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23/12/2017 09:46 | |
Dare un nome: il problema della gente di ieri come di quella di oggi. Sempre dobbiamo dare un nome alle cose, alle persone, e siamo diventati bravi anche a dare nomignoli, soprannomi, e amiamo nasconderci dietro ai “nickname” che falsano la nostra vera identità. Siamo diventati bravissimi a dare nomi simpatici a realtà velenose che ci siamo inventati. Per Dio non è così. Il nome esprime l’intima vocazione di un uomo, il nome ti identifica, ti dà un posto nel cuore di Dio. Lui ha detto: “Ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni”; e ancora: “Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano”. Dio ti conosce con il tuo nome, esso è scritto nel suo cuore. Nel caso di Elisabetta, lei sapeva che suo figlio doveva essere chiamato così, che Dio voleva quel nome, ma la gente non vuole e si agita. Vogliono dare una vocazione diversa al bambino, ma in realtà non comprendono il disegno di Dio, e corrono il rischio di cambiarlo. Ma i genitori, decisi, gli danno il nome adatto a lui, il nome che Dio aveva pensato. Molte volte ci agitiamo inutilmente, proprio come la gente del Vangelo, e questa agitazione è il segno che non ci stiamo capendo nulla. Mostriamo, però, di capire tutto e vogliamo risolvere noi quello che non capiamo, e poi meno male che interviene Dio, altrimenti non solo rovineremmo noi stessi, ma anche gli altri. Quando è Dio a muovere i fili, allora sì che vi è meraviglia, gioia, allegrezza, allora veramente la sua mano è con noi, allora si scioglie il nodo della nostra lingua e iniziamo a pensare come Lui e a dire quello che direbbe Lui, suscitando domande a quelli che sono intorno a noi. Questa è la più bella evangelizzazione, che difficilmente resta senza frutto.
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