente per se stessa? Si potrà negare che la nostra vita è un dono, che abbiamo ricevuto e che, soltanto per questo, dobbiamo già essere grati? «Che nessuno creda che è padrone della propria vita» (San Geronimo).

Seguendo questa logica, ci rimane solo da chiederci: ¿Che senso può avere la nostra vita se si chiude in se stessa, se trova piacere al dirsi: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti» (Lc 12,19)? Se la vita di Gesù è un dono ricevuto e concesso sempre nell’amore, la nostra vita –che non possiamo negare di aver ricevuto- deve diventare, seguendo quella di Gesù, un dono totale a Dio e ai fratelli, perché «chi ama la propria vita, la perde» (Gv 12,25).
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20/10/2020 09:42
 
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Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze»

Rev. D. Miquel VENQUE i To
(Barcelona, Spagna)
Oggi, è necessario prestare attenzione a queste parole di Gesù: «siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa» (Luca 12,36). Che gioia scoprire che, anche se sono un peccatore e piccolo, io stesso aprirò la porta al Signore quando Essi venga! Se, nel momento della morte sarò io che apra la porta o la chiuda, nessuno potrà farlo per me. «Persuadiamoci che Dio ci riterrà responsabili non solo delle nostre azioni e parole, ma anche di come abbiamo usato il tempo» (San Gregorio Nazianzeno).

Stare davanti alla porta e con gli occhi aperti è una impostazione fondamentale e alla mia portata. Non posso distrarmi. Essere distratti è dimenticare l'obiettivo, voler andare in paradiso, ma senza una volontà operativa; è fare bolle di sapone, senza un desiderio impegnativo e valutabile. Aver messo il grembiule vuol dire essere in cucina, preparato nei minimi dettagli. Mio padre, che era contadino, diceva che non si può seminare se il terreno è "arrabbiato"; per fare una una buona semina è fondamentale preparare accuratamente il letto di semina e toccare i semi con cura.

Il cristiano non è un naufrago senza bussola, sa da dove viene, dove va e come giungere alla meta; conosce l’obiettivo e i mezzi per andarci e le difficoltà. Prenderlo in considerazione ci aiuterà a vigilare e ad aprire la porta quando il Signore ci avvisi. L'esortazione alla vigilanza e la responsabilità si ripete con frequenza nella predicazione di Gesù per due ovvi motivi: perché Gesù ci ama e ci “sorveglia”; colui che ama non si addormenta. E, perché il nemico, il diavolo, non smette di tentarci. Il pensiero del cielo e dell'inferno non potrà mai distrarci dagli obblighi della vita presente, però è un pensiero sano ed espressivo, e merita le congratulazioni del Signore: "E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,38). Gesù, aiutami a vivere ogni giorno attento e vigile, amandoti sempre.
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23/10/2020 10:50
 
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«Come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?»

Rev. D. Frederic RÀFOLS i Vidal
(Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù vuole che alziamo il nostro sguardo verso il cielo. Stamattina, dopo tre giorni di pioggia ininterrotta, il cielo è apparso luminoso e chiaro in uno dei giorni più splendenti di quest’autunno. Cominciamo a capire il tema del cambio del tempo, giacché adesso i meteorologi sono quasi di famiglia; invece si fa fatica a capire in quale tempo siamo e viviamo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12,56). Molti tra quelli che ascoltavano Gesù lasciarono perdere un’occasione unica nella storia di tutta l’Umanità. Non videro in Gesù il Figlio di Dio. Non capirono il tempo, l’ora della salvazione.

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione “Gaudium et Spes” (4), attualizza il Vangelo di oggi: «Pende sulla Chiesa il dovere permanente di scrutare a fondo i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo (...) E’ necessario, perciò, conoscere e capire il mondo in cui viviamo e le sue speranze, le sue aspirazioni, il suo modo di essere, frequentemente drammatico».

Quando osserviamo la storia, non costa molto segnalare le occasioni perse dalla Chiesa, per non aver scoperto il momento allora vissuto. Ma, Signore, quante occasioni non avremo perso adesso per non aver saputo scoprire i segni dei tempi, vale a dire non vivere ed illuminare la problematica attuale con la luce del Vangelo? «Perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57), ci torna a ricordare Gesù.

Non viviamo in un mondo di cattiveria, sebbene ce ne sia abbastanza. Dio non ha abbandonato il suo mondo. Come ricordava san Giovanni della Croce, abitiamo in una terra sulla quale è vissuto lo stesso Dio e che Lui ha colmato di bellezza. Beata Teresa di Calcutta percepì i segni dei tempi, ed il tempo, il nostro tempo, ha compreso la Beata Teresa di Calcutta. Che lei ci sproni. Continuiamo a guardare verso l’alto senza perdere di vista la terra.
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25/10/2020 09:32
 
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«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore (...). Amerai il tuo prossimo come te stesso»

Dr. Johannes VILAR
(Köln, Germania)
Oggi, ci ricorda la Chiesa un riassunto del nostro “atteggiamento di vita” («Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»: Mt 22,40). San Matteo e San Marco lo mettono sulle labbra di Gesucristo; San Luca su quelle di un fariseo. Sempre in forma di dialogo. Probabilmente avranno rivolto al Signore domande simili. Gesù risponde con le parole con cui comincia lo “Shemà”: preghiera composta da due citazioni del Deuteronomio ed una dai Numeri, che i giudei fervorosi recitavano due volte al giorno: «Ascolta, Israele, il Signore tuo Dio (...)». Al recitarla, si prende coscienza di Dio nello svolgere le attività del vivere quotidiano, mentre ricorda quello che è più importante in questa vita: Amare Dio al di sopra di tutti gli “idoletti” ed il prossimo come sé stessi. Dopo, al concludere l’Ultima Cena, e con l’esempio della lavanda dei piedi, Gesù annuncia un “comandamento nuovo”: amarci come Lui ci ama, con “forza divina” (cf.Gv 14,34-35).

Bisogna prendere la decisione di praticare con i fatti questo dolce comandamento – più che comandamento, è elevazione e capacità- nel tratto con gli altri: uomini e cose, lavoro e riposo, spirito e materia perché tutti e tutto siamo creature de Dio.

D’altra parte, al trovarci impregnati nell’’Amore di Dio, che abbraccia tutto il nostro essere, restiamo abilitati a rispondere ”divinamente” a quest’Amore. Dio misericordioso non solo toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29), ma ci divinizza, siamo “partecipi” (solo Gesù è Figlio per Natura) della natura divina; siamo figli del Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito Santo. A San Josemaria gli piaceva parlare di “divinizzazione”, parola che ha radici nei Padri della Chiesa. Per esempio, scriveva san Basilio: «Così come i corpi chiari e trasparenti, al ricevere luce, cominciano ad irradiare luce propria, così brillano quelli che sono stati illuminati dallo Spirito. Questo comprende il dono della grazia, gioia infinita, permanenza in Dio... e la meta massima: la “divinizzazione”». Desideriamola!
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28/10/2020 09:46
 
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«Gesù se ne andò sul monte a pregare»

+ Rev. D. Albert TAULÉ i Viñas
(Barcelona, Spagna)
Oggi contempliamo un intero giorno della vita di Gesù. Una vita con due aspetti molto chiari: la preghiera e l’azione. Se la vita del cristiano deve imitare quella di Gesù, non possiamo prescindere da entrambe le dimensioni. Tutti i cristiani, anche quelli che si sono consacrati alla vita contemplativa, devono dedicare dei momenti alla preghiera e altri all’azione, anche se può variare il tempo che vi dedichiamo. Perfino i monaci e le monache di clausura dedicano parecchio tempo della loro giornata al lavoro. Come contropartita, noi che siamo più “secolari” se desideriamo imitare Gesù, non dovremmo impegnarci in un’azione sfrenata senza consacrarla con la preghiera. Ci insegna san Girolamo: «Anche se l’Apostolo ci comandò di pregare sempre, (...) perciò è conveniente dedicare delle ore determinate a questo esercizio».

Aveva bisogno Gesù di questi lunghi momenti di preghiera da solo mentre tutti dormivano? I teologi studiano quale fosse la psicologia dell’uomo Gesù: fino a che punto aveva un accesso diretto con la divinità, e fino a che punto era «egli stesso messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). A misura che lo consideriamo più vicino, la sua “pratica” di preghiera sarà un esempio evidente per noi.

Assicurata già la preghiera, solo ci rimane imitarlo nell’azione. Nel frammento di oggi, lo vediamo mentre “organizza la Chiesa”, ossia mentre sceglie coloro che saranno i futuri evangelizzatori, chiamati a continuare la sua missione nel mondo. «Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,13). Poi lo incontriamo mentre cura ogni tipo di malattia. «Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19), ci dice l’evangelista. Perché la nostra identificazione con Lui sia totale, solo manca che anche da noi esca una forza che guarisca tutti e ciò sarà possibile se, come i tralci nella vite, rimaniamo in Lui, per poter dare molto frutto. (cf. Gv 15,4).
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29/10/2020 08:24
 
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«Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli e voi non avete voluto!»

Rev. D. Àngel Eugeni PÉREZ i Sánchez
(Barcelona, Spagna)
Oggi, possiamo ammirare la fermezza di Gesù nel compiere la missione che Gli è stata affidata dal Padre del Cielo. Lui non va a fermarsi per nulla: «Io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani» (Lc 13,32). Con questo atteggiamento, il Signore marcò la regola di condotta che lungo i secoli continueranno ad osservare i messaggeri del Vangelo durante le persecuzioni: non piegarsi di fronte al potere temporale. Sant’Agostino dice che, in epoca di persecuzioni , i pastori non devono abbandonare i fedeli, ne quelli che soffriranno il martirio, nè quelli che sopravviveranno, come il Buon Pastore, che, vedendo venire il lupo, non abbandona il suo gregge, ma lo difende. Visto però il fervore con cui tutti i pastori della Chiesa erano disposti a spargere il proprio sangue, indica che sarà meglio sorteggiare quali dei pastori vengano offerti al martirio e quali restino a salvo per poi prendersi cura dei sopravvissuti.

Ai nostri giorni, con sfortunata frequenza, ci arrivano notizie di persecuzioni religiose, violenze fra tribù o rivoluzioni etniche in paesi del Terzo Mondo. Le ambasciate occidentali consigliano i propri concittadini di abbandonare la regione e a rimpatriare il proprio personale. Gli unici a rimanere sono i missionari e le organizzazioni di volontari, perché sembrerebbe un tradimento abbandonare i “propri” nei momenti difficili.

«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto accogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta!» (Lc 13,34-35). Questo lamento produce in noi, cristiani del secolo XXI, una tristezza particolare, dovuta al sanguinoso conflitto tra giudei e palestini. Per noi, questa regione dell’Oriente Medio, è la Terra Santa, la terra di Gesù e di Maria. Ed il clamore per la pace in tutti i paesi, deve essere ancora più intenso e sentito per la pace in Israele e Palestina.
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02/11/2020 09:24
 
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«Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno»

Fra. Agustí BOADAS Llavat OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi il Vangelo evoca il fatto più fondamentale del cristiano: la morte e risurrezione di Gesù. Facciamo oggi nostra la preghiera del Buon Ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). «La Chiesa non prega per i santi come prega per i defunti, i quali dormono già nel Signore, ma li affida alle loro preghiere» diceva Sant’Agostino in un sermone. Una volta all’anno, almeno, i cristiani ci interroghiamo sul senso della nostra vita e sul senso della nostra morte e risurrezione. E`questo il giorno della commemorazione dei fedeli defunti, della quale Sant Agostino ci ha mostrato la distinzione dalla festa di Tutti i Santi.

Le sofferenze dell’Umanità sono le stesse che quelle della Chiesa e, senza nessun dubbio, hanno in comune il fatto che ogni sofferenza umana è in qualche modo privazione di vita. Pertanto, la morte di una persona cara produce in noi un dolore indicibile che neppure la fede può alleviare. Per questa ragione gli uomini hanno sempre voluto rendere onore ai defunti. La memoria, in effetti, è un modo per rendere presenti gli assenti, di perpetuare la loro vita. Tuttavia i meccanismi psicologici e sociali, con il trascorrere del tempo, attutiscono i ricordi. Se questo può umanamente essere angosciante, cristianamente, grazie alla risurrezione, troviamo la pace. Il vantaggio di credere in essa è che ci permette di fare affidamento al fatto che, nonostante l’oblio, torneremo a ritrovarli nell’altra vita.

Un secondo vantaggio del credere è che, al ricordare i defunti, preghiamo per loro. Lo facciamo dal di dentro, in intimità con Dio, e ogni volta che preghiamo assieme, nell’Eucaristia: non siamo soli davanti al mistero della morte e della vita, ma lo condividiamo con i membri del Corpo di Cristo. Inoltre: vedendo la Croce sospesa tra cielo e terra, sappiamo che si stabilisce una comunione tra noi e i nostri defunti. Per questo San Francesco proclamò riconoscente: «Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella, la morte corporale».
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06/11/2020 11:46
 
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«I figli di questo mondo (...) sono più scaltri dei figli della luce»

Mons. Salvador CRISTAU i Coll Vescovo Auxiliare de Terrassa
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci presenta una questione apparentemente sorprendente. In effetti, il testo di San Luca dice: «Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8).

Evidentemente, qui non ci viene proposto l’essere ingiusti nelle nostre relazioni, e ancor meno con il Signore. Non si tratta, quindi, di un elogio alla frode commessa dall’amministratore. Quel che Gesù vuole sottolineare con questo esempio è denunciare l’abilità nel risolvere gli affari di questo mondo e la mancanza di vero ingegno da parte dei figli della luce nella costruzione del Regno di Dio: « I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8).

Tutto questo ci dimostra –ancora una volta- che il cuore dell’uomo continua ad avere gli stessi limiti e povertà di sempre. Oggi giorno parliamo del traffico d’influenza, di corruzione, di improvviso arricchimento, di falsificazione di documenti... più o meno come all’epoca di Gesù.

Ma la questione che da questo ne deriva è doppia: Pensiamo forse di poter ingannare Dio con la nostra apparenza, con la nostra mediocrità di cristiani? E, parlando di astuzia, dovremmo parlare anche di interesse. Siamo davvero interessati nel Regno di Dio e della Sua giustizia? È frequente la mediocrità nelle nostre risposte come figli della luce? Gesù disse anche, lí dove ci sia il tesoro ci sarà il nostro cuore (cf. Mt 6,21). Qual’è il nostro tesoro nella vita? Dobbiamo esaminare i nostri desideri per conoscere dove si trovi questo nostro tesoro... A questo proposito, Sant’Agostino ci dice: «Il tuo anelito continuo è la tua voce continua. Se smetti di amare, tacerà la tua voce, tacerà il tuo desiderio».

Forse oggi, dinnanzi al Signore dovremmo chiederci quale debba essere la nostra astuzia come figli della luce, cioè la nostra sincerità nelle relazioni con Dio e con i nostri fratelli. «In verità, la vita è sempre una scelta: tra onestà e ingiustizia, tra fedeltà e infedeltà, tra bene e male (...). In definitiva –dice Gesù- dobbiamo deciderci» (Benedetto XVI).
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09/11/2020 08:47
 
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«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi nella festa universale della Chiesa, ricordiamo che anche se Dio non può essere racchiuso fra le pareti di nessun edificio del mondo, fin dall’antichità l’uomo ha sentito la necessità di riservare degli spazi che promuovano l’incontro personale e comunitario con Dio. All’inizio del cristianesimo, i luoghi d’incontro con Dio erano le case private, nelle quali si radunavano le comunità per la preghiera e la frazione del pane. La comunità riunita era – come è anche oggi- il tempio santo di Dio. Con il passare del tempo, le comunità costruirono edifici dedicati alle riunioni liturgiche, la predicazione della Parola e la preghiera. Ed è così come nel cristianesimo, dopo la persecuzione della libertà religiosa nell’Impero Romano, apparvero le grandi Basiliche, fra le quali, quella di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma.

San Giovanni in Laterano è il simbolo dell’unità di tutte le chiese del mondo con la Chiesa di Roma, è per questo che la Basilica ostenta il titolo di Chiesa principale e madre di tutte le Chiese. La sua importanza è superiore a quella della stessa Basilica di San Pietro in Vaticano, che in realtà non è una cattedrale, ma è un santuario edificato sulla tomba di San Pietro e luogo della attuale residenza del Papa che, come Vescovo di Roma, ha nella Basilica in Laterano la sua cattedrale.

Però non possiamo perdere di vista il vero luogo di incontro dell’uomo con Dio, l’autentico tempio, è Gesù. Per questo, Lui ha completa autorità per purificare la casa di suo Padre e pronunciare queste parole: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Jn 2,19). Grazie all’offerta della sua vita per noi, Gesù ha fatto dei credenti un tempio vivo di Dio. Per questa ragione il messaggio cristiano ci ricorda che tutta persona umana è sacra, ed è abitata da Dio, e non possiamo profanarla usandola come un mezzo.
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10/11/2020 08:12
 
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«Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)
Oggi, l’attenzione del Vangelo non si dirige all’atteggiamento del padrone, ma a quello dei servi. Gesù invita i suoi apostoli, mediante l’esempio di una parabola, a riflettere sull’atteggiamento di servizio: il servo deve compiere il suo dovere senza aspettarsi una ricompensa: «Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?» (Lc 17,9). Tuttavia, questa non è l’ultima lezione del Maestro con riguardo al servizio. Gesù dirà più avanti ai suoi discepoli : «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.» (Gv 15,15). Gli amici non presentano fatture. Se i servi devono compiere il loro dovere, ancora di più gli apostoli di Gesù. Noi, amici suoi, dobbiamo compiere la missione affidataci da Dio, coscienti che il nostro lavoro non ha diritto a nessuna ricompensa, perché lo facciamo con gioia e perché tutto quello che abbiamo e siamo è un dono di Dio.

Per il credente tutto è un simbolo, per chi ama tutto è un dono. Lavorare per il Regno di Dio è, già la nostra ricompensa; perciò non dobbiamo dire con tristezza né svogliatamente: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10), ma con la gioia di chi è stato chiamato a diffondere il Vangelo.

In questi giorni abbiamo presente anche la festa di un grande santo, di un grande amico di Gesù, molto popolare in Catalogna, san Martino di Tours, che dedicò la sua vita al servizio del Vangelo di Cristo. Di lui scrisse Sulpicio Severo: «Uomo straordinario che non fu soggiogato dal lavoro né vinto dalla morte, non ebbe preferenze per nessuna delle due parti, non temette la morte , non rifiutò la vita! Con le mani e gli occhi alzati verso il cielo, il suo spirito invincibile non smetteva di pregare». Nella preghiera, nel dialogo con l’Amico, troviamo, effettivamente, il segreto e la forza del nostro servire servizio.
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12/11/2020 08:27
 
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«Il regno di Dio è in mezzo a voi!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi, i farisei domandano a Gesù una cosa che ci ha sempre attratti, con un insieme di interesse, di curiosità e di paura...: Quando verrà il Regno di Dio? Quando sarà il giorno definitivo, la fine del mondo, il ritorno di Cristo per giudicare i vivi ed i morti nel giudizio finale?

Gesù disse che ciò è imprevedibile. L’unica cosa che sappiamo è che verrà improvvisamente, senza previo avviso: sarà «come la folgore, guizzando» (Lc 17,24), un successo improvviso, e allo stesso tempo colmo di luce e di gloria. Riguardo alle circostanze, la seconda venuta di Gesù resta nel mistero. Gesù, però, ci da una traccia autentica e sicura: da questo momento «il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21). O, meglio ancora:«dentro di voi».

Il grande avvenimento dell’ultimo giorno sarà un fatto universale, ma succede anche nel microcosmo di ogni cuore. E’ lì dove bisogna andare a cercare il Regno. E’ nel nostro intimo dov'è il Cielo, dove dobbiamo trovare Gesù.

Questo Regno, che comincerà in una forma imprevedibile “fuori”, può cominciare fin d’ora “dentro” di noi. L’ultimo giorno si svolge fin d’adesso in ciascuno di noi. Se l’ultimo giorno vogliamo entrare nel Regno, dobbiamo lasciar entrare adesso il Regno in ognuno di noi. Se vogliamo che Gesù in quell’ultimo momento sia il nostro giudice misericordioso, lasciamo che Lui sia adesso il nostro amico ed ospite in noi stessi.

San Bernardo, in un sermone del tempo di Avvento, parla di tre venute di Gesù. La prima venuta, quando s’incarnò; l’ultima, quando verrà come giudice. C´è una venuta intermedia, che è quella che ha luogo adesso nel cuore di ciascuno di noi. E’ lì dove si fanno presenti, a livello personale e di esperienza, la prima e l’ultima venuta. La sentenza che Gesù pronuncerà il giorno del Giudizio, sarà quella che risuoni adesso nel nostro cuore. Ciò che non è ancora arrivato, è già fin d’ora una realtà.
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16/11/2020 23:46
 
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«La tua fede ti ha salvato»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, il cieco Bartimeo (cf. Mc 10,46) ci offre una lezione di fede, espressa con franca sincerità davanti a Cristo. Quante volte ci converrebbe ripetere la stessa esclamazione di Bartimeo!: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18-37). E’ così utile per la nostra anima sentirci indigenti! Il fatto è che lo siamo e che, sfortunatamente, poche volte lo riconosciamo davvero e..., naturalmente, ricadiamo nella ridicolaggine. Così ce l’avverte san Paolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7).

Bartimeo non ha vergogna di sentirsi com’è. In non poche occasioni, la società, la cultura di quello che è “politicamente corretto”, vorrà farci tacere; con Bartimeo non ci riuscirono. Lui non cedette. Nonostante che «lo rimproveravano perché tacesse, (...) lui gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,39). Che meraviglia! Vien voglia di dire: -Grazie, Bartimeo, per questo esempio!

Vale la pena di fare come lui, perché Gesù ascolta. E ascolta sempre, nonostante la baldoria che alcuni organizzino attorno a noi! La fiducia semplice (naturale) –senza sottigliezze- di Bartimeo disarma Gesù e gli ruba il cuore: «ordinò che lo conducessero e (...) gli domandò: ”Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Lc 18,40-41). Dinnanzi a una fede così grande, Gesù, senza perifrasi, e . . . Bartimeo neppure: «Signore, che io veda di nuovo!» (Lc 18,40-41). Detto e fatto: «Abbi di nuovo la tua vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc18,42). Perché « la fede se è forte, difende tutta la casa» (sant’Ambrogio), cioè tutto gli è possibile.

Lui è tutto; Egli ci da tutto. Allora cos'altro possiamo fare davanti a Lui se non darGli una risposta di fede? E questa “risposta di fede” significa “lasciarsi trovare” da questo Dio che, -mosso dal suo affetto di Padre- ci cerca da sempre. Dio non ci si impone, ma passa frequentemente molto vicino a noi: impariamo la lezione di Bartimeo e... non lasciamola passare inavvertitamente!
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17/11/2020 08:23
 
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«Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvareciò che era perduto»

Rev. D. Enric RIBAS i Baciana
(Barcelona, Spagna)
Oggi, Zaccheo sono io. Questo personaggio era ricco e capo di pubblicani; io ho più di quanto abbia bisogno e forse molte volte agisco come un pubblicano e mi dimentico di Cristo. Gesù, nella moltitudine, cerca Zaccheo; oggi, in mezzo a questo mondo, cerca precisamente me: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).

Zaccheo desidera vedere Gesù; non ci riuscirà se non si sforza e sale sull’albero. Tante volte vorrei anch'io vedere l’azione di Dio, ma non so se sono veramente disposto a cadere nella ridicolaggine agendo come Zaccheo. La disposizione del capo dei pubblicani di Gerico è necessaria perché Gesù possa agire; e se non si affretta, chissà perda l’unica opportunità di essere toccato da Dio e così di salvarsi. Forse ho avuto molte opportunità di incontrarmi con Gesù e chissà sia già ora di essere coraggioso, di uscire di casa, di incontrarLo e di invitarLo ad entrare dentro di me, perché Lui possa dire anche di me: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9-10).

Zaccheo lascia entrare Gesù in casa sua e nel suo cuore, sebbene non si senta troppo degno di tale visita. In lui, la conversione è totale: comincia con la rinuncia all’ambizione delle ricchezze, prosegue con il proposito di dividere i suoi beni e finisce determinando di fare giustizia, correggendo i peccati commessi. Forse Gesù mi sta chiedendo qualcosa di simile da molto tempo, io però non voglio ascoltarlo, faccio orecchie da mercante; ho bisogno di convertirmi.

Diceva san Massimo: «Non c’è nulla di più caro e piacevole a Dio come che gli uomini si convertano a Lui con un pentimento sincero». Che Lui mi aiuti oggi a farne una realtà.
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19/11/2020 08:58
 
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«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!»

Rev. D. Blas RUIZ i López
(Ascó, Tarragona, Spagna)
Oggi, l’immagine che ci presenta il Vangelo è quella di un Gesù che «pianse» (Lc 19,41) per la sorte della città eletta, che non ha riconosciuto la presenza del suo Salvatore. Conoscendo le notizie che si son avute negli ultimi tempi, ci risulterebbe facile applicare questo lamento per la città che è, allo stesso tempo santa e motivo di divisioni.

Ma, guardando più avanti, possiamo identificare questa Gerusalemme con il popolo eletto, che è la Chiesa, e –per estensione- con il mondo in cui questa deve compiere la sua missione. Così facendo, ci troveremo davanti a una comunità che, sebbene abbia raggiunto quote altissime nel campo della tecnologia e della scienza, geme e piange, perché vive circondata dall’egoismo dei suoi membri, perché ha alzato attorno a sé le mura della violenza e del disordine morale, perché scaraventa a terra i suoi figli, trascinandoli con le catene di un individualismo disumanizzante. Infine, quello che troviamo è un popolo che non ha saputo riconoscere il Dio che la visita (cf. Lc 19,44).

Tuttavia, noialtri cristiani non possiamo fermarci alle semplici lagnanze, non dobbiamo essere profeti di sventure, ma uomini di speranza. Conosciamo il finale della storia, sappiamo che Cristo ha fatto cadere le mura e ha rotto le catene: le lacrime che verte in questo Vangelo prefigurano il sangue con cui ci ha salvati.

Di fatto, Gesù è presente nella sua Chiesa, specialmente per mezzo di quelli che sono i più bisognosi. Dobbiamo riconoscere questa presenza per capire la tenerezza che Cristo ha verso di noi: è così eccelso il suo amore, ci dice sant’Ambrogio, che Lui si è fatto piccolo ed umile affinché noi possiamo diventare grandi; Lui si è lasciato stringere tra le fasciature di un bambino comune, perché noi siamo liberati dai lacci del peccato; Lui si è lasciato inchiodare sulla croce, perché noi possiamo essere enumerati tra le stelle del cielo...Perciò, dobbiamo essere riconoscenti verso Dio, e scoprire presente tra noi Colui che ci visita e ci salva.
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20/11/2020 09:52
 
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«La mia casa sarà casa di preghiera»

P. Josep LAPLANA OSB Monje de Montserrat
(Montserrat, Barcelona, Spagna)
Oggi, il gesto di Gesù è profetico. Alla maniera degli antichi profeti, realizza un’azione simbolica, piena di significato con vista al futuro. Nel cacciare dal tempio i mercanti che vendevano le vittime destinate a servire come offerta e nell’evocare che «il mio tempio si chiamerà casa di preghiera» (Is 56,7), Gesù annunciava la nuova situazione che Lui veniva a istituire, nella quale i sacrifici di animali non avevano più spazio. San Giovanni definirà la nuova relazione cultuale come una «adorazione al Padre in Spirito e verità» (Gn 4,24). La figura deve lasciar posto alla realtà. San Tommaso d’Aquino diceva poeticamente: “Et antiquum documentum / novo cedat ritui” (che l’Antico Testamento ceda il posto al Nuovo Rito).

Il Nuovo Rito è la parola di Gesù. Per questo, San Luca ha collegato la scena della purificazione del tempio con la presentazione di Gesù predicando in esso ogni giorno. Il nuovo rito si centra nella preghiera e nell’ ascolto della Parola di Dio. Ma, in realtà, il centro del centro dell’istituzione cristiana è la stessa persona viva di Gesù, con la sua carne consegnata e il suo sangue versato sulla croce offerti nella Eucaristia. Anche questo San Tommaso rimarca religiosamente: “Recumbens cum fratibus (...) se dat suis manibus” (seduto a cena con i fratelli (...) dà se stesso con le proprie mani).

Nel Nuovo Testamento iniziato da Gesù non sono più necessari i buoi ne i venditori di agnelli. Lo stesso che «tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo» (Lc 19,48), noi non dobbiamo andare al tempio a sacrificare delle vittime, bensì a ricevere Gesù, autentico agnello immolato offerto per noi una volta per tutte (cf. Eb 7,27), e ad unire la nostra vita con la sua.
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