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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2024 07:50
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07/06/2019 08:17
 
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«"Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore"»

Rev. D. Joaquim MONRÓS i Guitart
(Tarragona, Spagna)


Oggi, dobbiamo ringraziare san Giovanni che ci lascia costanza della intima conversazione tra Gesù e Pietro: «"Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?". Gli risponde: "Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene". Gli dice Gesù: "Pasci i miei agnelli"» (Gv 21,15). —Dai più piccoli, appena nati alla vita della Grazia... devi averne cura come se fossi Io stesso... Quando per la seconda volta... «gli dice Gesù: "Pasci le mie pecore"», Lui sta dicendo a Simone Pietro: —A tutti quelli che mi seguiranno, tu dovrai presiederli nel mio Amore, devi cercare che abbiano la carità ordinata. Così, tutti sapranno per mezzo tuo che seguono Me; che è mia volontà che tu presieda sempre, amministrando i meriti che —per ognuno— Io ho guadagnato.

«Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). Gli fa rettificare la sua triplice negazione e, il solo ricordo, lo rende triste. Ti amo totalmente, sebbene Ti abbia negato..., sai già quanto ho pianto il mio tradimento, sai già quanto sollievo ho trovato solo stando accanto a Tua Madre e con i fratelli.

Troviamo sollievo al ricordare che il Signore stabilì il potere di cancellare il peccato che separa, molto o poco, dal Suo Amore e dall'amore ai fratelli. —Trovo consolazione all'ammettere la verità del mio allontanamento da Te e a sentire dalle Tue labbra sacerdotali l'«Io ti assolvo» “a modo di giudizio”.

Troviamo sollievo in questo potere delle chiavi che Gesù Cristo affida a tutti i suoi sacerdoti-ministri, per riaprire le porte della Sua amicizia. —Signore, vedo che una mancanza d'amore si ripara con un atto di amore immenso. Tutto ciò, ci porta ad apprezzare il valore infinito del sacramento del perdono al confessare i nostri peccati, che realmente non sono altro che “mancanza d'amore”.
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08/06/2019 09:29
 
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Le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, leggiamo la fine del Vangelo di San Giovanni. Si tratta propriamente della fine dell’appendice che la comunità di Giovanni aggiunse al testo originale. In questo caso è un frammento volontariamente significativo. Il Signore Risuscitato compare ai suoi discepoli e li rinnova nel suo seguimento, in particolare a Pietro. A continuazione si colloca il testo che oggi proclamiamo nella liturgia.

La figura del discepolo amato è centrale in questo frammento e anche in tutto il Vangelo di san Giovanni. Può riferirsi a una persona concreta —il discepolo Giovanni— o può essere la figura dietro la quale può situarsi ogni discepolo amato dal Maestro. Qualsiasi sia il suo significato, il testo aiuta a dare un elemento di continuità all’esperienza degli apostoli. Il Signore Risuscitato assicura la sua presenza in quelli che vogliano essere i suoi seguaci.

«Se voglio che egli rimanga finché io venga» (Gv 21,22) può essere più indicativa questa continuità che un elemento cronologico nello spazio e nel tempo. Il discepolo amato si converte in testimonio di tutto ciò nella misura in cui è cosciente che il Signore rimane con lui in ogni occasione. Questa è la ragione per la quale può scrivere e la sua parola è vera, perchè glossa con la sua penna la continua esperienza di quelli che vivono la sua missione in mezzo al mondo, sperimentando la presenza di Gesucristo. Ognuno di noi può essere il discepolo amato nella misura in cui ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che ci aiuta a scoprire questa presenza.

Questo testo ci prepara già per celebrare domani domenica la Solennità della Pentecoste, il Dono dello Spirito: «E il Paraclito è venuto dal cielo: il custode e il santificante della Chiesa, l’amministratore delle anime, il pilota di chi naufraga, il faro degli erranti, l’arbitro di chi lotta e chi incorona ai vincitori» (San Cirillo di Gerusalemme).
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09/06/2019 08:59
 
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«Ricevete lo Spirito Santo»

Mons. Josep Àngel SAIZ i Meneses Vescovo di Terrassa
(Barcelona, Spagna)


Oggi, nel giorno di Pentecoste si compie la promessa che Gesù fece agli Apostoli. Nel pomeriggio del giorno di Pasqua alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). La venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste rinnova e porta a termine questo dono in modo solenne e con manifestazioni esterne. Così culmina il mistero pasquale.

Lo Spirito che Gesù comunica crea, nel discepolo, una nuova condizione umana producendo unità. Quando l’orgoglio dell’uomo lo porta a sfidare Dio costruendo la Torre di Babele, Dio confonde le loro lingue così che non possano capirsi. In Pentecoste avviene l’inverso: per grazia dello Spirito Santo, gli Apostoli sono capiti per gente di provenienze e lingue diverse.

Lo Spirito Santo è il Maestro interiore che guida il discepolo verso la verità, che lo spinge ad operare bene, che lo consola nel dolore, che lo trasforma interiormente, dando forza e capacità nuove.

Il primo giorno di Pentecoste dell’era cristiana, gli Apostoli si trovavano riuniti in compagnia di Maria, raccolti in preghiera. Il raccoglimento, l’attitudine di preghiera è imprescindibile per ricevere lo Spirito. «Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (Atti 2,2-3).

Tutti furono pieni di Spirito Santo e si misero a predicare coraggiosamente. Quegli uomini intimoriti erano stati trasformati in coraggiosi predicatori per niente temerosi del carcere, della tortura o del martirio. Non c’è da sorprendersi: la forza dello Spirito era in loro.

Lo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità, è l’anima della mia anima, la vita della mia vita, l’essere del mio essere; è la mia santificazione, l’ospite del mio più profondo interiore. Per raggiungere la maturità nella vita di fede è necessario che la relazione con Lui sia ogni volta più consapevole, più personale. In questa celebrazione di Pentecoste spalanchiamo le porte del nostro interiore.
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10/06/2019 09:40
 
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«Ecco tuo figlio»

P. Alexis MANIRAGABA
(Ruhengeri, Ruanda)


Oggi facciamo memoria di Maria, Madre della Chiesa. In questo senso, contempliamo la maternità spirituale di Maria in connessione con la Chiesa che è —in sé stessa— Madre del Popolo di Dio, perché «nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre» (San Cipriano). Maria è la Madre del Figlio di Dio e allo stesso tempo Madre di coloro che amano il suo Figlio e i “ben amati” di suo Figlio, in conformità con quel «Donna, ecco tuo figlio; discepolo: Ecco tua madre» (Gv 19, 26-27), come disse Gesù. Dando il suo corpo agli uomini e restituendo il suo spirito al Padre, Gesù Cristo perfino ha anche dato i suoi amici a sua Madre.

E il più grande amore è quello con cui Gesù ama la Chiesa (cfr Ef 5,25), alla quale appartengono i suoi amici. Pertanto, i figli adottati da Dio non possono avere Gesù come fratello se non hanno Maria come Madre perché, mentre Maria ama suo Figlio, ama la Chiesa della quale Lei è un membro eminente. Ciò non significa che Maria sia superiore alla Chiesa, ma che è «madre dei membri di Cristo» (Sant'Agostino).

Il Concilio Vaticano II aggiunge che Maria è «veramente madre delle membra di Cristo perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra (Gesù)». Inoltre, rimanendo in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo (cfr At 1, 14), Maria —Madre della Chiesa— ricorda la presenza, il dono e l'azione dello Spirito Santo nella Chiesa missionaria. Invocando lo Spirito Santo nel cuore della Chiesa, Maria prega con la Chiesa e prega per la Chiesa, perché «assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge» (Prefazion della Messa “Maria, Madre della Chiesa”).

Maria si prende cura dei suoi figli. Possiamo, quindi, affidargli tutta la vita della Chiesa, come ha fatto Papa Paolo VI: «O Vergine Maria, Madre di Dio, Madre augustissima della Chiesa, a te raccomandiamo tutta la Chiesa e il Concilio Ecumenico».
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11/06/2019 08:29
 
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«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti ...»

Rev. D. Llucià POU i Sabater
(Granada, Spagna)


Oggi, celebriamo l'Apostolo Giuseppe, «soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa "figlio dell'esortazione" (Atti 4,36). Fin dall'inizio fu generoso: «Era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l'importo deponendolo ai piedi degli apostoli» (Atti 4,37). Portò San Paolo agli Apostoli, quando tutti lo temevano, e con lui aprì l’apostolato a tutti i popoli. In primo luogo, ad Antiochia, dove «Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore» (Atti 11,23-24). Il suo zelo apostolico fu esemplare, mettendo in pratica il mandato del Maestro: «E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

«Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». (Atti 13,2), proclamò lo Spirito Santo: furono a Cipro e in Asia Minore, e soffrirono molto per il Signore. Ebbero anche le loro differenze e si separarono a causa di Marco che gli abbandonò a metà viaggio, e Paolo non lo acettò più nel successivo; ma Barnaba seppe fidarsi di lui e poi vedremo Marco come grande collaboratore di Pietro e Paolo.

Impariamo a non classificare le persone per sempre, che «le anime, come il vino buono, migliorano col tempo» (San Josemaría), quando vengono sostenute con fiducia e sono amate, dal momento che «nessuno può essere conosciuto tranne quando viene amato» (San Agostino).

Quando vediamo qualcuno che vacilla o retrocede, siamo perseveranti come Barnaba, soprannome che significa “uomo che si sforza” e “quello che anima ed entusiasma”. Sono delle caratteristiche delle cui oggi ne abbiamo bisogno. Così andiamo al Signore con le parole della colletta: «fa' che sia sempre annunziato fedelmente, con la parola e con le opere, il Vangelo di Cristo, che egli [Barnaba] testimoniò con coraggio apostolico».
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13/06/2019 11:42
 
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Se la vostra giustizia non supererà (...), non entrerete nel regno dei cieli»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)


Oggi, Gesù ci invita ad andare più in là di quanto possa vivere qualunque semplice osservante della legge. Anche senza cadere nella concrezione di cattive azioni, molte volte l’abitudine indurisce il desiderio della ricerca della santità, adattandoci conciliantemente all’abitudine di comportarsi bene e nient’altro. San Giovanni Bosco soleva ripetere: «Il buono è nemico dell’ottimo». E’ lì dove ci porta la Parola del Maestro, che ci invita a realizzare cose “maggiori” (cf. Mt5,20); che partono da un atteggiamento diverso. Cose maggiori che paradossalmente, passano attraverso cose minori, attraverso le più piccole. Incollerirsi, disprezzare e ingiuriare il fratello non vanno d’accordo con i discepoli del Regno, che è stato chiamato ad essere –nientemeno- che sale della terra e luce del mondo (cf.Mt 5,13-16), da quando esistono le beatitudini (cf.Mt 5,3-12).

Gesù, con autorità, cambia l’interpretazione del precetto negativo “non uccidere” (cf. Ex 20,13) con l’interpretazione positiva della profonda e radicale esigenza della riconciliazione – messa, per darle maggior enfasi- in relazione al culto. Così, non c’è offerta che valga quando ricordi che un fratello tuo ha qualcosa contro di te (cf. Mt 5,23) E’ perciò importante conciliare qualunque discordia, perché, diversamente, l’invalidità dell’offerta sarà rivolta contro di te (cf. Mt 5,26).

Tutto questo solamente potrà mobilitarlo un amore grande. Ci dirà San Paolo: «(...) non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in questa massima: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rom 113,9-10). Chiediamo di essere rinnovati nel dono della carità –fino al minimo dettaglio- verso il prossimo e la nostra vita sarà la migliore e la più autentica offerta che possiamo fare a Dio.
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14/06/2019 09:32
 
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«Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio»

+ Pare Josep LIÑÁN i Pla SchP
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù continua ad approfondire nell’esigenza del Sermone della Montagna. Non deroga la Legge, ma le dà pienezza; perciò la sua osservanza è qualcosa di più che una semplice osservanza di alcune condizioni minime per avere le carte in regola. Iddio ci dà la legge dell’amore per raggiungere la vetta, però noi, cerchiamo il modo di trasformarla nella legge del minimo sforzo. Dio ci chiede tanto...! Sì, ma ci ha dato pure il massimo che può darci, visto che ci ha dato Sé stesso!

Oggi, Gesù punta in alto al manifestare la Sua autorità sul sesto e sul nono comandamento: i comandamenti che si riferiscono alla sessualità e alla purezza del pensiero. La sessualità è un linguaggio umano che significa amore e alleanza, perciò, non può essere banalizzata, come neppure possiamo trasformare gli altri in oggetti di piacere, neppure con il pensiero; da ciò ha origine quest'affermazione tanto severa di Gesù: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5,28). E’ necessario, dunque, tagliare il male alla radice ed evitare pensieri e occasioni che ci porterebbero a fare quello che Dio detesta; questo è quello che tali parole vogliono indicare, che possono sembrarci radicali o esagerate, ma che quelli che ascoltavano Gesù capivano nella loro espressività: togli , taglia, butta via...

Finalmente, la dignità del matrimonio deve essere sempre protetta, perché forma parte del progetto di Dio per l’uomo e la donna, affinché nell’amore e nella donazione mutua si trasformino in una sola carne e, allo stesso tempo, è segno e partecipazione nella Alleanza di Cristo con la Chiesa. Il cristiano non può vivere la relazione uomo-donna ne la vita coniugale secondo lo spirito mondano: «Non dovete credere che per il fatto di avere scelto lo stato matrimoniale, vi sia permesso di continuare con una vita mondana e abbandonarsi all’ozio ed alla poltroneria; anzi, il vostro nuovo stato vi obbliga a lavorare con maggior sforzo e vegliare con più attenzione per la vostra salvezza» (San Basilio).
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15/06/2019 15:53
 
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«Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, Gesù continua commentandoci i Comandamenti. Gli israeliti avevano un grande rispetto verso il nome di Dio, una sacra venerazione sapevano che il nome si riferisce alla persona, e Dio merita tutto il rispetto, ogni onore e gloria, di pensiero, parola ed opere. Per questo –tenendo presente che giurare è mettere Dio come testimone della verità di ciò che diciamo –la Legge li comandava: «Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti» (Mt 5,33). Ma Gesù viene a perfezionare la Legge (e, quindi, per perfezionare noi stessi secondo la Legge), e dà un passo in più: «non giurate affatto: né per il cielo, (...), né per la terra (...)» (Mt 5,34). Non è che giurare, di per sé, sia un male, ma sono necessarie alcune condizioni perché il giuramento sia lecito, per esempio, una giusta causa, seria, grave (un processo, per esempio), e ciò che si è giurato sia vero e buono.

Ma il Signore ci dice ancora di più: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no,no» (Mt 5,37). Cioè, ci invita a vivere la verità in ogni occasione, a adattare i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni alla verità. E la verità cos'è? E’ la grande domanda che abbiamo formulato nel Vangelo per bocca di Pilato nel processo contro Gesù, e alla quale molti pensatori nel corso dei secoli hanno cercato di dar risposta. Dio è la Verità. Chi vive compiacendo a Dio, adempiendo ai suoi comandamenti, vive nella verità. Dice il santo Curato d'Ars: “La ragione per cui così pochi cristiani agiscono con la sola intenzione di compiacere Dio è perché la maggior parte di loro si trovano sottomessi a una ignoranza spaventosa. Mio Dio, quante buone opere si perdono per il cielo!” Bisogna pensarci.

È conveniente formarci leggere il Vangelo e il Catechismo. Poi, vivere secondo ciò che abbiamo imparato.
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16/06/2019 10:04
 
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«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)


Oggi, festeggiamo la solennità del mistero che si trova al centro della nostra fede, dal quale tutto procede e al quale tutto torna. Il mistero dell’unità di Dio è allo stesso tempo, della sua sussistenza in tre persone uguali e diverse. Padre, Figlio e Spirito Santo: l’unità nella comunione e la comunione nell’unità. Conviene che i cristiani, in questo grande giorno, siamo consapevoli che questo mistero è presente nelle nostre vite: dal Battesimo —che riceviamo in nome della Santissima Trinità— perfino alla nostra partecipazione nella Eucaristia, che si fa per la gloria del Padre, per suo figlio Gesù Cristo, grazie allo Spirito Santo. E il segnale per il quale ci riconosciamo come cristiani: il segnale della Croce in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

La missione del figlio, Gesù Cristo, consiste nella rivelazione di suo Padre, dal quale è immagine perfetta, è il dono dello Spirito, anche svelato dal Figlio. La lettura evangelica proclamata oggi ce lo mostra: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà»(Gv 16,15). E in un altro passagio di questo stesso discorso: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Pafre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me»(Gv 15,26).

Impariamo di questa grande e consolatrice verità: la Trinità Santissima lontana da mettersi da parte, distante e innaccessibile, viene da noi, abita in noi e ci trasforma in interlocutori suoi. E tutto questo attraverso lo Spirito, che così ci guida fino alla verità completa. «Quando verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perchè non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future»(Gv 16,13). “L’incomparabile dignità del cristiano’’, dalla quale parla tante volte San Leon il Grande è questa: La nostra “cittadinanza’’ infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. E dire è nel seno della Santissima Trinità.
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16/06/2019 10:04
 
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«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)


Oggi, festeggiamo la solennità del mistero che si trova al centro della nostra fede, dal quale tutto procede e al quale tutto torna. Il mistero dell’unità di Dio è allo stesso tempo, della sua sussistenza in tre persone uguali e diverse. Padre, Figlio e Spirito Santo: l’unità nella comunione e la comunione nell’unità. Conviene che i cristiani, in questo grande giorno, siamo consapevoli che questo mistero è presente nelle nostre vite: dal Battesimo —che riceviamo in nome della Santissima Trinità— perfino alla nostra partecipazione nella Eucaristia, che si fa per la gloria del Padre, per suo figlio Gesù Cristo, grazie allo Spirito Santo. E il segnale per il quale ci riconosciamo come cristiani: il segnale della Croce in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

La missione del figlio, Gesù Cristo, consiste nella rivelazione di suo Padre, dal quale è immagine perfetta, è il dono dello Spirito, anche svelato dal Figlio. La lettura evangelica proclamata oggi ce lo mostra: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà»(Gv 16,15). E in un altro passagio di questo stesso discorso: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Pafre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me»(Gv 15,26).

Impariamo di questa grande e consolatrice verità: la Trinità Santissima lontana da mettersi da parte, distante e innaccessibile, viene da noi, abita in noi e ci trasforma in interlocutori suoi. E tutto questo attraverso lo Spirito, che così ci guida fino alla verità completa. «Quando verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perchè non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future»(Gv 16,13). “L’incomparabile dignità del cristiano’’, dalla quale parla tante volte San Leon il Grande è questa: La nostra “cittadinanza’’ infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. E dire è nel seno della Santissima Trinità.
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17/06/2019 10:18
 
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«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù ci insegna che l’odio si supera con il perdono. La legge del taglione era un progresso poiché limitava il diritto a vendicarsi in una giusta proporzione: solo puoi fare al prossimo quello che lui ha fatto a te, contrariamente commetteresti una ingiustizia; questo è quello che significa l’aforismo «occhio per occhio, dente per dente». Malgrado ciò era un progresso limitato, visto che Gesù Cristo nel Vangelo afferma il bisogno di superare la vendetta con l’amore, così lo espresse Lui stesso quando, nella croce, intercedette per i suoi carnefici: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Ciò nonostante, il perdono deve essere accompagnato dalla verità. Non perdoniamo soltanto perché ci sentiamo impotenti e complessati. Spesso si è confusa l’espressione «porgi l’altra guancia” con l’idea della rinuncia ai nostri legittimi diritti. Non si tratta di questo. Porgere l’altra guancia significa denunciare e interpellare a chi lo ha fatto, con un gesto pacifico però deciso, l’ ingiustizia che ha commesso; è come dirgli «Mi hai picchiato in una guancia. Allora, vuoi picchiarmi anche nell’altra? Ti sembra corretto il tuo comportamento?». Gesù rispose con serenità al servo insolente del sommo sacerdote: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23).

Vediamo, dunque, quale deve essere la condotta del cristiano: non cercare la rivincita, però si mantenersi fermi; essere disposti al perdono e dire le cose con chiarezza. Certamente non è un’arte facile, però è l’unico modo di frenare la violenza e manifestare la grazia divina a un mondo spesso privo di grazia. San Basilio ci consiglia: «Fate caso e dimenticherete le ingiurie e gli oltraggi che vi giungano dal prossimo. Potrete vedere i nomi diversi che avrete l’uno e l’altro; a lui lo chiameranno collerico e violento, e a voi mansueti e pacifici. Lui si pentirà un giorno della sua violenza e voi non vi pentirete mai della vostra mansuetudine».
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18/06/2019 09:10
 
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Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, Cristo ci invita ad amare. Amare senza limiti, che è la misura dell'Amore vero. Dio è Amore, «che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). E l'uomo, scintilla di Dio, deve lottare per somigliare a Lui ogni giorno, «perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,45). Dove troviamo il volto di Cristo? Negli altri, nel prossimo più vicino a noi. È molto facile provare compassione per i bambini affamati d'Etiopia quando li vediamo in televisione, o per gli immigranti che arrivano ogni giorno sulle nostre spiagge. Ma, e quelli di casa nostra? Ed i nostri compagni di lavoro? E quel famigliare lontano che è solo e al quale potremmo andare a fargli un po’ di compagnia? Gli altri, come li trattiamo? Come li amiamo? Concretamente quale servizio rendiamo loro ogni giorno?

È molto facile amare chi ci ama. Ma il Signore ci invita ad andare oltre, perché «se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Amare i nostri nemici! Amare quelle persone che sappiamo —con certezza— che non ci restituiranno mai né l'affetto, né il sorriso, né quel favore. Semplicemente perché ci ignorano. Il cristiano, ogni cristiano, non può amare “interessatamente”; non deve dare un pezzo di pane, un'elemosina al mendicante dell'angolo della strada. Deve dare sé stesso. Il Signore morente sulla Croce, perdona chi lo crocifigge. Non un rimprovero, non un lamento, né un gesto improprio...

Amare senza aspettare nulla a cambio. Quando amiamo dobbiamo seppellire le calcolatrici. La perfezione è amare senza limiti. La perfezione l'abbiamo nelle nostre mani in mezzo al mondo, tra le nostre occupazioni di ogni giorno. Facendo quello che bisogna fare ad ogni istante, non quello che ci soddisfa di più. La Madre di Dio, alle nozze di Cana di Galilea, si accorge che gli invitati non hanno vino. E si fa avanti. E chiede al Signore che faccia il miracolo. Chiediamo a Lei oggi il miracolo di saperlo scoprire nelle necessità altrui.
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20/06/2019 11:25
 
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Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)


Oggi, Gesù ci propone un ideale grande e difficile: perdonare le offese. E stabilisce una misura molto ragionevole: la nostra: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). In altre parole dimostrava la regola d’oro della convivenza umana: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12).

Desideriamo che Dio ci perdoni e che anche gli altri lo facciano; però noi siamo restii a farlo. Costa chiedere perdono; però non darlo costa ancora di più. Se fossimo veramente umili, non sarebbe così difficile; però l’orgoglio ce lo rende laborioso. Per questo possiamo stabilire la seguente equazione: a maggiore umiltà, maggior facilità; a maggior orgoglio, maggior difficoltà. Questo ti darà una pista per conoscere il tuo grado di umiltà.

Terminata la guerra civile spagnola (anno 1939), dei sacerdoti liberati celebrarono una Messa di ringraziamento nella chiesa di Els Omells. Il celebrante, dopo le parole del Padre nostro «rimetti a noi i nostri debiti» si fermò senza poter continuare. Non era nello stato d’animo di poter perdonare a quelli che lo avevano fatto soffrire tanto in quello stesso campo di lavori forzati. Trascorsi vari secondi, in un silenzio che si poteva tagliare, riprese la preghiera: «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Più tardi si chiesero quale fosse stata la miglior omelia. Tutti furono d’accordo: quella del silenzio del celebrante quando recitava il Padre nostro. Costa, però è possibile con l’aiuto del Signore.

Per di più, il perdono che Dio ci da è totale, arriva fino alla dimenticanza. Trascuriamo in fretta i favori, però le offese... Se i matrimoni le potessero dimenticare, si eviterebbero e si potrebbero risolvere molti drammi familiari.

Che la Madre di misericordia ci aiuti a comprendere agli altri ed a perdonarli generosamente.
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21/06/2019 10:04
 
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«Accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)


Oggi, il Signore ci dice che «La lucerna del corpo è l'occhio» (Mt 6,22). Santo Tommaso interpreta che con questo —parlando dell'occhio— Gesù si riferisce all´intenzione dell'uomo. Quando l'intenzione è retta, chiara, incamminata verso Dio, tutte le nostre azioni sono lucenti, splendenti; ma quando l'intenzione non è retta, com’è grande l'oscurità! (cf. Mt 6,23).

La nostra intenzione può essere non troppo retta, per malizia, per malvagità, ma più frequentemente è per mancanza di buon senso. Viviamo come se fossimo venuti sulla terra per ammucchiare ricchezze e non abbiamo in testa nessun altro pensiero. Guadagnare soldi, comprare, disporre, possedere. Vogliamo attrarre l'ammirazione degli altri o forse l'invidia. Ci inganniamo, soffriamo, ci addossiamo preoccupazioni e dispiaceri e non troviamo la felicità desiderata. Gesù ci fa un'altra proposta: «accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano» (Mt 6,20). Il Cielo è il granaio delle buone azioni. Questo sì che è un tesoro per sempre.

Siamo sinceri con noi stessi. In che cosa impieghiamo i nostri sforzi? Quali sono le nostre inquietudini? Certamente è proprio di un buon cristiano lo studio ed il lavoro onesto per aprirsi passo nel mondo, per portare avanti la famiglia, assicurare il futuro dei suoi e la tranquillità della vecchiaia; magari, per lavorare pure per il desiderio di aiutare gli altri... Sì, tutto questo è proprio di un buon cristiano. Ma se quello che tu cerchi è possedere sempre di più, mettendo il cuore in queste ricchezze, dimenticando le buone azioni, dimenticando che in questo mondo siamo di passaggio, che la nostra vita è un'ombra che passa, non è vero, allora, che abbiamo gli occhi offuscati? E se il buon senso si offusca, «quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,23).
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22/06/2019 08:07
 
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Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)


Oggi, il Vangelo parla chiaramente di vivere il "momento presente": non girare intorno al passato, ma abbandonarsi in Dio e la sua misericordia. Non attormentarsi domani, ma affidarlo alla sua provvidenza. S. Teresa del Bambino Gesù ha detto: "soltanto mi guida l’abbandono, non ho altra bussola»!.

La preoccupazione non ha mai risolto alcun problema. I problemi vengono risolti con la fiducia, la fede. «Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,30), dice Gesù.

La vita per se stessa non è troppo problematica, è l'uomo che manca di fede ... L'esistenza non è sempre facile. A volte è pesante, spesso ci sentiamo feriti e offesi da ciò che accade nella nostra vita o quella degli altri. Ma cerchiamo di affrontare questo con fede e cerchiamo di vivere, giorno per giorno, con la fiducia che Dio adempirà le sue promesse. La fede ci porterà alla salvezza.

«Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». (Matteo 6:34). Cosa significa? Oggi, cercare di vivere con giustizia, secondo la logica del Regno, nella fiducia, la semplicità, la ricerca di Dio, l’ abbandono. E Dio farà il resto ...

Giorno per giorno. È molto importante. Quello che di solito ci esaurisce è girare continuamente al passato e avere paura al futuro; mentre quando si vive nel presente, in un modo misterioso, troviamo la forza. Quello che devo vivere oggi, ho la grazia per viverlo. Se domani devo affrontare situazioni più difficili, Dio aumenterà la sua grazia. La grazia di Dio è data al momento, giorno per giorno. Vivere il momento presente suppone accettare la debolezza: rinunciare a rifare il passato o il futuro, contentarsi con il presente
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24/06/2019 15:29
 
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«Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito»

Rev. D. Joan MARTÍNEZ Porcel
(Barcelona, Spagna)


Oggi festeggiamo solennemente la nascita del Battista. San Giovanni è un uomo di grandi contrasti: vive il silenzio del deserto, però da lì muove la folla e la invita con voce convincente alla conversione; è umile per riconoscere che egli è soltanto la voce, non la parola, però non ha nessun impedimento ed è capace di accusare e denunziare le ingiustizie, anche gli stessi re; invita a suoi discepoli ad andare da Gesù, però non rifiuta di conversare con il Re Erode mentre si trova in prigione. Silenzioso e umile, è anche coraggioso, è deciso fino a far versare il suo sangue. Giovanni il Battista è un gran uomo! il maggiore dei nati da una donna, così sarà elogiato da Gesù; però è soltanto il precursore di Cristo.

Chissà, il segreto della sua grandezza stia nella sua consapevolezza di sentirsi prescelto da Dio; così lo esprime l’evangelista: «Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). Tutta la sua infanzia e gioventù è stata segnata dalla consapevolezza della sua missione: dare testimonianza; e lo fa battezzando Cristo nel Giordano, preparando per il Signore un popolo ben disposto e, alla fine della sua vita, versando il suo sangue a favore della verità. Con la nostra conoscenza su Giovanni, possiamo rispondere alle domande di suoi contemporanei: «Chi sarà mai questo bambino?» (Lc 1,66).

Tutti noi, per il battesimo siamo stati scelti e inviati a dare testimonianza del Signore. In un ambiente di indifferenza, San Giovanni è modello e aiuto per noi; San Agostino ci dice: «Ammira Giovanni quanto ti sia possibile, giacché ciò che ammiri profitta Cristo. Profitta Cristo, ripeto, non perché tu gli offra qualcosa a Lui, ma per progressare tu in Lui». In Giovanni le sue attitudini di precursore, manifestate nella sua preghiera attenta allo Spirito, nella sua fortezza e umiltà, ci aiutano ad aprire nuovi orizzonti di Santità per noi e per i nostri fratelli.
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25/06/2019 07:11
 
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«Non date le cose sante ai cani»

Diácono D. Evaldo PINA FILHO
(Brasilia, Brasile)


Oggi il Signore ci fa tre raccomandazioni. La prima, «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» (Mt 7,6), contrasti in cui i “beni” sono associati alle “perle” e alle “cose sante”; e, d’altra parte, i “cani” e i “porci” a ciò che è impuro. San Giovanni Crisostomo ci insegna che «i nostri nemici sono uguali a noi nella loro natura ma non nella loro fede». Nonostante i benefici terreni siano concessi nello stesso modo a persone degne e indegne, non è così per ciò che riguarda le “grazie spirituali”, privilegio di coloro che sono fedeli a Dio. La giusta distribuzione dei beni spirituali implica uno zelo per le cose sacre.

La seconda è la cosiddetta chiamata “regola d’oro” (cf. Mt 7, 12), che compendiava tutto ciò che la Legge e i Profeti raccomandarono, come rami di un unico albero: l’amore al prossimo presuppone l’Amore a Dio, e da Lui proviene.

Fare al prossimo ciò che vogliamo che gli uomini facciano a noi comporta una trasparenza di gesti verso l’altro, riconoscendo la sua somiglianza a Dio, la sua dignità. Per quale ragione cerchiamo il bene per noi stessi? Perché lo riconosciamo come mezzo di identificazione e di unione con il Creatore. Essendo il Bene l’unico mezzo per la vita in pienezza, è inconcepibile la sua assenza nel nostro rapporto col prossimo. Non c’è posto per il bene qualora prevalga la falsità e predomini il male.

Per ultimo, la “porta stretta”… Papa Benedetto XVI ci chiede: «Che vuol dire questa ‘porta stretta’? Perché molti non possono attraversarla? È forse un passaggio riservato per pochi eletti?» No! Il messaggio di Cristo «ci dice che tutti possiamo entrare nella vita. Il passaggio è ‘stretto’, ma aperto a tutti; ‘stretto’ perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo».

Preghiamo affinché il Signore, che realizzò la salvezza universale con la sua morte e risurrezione, ci riunisca tutti nel banchetto della vita eterna.
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26/06/2019 09:14
 
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«Dai loro frutti li riconoscerete»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)


Oggi, viene posto innanzi al nostro sguardo un nuovo contrasto evangelico, tra gli alberi buoni e cattivi. Le affermazioni di Gesù al rispetto sono così semplici da sembrare quasi banali. Ed è giusto dire che non lo sono affatto! Non lo sono, così come non lo è la vita reale di ogni giorno.

Queste ci insegnano che vi sono buoni che degenerano e finiscono col dare cattivi frutti, e che, al contrario, vi sono cattivi che cambiano e finiscono col dare frutti buoni. Cosa significa quindi, in definitiva, che «ogni albero buono produce frutti buoni» (Mt 7, 17)? Significa che ciò che è buono lo è in quanto non viene a meno facendo il bene. Fa il bene e non si stanca. Fa il bene e non cede alla tentazione di fare il male. Fa il bene e persevera fino all’eroismo. Fa il bene e, se per caso arrivasse a cedere davanti alla fatica di operare così, di cadere nella tentazione di fare del male, o di spaventarsi al requisito non negoziabile, lo riconosce sinceramente, lo confessa veramente, si pente di cuore e... rincomincia.

Ah! E lo fa, tra l’altro, perché sa che se non da dei frutti buoni sarà tagliato e gettato al fuoco (il santo temore di Dio mantiene la vite del buon vigneto!), e perché, conoscendo la bontà degli altri attraverso le loro opere buone, sa, non solo per propria esperienza, ma anche per esperienza sociale, che egli solo é buono e può essere riconosciuto come tale dai fatti e non dalle sole parole.

Non basta col dire «Signore, Signore!». Così come ci ricorda Giacomo, la fede si riconosce attraverso le opere: «Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2, 18).
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28/06/2019 11:49
 
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«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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28/06/2019 11:49
 
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«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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29/06/2019 07:47
 
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Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»

Mons. Jaume PUJOL i Balcells Archivescovo di Tarragona e Primato di Catalongna
(Tarragona, Spagna)


Oggi celebriamo la solennità di San Pietro e St. Paolo, che furono fondamenta della Chiesa primitiva e, quindi, della nostra fede cristiana. Apostoli del Signore, testimoni della prima ora, vissero quei momenti iniziali della espansione della Chiesa e sigillarono con il suo sangue la loro fedeltà a Gesù. Auguriamoci che noi, cristiani del secolo XXI, sappiamo essere testimoni credibili dell'amore di Dio tra gli uomini, come lo furono i due Apostoli e come lo sono stati tanti e tanti dei nostri concittadini.

In uno dei primi interventi di Papa Francesco, rivolgendosi ai cardinali, ha detto loro che dobbiamo «camminare, costruire e confessare». Cioé, dobbiamo andare avanti sulla nostra strada vitale, costruendo la Chiesa e confessando il Signore. Il Papa ha avvertito: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore».

Abbiamo sentito nel Vangelo della Messa un fatto centrale per la vita di Pietro e la Chiesa. Gesù chiede a quel pescatore di Galilea un atto di fede nella sua condizione divina e Pedro non esita a dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Immediatamente, Gesù istituì il primato, dicendo a Pietro che sarebbe la roccia sulla quale la Chiesa sarà costruita nel tempo (cfr Mt 16,18) e dandogli il potere delle chiavi, la potestà suprema.

Anche se Pietro e i suoi successori sono assistiti dalla forza dello Spirito Santo, hanno bisogno lo stesso della nostra preghiera, perché la missione che hanno è di grande importanza per la vita della Chiesa: devono essere fondamento sicuro per tutti i cristiani lungo il tempo; per ciò ogni giorno dobbiamo pregare anche per il Santo Padre, per la sua persona e per le sue intenzioni.
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30/06/2019 09:07
 
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«Seguimi»

Pbro. José MARTÍNEZ Colín
(Culiacán, Messico)


Oggi, il Vangelo ci invita a riflettere sul nostro seguimento di Cristo. È importante saper seguirlo come Lui si aspetta. Giacomo e Giovanni non avevano ancora appreso il valore del messaggio di amore e di perdono: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54). Gli altri convocati non si staccavano realmente dai loro legami familiari. Per seguire Gesù e compiere con la nostra missione, bisogna farlo liberi da qualsiasi legame: «Nessuno che (...)poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».(Lc 9,62).

In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, San Giovanni Paolo II fece un richiamo ai cattolici ad essere missionari del Vangelo di Cristo attraverso il dialogo e il perdono. Il motto fu: «La missione è un annucio di perdono». Il Papa disse che solo l’amore di Dio è capace di affratellare a tutti gli uomini di razza e cultura diverse, e potrà far scomparire le dolorose divisioni, i contrasti ideologici, le disuguaglianze economiche e i violenti soprusi che opprimono tuttora l’umanità. Attraverso la diffusione del Vangelo, i credenti aiutano gli uomini a riconoscersi come fratelli.

Se ci sentiamo come veri fratelli, possiamo iniziare a comprenderci e a dialogare con rispetto. Il Papa ha sottolineato che l’impegno per un dialogo attento e rispettoso è una condizione per un autentica testimonianza dell’amore redentore di Dio, perché chi perdona apre il cuore agli altri e diventa capace di amare. Il Signore ce lo lasciò detto nell’Ultima Cena «che vi amiate gli uni agli altri. Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli» (Gv 13,34-35).

Evangelizzare è un compito di tutti, anche se in modi diversi. Per alcuni sarà recarsi in molti paesi dove ancora non conoscono Gesù. Ad altri, invece, corrisponderà diffondere il Vangelo nel loro intorno. Chiedamoci, per esempio, se quelli che stanno intorno a noi, sanno e vivono le verità fondamentali della nostra fede. Tutti possiamo e dobbiamo appoggiare il lavoro missionario con la nostra preghiera, sacrificio e azione, oltre che con la testimonianza del nostro perdono e comprensione verso gli altri.
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01/07/2019 07:40
 
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Seguimi»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta –attraverso due personaggi- una qualità del buon discepolo di Gesù: il distacco dai beni materiali. Ma prima, il testo di san Matteo ci offre un particolare che non vorrei che passasse inavvertito: «Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé...» (Mt 8,18). La moltitudine si riunisce attorno al Signore per ascoltare la sua parola, essere guarita delle loro sofferenze materiali e spirituali; cercano la salvazione e un alito di Vita eterna in mezzo agli andirivieni di questo mondo.

Come allora, qualcosa di simile succede nel nostro mondo attuale: -più o meno coscientemente- abbiamo bisogno di Dio, di soddisfare il cuore dei beni veri, quali sono la conoscenza e l'amore di Gesucristo ed una vita di amicizia con Lui. Altrimenti, cadiamo nella trappola di voler riempire il nostro cuore con altri “dei” che non possono dar senso alla nostra vita: il telefonino, internet, il viaggio alle Bahamas, il lavoro sfrenato per guadagnare sempre più soldi, la macchina migliore di quella del vicino, o la palestra per pavoneggiarsi del miglior corpo del mondo... È ciò che capita a molti nell'attualità.

In contrasto, risuona il grido pieno di forza e di fiducia di Papa Giovanni Paolo ll parlando alla gioventù: «Si può essere moderni e profondamente fedeli a Gesucristo». Perciò è necessario, come il Signore, il distacco da tutto quello che ci lega ad una vita troppo materializzata e che chiude le porte allo Spirito.

«ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (...). Seguimi» (Mt 8,22), ci dice il Vangelo di oggi. E san Gregorio Magno ci ricorda: «Teniamo le cose temporali per l'uso, quelle eterne nel desiderio; serviamoci delle cose terrene per il cammino, e desideriamo quelle eterne per la fine della giornata». È un buon criterio per esaminare come seguiamo Gesù.
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01/07/2019 07:40
 
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Seguimi»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta –attraverso due personaggi- una qualità del buon discepolo di Gesù: il distacco dai beni materiali. Ma prima, il testo di san Matteo ci offre un particolare che non vorrei che passasse inavvertito: «Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé...» (Mt 8,18). La moltitudine si riunisce attorno al Signore per ascoltare la sua parola, essere guarita delle loro sofferenze materiali e spirituali; cercano la salvazione e un alito di Vita eterna in mezzo agli andirivieni di questo mondo.

Come allora, qualcosa di simile succede nel nostro mondo attuale: -più o meno coscientemente- abbiamo bisogno di Dio, di soddisfare il cuore dei beni veri, quali sono la conoscenza e l'amore di Gesucristo ed una vita di amicizia con Lui. Altrimenti, cadiamo nella trappola di voler riempire il nostro cuore con altri “dei” che non possono dar senso alla nostra vita: il telefonino, internet, il viaggio alle Bahamas, il lavoro sfrenato per guadagnare sempre più soldi, la macchina migliore di quella del vicino, o la palestra per pavoneggiarsi del miglior corpo del mondo... È ciò che capita a molti nell'attualità.

In contrasto, risuona il grido pieno di forza e di fiducia di Papa Giovanni Paolo ll parlando alla gioventù: «Si può essere moderni e profondamente fedeli a Gesucristo». Perciò è necessario, come il Signore, il distacco da tutto quello che ci lega ad una vita troppo materializzata e che chiude le porte allo Spirito.

«ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (...). Seguimi» (Mt 8,22), ci dice il Vangelo di oggi. E san Gregorio Magno ci ricorda: «Teniamo le cose temporali per l'uso, quelle eterne nel desiderio; serviamoci delle cose terrene per il cammino, e desideriamo quelle eterne per la fine della giornata». È un buon criterio per esaminare come seguiamo Gesù.
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02/07/2019 08:59
 
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«Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)


Oggi, Martedì XIII del Tempo Ordinario, la liturgia ci offre uno dei frammenti più impressionanti della vita pubblica del Signore. La scena presenta una grande vivacità, contrastando radicalmente l’attitudine dei discepoli e quella di Gesù. Possiamo imaginarci l’agitazione che regnò sulla barca quando «ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde» (Mt 8,24), però un’agitazione che non fu sufficente per svegliare a Gesù, che dormiva. Furono i discepoli che con la loro disperazione svegliarono al Maestro! «Salvaci, Signore, siamo perduti!» (Mt 8,25).

L’evangelista si serve di tutto questo drammatismo per rivelarci l’autentica essenza di Gesù. La tormenta non aveva perso la sua furia e i discepoli continuavano pieni di agitazione quando il Signore, con semplicità e tranquillamente,«levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia» (Mt 8,26). Dalla Parola di rimprovero di Gesù continuò la calma, calma che non era destinata solamente a realizzarsi nell’acqua agitata del cielo e del mare: la Parola di Gesù si dirigeva soprattutto a calmare i cuori timorosi dei suoi discepoli. «Perché avete paura, uomini di poca fede?» (Mt 8,26).

I discepoli passarono dal turbamento e dalla paura all’ammirazione, propria di coloro che hanno appena assistito a qualcosa di impensabile fino ad allora. La sorpresa, l’ammirazione, lo stupore di un cambio così drastico nella situazione che stavano vivendo, svegliò in loro una domanda centrale: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?» (Mt 8,27). Chi è che può calmare le tormente dei cieli e della terra e, allo stesso tempo, quelle dei cuori degli uomini? Soltanto chi «dormendo come un uomo sulla barca, può dar ordini ai venti e al mare come Dio» (San Niceta di Remesiana).

Quando pensiamo che la terra sprofonda, non dimentichiamo che il nostro Salvatore è il Dio stesso fatto uomo, il quale ci si avvicina attraverso la fede.
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03/07/2019 07:48
 
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«Mio Signore e mio Dio!»

+ Rev. D. Joan SERRA i Fontanet
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la Chiesa celebra la festa di San Tommaso. L'evangelista Giovanni, dopo aver descritto l'apparizione di Gesù, la stessa Domenica di Risurrezione, ci dice che l’apostolo Tommaso non era lì, e quando gli apostoli -che avevano visto il Signore– lo stavano testimoniando Tommaso rispose: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Gv 20,25).

Gesù è buono e va all’incontro di Tommaso. Trascorsi otto giorni, Gesù appare nuovamente e dice a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!” (Gv 20,27).

-Oh Gesù, che buono che sei! Se vedi che qualche volta mi allontano da te, vienimi incontro, così come fosti all’incontro di Tommaso.

La reazione di Tommaso furono queste parole: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28). Che belle sono queste parole di Tommaso! Gli dice "Signore" e "Dio". È un atto di fede nella divinità di Gesù. Al vederlo risorto, non vede più solo l'uomo Gesù, che stava con gli apostoli e mangiava con loro, ma al suo Signore e al suo Dio.

Gesù lo rimprovera e dice lui di non essere incredulo ma credente, e aggiunge: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,29). Noi non abbiamo visto a Cristo crocifisso, e neppure a Cristo risorto, neppure ci è apparso, ma siamo felici perché crediamo in questo Gesù Cristo che è morto ed è risorto per noi.

Pertanto, preghiamo: «o mio Signore e mio Dio, allontana da me tutto ciò che mi allontana da te. O mio Signore e mio Dio, elargiscimi tutto ciò che mi avvicina a te. – O mio Signore e mio Dio, liberami da me stesso e concedimi di possedere soltanto te» (San Nicola di Flüe).
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04/07/2019 08:13
 
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«Àlzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua»

Rev. D. Francesc NICOLAU i Pous
(Barcelona, Spagna)


Oggi, troviamo nel Vangelo una delle tante manifestazioni della bontà misericordiosa del Signore. Tutte ci dimostrano aspetti ricchi in dettagli. La carità del Signore, che agisce con misericordia, va dalla resurrezione di un morto o alla guarigione della lebbra, fino al perdono di una donna, pubblica peccatrice, passando per molte altre guarigioni di malattie e la redenzione di peccatori pentiti. Quest’ultimo è anche espresso in parabole, come quella della pecora smarrita, la dracma persa e il figlio prodigo.

Il Vangelo di oggi è una dimostrazione della misericordia del Salvatore in due aspetti nello stesso tempo: d’innanzi alla malattia del corpo e d’innanzi a quella dell’anima. E visto che l’anima è più importante, Gesù inizia da qui. Sa che il malato è pentito delle sue colpe, vede la sua fede e di quelli che lo portano, e dice «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2).

Perché inizia da dove nessuno glielo ha chiesto? È chiaro che legge i suoi pensieri e sa che è proprio questo di cui sarà grato questo paralitico, che, probabilmente, vedendosi di fronte alla santità di Cristo, sentirebbe confusione e vergogna per le proprie colpe, con un certo timore che potessero essere di ostacolo per la grazia della salute. Il Signore vuole calmarlo. Non importa che i maestri della legge mormorino nei loro cuori. Piuttosto, fa parte del suo messaggio dimostrare che è venuto a elargire misericordia con i peccatori, e ora lo vuole proclamare.

E coloro, che, cechi per l’orgoglio, si ritengono giusti, non accettano la chiamata di Gesù; e al contrario lo accolgono quelli che sinceramente si considerano peccatori. Davanti a loro Dio si manifesta perdonandoli. Come dice San Agostino, «l’uomo orgoglioso è una grande miseria, però più grande è la misericordia del Dio umile». E in questo caso, la misericordia divina va ancor più in là: come aggiunta al perdono gli restituiste la salute: «alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua» (Mt 9,6). Gesù vuole che la felicità del peccatore convertito sia completa.

La nostra fiducia in Lui si deve consolidare. Pero sentiamoci peccatori per non escluderci dalla grazia.
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05/07/2019 08:34
 
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Seguimi»

+ Rev. D. Pere CAMPANYÀ i Ribó
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci parla di una vocazione, quella del pubblicano Matteo. Gesù stà preparando il piccolo gruppo di discepoli che dovranno continuare la Sua opera di salvazione. Lui sceglie chi vuole: saranno pescatori o procedenti da una modesta professione. Chiama, a che lo segua, finanche un esattore delle imposte, professione disprezzata dai giudei –che si consideravano osservanti perfetti della legge-, perchè la consideravano quasi fosse una vita peccatrice, perchè riscuotevano imposte da parte del governatore romano, al quale non volevano assoggettarsi.

E’ sufficiente l’invito di Gesù: «Seguimi» (Mt 9,9). Per una parola del Maestro, Matteo lascia la sua professione e, contentissimo, L’invita a casa sua per celebrarvi un banchetto di riconoscenza. Era normale che Matteo avesse un gruppo di buoni amici della sua stessa professione, affinchè l’accompagnassero a partecipare di quel convito. Secondo i farisei, tutta quella gente era peccatrice, riconosciuta pubblicamente come tale.

I farisei non possono star zitti e commentano con alcuni discepoli di Gesù: «Come mai il vostro maestro mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?» (Mt 9,10). La risposta di Gesù arriva immediatamente: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,12). Il paragone è perfetto: «Non sono venuto (...) a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

Le parole di questo Vangelo sono di grande attualità. Gesù continua ad invitarci a seguirLo, ognuno secondo il suo stato e professione. Seguire Gesù, però, esige lasciare passioni disordinate, cattiva condotta familiare, perdere tempo, per potersi dedicare alla preghiera, al banchetto eucaristico, alla pastorale missionaria. In realtà «un cristiano non è padrone di sè stesso, ma deve dedicarsi al servizio di Dio» (Sant’Ignazio d’Antiochia).

Certamente il Signore mi chiede un cambio di vita e, così, mi domando: a quale gruppo appartengo? A quello delle persone che tendono alla perfezione o a quello delle persone che si riconoscono sinceramente smarrite nel buio? Non è forse vero che posso migliorare? Coraggio, allora, e fiducia nel Signore!
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