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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2024 07:50
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11/03/2020 08:49
 
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«Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore»

Rev. D. Francesc JORDANA i Soler
(Mirasol, Barcelona, Spagna)

Oggi la Chiesa —Ispirata dallo Spirito Santo— ci propone in questo tempo di Quaresima un testo in cui Gesù imposta ai suoi discepoli —e per tanto anche a noi— un cambio di mentalità. Gesù oggi capovolge le visioni umane e terrestri dei suoi discepoli e gli apre un nuovo orizzonte di comprensione su quale dovrà essere lo stile di vita dei suoi proseliti.

Le nostre tendenze naturali ci suscitano il desiderio di dominare le cose e le persone, dirigere e dare ordini, che si faccia ciò che a noi piace, che la gente possa riconoscere in noi uno status, una posizione. Invece il cammino che Gesù ci propone è l’opposto: «Tra voi non sarà così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,26-27). “Servitore”, “schiavo”: non possiamo rimanere nell’enunciato delle parole!. Le abbiamo sentite centinaia di volte dobbiamo, essere capaci di entrare in contatto con la realtà che significano, e confrontare questa realtà con le nostre attitudini e comportamenti.

Il Concilio Vaticano II ha affermato che «L’uomo acquisisce la sua pienezza attraverso il servizio di donarsi agli altri». In questo caso, ci sembra che diamo la vita, quando in realtà la stiamo incontrando. L’uomo che non vive per servire non serve per vivere. E con questa attitudine il nostro modello è lo stesso Cristo, -l’uomo pienamente uomo- giacché «il Figlio dell’uomo, non è venuto per farsi servire ma a servire e a dare la sua vita come riscatto per molti».

Essere servo, essere schiavo così come ce lo chiede Gesù, è impossibile per noi. Rimane fuori dalla capacità della nostra povera volontà: dobbiamo implorare, attendere e desiderare intensamente che ci siano concessi questi doni. La Quaresima e le sue pratiche quaresimali -digiuno, elemosina e preghiera– ci ricordano che per ricevere questi doni dobbiamo prepararci adeguatamente.
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14/03/2020 09:46
 
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«Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, vediamo la misericordia, la nota caratteristica di Dio Padre, nel momento in cui contempliamo una Umanità “orfana”, perché –smemorata- non sa che è figlia di Dio. Cronin parla di un figlio che andò via di casa, dissipò denaro, salute, l’onore della famiglia...fu imprigionato. Poco prima di uscire in libertà, scrisse a casa: se i suoi lo perdonavano che mettessero un fazzoletto bianco sul melo, vicino alla ferrovia. Al vederlo sarebbe tornato a casa; se no, non lo avrebbero più visto. Il giorno che uscì dal carcere, arrivando, non si azzardava a guardare, ci sarà il fazzoletto? «Apri gli occhi!...Guarda!» gli disse un compagno. E rimase a bocca aperta: nell’albero non c’era solo un fazzoletto bianco, ma centinaia di questi; era pieno di fazzoletti bianchi!

Ci ricorda quel quadro di Rembrandt nel quale si vede il figlio che ritorna, indifeso e affamato, ed è abbracciato da un anziano, con due mani diverse: una da padre che abbraccia fortemente; e l’altra da madre affettuosa e dolce, accarezzandolo. Dio è padre e madre...

«Padre, ho peccato» (cf. Lc 15,21), vogliamo dire anche noi, e sentire l’abbraccio di Dio nel sacramento della confessione, e partecipare alla festa dell’Eucarestia: «mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita»(Lc 15,23-24). Così, visto che – «Dio ci aspetta – ogni giorno!- come quel padre della parabola aspettava suo figlio prodigo» (San Josemaría), ricorriamo il cammino con Gesù verso l’incontro con il Padre, dove tutto sarà più chiaro: «Il mistero dell’uomo solo diventa comprensibile alla luce del mistero del Verbo incarnato» (Consiglio Vaticano II).

Il protagonista è sempre il Padre. Che il deserto della Quaresima ci porti a interiorizzare questa chiamata e a partecipare nella misericordia divina, giacché la vita è un ritornare al Padre
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17/03/2020 06:13
 
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«Il padrone ebbe compassione (...) e gli condonò il debito»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)

Oggi, il Vangelo di Matteo ci invita a una riflessione sul mistero del perdono, proponendo un parallelismo tra lo stile di Dio e il nostro nel momento di perdonare.

L’uomo si azzarda a misurare e a calcolare la sua magnanimità nel perdonare. «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Sette volte?» (Mt 18,21). A Pietro sembra che `sette volte´ è già un po’ troppo o che, forse, sia il massimo che possiamo sopportare. Riflettendoci meglio, Pietro si rivela essere ancora più generoso se lo paragoniamo all’uomo della parabola, che, quando incontrò un suo compagno che gli doveva cento danari, «lo prese per il collo e soffocandolo gli diceva: «Restituisci quello che devi» Mt 18,28), negandosi ad ascoltare la sua supplica ne la promessa di restituzione.

A conti fatti, l’uomo o si rifiuta di perdonare o riduce alla minima espressione il suo perdono. Realmente, nessuno direbbe che abbiamo appena ricevuto, da Dio, un perdono, infinitamente reiterato e senza limiti. La parabola dice: «Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito» (Mt 18,27). E pensare che il debito era molto importante.

La parabola, però, che stiamo commentando fa risaltare lo stile di Dio, al momento di concedere il perdono. Dopo aver richiamato il suo debitore e di avergli fatto osservare la serietà della situazione, si lasciò improvvisamente intenerire dalla sua richiesta compunta ed umile: «Prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» Il padrone ebbe compassione...» (Mt 18,26-27). Questo episodio mette in evidenza quello che ognuno di noi sa per propria esperienza e con profonda riconoscenza, cioè che Dio perdona senza limiti chi si pente e si converte. Il finale negativo e triste della parabola, dopo tutto, fa onore alla giustizia e mette in evidenza la veracità di quell’altra espressione di Gesù in Lc 6,38: « Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
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19/03/2020 06:52
 
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«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa»

+ Mons. Ramon MALLA i Call Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)

Oggi, la Chiesa celebra la festa di San Giuseppe, lo sposo di Maria. E’, diremmo, una parentesi festiva dentro l’austerità della Quaresima. L’allegria di questa festa, però, non risulta essere un ostacolo per continuare il nostro cammino di conversione che è proprio del tempo quaresimale.

E’ bravo chi, alzando il suo sguardo, si sforza perché la propria vita si adatti al progetto di Dio. Ed è bravo chi, guardando gli altri, cerca di interpretare sempre nel migliore dei modi tutte le azioni che realizzano e salva la buona fama. Nei due aspetti di bontà, ci viene presentato san Giuseppe nel Vangelo di oggi.

Dio ha, per ognuno di noi, un progetto d’amore, perché «Dio è amore» (1Gv 4,8). La durezza della vita, però, fa sì che, qualche volta, non riusciamo a scoprirlo. Logicamente, poi, ci lagniamo e ci resistiamo ad accettare le croci.

Non dovette essere facile per san Giuseppe vedere che Maria «prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18). Aveva pensato di sciogliere l’accordo matrimoniale, ma, «in segreto» (Mt 1,19). E alla volta, quando «ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore» (Mt 1,20), rivelandogli che lui doveva essere il padre putativo del Bambino, l’accettò immediatamente «e prese con sè sua moglie» (Mt 1,24).

La Quaresima è una buona occasione per scoprire quello che aspetta Dio da noi e per rafforzare il nostro desiderio di tradurlo in pratica. Chiediamo al buon Dio, «per l’intercessione dello Sposo di Maria», come diremo nella colletta della Messa, che avanziamo nel nostro cammino di conversione, imitando San Giuseppe nell’accettare la volontà di Dio e nell’esercizio della carità verso il prossimo. Allo stesso tempo, teniamo presente che «tutta la Chiesa santa è debitrice verso la Vergine Madre, poiché per mezzo di Lei ha ricevuto Cristo, così pure, dopo di Lei, San Giuseppe è il più degno della nostra riconoscenza e riverenza» (San Bernardino di Siena).
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21/03/2020 10:43
 
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« Io vi dico: questi (...) tornò a casa sua giustificato »

Fr. Gavan JENNINGS
(Dublín, Irlanda)

Oggi, Gesù ci presenta due uomini che, di fronte ad un “osservatore” occasionale, potrebbero sembrare quasi identici, giacché essi si trovano allo stesso posto, svolgendo la stessa attività: entrambi «salirono al tempio a pregare» (Lc 18,10). Ma oltre le apparenze, nel profondo delle loro coscienze personali, i due uomini sono radicalmente differenti: l’uno, il fariseo, ha la coscienza tranquilla, mentre l’altro, il pubblicano -esattore delle tasse- si trova inquieto a causa dei suoi sentimenti di colpa.

Ai nostri giorni siamo propensi a considerare i sentimenti di colpa –il rimorso- come un qualcosa che si avvicina ad una aberrazione psicologica. Tuttavia la coscienza di colpa consente al pubblicano di uscire dal Tempio, con l’animo sollevato, giacché «questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14) mentre l’altro no. «Il senso di colpa», ha scritto Benedetto XVI, quando Egli era ancora Cardinale Ratzinger (“Coscienza e verità”), rimuove la falsa tranquillità di coscienza e può essere chiamato, contraria alla mia “protesta della coscienza” contro la mia esistenza auto-compiacente. E’ tanto necessario all’uomo, come il dolore fisico che indica un’alterazione corporale delle funzioni normali».

Gesù non vuole indurci a pensare che il fariseo non stia dicendo la verità quando afferma di non essere avido, ingiusto, ne adultero, che digiuna e offre soldi al Tempio (cf. Lc 18,11); ma neppure che l’esattore delle tasse stia delirando al considerarsi peccatore. Non è questo il caso. Succede, invece che «il fariseo, anche lui, ha colpa. Egli ha la coscienza completamente chiara. Ma il “silenzio della coscienza” lo rende impenetrabile davanti a Dio e d’innanzi agli uomini, mentre il “grido della coscienza” inquieta il pubblicano e lo rende capace della verità e dell’ amore. «Gesù può riscuotere i peccatori!» (Benedetto XVI).

«Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato»

Rev. D. David COMPTE i Verdaguer
(Manlleu, Barcelona, Spagna)

Oggi, immersi nella cultura dell’immagine, il Vangelo, che ci viene proposto, ha una profonda carica di contenuto. Ma avanziamo un po’ alla volta.

Nel passaggio che contempliamo, vediamo che nella persona c’è un nodo con tre corde, in modo tale che è impossibile scioglierlo se uno non ha presente le tre corde menzionate. La prima ci relaziona con Dio, la seconda con gli altri e la terza con noi stessi. Osserviamo attentamente: quelli ai quali si dirige Gesù «avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc 18,9) e in questo modo, pregavano male. Le tre corde sono sempre relazionate tra di loro!

Come fondamentare bene queste relazioni? Qual’è il segreto per sciogliere il nodo? Ce lo dice la conclusione di questa incisiva Parabola: `l’umiltà´. Così pure fu espresso da Santa Teresa di Avila: «L’umiltà è la verità».

E’ vero, l’umiltà ci permette di riconoscere la verità su noi stessi. Ne compiacersi di vanagloria, ne disprezzarci. L’umiltà ci fa riconoscere, come tali, i doni ricevuti e ci permette di presentare innanzi a Dio il lavoro della giornata. L’umiltà riconosce anche i doni del prossimo. Anzi, si rallegra.

Infine l’umiltà è anche la base della relazione con Dio. Pensiamo che nella parabola di Gesù, il fariseo, conduce una vita inappuntabile, con le pratiche religiose settimanali e, perfino, pratica l’elemosina! Ma non è umile e ciò danneggia tutte le sue azioni.

E’ prossima la Settimana Santa. Presto contempleremo –ancora una volta!- Cristo sulla Croce: «Il Signore crocifisso è una prova insuperabile di amore paziente e di umile mansuetudine» (Giovanni Paolo ll) Lì vedremo come di fronte alla supplica di Dima -«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42)- il Signore risponde con una “canonizzazione fulminante”, che non ha precedenti: «In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Questo personaggio era un assassino che resta, infine, canonizzato dallo stesso Cristo, prima di morire.

E’ un caso inedito e, per noi, un motivo di consolazione...; la santità non la “fabbrichiamo” noi, ma la concede Dio se Iddio trova in noi un cuore umile e convertito.
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22/03/2020 09:44
 
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«Va’ a lavarti»

Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(La Fuliola, Lleida, Spagna)

Oggi, quarta domenica di Quaresima, —detta “Dominica Laetare”— tutta la liturgia ci invita a provare una allegria profonda, una grande gioia per la vicinanza della Pasqua.

Gesù fu motivo di grande gioia per quello nato cieco, al quale ha concesso la visione del corpo e della luce spirituale. Il cieco ha creduto e ha ricevuto la luce di Cristo. Invece, quei farisei, che si credevano nella saggezza e la luce, sono rimasti ciechi per la loro durezza di cuore ed il suo peccato. Infatti, «Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista» (Gn 9,18).

Quanto ci è necessaria la luce di Cristo per noi vedere la realtà nella sua vera dimensione! Senza la luce della fede saremmo praticamente ciechi. Noi abbiamo ricevuto la luce di Cristo ed è necessario che tutta la nostra vita sia illuminata da questa luce. Inoltre, questa luce deve risplendere nella santità di vita per attrarre molti che ancora la sconoscono. Tutto questo presuppone conversione e crescita nella carità. Soprattutto in questo tempo di Quaresima e in questa fase tardiva. San Leone Magno ci esorta : «Sebbene ogni momento è il momento giusto per praticare la virtù della carità, in questi giorni di Quaresima ci invita a farlo con più urgenza».

Solo una cosa ci può separare dalla luce e la gioia che Cristo ci dona, e questa cosa è il peccato, il voler vivere lontano dalla luce del Signore. Purtroppo, molti —a volte noi stessi— entriamo in questo sentiero oscuro e perdiamo la luce e la pace. Sant'Agostino, partendo dalla sua propria esperienza, ha detto che non c'è niente di più miserabile che la felicità di coloro che peccano.

Pasqua è vicina e il Signore vuole comunicarci tutta la gioia della Risurrezione. Prepariamoci ad accoglierla e festeggiarla. «Va’ a lavarti» (Gv 9,7), ci dice Gesù... Un lavaggio nelle acque purificatrici del sacramento della Penitenza! Qui troviamo la luce e la gioia, e faremo la migliore preparazione alla Pasqua
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29/03/2020 11:55
 
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«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà»

Dr. Johannes VILAR
(Köln, Germania)

Oggi, continuare a scrivere la Chiesa ci presenta un grande miracolo: Gesù risuscita una persona, morta da diversi giorni.

La risurrezione di Lazzaro è “tipo” di quella di Cristo che ricorderemo prossimamente. Gesù dice a Marta che Lui è la «risurrezione e la vita (cf. Gv 11,25). A noi tutti domanda: «Credi questo?» (Gv 11,26). Crediamo che nel Battesimo ci ha regalato Iddio una nuova vita? Dice San Paolo che noi siamo una creatura nuova (cf. 2Cor 5,17). Questa risurrezione è il fondamento della nostra speranza, che si basa non in una utopia futura, incerta e falsa, ma in un fatto: «Davvero il Signore è risorto» (Lc 23,34).

Gesù ordina: «Liberatelo e lasciatelo andare» (Gv 11,34). La redenzione ci ha liberati dalle catene del peccato, che tutti soffrivamo. Diceva il Papa Leone Magno: «Gli errori sono stati vinti, sono state soggiocate le potestà ed il mondo ha guadagnato un nuovo inizio. Perché, se soffriamo con Lui, regneremo pure con Lui (cf. Rom 8,17). Questo guadagno si trova preparato non solo per quelli che, nel nome del Signore, vengono torturati dai senza-dio, ma pure per tutti quelli che servono Dio e vivono in Lui, perché essi sono crocifissi in Cristo ed in Cristo otterranno la corona».

I cristiani sono chiamati, fin da questa terra, a vivere questa nuova vita soprannaturale che ci rende capaci di dar credito della nostra sorte, sempre pronti a dare una risposta a tutti quelli che domandano il motivo della nostra speranza! (cf. 1Pi 3,15). E’ logico che, in questi giorni, cercheremo di seguire da vicino Gesù Maestro. Tradizioni, quali il Via Crucis, la meditazione dei Misteri del Rosario, i testi dei Vangeli,... tutto può e deve esserci d’aiuto.

La nostra speranza va posta anche in Maria, Madre di Gesù Cristo e Madre nostra che è, allo stesso tempo, un’immagine della speranza: sotto la Croce sperò contro ogni speranza e fu associata all’opera redentrice di Suo Figlio
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31/03/2020 13:15
 
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«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono»

Rev. D. Josep Mª MANRESA Lamarca
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)

Oggi, V martedì di Quaresima, a una settimana dalla contemplazione della Passione del Signore, Lui ci invita ad osservarlo anticipatamente redimendoci dalla Croce: «Gesù Cristo è il nostro Pontefice, il Suo corpo prezioso è il nostro sacrificio che Lui offrì sull’ara della Croce per la salvezza di tutti gl uomini» (San Giovanni Fisher).

«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo...» (Gv 8,28). Infatti, Cristo Crocifisso, -Cristo “innalzato” è il grande, definitivo segno d’amore del Padre verso l’umanità cadente. Le sue braccia aperte , distese tra il cielo e la terra, tracciano il segno incancellabile della Sua amicizia con noi uomini. Al contemplarlo così, alzato davanti al nostro sguardo peccatore, «sapremo che è Lui» (Gv 8,28), e allora, come quei giudei che l’ascoltavano, anche noi crederemo in Lui.

Solo l’amicizia di chi è familiarizzato con la Croce può offrirci la connaturalità per addentrarsi nel Cuore del Redentore. Pretendere un Vangelo senza Croce, spoglio del senso cristiano della mortificazione, o contagiato dall’ambiente pagano e naturalista che ci impedisce di capire il valore redentore della sofferenza, ci metterebbe nella terribile possibilità di ascoltare dalle labbra di Cristo: «Dopo tutto, non vale la pena di continuare a parlarci».

Che il nostro sguardo alla Croce, uno sguardo sereno e contemplativo, sia una domanda al Crocifisso che, senza suoni di parole Gli dica: «Tu, chi sei?» (Gv 8,25). Egli ci risponderà che è «il Cammino, la Verità e la Vita» (Gv 14,6), la Vite, alla quale se non siamo uniti, poveri tralci, non possiamo dare frutto, perché solo Lui ha parole di vita eterna. E così, se non crediamo che `Lui è´, moriremo per i nostri peccati. Vivremo tuttavia, e vivremo, già in questa terra, vita Celestiale, se impariamo da Lui la gioiosa certezza che il Padre è con noi, che non ci lascia soli. Così imiteremo il Figlio, facendo sempre quello che compiace al Padre.
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04/04/2020 09:27
 
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«Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»

Rev. D. Xavier ROMERO i Galdeano
(Cervera, Lleida, Spagna)

Oggi, in cammino verso Gerusalemme, Gesù sa di essere perseguitato, vigilato, sentenziato, perché quanto più grande e inedita è stata la Sua rivelazione –l’annuncio del Regno- più ampia e più chiara è stata la divisione e l’opposizione che ha trovato fra gli ascoltatori (cf.Gv 11,45-46).

Le parole negative di Caifa, «E’ conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo e non vada in rovina la nazione intera!» (Gv 11,50), Gesù le assumerà positivamente per il compimento della nostra redenzione. Gesù, il Figlio Unigenito di Dio, sulla Croce muore per amore a tutti noi! Muore per realizzare il progetto del Padre, cioè «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52).

Ed è questa la meraviglia e la creatività del nostro Dio! Caifa, con la sua sentenza («E’ conveniente per voi che un solo uomo muoia...») non fa altro che, per odio, eliminare un idealista; invece, Dio Padre, all’inviare Suo Figlio, per amore verso di noi, fa qualcosa di meraviglioso: trasforma quella sentenza malevola in un atto d’amore redentore, perché per Iddio Padre, ogni uomo ha il valore di tutto il sangue sparso da Gesù Cristo!

Tra una settimana –nella solenne vigilia pasquale- canteremo il `Preconio Pasquale´ Attraverso questa meravigliosa preghiera, la Chiesa elogia il peccato originale. E non lo fa perché ignori la sua gravità, ma perché Dio, -nella Sua bontà infinita- ha realizzato `prodigi´ come risposta al peccato dell’uomo. Vuol dire che, di fronte al “dolore originale”, Lui ha risposto con l’Incarnazione, con l’immolazione personale e con l’istituzione dell’Eucaristia. Perciò la liturgia, il prossimo sabato canterà: «Che meraviglioso beneficio del tuo amore per noi! Che incomparabile tenerezza e carità! Oh felice colpa che ci fece meritare un sì grande Redentore!».

Voglia il Cielo che i nostri pensieri, parole e azioni, non siano di impedimento per la evangelizzazione, giacché da Cristo abbiamo ricevuto anche noi la missione di riunire i figli di Dio dispersi: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19
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07/04/2020 09:11
 
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«Ed era notte»

Abbé Jean GOTTIGNY
(Bruxelles, Belgio)

Oggi, Martedì Santo, la liturgia sottolinea il dramma che sta per scatenarsi e che concluderà con la crocifissione del Venerdì Santo. «Preso il boccone (Giuda), egli subito uscì. Ed era notte» (Gv 13,30). Sempre è di notte quando ci si allontana da quello che è "Luce di Luce, Dio vero di Dio vero» (Simbolo niceno-costantinopolitano).

Il peccatore è colui che da la spalla al Signore per gravitare intorno alle cose create, senza riferirle al Creatore. Sant'Agostino descrive il peccato come "un amore a se stesso fino al disprezzo di Dio". Insomma, un tradimento. Una prevaricazione frutto della «arroganza con cui vogliamo emanciparci da Dio per non essere altro che noi stessi, l'arroganza per la quale crediamo di non aver bisogno di amore eterno, poiché vogliamo dominare la nostra vita per noi stessi» (Benedetto XVI). Si può capire che Gesù, quella sera, si "commosse profondamente" (Gv 13,21).

Fortunatamente, il peccato non è l'ultima parola. Questa è la misericordia di Dio. Ma essa suppone un "cambio" da parte nostra. Una inversione della situazione che consiste nel distaccarsi dalle creature per legarsi a Dio e ritrovare così la autentica libertà. Ma non aspettiamo ad essere nauseati delle false libertà che ci siamo presi, per cambiare a Dio. Come denunciò il padre gesuita Bourdaloue " vorremmo convertirci, quando siamo stanchi del mondo, o meglio, quando il mondo sia stanco di noi". Cerchiamo di essere più furbi. Decidiamoci adesso. La Settimana Santa è l'occasione propizia. Sulla croce, Cristo, tende le sue braccia a tutti. Nessuno è escluso. Tutto ladrone pentito ha un posto in paradiso. Questo sì, a condizione di cambiare vita e di riparare, come quello del Vangelo: "Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male" (Lc 23,41
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09/04/2020 09:21
 
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«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri»

Mons. Josep Àngel SAIZ i Meneses Vescovo di Terrassa
(Barcelona, Spagna)

Oggi, ricordiamo quel primo Giovedì Santo della storia, in cui Gesù incontra i suoi discepoli per celebrare la Pasqua. Allora inaugurò la nuova Pasqua della nuova Alleanza, nella quale si offre in sacrificio per la salvezza di tutti.

Nella Santa Cena, allo stesso tempo che l'Eucaristia, Cristo istituisce il sacerdozio ministeriale. Per mezzo di questo, si potrà perpetuare il sacramento dell'Eucaristia. Il prefazio della Messa Crismale ci rivela il significato: «Egli sceglie alcuni per farli partecipi del suo ministero santo, affinché rinnovino il sacrificio della redenzione, alimentino il tuo popolo con la tua Parola e lo confortino con i tuoi sacramenti».

E quello stesso Giovedì, Gesù ci dà il comandamento dell'amore: «che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato» (Gv 13,34). Prima, l'amore si basava sul premio ricevuto a cambio, o nel compimento di una regola imposta. Ora, l'amore cristiano si basa in Cristo. Egli ci ama fino a dare la vita: questa deve essere la misura dell'amore del discepolo e deve essere il segnale, la caratteristica del riconoscimento cristiano.

Ma l'uomo non ha la capacità di amare così. Non è semplicemente frutto di uno sforzo, ma un dono di Dio. Fortunatamente, Egli è Amore e, allo stesso tempo, fonte d’amore, dato a noi nel Pane Eucaristico.

Infine, oggi contempliamo la lavanda dei piedi. In atteggiamento di servo, Gesù lava i piedi degli apostoli, e raccomanda che lo facciano gli uni con gli altri (cfr Gv 13,14). C'è qualcosa di più che una lezione di umiltà in questo gesto del Maestro. È come un anticipo, come simbolo della Passione, della umiliazione totale che soffrirà per salvare tutti gli uomini.

Il teologo Romano Guardini dice che «l'atteggiamento del piccolo che si inclina davanti al grande, tuttavia non è umiltà. È semplicemente verità. Il grande che si umilia davanti al piccolo è il vero umile». Per questo, Gesù Cristo è autenticamente umile. Davanti a questo Cristo umile i nostri schemi si rompono. Gesù inverte i valori puramente umani e ci invita a seguirlo per costruire un mondo nuovo dal servizio
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10/04/2020 09:53
 
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«Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: È compiuto!. E, chinato il capo, consegnò lo spirito»

Rev. D. Francesc CATARINEU i Vilageliu
(Sabadell, Barcelona, Spagna)

Oggi, celebriamo il primo giorno del Triduo Pasquale. Pertanto è il giorno della Croce Vittoriosa da dove Gesù ci ha lasciato il meglio di se stesso: Maria come Madre, il perdono —anche dei suoi carnefici— e la fiducia totale in Dio Padre.

Lo abbiamo sentito nella lettura della Passione che ci trasmette la testimonianza di Giovanni presente nel calvario con Maria, la Madre del Signore e le donne. È una narrazione ricca in simbologia, dove ogni piccolo dettaglio, ha senso. Però anche il silenzio e la austerità della Chiesa, oggi, ci aiuta a vivere in un clima di preghiera, molto attenti al dono che celebriamo.

Davanti a questo grande mistero, siamo chiamati —innanzitutto— a vedere. La fede cristiana non è la relazione reverenziale verso un Dio lontano e astratto sconosciuto, ma la adesione a una persona, vero uomo come noi e allo stesso tempo vero Dio. L’invisibile si è fatto carne della nostra carne ed ha assunto di essere uomo fino alla morte e una morte di croce. Però fu una morte accettata come riscatto per tutti, morte redentrice, morte che ci dà vita. Quelli che erano lì e videro, ci trasmisero i fatti e allo stesso tempo, ci rivelarono il significato di quella morte.

Dinanzi a questo, sentiamo gratitudine e ammirazione. Conosciamo il prezzo dell’amore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).

La preghiera cristiana non è solamente chiedere, ma –innanzitutto– ammirare riconoscenti.

Gesù per noi, è modello che bisogna imitare, vale a dire riprodurre in noi le sue attitudini. Dobbiamo essere persone che amano fino a donarsi e fiduciose nel Padre in tutte le avversità.

Questo è in contrasto con l’atmosfera indifferente della nostra società, perciò il nostro testimonio deve essere più coraggioso che mai, già che il dono è per tutti. Cosi dice Melitòn de Sardes, «Egli ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Egli è la Pasqua della nostra salvezza».
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11/04/2020 10:20
 
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«---»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)

Oggi non meditiamo un vangelo in particolare, dal momento che è un giorno senza liturgia. Ma, con Maria, l'unica che è rimasta ferma nella fede e nella speranza, dopo la tragica morte del suo Figlio, ci prepariamo, nel silenzio e nella preghiera, per celebrare la festa della nostra liberazione in Cristo, che è il compimento del Vangelo.

La coincidenza temporale dei fatti tra la morte e la risurrezione del Signore e la festa annuale della Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù d'Egitto, permette di capire il senso liberatorio della croce di Gesù, nuovo agnello pasquale il cui sangue ci preserva dalla morte.

Un'altra coincidenza nel tempo, meno segnalata ma molto ricca nel significato, è quella con la festa ebraica settimanale del "Sabbat". Comincia nel pomeriggio di Venerdì, quando la madre di famiglia spegne le luci in ogni casa ebraica, e finalizza Sabato pomeriggio. Questo ricorda che dopo l'opera della creazione, dopo aver fatto il mondo dal nulla, Dio riposò il settimo giorno. Egli ha voluto che anche l'uomo riposasse il settimo giorno, in ringraziamento per la bellezza dell'opera del Creatore, e come segno del patto d’amore tra Dio e Israele, essendo invocato Dio nella liturgia ebraica del sabato come lo sposo d’Israele. La domenica è il giorno in cui tutti sono invitati ad accogliere la pace di Dio, la sua "Shalom".

Così, dopo il doloroso lavoro della croce "ritocco in cui l'uomo è battuto di nuovo" in espressione di Caterina da Siena, Gesù entra nel suo riposo nel momento stesso in cui si accendono le prime luci del Sabbat: "Tutto è compiuto" (Gv 19,3). Ora he finito il lavoro della nuova creazione: l’uomo prigioniero una volta del nulla del peccato, diventa una nuova creatura in Cristo. Una nuova alleanza tra Dio e l'umanità, che nulla potrà mai spezzare, è stata appena sigillata, perché d'ora in poi tutta infedeltà può essere lavata nel sangue e l'acqua che scorrono dalla croce.

La Lettera agli Ebrei dice: «È dunque riservato ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio» (Eb 4:9). La fede in Cristo ci dà accesso ad esso. Che il nostro vero riposo, la nostra pace profonda, non quella di un solo giorno, ma per tutta la vita, sia una totale speranza nella misericordia infinita di Dio, secondo l'invito del Salmo 16: «Anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi» Prepariamoci con un cuore nuovo a celebrare nella gioia le nozze dell’Agnello, e lasciamoci sposare pienamente per l'amore di Dio manifesto in Cristo
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14/04/2020 13:36
 
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«Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore!»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)

Oggi, nella figura di Maria Maddalena, possiamo considerare due livelli di accettazione del nostro Salvatore: imperfetto, il primo, completo il secondo. Dal primo, Maria si manifesta come sincerissima discepola di Gesù. Lei segue Lui, Maestro incomparàbile; Gli è eroicamente unita, quando lo vede Crocificato per amore; Lo cerca oltre la morte, sepolto e scomparso. Come sono impregnate di ammirevole dedicazione, verso il Suo “Signore,” sono le due esclamazioni che ci conservò, come perle incomparabili, l’evangelista Giovanni; «Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l´hanno posto» (Gv 20,30); «Signore, se L’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo»! (Gv 20,15). Pochi discepoli ha contemplato la storia con tanta consacrazione e tanta lealtà come dimostrò Maddalena.

Tuttavia, la buona notizia di oggi, di questo martedì della ottava di Pasqua, supera infinitamente tutta la bontà etica e tutta la fede religiosa in un Gesù ammirevole, ma, in ultima istanza, morto; e ci trasporta nell’ambito della fede nel Risuscitato. Quel Gesù che, in un primo momento, lasciandola al livello della fede imperfetta, si dirige alla Maddalena, domandandole: «Donna, perché piangi?» (Gv 20,15) e a cui lei, con occhi da miope, risponde, come se si trattasse di un ortolano che si interessa della sua insipidità; quel Gesù, adesso, in un secondo momento, definitivo, la chiama per nome: «Maria!» e la commuove fino al punto di farla sussultare di risurrezione e di vita, cioè, di Sé stesso, il Risuscitato, il Vivente per sempre. Il risultato? Maddalena credente e Maddalena apostola: «Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore!» (Gv 20,18).

Oggi non è raro il caso di cristiani che non vedono chiaro l’aldilà di questa vita e che dubitano della risurrezione di Gesù. Mi trovo fra di loro? Allo stesso modo ci sono numerosi cristiani che hanno sufficiente fede per seguirLo privatamente, ma che hanno paura di proclamarLo apostolicamente. Faccio parte di questo gruppo? Se così fosse, come Maria Maddalena, diciamoGli: -Maestro!, abbracciamoci ai Suoi piedi, e andiamo all’incontro dei nostri fratelli, per dir loro: -Il Signore è risuscitato e l’ho visto.
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15/04/2020 10:08
 
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«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?»

P. Luis PERALTA Hidalgo SDB
(Lisboa, Portogallo)

Oggi, il Vangelo ci assicura che Gesù è vivo e rimane il centro su cui costruire la comunità dei discepoli. Ed è in questo contesto ecclesiale –nell’incontro comunitario, nel dialogo con i fratelli che condividono la stessa fede, nell'ascolto comunitario della Parola di Dio, nell’ amore condiviso in gesti di fratellanza e di servizio- che i discepoli possono avere l'esperienza dell¡incontro con Gesù risorto.

I discepoli carichi di pensieri tristi, non immaginavano che quello sconosciuto fosse infatti il maestro, già risorto. Ma sentivano «bruciare» il cuore (cfr Lc 24,32), quando Egli gli parlava: «spiegando» le Scritture. La luce della Parola dissipava la durezza del loro cuore e «si aprirono loro gli occhi» (Lc 24, 31).

L'icona dei discepoli di Emmaus serve a guidare il lungo cammino dei nostri dubbi, preoccupazioni e delusioni a volte amare. Il divino Viaggiatore resta il nostro compagno per introdurci, con l’interpretazione della Scrittura, nella comprensione dei misteri di Dio. Quando l’incontro diventa pieno, la luce della Parola segue la luce che germoglia dal «Pan di Vita", con cui Cristo compie in modo supremo la promessa di «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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17/04/2020 10:25
 
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«Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti»

Rev. D. Joaquim MONRÓS i Guitart
(Tarragona, Spagna)

Oggi, Gesù, per la terza volta, dopo la Sua Risurrezione, appare ai Suoi discepoli. Pietro è tornato alla sua attività di pescatore e gli altri decidono di accompagnarlo. E’ lògico che se era pescatore prima di seguire Gesù, che continui ad esserlo dopo; e, tuttavia, c’è chi si meraviglia che non si debba abbandonare il proprio lavoro, onesto, per seguire Cristo.

Quella notte non pescarono nulla! Quando all’alba appare Gesù, non lo riconoscono, fino a quando non chiede loro qualcosa da mangiare. Quando Gli dicono che non hanno niente, Lui indica loro dove devono gettare la rete. Malgrado i pescatori sappiano bene il loro mestiere, in questo caso, dopo essersi prodigati senza risultati, ubbidiscono. « Potere dell'obbedienza! —Il lago di Genesaret negava i suoi pesci alle reti di Pietro. Tutta una notte invano. —Ma ora le reti sono gettate per obbedienza: e pescano una grande quantità di pesci.–Credimi: il miracolo si ripete ogni giorno.» (San Josemaria).

L’Evangelista fa osservare che erano «centocinquantatrè» pesci grandi (cf.Gv 21,11) e che nonostante fossero tanti, non si ruppero le reti. Sono particolari che bisogna prendere in considerazione, giacché la Redenzione viene realizzata con obbedienza responsabile, tra compiti usuali.

Tutti sapevano «che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro» (Gv 21,12-13). Lo stesso fece con i pesci. Tanto l’alimento spirituale, come pure l’alimento materiale, non mancherà se ubbidiamo. Lo insegna ai suoi discepoli più vicini, ce lo dice nuovamente per mezzo di Giovanni Paolo ll: «Al principio del nuovo millennio risuonano nel nostro cuore, le parole con cui un giorno Gesù (...) invitò l’Apostolo a `remare in alto mare: «Prendi il largo» (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni ebbero fiducia nella parola di Cristo (...) «e presero una quantità enorme di pesci» (Lc 5,6). Questa parola risuona ancora oggi per noi».

Per mezzo dell’ubbidienza, come quella di Maria, chiediamo al Signore che continui a concedere frutti apostolici per tutta la Chiesa
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21/04/2020 07:14
 
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«Dovete nascere dall’alto»

Rev. D. Xavier SOBREVÍA i Vidal
(Castelldefels, Spagna)

Oggi, Gesù espone la difficoltà di prevenire e conoscere lo Spirito Santo: infatti, «soffia dove vuole» (Gv 3,8). Questo è legato alla testimonianza che Lui stesso sta dando e la necessità di rinascere dall'alto. «Dovete rinascere dall'alto» (Gv 3,7), dice il Signore in modo chiaro; abbiamo bisogno di una nuova vita per poter entrare nella vita eterna. Non è sufficiente tirare avanti alla meno peggio per raggiungere il Regno dei Cieli, Abbiamo bisogno di una nuova vita rigenerata dall'azione dello Spirito di Dio. La nostra vita professionale, familiare, sportiva, culturale, ricreativa e, soprattutto, la nostra vita di pietà deve essere trasformata dal senso cristiano per l'azione di Dio. Tutto, trasversalmente, deve essere impregnato dal suo Spirito. Nulla, assolutamente nulla, dovrebbe rimanere fuori dalla rinnovazione che Dio realizza in noi con il suo Spirito.

Una trasformazione che ha Gesù Cristo come suo catalizzatore. Lui, che doveva essere innalzato sulla croce e che doveva anche risuscitare, è chi può fare che lo Spirito di Dio ci venga inviato. Egli che è venuto dall'alto. Egli che ha mostrato con tanti miracoli il suo potere e la sua bontà. Egli che in tutto fa la volontà del Padre. Egli che ha sofferto fino a versare l’ultima goccia di sangue per noi. Grazie allo Spirito che ci invierà, noi «possiamo raggiungere il Regno dei Cieli, per Lui otteniamo l’adozione filiale, per Lui ci si dà la fiducia necessaria per nominare Dio con il nome di "Padre", la partecipazione della grazia di Cristo e il diritto a partecipare alla gloria eterna» (S. Basilio il Grande).

Lasciamo che l'azione dello Spirito sia accolta da noi, ascoltiamoLo e applichiamo le sue ispirazioni affinchè ognuno di noi sia -nel suo luogo abituale- un buon esempio elevato che irradi la luce di Cristo.
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22/04/2020 10:41
 
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«La luce è venuta nel mondo»

Fr. Damien LIN Yuanheng
(Singapore, Singapore)

Oggi, davanti alle miriade di opinioni della vita moderna, può sembrare che la verità non esista più, -la verità rispetto a Dio, la verità su questioni relative al genere umano, la verità sul matrimonio, le verità morali, e in ultima istanza, la verità su me stesso.

Il brano del vangelo di oggi identifica Gesù Cristo come «Il cammino, la verità e la vita» (Gv 14,6). Senza Gesù troviamo solo desolazione, inganno e morte. Solo c’è un cammino, e solo uno, che porta in Cielo, e si chiama Gesù Cristo.

Cristo non è una opinione qualsiasi. Gesù Cristo è l’autentica verità. Negare la verità è come insistere nel chiudere gli occhi alla luce del sole. Tanto se piace come se non piace, il Sole sarà sempre lì; ma l’infelice ha liberamente scelto di chiudere gli occhi davanti al Sole della verità. Nello stesso modo, molti si consumano nelle loro corse con una tremenda forza di volontà e che richiedono l'uso di tutto il loro potenziale, dimenticando che solo possono raggiungere la verità riguardo a loro stessi camminando assieme Gesù Cristo.

D’altra parte, secondo Benedetto XVI, "Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8,32)» (Encíclica "Caritas in Veritate"). La verità di ciascuno è una chiamata a diventare il figlio o la figlia di Dio nella Casa del Padre, «Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Dio vuole figli e figlie liberi, non schiavi.

In realtà, l’"io" perfetto è un progetto congiunto tra Dio e me. Quando cerchiamo la santità, cominciamo a riflettere la verità di Dio nelle nostre vite. Il Papa lo ha detto in un bellissimo modo, «Ogni santo è come un raggio di luce che esce dalla Parola di Dio» (Esortazione Apostolica "Verbum Domini").
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23/04/2020 09:24
 
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«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna»

Rev. D. Melcior QUEROL i Solà
(Ribes de Freser, Girona, Spagna)

Oggi, il Vangelo ci invita a lasciar di essere “terrenali”, a smettere di essere uomini che solo parlano di cose mondane, per parlare e darci da fare come «chi viene dall’alto» (Gv 3,31), che è Gesù. In questo testo vediamo –ancora una volta- che nella radicalità del Vangelo non ci sono mezzi termini. È necessario che in tutti i momenti e in tutte le circostanze ci sforziamo per avere lo stesso pensiero di Dio, avere l’ambizione di sentire gli stessi sentimenti di Cristo, e aspiriamo guardare gli uomini e le circostanze con lo stesso sguardo del Verbo fatto uomo. Se agiamo come “chi viene dall’alto” scopriremo tutte le cose positive che continuamente succedono intorno a noi, perché l’amore di Dio è una continua azione in favore dell’uomo. Se veniamo dall’alto ameremo tutti quanti senza eccezioni, facendo della nostra vita un invito per gli altri a fare lo stesso.

«Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti» (Gv 3,31), per questo può servire ad ogni uomo e ad ogni donna giustamente in quello di cui ha bisogno; inoltre «attesta ciò che ha visto e udito» (Gv 3,32). E il suo servizio porta la marca della gratuità. Questa attitudine di servire senza sperare nulla in cambio, senza aspettare la risposta dell’altro, crea un ambiente profondamente umano e di rispetto alla libera scelta della persona; questa attitudine si contagia e gli altri si sentono liberamente mossi a rispondere ed agire della stessa forma.

Servizio e testimonianza vanno sempre insieme l’uno con l’altro, si identificano. Il nostro mondo ha bisogno di ciò che è autentico: che più autentico della parola di Dio? Che più autentico di colui che «dà lo Spirito senza misura »(Gv 3,34)? È per questo che «chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero» (Gv 3,33).

“Credere nel Figlio” significa avere vita eterna, significa che i giorno del Giudizio non pesa sul credente, perché è già stato giudicato e con un giudizio favorevole; al contrario «chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3,36)… fino a che non creda.
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26/04/2020 07:16
 
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«In quello stesso giorno [il primo della settimana]»

Rev. D. Jaume GONZÁLEZ i Padrós
(Barcelona, Spagna)

Oggi, incominciamo la proclamazione del Vangelo con l’espressione: «Quello stesso giorno, la domenica» (Lc 24,13). Si, ancora di domenica. Pasqua —si ha detto— è come una grande domenica di cinquanta giorni, oh, sapessimo l’importanza che ha questo giorno nella vita dei cristiani! «Ci sono motivi per dire, come suggerire l’omelia di un autore del IV secolo (il Pseudo Eusebio di Alessandria), che il giorno del Signore è il Signore dei giorni (...). Questa è effettivamente per i cristiani la “festa primordiale”» (San Giovanni Paolo II). La domenica per noi è come il seno materno, culla, celebrazione, famiglia e anche alito missionario. Oh, se guardassimo la luce e la poesia che ci porta! Allora affermeremmo come quei martiri dei primi secoli: «Non possiamo vivere senza la domenica».

Però quando il giorno del Signore perde rilievo nella nostra esistenza, anche si eclissa il Signor “del giorno’’, e diventiamo così pragmatici e “seri” che soltanto diamo credito ai nostri progetti e previsioni, piani e strategie; quindi addirittura la stessa libertà con la che Dio attua, ci è motivo di scandalo e di allontanamento. Ignorando lo stupore ci chiudiamo alla manifestazione più luminosa della gloria di Dio, e tutto si converte in un tramonto di delusione, preludio di una notte interminabile, dove la vita sembra condannata ad una perenne insonnia.

Tuttavia il Vangelo proclamato in mezzo alle assemblee domenicali è sempre annuncio angelico di una chiarezza orientata all’intendimento dei cuori tardivi nel credere (cf. Lc 24,25), e per questo è morbido, non esplosivo, giacché —di altro modo— più che illuminare ci cecherebbe. È la vita del Resuscitato che lo Spirito ci comunica con le parole e il pane partito, rispettando il nostro camminare fatto di passi corti e non sempre ben orientati.

Ogni domenica ricordiamoci che Gesù «Entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29), con noi. Lo hai riconosciuto oggi, cristiano?
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30/04/2020 07:29
 
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«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»

Rev. D. Pere MONTAGUT i Piquet
(Barcelona, Spagna)

Oggi, cantiamo al Signore da cui ci viene la gloria e il trionfo. Il Risuscitato si presenta alla sua Chiesa con quel «Io sono colui che è» che lo identifica come fonte di salvezza: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48). Nell’atto di ringraziamento, la comunità riunita intorno al Vivente lo riconosce amorosamente e accetta il precetto di Dio, riconosciuto ora come l’insegnamento del Padre. Cristo, immortale e glorioso, ci ricorda nuovamente che il Padre è l’autentico protagonista di tutto. Coloro che lo ascoltano e credono vivono in comunione con chi proviene da Dio, l’unico che lo ha visto, così la fede è il principio della vita eterna.

Il pane vivo è Gesù. Non è un alimento che assimiliamo in noi, bensì ci assimila. Lui ci fa avere fame di Dio, sete di ascoltare la sua Parola, che è gioia e allegria del cuore. La Eucaristia è l’anticipo della gloria celeste: «Spezziamo lo stesso pane, che è rimedio di immortalità, antidoto per non morire e per vivere per sempre in Cristo» (San Ignazio di Antiochia). La comunione con la carne del Cristo risorto ci deve abituare con tutto quello che scende dal cielo, ossia, a chiedere, a ricevere e assumere la nostra vera condizione: siamo fatti per Dio e solo Lui sazia pienamente il nostro spirito.

Però questo pane vivo non solo ci farà vivere un giorno, oltre alla morte fisica, bensì ci è dato ora «per la vita del mondo» (Gv 6,51). Il proposito del Padre, che non ci ha creato per morire, è legato alla fede e all’amore. Vuole una risposta attuale, libera e personale alla sua iniziativa. Ogni volta che mangiamo di questo pane, addentriamoci nell’amore stesso! Già non viviamo per noi stessi, già non viviamo nell’errore. Il mondo è ancora bello perché c’è chi continua ad amarlo fino all’estremo, perché esiste un Sacrificio del quale si beneficiano persino quelli che lo ignorano
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01/05/2020 09:49
 
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«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita»

Rev. D. Àngel CALDAS i Bosch
(Salt, Girona, Spagna)

Oggi, Gesù fa tre dichiarazioni capitali quali: che si deve mangiare la carne del Figlio dell’uomo e bere il suo sangue; che se non si fà la Comunione non si può aver vita; e che questa vita è la vita eterna ed è condizione per la risurrezione (cf. Gv 6,53.58). Non vi è nient’altro nel Vangelo che sia così chiaro, così evidente e definitivo come queste affermazioni di Gesù.

Non sempre i cattolici siamo all’altezza di ciò che merita l’Eucaristia: a volte pretendiamo “vivere” senza le condizioni di vita segnalate de Gesù e, come scrisse Giovanni Paolo II, «l’Eucaristia è un dono troppo grande per ammettere ambiguità e diminuzioni».

“Mangiare per vivere”: mangiare la carne del Figlio dell’uomo per vivere come il Figlio dell’uomo. Questo mangiare si chiama “comunione”. Si tratta di un “mangiare”, e diciamo “mangiare” affinché rimanga chiara la necessità dell’assimilazione, dell’identificazione con Gesù. Si comunica per mantenere la unione: per pensare come Lui, per parlare come Lui, per amare come Lui. I cristiani avevamo bisogno dell’enciclica eucaristica di Giovanni Paolo II, La Chiesa vive dell’Eucaristia. Si tratta di un’enciclica appassionata: è “fuoco” perché l’Eucaristia è incandescente.

«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15), disse Gesù la sera del Giovedì Santo. Dobbiamo recuperare il fervore eucaristico. Nessun’altra religione ha una simile iniziativa. È Dio stesso che scende fino al cuore dell’uomo per stabilire una misteriosa relazione d’amore. E da lì si costruisce la Chiesa e prende parte nel dinamismo apostolico ed ecclesiale dell’Eucaristia.

Stiamo toccando la profondità stessa del mistero, come Tommaso, che tocca le ferite di Cristo Risorto. Noi cristiani dovremo rivedere la nostra fedeltà al fatto eucaristico, così come Gesù lo ha rivelato e la Chiesa ce lo propone. Dobbiamo rivivere la “tenerezza” verso l’Eucaristia: genuflessioni pausate e ben fatte, incremento del numero delle comunioni spirituali... E, a partire dall’Eucaristia gli uomini ci appariranno sacri, così come sono. E li serviremo con una rinnovata tenerezza.
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02/05/2020 09:05
 
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«Tu hai parole di vita eterna»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)

Oggi, abbiamo appena finito di leggere nel Vangelo il discorso di Gesù sul Pane di Vita, che è Egli stesso che si darà a noi come alimento per le nostre anime e la nostra vita cristiana. E, come di solito succede, abbiamo visto due reazioni ben diverse, se non contrapposte, dal suo uditorio.

Per alcuni, il suo linguaggio è troppo duro, incomprensibile per le loro menti chiuse alla Parola salvifica del Signore, e San Giovanni dice -con una certa tristezza- che «Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). E lo stesso l'evangelista ci dà un indizio per capire l'atteggiamento di queste persone: non credevano, non erano disposte ad accettare gli insegnamenti di Gesù, spesso incomprensibili per loro.

D'altra parte, vediamo la reazione degli Apostoli, rappresentati da san Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto» (Gv 6,68-69). Non è che i dodici sono più perspicaci degli altri, nemmeno più buoni, forse nemmeno più esperti della Bibbia; quello che si sono: più semplici, più confidenti, più aperti allo Spirito, più docili. Li sorprendiamo ogni tanto nelle pagine dei Vangeli sbagliando, non comprendendo Gesù, discutendo su chi di loro è il più importante, anche correggendo il Maestro quando annuncia la sua passione, ma sempre li troviamo al suo fianco, fedeli. Il loro segreto: lo amavano veramente.

S. Agostino lo esprime così: «Non lasciano impronta nell’anima le buone abitudini, ma l'amore buono (...). Questo è vero amore, ubbidire e credere a chi si ama» Alla vista di questo Vangelo, possiamo domandarci: dove ho posto il mio amore? che fede e che obbedienza ho nel Signore e in quello che la Chiesa insegna? Con che docilità, semplicità e fiducia vivo con le cose di Dio?
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03/05/2020 09:08
 
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«Io sono la porta delle pecore»

P. Pere SUÑER i Puig SJ
(Barcelona, Spagna)

Oggi, nel Vangelo, Gesù usa due immagini riferite a se stesso: Egli è il pastore. Ed Egli è la porta. Gesù è il buon pastore che conosce le pecore. «Egli chiama le sue pecore una per una» (Gv 10,3). Per Gesù ognuno di noi non è un numero; per ciascuno riserva un contatto personale. Il Vangelo non è solo una dottrina: è l’adesione personale di Gesù con noi.

E non solo ci conosce personalmente. Egli ci ama personalmente. “Conoscere” nel Vangelo di san Giovanni non significa semplicemente un atto dell’intelletto, ma un atto di adesione alla persona conosciuta. Gesù, quindi, porta nel suo Cuore ciascuno di noi. E noi lo dobbiamo pure conoscere così. Conoscere Gesù non comporta solo un atto di fede, ma anche di carità, di amore. «Esaminatevi se conoscete —ci dice san Gregorio Magno, commentando questo testo— se lo conoscete non per il fatto di credere ma per il fatto di amare». E l’amore si dimostra con le opere.

Gesù è anche la porta. L’unica porta. «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,9). E poco dopo ribadisce: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Oggi un malinteso ecumenismo fa che qualcuno pensi che Gesù è uno dei tanti salvatori: Gesù, Budda, Confucio..., Maometto, che importanza ha? No! Chi si salva si salva per mezzo di Gesù Cristo, sebbene in questa vita non se ne renda conto. Chi lotta per compiere il bene, lo sappia o no, passa attraverso Gesù. Noi lo sappiamo grazie al dono della fede. Siamo dunque riconoscenti, sforziamoci di entrare attraverso questa porta, che, nonostante sia stretta, Egli ci spalanca. E diamo fede che tutta la nostra speranza è posta in Lui
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06/05/2020 09:20
 
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Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)

Oggi, Gesù grida come chi dice parole che devono essere ascoltate chiaramente da tutti. Il suo grido sintetizza la sua missione salvatrice, perché è venuto a «salvare il mondo» (Gv 12,47) ma non per se stesso, però, ma nel nome del «il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare» (Gv 12,49).

Non è ancora trascorso un mese da quando celebravamo il Triduo Pasquale. Quanto presente stette il Padre nell’ora estrema, l’ora della Croce! Come ha scritto Giovanni Paolo II, «Gesù, oppresso dalla previsione della prova che l’aspetta, solo davanti a Dio, lo invoca con la sua abituale e tenera espressione di fiducia: «`Abba, Padre’». Nelle ore seguenti si fa palese lo stretto dialogo del Figlio con il Padre: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

La importanza di questo atteggiamento del Padre e del suo inviato, si merita una risposta personale di chi ascolta. Questa risposta è il credere, ossia, la fede (cf. Gv 12,44); fede che ci da —lo stesso Gesù— la luce per non seguire nelle tenebre. Invece, chi rifiuta tutti questi doni e manifestazioni, e non conserva queste parole «ha chi lo condanna: la parola» (Gv 12,48).

Accettare Gesù, allora, è credere, vedere, ascoltare il Padre, significa non trovarsi immerso nelle tenebre, ubbidire il mandato di vita eterna. Ci risulta opportuna l’ammonizione di san Giovanni della Croce: «[Il Padre] tutto ce lo disse insieme e in una sola volta, per questa sola Parola (...). Per cui, chi adesso volesse chiedere a Dio, o volesse qualche visione o rivelazione, non solo farebbe una sciocchezza, ma offenderebbe Dio, al non porre gli occhi totalmente in Cristo, evitando di volere qualche altra cosa o novità».
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07/05/2020 08:28
 
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«Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli...»

Rev. D. David COMPTE i Verdaguer
(Manlleu, Barcelona, Spagna)

Oggi, come in quei film che iniziano ricordando un fatto del passato, la liturgia fa memoria di un gesto che appartiene al Giovedì Santo: Gesù lava i piedi ai suoi discepoli (cf. Gv 13,12). Così questo gesto —letto dalla prospettiva della Pasqua— assume una validità perenne. Prestiamo attenzione, solamente, a tre idee.

In primo luogo, la centralità della persona. Nella nostra società sembra che fare sia il termometro del valore di una persona. In questa dinamica è facile che le persone siano trattate come strumenti; facilmente ci utilizziamo gli uni agli altri. Oggi il Vangelo ci incita urgentemente a trasformare questa dinamica in una dinamica di servizio: l’altro non è mai puro strumento. Si tratterebbe di vivere una spiritualità di comunione, dove l’altro —in una espressione di Giovanni Paolo II— arriva ad essere “qualcuno che mi appartiene” e un “dono per me”, al quale bisogna “dare spazio”. Il nostro linguaggio lo ha afferrato felicemente con l’espressione: “esserci per gli altri”. Ci siamo per gli altri? Li ascoltiamo quando ci parlano?

Nella società dell’immagine e della comunicazione, questo non è un messaggio da trasmettere, ma è un incarico da compiere, nel vivere quotidiano «Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» (Gv 13,17). Forse per questo, il Maestro non si limita a una spiegazione: fissa il gesto del servizio nella memoria di quei discepoli, passando immediatamente alla memoria della Chiesa; una memoria chiamata costantemente ad essere un’altra volta gesto: nella vita di tante famiglie e di tante persone.

Per concludere, un campanello d’allarme: «Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno» (Gv 13,18). Nell’Eucaristia Gesù risorto si fa nostro servitore, ci lava i piedi. Però non è sufficiente con la presenza fisica. Bisogna imparare nell’Eucaristia e prendere coraggio per convertire in realtà che «Avendo ricevuto il dono dell'amore, moriamo al peccato e viviamo per Dio» (San Fulgenzio di Ruspe
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11/05/2020 08:00
 
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«Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»

Rev. D. Norbert ESTARRIOL i Seseras
(Lleida, Spagna)

Oggi, Gesù ci insegna il suo immenso desiderio di farci partecipi della sua pienezza. Uniti a Lui, stiamo nella fonte di vita divina che è la Santissima Trinità. «Dio è con te. Nella tua anima in grazia abita la Trinità Beatissima. —Pertanto, tu, nonostante le tue miserie, puoi e devi stare in continua conversazione con il Signore» (San Josemaria).

Gesù assicura che sarà presente in noi per la dimora di Dio, nell’anima in grazia. Così, i cristiani non siamo più orfani. Visto che ci ama tanto, nonostante non abbia bisogno di noi, non vuole fare a meno di noi.

«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21). Questo pensiero ci aiuta a tenere presenza di Dio. Allora, non hanno posto altri desideri o pensieri che, almeno, a volte, ci fanno perder tempo e ci impediscono di compiere la volontà di Divina. Ecco qui una raccomandazione di san Gregorio Magno: «Che non ci affascini la prosperità, perché è un viandante sciocco quello che vede, lungo il suo cammino, campi deliziosi e si dimentica di quel posto dove voleva andare».

La presenza di Dio nel cuore ci aiuterà a scoprire e realizzare in questo mondo i piani che la Provvidenza ci abbia assegnato. Lo Spirito del Signore susciterà nel nostro cuore iniziative per metterle in cima a tutte le attività umane e fare, così, Cristo presente nel posto più alto della terra. Se abbiamo questa intimità con Gesù arriveremo a essere buoni figli di Dio e ci sentiremo amici suoi in tutti i luoghi e i momenti: per strada, nel bel mezzo del lavoro quotidiano, nella vita famigliare.

Tutta la luce e il fuoco della vita divina si riverseranno sopra ognuno dei fedeli che siano disposti a ricevere il dono della dimora. La Madre di Dio intercederà —come madre nostra— affinché possiamo entrare in questo tratto con la Santissima Trinità
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13/05/2020 06:03
 
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«Rimanete in me e io in voi»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, contempliamo di nuovo Gesù circondato dagli Apostoli, in un clima di speciale intimità. Lui confida loro quelle che potremmo considerare come le ultime raccomandazioni: ciò che si dice all’ultimo momento, nell’istante del congedo, e che ha una forza speciale, come se si trattasse di un ultimo testamento.

Ce li immaginiamo nel cenacolo. Lì Gesù ha lavato loro i piedi, gli ha ripetuto che deve andarsene, gli ha tramesso il comandamento dell’amore fraterno e li ha consolati con il dono dell’Eucaristia e la promessa dello Spirito Santo (cf. Gv 14). Immersi nel quindicesimo capitolo di questo Vangelo, troviamo ora l’esortazione all’unità nella carità.

Il Signore non nasconde ai discepoli i pericoli e le difficoltà che dovranno affrontare nel futuro: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Però loro non devono abbatersi ne demoralizzarsi di fronte all’odio del mondo: Gesù rinnova la promessa dell’invio del Difensore, garantisce loro l’assistenza in tutto ciò che chiedano e, finalmente, il Signore prega al Padre per loro –per tutti noi- durante la sua preghiera sacerdotale (cf. Gv 17).

Il nostro pericolo non viene dall’esterno: la peggior minaccia può sorgere da noi stessi al venir meno l’amore fraterno fra i membri del Corpo Mistico di Cristo e all’unità con la Testa di questo Corpo. La raccomandazione è chiara: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).

Le prime generazioni di cristiani conservarono una coscienza molto fervente alla necessità di rimanere uniti per la carità. Ecco la testimonianza di un Padre della Chiesa, sant’ Ignazio di Antiochia: «Correte tutti insieme verso un solo tempio di Dio, come a un solo altare, a un solo Cristo che procede da un solo Padre». Ed ecco anche l’indicazione di Maria, Madre dei cristiani: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5).
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22/05/2020 07:29
 
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«La vostra tristezza si cambierà in gioia»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)

Oggi, cominciamo il "Decenario allo Spirito Santo". Rivivendo il Cenacolo, vediamo la Madre di Gesù, Madre del Buon Consiglio, conversando con gli Apostoli. Che conversazione così cordiale e intensa! Ricordare tutte le allegrie che avevano avuto al lato del Maestro. I giorni pasquali, l’Ascensione e le promesse di Gesù. Le sofferenze dei giorni della Passione si sono trasformate in allegrie. Che bell’ambiente nel Cenacolo! E quello che si sta preparando come Gesù ha detto loro.

Noi sappiamo che Maria, Regina degli Apostoli, Sposa dello Spirito Santo, Madre della Chiesa nascente, ci guida per ricevere i doni e i frutti dello Spirito Santo. I doni sono come la vela di una imbarcazione quando è distesa e il vento —che rappresenta la grazia— le è favorevole: che rapidità e facilità nel cammino!

Il Signore ci promette anche nella nostra rotta di convertire le fatiche in allegria: «nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,23) e «perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,24). E nel Salmo 126,6: «Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni».

Durante tutta la settimana, la Liturgia ci parla di ringiovanire, di esultare (saltare dalla gioia), della felicità sicura ed eterna. Tutto ci porta a vivere di preghiera. Come ci dice san Giuseppe Maria: «Voglio che tu stia sempre contento, perché l’allegria è parte integrante del tuo cammino. —Chiedi questa stessa allegria soprannaturale per tutti».

L’essere umano ha bisogno di ridere per la salute fisica e spirituale. L'umore sano insegna a vivere. San Paolo ci dirà: «Sappiamo che tutte le cose contribuiscono al bene di quelli che amano Dio» (Rom 8,28). Ecco una bella giaculatoria: «Tutto è per il bene!»; «Omnia in bonum!».
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24/05/2020 08:12
 
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«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra»

Dr. Josef ARQUER
(Berlin, Germania)

Oggi, contempliamo delle mani che benedicono, l’ultimo gesto terrestre del Signore (cf. Lc 24,51). O delle orme marcate su un monticello, l'ultimo segno visibile del passaggio di Dio sulla nostra terra. In certe occasioni si presenta quel monticolo come una rocca, e l’ impronta del piede resta impressa non sulla terra ma sulla rocca. Come facendo allusione a quella pietra che Lui annunziò e che presto sarà sigillata dal vento e dal fuoco di Pentecoste. L'iconografia usa dall'antichità questi simboli così suggestivi. E pure la nube misteriosa —ombra e luce allo stesso tempo— che accompagna tante teofanie fin nell´Antico Testamento. Il volto del Signore non ci abbaglierebbe.

San Leone Magno ci aiuta ad approfondire nel successo: «Ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato adesso ai suoi misteri». A quali misteri? A quelli che ha affidato alla sua Chiesa. Il gesto di benedizione si svolge nella liturgia, le impronte sulla terra segnano il cammino dei sacramenti. Ed è un cammino che conduce alla pienezza del definitivo incontro con Dio.

Gli Apostoli avranno avuto tempo per abituarsi all'altro modo di essere del loro Maestro lungo quei quaranta giorni, nei quali il Signore —ci dicono gli interpreti della Bibbia— non “appare” ma —nella fedele traduzione letterale— “si lascia vedere”. Adesso, in quest'ultimo incontro, si rinnova la meraviglia. Perché adesso scoprono che, in avanti, non solo annunceranno la Parola, ma che infonderanno vita e salute, con il gesto visibile e la parola udibile: nel battesimo e negli altri sacramenti.

«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Ogni potere... Andare ovunque... Ed insegnare ad osservare tutto... E Lui starà con loro —con la sua Chiesa, con noi— in tutti i tempi (cf. Mt 28,19-20). Questo “tutto” risuona attraverso lo spazio ed il tempo, consolidandoci nella speranza
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